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Skannatoio, edizione IV, Militare degradato usa impropriamente arma propria
I mini-campionato, 1 di 6

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gian_74
view post Posted on 5/7/2011, 17:04 by: gian_74




Giustizia materiale

La battaglia prese una brutta piega. I nemici guadagnarono parecchio terreno grazie al fuoco incrociato dei mortai e noi fummo costretti a ripiegare sul versante nord della montagna, disperdendoci in squadre di cinque o sei persone per spostarci più velocemente. Io capitai sotto gli ordini del Sergente Maggiore Schinca, conosciuto come una delle più grandi teste di cazzo del regio esercito. Insieme a noi c'erano il Caporale scelto Colombo e i soldati semplici Tassi e Gargano. Con il mio grado di sottotenente medico del Corpo Sanità, ero il secondo in grado di comando e sapevo benissimo che Schinca non mi avrebbe reso la vita facile, considerando soprattutto la sua manifesta antipatia verso i corpi di supporto, come il mio.
"Quando un soldato non riesce a reggersi sulle proprie gambe, dovrebbe essere abbattuto, altro che giocare alle crocerossine con le bende e i cerotti!" E ancora: "Voi finocchietti," diceva indicando nella mia direzione, "dovreste imparare a sparare, invece di perdere tempo con i cadaveri." Una situazione tutt'altro che invidiabile la mia. La risalita divenne oltremodo faticosa, quasi più per le bordate del sottufficiale che per i colpi di mortaio, i cui proiettili facevano fischiare le orecchie e, sovente, colpivano nelle vicinanze, insozzandoci di terra e colpendoci con frammenti di roccia appuntita.
Arrivati nelle vicinanze di un anfratto nella roccia, il Sergente decise che quello poteva essere un buon posto per piazzarsi e cercare di procurare un qualche danno all'esercito nemico. A me parve da subito un'idea malsana perché, per quanto protetto, quel posto non avrebbe permesso una fuga repentina in caso di bisogno; si correva il rischio di finire in trappola come conigli. Mentre cercavo un modo elegante e poco doloroso di obiettare a quella scelta, un proiettile di mortaio atterrò a una decina di metri da noi, deflagrando con un boato spaventoso che ci indusse a correre il più velocemente possibile verso il discutibile e, apparentemente unico, riparo. Provai un dolore acuto alle orecchie a causa dell’esplosione e ci vollero alcuni minuti per ristabilirmi. La testa mi girava e avevo le mani e le braccia imbrattate di sangue; si trattava perlopiù di piccole ferite dovute alle schegge di pietra schizzate per l’onda d’urto. Mi guardai attorno, nel tentativo di capire quale fosse la situazione dei miei compagni di squadra. Vidi il Sergente e il Caporale, praticamente illesi, che si stavano rassettando, mezzi storditi per la botta, ma non trovai traccia degli altri due soldati. Allora, riparato da una roccia, mi sporsi per guardare nella direzione da cui eravamo arrivati. Oltre al rumore impietoso delle bombe, ora s’iniziavano a udire gli spari dei fucili. Il nemico si stava inesorabilmente avvicinando e la possibilità che i cecchini arrivassero a tiro di Garand, iniziava a diventare spaventosamente concreta. Tassi era decisamente più a valle della sua posizione precedente, l'esplosione doveva averlo sbalzato lontano e ora il suo corpo senza vita era ridotto a brandelli. Aveva perso entrambe le gambe ed era completamente imbrattato di sangue. Posso affermare con una certa sicurezza che era morto sul colpo. Gargano era a una ventina di passi da me. Stava urlando dal dolore, e dalla posizione innaturale e scomposta del piede si capiva chiaramente che aveva una brutta frattura alla tibia destra. Era sdraiato bocconi e cercava di trascinarsi con le braccia ma non riusciva a muoversi di un millimetro. Dalla mia posizione era impossibile capire se avesse qualche altra ferita grave, decisi comunque di agire velocemente.
"Sergente, dobbiamo recuperare Gargano e portarlo in salvo, è ancora vivo, lo sente?"
"Lo sento sì, cazzo. Non sono mica sordo." Schinca si avvicinò alla roccia, scostò il capo e nell'attimo in cui si rese conto della triste situazione di Gargano, sentì il sibilo delle pallottole squarciare l'aria per andarsi a scagliare contro la parete della montagna. "Cristo santo," disse mentre si riparava buttandosi a terra, "non vorrai mica andare a prendere quel mezzo cadavere e rischiare di buscarti una pallottola in fronte?"
"Sergente, è il nostro dovere..."
"Tu non ti muovi da qui, brutta testa di cazzo. Non voglio perdere un altro uomo, per quanto stupido possa essere. Questo, se non l'avessi capito, è un ordine!"
Guardai il mio superiore con occhi intrisi di disprezzo e, quasi istintivamente, mi gettai contro di lui nel tentativo di sbatterlo a terra e superarlo per raggiungere Gargano. Il tentativo fallì miseramente naufragando nell'esperienza del sottufficiale, che, sfruttando il mio peso, ribaltò la situazione a proprio favore facendo perno con una gamba e sbattendomi malamente a terra. La manovra evasiva trovò però l'inaspettato ostacolo del caporale Colombo che, accorso per intervenire, si ritrovò sgambettato dal mio corpo alla mercé del famigerato Sergente, rovinandogli addosso e liberandomi, di fatto, dalla presa. Mi ritrovai quindi proiettato verso Gargano che nel frattempo aveva smesso di urlare o, forse, non riuscii più a sentire le sue grida perché coperte dalle bestemmie dei due compagni di sventura e dal rumore dei proiettili sempre più minacciosi. Quando mi accostai al corpo, il suo respiro era ridotto al minimo e provando a girarlo sulla schiena mi ritrovai con le sue budella in mano; mi resi conto che era definitivamente spacciato.
Ora i mortai avevano cessato di colpire la nostra zona e si erano spostati molto più in alto, segno che le truppe di terra erano sempre più vicine; a conferma di ciò il fuoco dell'artiglieria era diventato più intenso e in più di un’occasione mi sentii sfiorato dai proiettili. Non potevo far altro che ritornare al rifugio di fortuna e affrontare i due militari. Quando arrivai nell'anfratto, io ero in lacrime, spossato dal dolore per non aver potuto aiutare i miei compagni caduti. Come mi aspettavo, fui immediatamente aggredito e sbattuto a terra, e mentre Colombo m’immobilizzava, Schinca inveiva dall'alto verso di me, sputandomi addosso e apostrofando me e la mia famiglia con i peggiori epiteti del proprio repertorio. Finiti gli sproloqui, si gettò su di me e mi strappò le mostrine del Corpo Sanità per le truppe di montagna.
"Ma bene, abbiamo un disubbidiente qui, un disertore. Ora sei degradato, da sottotenente a Femminuccia, sei contento, Finocchietto?" Digrignò i denti come un Dobermann rabbioso. "E la corte marziale non te la toglie nessuno!". Mi sputò un grosso catarro in faccia, poi prese il mio kit da medico e lo scaraventò giù dal dirupo. "Questo non ti serve più, femminuccia." Fece un cenno con il capo a Colombo che capì al volo la consegna riempiendomi di pugni al volto e calci al costato. Per finire il lavoretto mi spaccò entrambe le mani a suon di pedate, una vecchia usanza di noi militari quando vogliamo essere sicuri che qualcuno non faccia un uso indesiderato della pistola.
"Ora alzati alla svelta..." Mentre il sergente disse ciò, un proiettile lo colpì in pieno sotto la mandibola, mandandogli in brandelli la lingua e uscendo dalla guancia opposta, come se fosse trafitto da una saetta di luce divina.
Lo guardai accasciarsi a terra, terrorizzato, a sputare fiotti di sangue dalla bocca. Colombo trattenne a stento un urlo di disperazione, gettandosi di corsa sul corpo del malcapitato e cercando di sorreggergli la testa un po' di lato per non farlo soffocare nel sangue. Mentre lo sguardo atterrito di Schinca cercava avidamente di implorarmi aiuto, io non riuscii a trattenere le risate e iniziai a sbellicarmi in un verso quasi satanico.
"Che cazzo ridi coglione? Dammi una mano, salvalo. Sei un medico no?" disse Colombo in preda al panico.
"Bisognerebbe fare una tracheotomia." Dissi biascicando sangue e saliva. "Ah, se solo avessi con me il mio kit medico..." Risi forzatamente per rincarare la dose.
"Non ridere ti ho detto, brutto stronzo." Colombo estrasse la pistola dalla fondina e, disperato, me la puntò addosso. "Trova un modo, ci sarà un modo..."
"Ecco," lo interruppi, "un modo ci sarebbe a pensarci bene..."
"Parla, muoviti!"
"La pistola. Devi fare solo un piccolo buchino nella trachea, cosa c'è di meglio di una pistola? Basta colpirlo di striscio."
"Ma cosa? Ma che cazzo dici, mi prendi per il culo? Io non farò mai una cosa del genere. Semmai, ecco, fallo tu!"
"Dimentichi forse del lavoretto che avete fatto alle mie mani?" Gli mostrai le mani violacee e doloranti. "Devi farlo tu Colombo, non c'è alternativa, e se non ti sbrighi... guarda, sta morendo"
Colombo guardò il sergente maggiore e capì di non avere alternative. Appoggiò la canna della sua Glisenti 9mm sulla trachea.
"Così?" disse piangendo come un bambino.
"Dall'altra parte, e appena più inclinata. Ecco, sì. Così..."
Il proiettile attraversò la gola del Sergente e, meglio di quanto sperassi, provocò una devastazione di vene e arterie d’importanza vitale, causandone la morte praticamente immediata.
"Oops... mi spiace, è andata male.” Iniziai a ridergli in faccia, senza riuscire a smettere. “In effetti non è molto funzionale come metodo."

