L'altra metà della luna
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1 – Sonia
Luca è steso a terra. La sua testa è allineata con la linea di tiro della pistola. Mi basterebbe un attimo per cancellargli per sempre quel sorriso dalla faccia. Non posso. Il bastardo lo sa e se la ride. Anche le cicale sembrano farsi beffa del dolore che provo e friniscono eccitate guardando lo spettacolo. «Non farmelo ripetere un'altra volta, liberalo!» Cerco di dare alla mia voce un tono autoritario. Lui continua a sostenere il mio sguardo con quella sicurezza che lo caratterizza. Una sicurezza che mi ha fatto innamorare, ma che che poi si è rivelata deleteria per il nostro matrimonio. Il problema è che lo amo e, allo stesso tempo, lo odio. «Se mi spari, crepa anche lui, puttana.» Scandisce le parole come se stesse parlando con una ritardata. Neppure adesso che ha una pistola puntata contro, mi considera. Dovrei sparargli in mezzo alle gambe per fargli comprendere la situazione in cui si trova, dimostrargli che sono reale. Non posso fare nemmeno questo: il suo corpo mi serve integro. Sto per crollare, non sono mai stata forte. Come potrei esserlo ora? Ho permesso a questo uomo di portarmi via tutto, di annientarmi, non posso permettergli di portarmi via anche Rubens. «Rubens, vieni fuori, lo so che puoi sentirmi, aiutami.» Grido con tutto il fiato che ho nei polmoni, non so cosa fare. Le cicale smorzano per un attimo il loro divertimento smettendo di cantare. La notte intorno a me comincia a vorticare. Le gambe cedono. Mi ritrovo carponi con le mani affondate in ciuffi di erba umida. Respiro a fatica, il cuore galoppa nel petto senza briglie. Una scarpata mi raggiunge in pieno volto. Il dolore avvampa sotto l'occhio destro. Il gusto metallico del sangue si mescola con quello amaro della sconfitta. Premo il grilletto. Lo sparo riecheggia nella valle rimbalzando tra le montagne. L'urlo soffocato di Luca mi scuote, il pensiero di averlo ucciso mi spaventa. Voglio solo riabbracciare Rubens. «Vaffanculo. Che male,» urla Luca. Lo vedo seduto che si tocca il bicipite del braccio sinistro. Sotto la mano, la manica della camicia bianca comincia a tingersi di rosso. Fa per alzarsi. «Brutta Stronza, adesso vedi dove ti ficco quella pistola.» Chiudo gli occhi, so di cosa è capace quando è incazzato. E così incazzato non l'ho mai visto. Sono troppo stanca per reagire, mi abbandono. Sono abituata alla brutalità di quelle mani, spero solo che questo incubo finisca presto. Aspetto di ricevere un altro colpo. Non succede niente. Sento Luca gorgogliare parole prive di significato. Adesso è steso a terra in preda alle convulsioni. Le gambe rigide vibrano sbattendo i talloni a terra; bacino e tronco saltellano ondeggiando come il corpo di un pesce spiaggiato che cerca di riguadagnare l'acqua del fiume; La testa martella la terra mentre le mani cercano stabilità. Le dita graffiano la terra; c'è ancora lucidità in quel corpo. Mi rialzo. Sento pulsare lo zigomo sotto l'occhio destro. Raccolgo la pistola e mi avvicino alla testa di Luca e gliela premo contro. Questa notte, in un modo o nell'altro tutto finirà. Attendo qualche attimo. Il suo corpo smette di tremare. Riapre gli occhi . Mi guarda e sorride. Non parla. «Dimmi qualcosa.» Gli premo la canna della pistola sulla tempia. Muove le labbra a fatica. Un sussurro gli esce dalla bocca. «Tulipano, quattro, sedici...» Non riesco a trattenere le lacrime. Non riesco a crederci ce l'ha fatta. Eppure c'è qualcosa di strano nella sua voce. «rosso.» aggiunge alla fine. Le mie speranze vengono annientate in quel medesimo istante. Allunga la mano cercando di accarezzarmi. «Addio Rubens.» Dico. Le mani mi tremano. La canna della pistola oscilla tra le mie mani. Premo il grilletto per la seconda volta. Il colpo trafigge la giugulare di Luca. Schizzi di sangue mi finiscono in faccia e in bocca.
