MESSAGGI
di Daniele Zecchinato
15.435 caratteri
Piiiii piiiii!La rumorosa suoneria del cellulare riscosse Ada dal torpore in cui si trovava. Si alzò dalla poltrona e si diresse al tavolino del salotto su cui aveva abbandonato quel macchinario che ancora le risultava tanto alieno.
1 messaggio ricevuto, diceva la schermata,
mittente sconosciuto. Com’era possibile che un sms potesse arrivare da un utente sconosciuto? Elena aveva detto che in ogni caso il numero del mittente sarebbe apparso al di sotto dell’avviso, le pareva di ricordare. Ma da qualche anno la sua memoria aveva iniziato a mostrare segni di cedimento che lei stessa riconosceva. Bah, ma vai a sapere, pensò. Premette il tasto con la dicitura ‘OK’, e uno strano testo apparve sulla schermata: “
arrivo pr#_+st! °_çjaManchi m§lt”
Non se ne diede pensiero. Avrebbe chiesto ad Elena quando sarebbe passata a trovarla. Sua nipote viveva con quell’aggeggio in mano per tutto il giorno: avrebbe saputo senz’altro cosa ci fosse di sbagliato. Lei, dal canto suo, credeva che non avrebbe mai imparato del tutto come adoperarlo senza andare a controllare nelle istruzioni che aveva scritto di suo pugno mentre Elena dettava. A settantadue anni suonati a che poteva servirle imparare ad usare un cellulare? Ma era stato un regalo di Elena, che si era dimostrata tanto entusiasta nel presentarlo ai nonni come dono per le loro nozze d’oro, e almeno un po’ contava di sforzarsi.
Tornò a sprofondare nella poltrona, mettendosi a guardare un po’ di tv. Dopo qualche minuto di zapping iniziò di già ad annoiarsi: da quando Cesare era morto non aveva nessuno con cui commentare quello che trasmettevano. Sentì il peso della solitudine premerle sul cuore. Se n’era andato da due settimane, e il suo senso di vuoto, di
inutilità nel rimanere al mondo in questo modo, senza più alcuno scopo, non si era ancora affievolito. Cinquant’anni assieme, nel bene e nel male, finiti in pochi secondi.
Quasi cinquant’anni, se quel maledetto sbronzo non avesse falcidiato Cesare all’uscita dell’autogrill il giorno prima. Ma cosa poteva farci? Settant’anni sulle spalle insegnano che nella vita non si può mai sapere.
Andò a letto, il posto in cui passava ormai la maggior parte delle sue ore. Si addormentò guardando il cuscino vuoto accanto al suo, posando su di esso una lieve carezza prima di chiudere gli occhi.
Venne svegliata dal suono del campanello. Gettò uno sguardo alla radiosveglia sul comodino, e trasalì nello scoprire che aveva dormito più di tredici ore. Erano le 11.44 di domenica mattina, e a venirla a trovare era Elena, come faceva sempre più spesso da quando il nonno era morto.
“Ciao nonna”, disse schioccandole un bacio sulla guancia. “Ma ti sei appena alzata? Hai due occhi!”
“Sì tesoro, stanotte non riuscivo a prendere sonno e ho fatto tardi davanti alla tv”, mentì Ada.
“Mmm”, mugugnò la ragazza, indecisa se credere o meno. “Be’ non importa. Dai vieni, ho portato delle taglioline da parte della mamma. Ci facciamo un bel sughetto!”
Una volta in cucina, Elena si piazzò sul tavolo con il pc portatile che aveva sempre con sé, mentre Ada prendeva dal frigorifero le verdure per il sugo e iniziava a tritarle.
“Mascalzona, dammi una mano invece di incollarti lì”, disse Ada col sorriso, sapendo che Elena l’avrebbe fatto comunque.
“Siiiì, siiiì nonna, lo sai che ti aiuto. Aspetta un secondo che – “ Si interruppe, fissando lo schermo con un’aria pensierosa. “Nonna, cos’è questa roba?”
Ada abbandonò il porro che stava affettando, avvicinandosi allo schermo. Elena era entrata in Feisbuc –
Facebook, si corresse mentalmente notando la scritta in alto a sinistra – nella pagina che aveva creato apposta per lei. “Ce l’hanno tutti!”, le aveva detto la nipote quando l’aveva spinta a creare il suo profilo. “Dai, fallo, poi ti faccio aggiungere dai miei amici!”