Ricordo che i nemici arrivarono in quel frangente e ci presero in consegna sequestrando le armi, stupiti di trovarmi in quello stato e in preda a convulsioni di riso.
Finii gli anni di guerra nella pace di un campo di prigionia militare, mentre Colombo iniziò a dare seriamente di matto e fu rinchiuso in una qualche struttura d’igiene mentale. Lo rividi due anni dopo, quando testimoniai contro di lui davanti alla Corte Marziale per l'accusa di omicidio del Sergente Maggiore Schinca. Ovviamente negai di essere io il principale responsabile della fine del Sergente e nessuno volle credere alle assurdità del pazzo. Il caporale fu condannato alla fucilazione, con trasformazione della pena nella detenzione a vita presso un manicomio militare. Venni a sapere della sua morte qualche anno dopo il processo.

In mio onore posso dire che davanti alla corte marziale riconobbi di fatto la degradazione e rifiutai di essere riabilitato per mia volontà di abbandonare l'esercito e di dedicarmi alla medicina come missione di vita. Scelta che mi ha donato una magnifica carriera, costellata di successi.

In punto di morte vi lascio queste memorie per far luce, com'è giusto che sia, sui fatti realmente accaduti intorno alla vicenda, sicuro e onorato comunque, di aver fatto una scelta responsabile e saggia. Talvolta la giustizia ordinaria non è sufficiente a dar ragione alla rettitudine morale e all’onestà d'animo. Non credendo in quella divina, ho dovuto preferire la giustizia materiale.
In fede,
Dott. Martino Campana.
 
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