2 – Luca
«Vado a prendere qualche cosa da mangiare. Tu non ti muovere da qui.» Sofia mi guarda e annuisce. Sorseggia un po' di champagne dal bicchiere che ha in mano e si gira tornando a guardare il terzetto di archi che si sta esibendo sul palchetto della sala da pranzo. Io invece, non sopporto la musica classica. Io la odio. Mi allontano ho voglia di rimorchiare la cameriera che c'è al buffet. Ha proprio la faccia da troietta e quando siamo entrati mi ha guardato in un modo che non lascia spazio a fraintendimenti.
Sto addentando una tartina al caviale quando qualcuno mi bussa sulla spalla. Forse è lei. Ingoio e mi giro. Mi sbagliavo. «Ciao Luca, come stai?» Mi domanda Daniela la moglie del padrone di casa. Mi sorride. Conosco quel sorriso. Lei è la tipica donna che sa quello che vuole. Me la sono scopata un paio di volte, ma poi ho perso interesse lei evidentemente no. La scollatura della camicetta bianca fa intravedere il seno generoso. I capezzoli turgidi tendono la seta sottile mostrandone l'eccitazione. «Bene e tu?» «Insomma, mi sto annoiando. Tua moglie dove l'hai lasciata?» «Sta guardando lo spettacolino che avete organizzato» L'avrei lasciata volentieri a casa se non dovessi mantenere una facciata di matrimonio felice. «Tuo marito invece?» le domando con poco interesse. «Bah, quel coglione sta giocando a poker. Ti va di ricordare i vecchi tempi?» Avanza con il busto mettendo in evidenza la sua prosperosità. Si guarda intorno come chi vuole essere sicuro di non essere visto e mi passa il dorso della mano sulla patta dei pantaloni. Nonostante tutto, non riesco a rimanere impassibile. Sento un principio di erezione. Lei se ne accorge e mi prede per mano e mi trascina all'esterno della sala dei ricevimenti. Non mi oppongo e la seguo.
Mi spinge nel guardaroba. Chiude la porta e mi spinge contro delle giacche appese in modo ordinato. Avanza verso di me e si inginocchia. Me lo tira fuori e lo prende in bocca. In quel momento la porta della stanza semi buia si spalanca. Qualcuno accende la luce. Compare la cameriera bionda che, vedendo la scena, mi guarda con un espressione schifata e poi scappa via. Ho perso qualsiasi possibilità con lei. Mi passa qualsiasi voglia. Sento la mia erezione affievolirsi. È la prima volta che mi succede una cosa del genere. Allontano Daniela da me e mi rimetto in ordine. «Forse è meglio se rimandiamo.» Le dico cercando di nascondere l'imbarazzo. «Che delusione. Stai cominciando a perdere colpi, Luca» Mi dice lei storcendo il naso con disgusto. Si alza e se ne va senza dire più niente.
Ritorno da Sonia o, almeno, ritorno nel punto dove avrebbe dovuto aspettarmi Sonia. Non la vedo. I musicisti hanno smesso di suonare e tutti gli invitati si sono dispersi nella sala. La cerco. Dove cazzo può essere andata senza avvertirmi? La trovo che sta chiacchierando con il ragazzo che suonava il violino. Un ragazzino che avrà dieci anni in meno di lei. La sta mangiando con gli occhi. Mi avvicino e sbraccio mia moglie da dietro. La bacio. «Scusami cara se ti interrompo, ma è ora di andare.» «Di già?» Mi domanda lei. Ha gli occhi vuoti di chi ha bevuto un po' troppo. «Sì, cara,domani devo alzarmi presto. Saluta il tuo amichetto e andiamo.» Le dico cercando di mostrarmi il più cordiale possibile. Il sangue mi ribolle nelle vene. La prendo per la mano e la strattono via.