Nella bacheca era apparso un commento che le portò subito alla mente l’sms della sera precedente. “
VieNi, voglio vedertfff. vieni la’ tornnnna nel posto]*89yy”
“Ma chi lo manda?”, chiese Ada stranita.
“Non lo so, non è nemmeno comparso il nome di chi l’ha scritto.” Elena era turbata più di lei. Venendo da una ragazza che viveva di internet, una frase del genere voleva dire che era un bel mistero.
“Vieni, guarda un attimo. Ieri sera mi è arrivato un messaggio simile.”
Le mostrò il messaggio misterioso, ottenendo il risultato di confondere ancora di più la nipote. “Non ci capisco niente”, sbottò Elena, ma la conversazione si spostò presto su altri argomenti. Quando il pranzo fu pronto, lo gustarono senza nemmeno pensarci.
Quella notte Ada venne svegliata per ben tre volte da quel cellulare infernale.
“
Bzzzz-fssss-bzzzz-“ Fu questo tutto ciò che sentì al rispondere alle prime due chiamate, ognuna delle quali giunse da un numero anonimo. Stizzita, alla seconda spense il telefono e si rimise a letto, chiedendosi a chi mai avrebbe potuto venire in mente di tirarle degli scherzi telefonici alle 3 di notte passate. Ma alle 4.30 esatte il telefono squillò di nuovo.
Adesso lo getto nel water!, pensò intontita dal sonno, prima di rendersi conto che il cellulare avrebbe dovuto essere spento.
“Pronto?”, rispose con la voce impastata. All’altro capo c’era solo il ronzio di poco prima.
“Ma insomma, chi parla?”
“
Bzzzz-da, sei tu? Ada-fssssbzz-ada, sei tu? Ada? Bzzz-“
Una doccia gelata le si riversò addosso. Sentì i capelli sulla nuca rizzarsi, e solo lo shock del sentire il sonno scivolare via in un baleno le impedì di far cadere a terra il cellulare.
Si sforzò di sciogliere il nodo che le serrava la gola, riuscendo a pronunciare il nome che le fremeva sulle labbra. “Cesare?”
“
Ada-ada- sei tu? Pronto-bzzzz-sei tu?”
Le lacrime le salirono agli occhi. Non c’era alcun dubbio. Non poteva confondere la voce che ogni mattina, per cinquant’anni, aveva sentito al suo risveglio, l’accento toscano che tanto l’aveva divertita il giorno in cui si erano conosciuti alla fiera.
“Cesare? Cesare! Oddio! Dove sei? Come stai? Parlami, sono io!” Non si rese conto dell’assurdità di quelle domande. Continuò a tempestare il ricevitore con foga, interrotta solo dal ronzio e dalle parole ripetitive del marito, che apparentemente non si rendeva conto di stare parlando con lei.
Dopo pochi secondi, la conversazione cadde. Ada rimase a fissare instupidita lo schermo come se si trattasse di uno strano animale sulla cui innocuità o meno era indecisa. Quando l’illuminazione del display si spense si gettò tra le coperte con il telefono stretto al petto, singhiozzando finché il dolore non la sfinì tanto da farla cadere addormentata.
Il mattino dopo si svegliò stranamente riposata. Ricordava l’evento della notte precedente come fosse un sogno, e si chiese se effettivamente non fosse stato così. Ma poco dopo l’una, all’orario in cui Elena usciva da scuola, la ragazza la chiamò. Sussultò non appena udì lo squillo, ma si tranquillizzò non appena vide il nome della nipote apparire.
“Pronto?”
“Ciao nonna! Come stai?”
“Bene, bene tesoro”, rispose cercando di mantenere salda la voce. “Sto bene, non ti preoccupare. E tu?”
“Bah, ho fatto schifo nel compito di latino, sono un po’ giù. Ma ti ho chiamato per un’altra cosa. Senti, ho visto una foto tua e del nonno nel tuo profilo di Facebook. È davvero bella! Ma come hai fatto a postarla? Hai imparato da sola?”
“Postarla?”, chiese Ada confusa. “Ma quale foto?”
“Postarla vuol dire inserirla”, disse Elena divertita dalla carenza lessicale tecnica della nonna. “È una foto vecchia, eravate ancora giovani.”
“Ma, Elena, io non ho inserito nessuna foto.”
“Davvero?” La ragazza esitò. “Non ci capisco più niente. Prima quel messaggio, e adesso… Nonna, vai a vedere, per favore.”
“Ma non so come fare. Il computer ce l’hai tu!”
“Puoi entrarci col cellulare! Ora ti spiego.”
E dopo svariati tentativi falliti, cercando di capire cosa fosse un
browser e dove dovesse inserire l’indirizzo di Facebook, la pagina del suo profilo si aprì. La foto era lì in bella mostra, una foto che ricordava bene. L’aveva scattata un amico di Cesare proprio il giorno in cui si erano conosciuti, con quelle enormi macchine fotografiche che usavano allora. Lei era raggiante, e un Cesare dall’aria tronfia le cingeva le spalle con un braccio. Dietro di loro si potevano intravedere le bancarelle e le giostre della fiera, in quel posto in cui ora sorgeva l’autogrill dove suo marito era morto.
Che sta succedendo?, si chiese, ma a risponderle fu nuovamente lo squillare del cellulare.
Lo afferrò con una mano tremante.
1 messaggio ricevuto. Un’altra foto: un’immagine dell’autogrill, dalla corsia d’immissione. Si riusciva a leggere persino il nome, in primo piano sul cartello che indicava anche i chilometri dell’A1:
Area di servizio Roncobilaccio – 242. Sotto, il testo del messaggio era costituito da un semplice cuore: ♥.
Nel suo, di cuore, Ada non aveva ormai dubbio che Cesare stesse cercando di mettersi in contatto con lei. Era cresciuta in campagna, in un tempo in cui non era difficile credere a spiriti e fatture. Anche se i tempi erano cambiati, ancora ci credeva. Non c’entrava alcuna fattura in questo caso, ma il fatto che fosse proprio lo spirito di suo marito a dimostrarsi inquieto non la faceva sentire a suo agio. Le mancava? Desiderava che lo raggiungesse? A giudicare dai messaggi sconnessi che aveva ricevuto pareva proprio di sì.
Nei giorni successivi ne ricevette altri, e di tanto in tanto vinceva la sua avversione verso Facebook per scoprire che anche lì la sua bacheca veniva punteggiata di interventi dal solito utente misterioso. Non aveva paura, ma era in pena per il pensiero che Cesare, in qualunque posto si trovasse, non riuscisse a trovare la pace che gli sarebbe spettata.
Continuava a ricevere foto dell’autogrill, o dei momenti felici che avevano passato assieme negli anni della loro gioventù. L’ansia che provava nell’immaginarlo solo, sperduto, in cerca di lei, la affliggeva tanto che un giorno si trovò a contemplare il vuoto al di sotto del suo piccolo terrazzino, ipnotizzata dalla promessa di rincontrarlo che il cemento cinque piani più giù offriva.
Ma qualcosa non le tornava. Aveva la sensazione che, dopotutto, la sua vita non fosse diventata completamente inutile, e che qualcosa da fare ancora c’era. Solo che non riusciva a capire
cosa, e le continue foto dell’autogrill la confondevano. Significava che doveva tornare lì? Ma per quale motivo? Era il luogo in cui si erano conosciuti, ma era passato tanto tempo, e tutto era cambiato. I casolari dei contadini erano stati tutti abbattuti, e al posto della vecchia fiera trovavano posto il ferro e l’asfalto.
I suoi dubbi vennero però sciolti dall’ennesimo messaggio, un’ulteriore foto dell’autogrill. Ritraeva questa volta l’entrata stessa, e il testo, nonostante i soliti refusi, era piuttosto esplicito: “
çç|vieni-vieni-vnni-vieni\짔.
Il giorno dopo, di buon mattino, Ada salì sulla sua vecchia Punto, prese la tangenziale e si immise nell’A1 diretta verso Firenze.