Al guardaroba troviamo la cameriera bionda. Mi ridà la giacca e il soprabito di Sonia, senza alzare nemmeno una volta lo sguardo dal bancone. Ce ne andiamo dalla festa senza salutare i padroni di casa.
Saliamo in macchina e partiamo Una volta usciti dal cancello della villa, mio rivolgo a Sonia che guarda dal finestrino i lamponi che scorrono al bordo della strada. Sono troppo incazzato. Cerco di stemperare la tensione. Accelero. «Allora mi dici che cazzo voleva quello da te?» Le domando. La stronza non mi risponde rimane impassibile. «Cazzo,» urlo sbattendo i pugni sul volante, «Lo hai capito che sei di mia proprietà, oppure no?» Zitta. La stronza sta zitta. Mi ignora, si sente forte. Non ci vedo più dalla rabbia. Se le permetto di comportarsi così, comincerà a fare di testa sua. Devo punirla. Le afferro i capelli alla base della nuca e le sbatto la testa sul cruscotto. Lei rialza la testa e si tiene il viso con le mani. Sto per colpirla di nuovo quando lei si scaglia contro di me reagendo. D'istinto schiaccio il piede del freno. Sento la macchina che sbanda. Lei continua a menare pugni alla cieca. Urla. Mi graffia la guancia destra, poco più in alto mi prendeva l'occhio. Con una mano cerco di guidare e con l'altra di parare i colpi. La macchina perde di nuovo aderenza. Controsterzo, Cerco di stabilizzare la traiettoria. Sonia smette di colpire. «Ti prego, Carlo, Rallenta ho paura.» Sorrido. Ho vinto la battaglia. Appena a casa mi vedrà… La ruota anteriore sinistra scoppia. Provo a rimanere in carreggiata, ma non riesco nell'impresa. La macchina sbanda e finisce in un campo di mais. Non lo so per quante volte ci rigiriamo su noi stessi. Quello che so è che quando riapro gli occhi, sopra di me c'è una ragazza con i capelli rossi che mi sorride. Parla ma non riesco a sentire quello che mi dice. Nella testa ho un unico e monotono fischio. Non so chi sia questa donna. mi addormento.
Sento qualche cosa di freddo che mi scorre sulla pancia e risale tra i pettorali. Apro gli occhi. Luci che corrono sopra di me. Volti di sconosciuti. Voci. «...operatoria quattro....» mi sembra di essere disteso. Il mondo intorno a me, compare e scompare a intermittenza. Ho una mascherina di gomma che mi avvolge naso e bocca. Ci fermiamo. La testa mi si piega verso sinistra. Vedo una vecchia sdraiata su una barella, sta dormendo. Un uomo in divisa, mi copre la visuale. La striscia rossa dei pantaloni mi ricorda quella dei carabinieri. Rivedo la vecchia. D'improvviso apre gli occhi e mi fissa. Apre la bocca. Un fumo verde scuro esce da quella caverna adornata di stalattiti e stalagmiti di avorio chiazzato di nero e si dirige verso di me. Vorrei urlare a signorina capelli rossi di aiutarmi. Non ce la faccio. Rimango immobile ad osservare quella cosa che adesso si trova a pochi millimetri da me. Faccio un ultimo tentativo per farmi sentire. Senti il fumo entrare dentro di me. Ha un retrogusto amarognolo. Tossisco.
3 – Rubens
Suonano alla porta. Mi avvicino al citofono. Faccio fatica a muovermi con questo corpo. Ormai è deteriorato dal tempo e dalle malattie. Ho bisogno di uno nuovo. Premo il pulsante dell'interfono. «Chi è?» Domando parlando nella cornetta. «Pizza.» Gracchia la voce dall'altra parte. «Venga, le apro.» Metto giù il citofono e premo il pulsante che apre il cancelletto di ingresso. Apro la porta di case e mi avvio per le scale andando incontro al ragazzo delle pizze.
Il fattorino è un ragazzotto robusto e abbronzato. La maglietta bianca che indossa fa risaltare i muscoli. È tutto sudato. Mi sorride e mi allunga il cartone con la pizza. «Quanto le devo?» Gli domando. «Sei euro.» Mi risponde. «Aspetti un attimo che le prendo i soldi. Se vuole può entrare così le offro qualcosa di fresco da bere. Cosa ne dice?» «Va bene, signora, accetto volentieri, sa, con questo caldo.» Gli sorrido. L'ho convinto subito, sono proprio bravo nella parte della nonnina indifesa.
«Come ti chiami?»Gli domando. «Stefano.» «Allora Stefano, siediti pure, che cosa vuoi da bere?» «Va bene acqua, basta che sia il più fredda possibile.» «Aspettami qui allora, te la porto subito.» Che stolti i giovani d'oggi. Si fidano degli sconosciuti. Se Stefano sapesse a cosa sta per andare incontro, non avrebbe mai accettato il mio invito. Apro il frigo e prendo la bottiglia di acqua. La verso in due bicchieri e ritorno in soggiorno. Mi preparo a sfoggiare il migliore dei sorrisi e ritorno in sala.
Mentre sono in corridoio, sento dei rumori strani provenire dalla camera da letto. Rumore di cassetti che si aprono. Ho uno strano presentimento. Cammino veloce e mi precipito nel soggiorno. Come sospettavo, Stefano non c'è. Arrivo in camera e lo trovo che sta rovistando alla ricerca di oggetti preziosi.
«Stefano, che cosa ci fai qui? Esci subito da casa mia.» Avvicinati a me bastardo, e ti faccio passare la voglia di rubare. Avanti, aggrediscimi- Stefano si volta e mi guarda con un ghigno beffardo. Mi viene incontro brandendo una torcia elettrica nera. La alza sopra la testa e si scaglia contro di me. Riesco a schivare un paio di colpi, poi un terzo mi colpisce la spalla. Sento le ossa frantumarsi sotto la violenza del colpo. Nonostante il dolore gli afferro la gola con la mano e comincio a stringere. Lui mi afferra il polso con entrambe le mani e cerca di liberarsi. Agita le gambe. Sta quasi per soffocare, è quasi il momento di agire. Mi preparo ad entrare dentro di lui. Sento la sua vita fluire lontana.
In quel momento la porta di ingresso si spalanca. Mi ero dimenticata di chiuderla. Mi ritrovo davanti due carabinieri. Deve averli chiamati quell'impicciona delle vicina di casa. Non si fa mai i fatti suoi. Quello più giovane dei due mi si avvicina e mi toglie il collo del giovane fattorino dalle mani. «Signora giacometti, sta bene?» Mi domanda quello più anziano. «Poteva andare meglio.» Gli rispondo trattenendo in gola un misto di rabbia e rammarico. Ci ero arrivato così vicino. Eppure, ancora una volta c'è qualche cosa che è andata storta. «Lei stia tranquilla, sta arrivando un'ambulanza per portarla in ospedale.» «Perché dovrei andare in ospedale? Io sto benissimo.» «Forse la botta non la sente adesso, ma le assicuro che domani.» Vedo il giovane che intanto ha ammanettato il fattorino e lo porta verso la porta di ingresso. Il ragazzo, nonostante sia più muscoloso del suo carceriere, se ne sta a testa bassa e non reagisce. «Del ragazzo che cosa farete?» Domando al carabiniere vecchio. «Lo porteremo in centrale e poi lo interrogheremo. Operazioni di routine.»
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