Poco dopo essere uscita da Bologna il cellulare iniziò ad emettere scariche di elettricità statica con una frequenza sempre più incalzante. Qualche ora più tardi, in una galleria nel cuore dell’Appennino, impazzì iniziando a vibrare senza motivo ed emettendo un
piiii piiii continuo senza che nessuna chiamata o nessun messaggio stessero entrando.
Il sole si avvicinava alla posizione del mezzogiorno quando Ada arrivò all’autogrill. Non appena entrò nel parcheggio la suoneria partì: non senza motivo questa volta, ma perché era in corso una richiesta di videochiamata da un numero impossibile. Era la prima volta che Ada utilizzava quella funzione. Pigiò l’OK senza sapere cosa aspettarsi, e le mancò il respiro quando vide che lo schermo stava riprendendo un luogo che le era familiare. Era quello stesso posto, ma in un altro tempo. Vedeva le bancarelle in un bianco e nero sporco attraversato da linee distorte, ma la gente, gli animali, i dolciumi e la musica erano quelle che ancora ricordava da quel giorno.
“
Ada? Ada? Sei tu? Ada? Sei tu? Ada?”
Scoppiò a piangere nel sentire la voce disturbata del marito ripetere la stessa litania.
“Cesare? Sono io!”, disse tra i singhiozzi, “Mi senti?”
“
Ada? Ada? Ada?”
“Cesare, sono qui, non so cosa fare! Aiutami… Mi manchi tanto! Dimmi qualcosa, ti prego!”
Si asciugò le guancie rugose facendo cadere qualche lacrima sul display. Aspettò distrutta dal dolore che il marito le dicesse qualcosa, che desse segno di essere cosciente di stare parlando con lei, ma la chiamata terminò.
“Nooo! Perché?”, gridò frustrata. Avvicinò il telefono al cuore, quasi per dare un po’ di calore all’unico mezzo che la teneva legata a Cesare.
Ricevette un messaggio e, con il cuore in preda a nuove palpitazioni, lo lesse. Era un’altra foto, del lato sud dell’autogrill. “
vieni-vnnni-vieni-vieeeni-“
Scese dall’auto e si incamminò verso il punto mostrato dall'immagine, incurante dei passanti che le osservavano il viso segnato dagli occhi gonfi e dalle lacrime. Una volta lì, un altro messaggio arrivò, contenente un'ennesima foto ritraente un punto poco più avanti. Ne seguì un altro, e un altro ancora, finché non arrivò alla grande siepe di oleandro che delimitava il confine dell’area di servizio, in un angolo sul retro nascosto alla vista dei più.
E adesso?, si chiese sconsolata.
Le rispose un altro messaggio, la cui foto mostrava il terreno al di sotto della siepe. Chinandosi e ignorando i dolori alle anche, Ada spostò il fogliame e vide che lo stesso cuore rosso di plastica che era immortalato nell’immagine stava lì per terra davanti a lei. Lo prese tra le mani e scoprì che ad esso era collegata una cordicella che affondava tra le radici degli oleandri. La tirò: con un minimo sforzo una scatolina venne alla luce, un piccolo contenitore di legno privo di decorazioni.
Una volta aperta la serratura a scatto, il suo cuore saltò un colpo, tanto che si chiese quanto ancora avrebbe potuto reggere tante emozioni così travolgenti alla sua età. Il contenuto della scatola era la collana d’oro e di perle che aveva indossato al suo matrimonio. L’aveva persa molti anni prima senza mai capire come, sentendosi una sciocca per avere lasciato sparire un oggetto tanto caro per lei. Sul fondo della scatola c’era un foglio, una lettera ingobbita per l’umidità ma ancora perfettamente leggibile.
“
Al mio amore eterno”, diceva la calligrafia inconfondibile di Cesare, “
dono di nuovo il simbolo della nostra unione. La credevi persa, eh? E invece eccola qui. L’ho ritrovata anni fa, e ho pensato di conservarla per un giorno speciale. Mezzo secolo assieme, chi l’avrebbe mai detto? Voglio che torni a te, qui nel posto in cui la nostra storia è iniziata. Anche se tutto è diverso, il mio amore rimane lo stesso, e lo rimarrà anche per i prossimi cinquant’anni. Sempre tuo, Cesare.”
Calde lacrime caddero sulla carta mentre Ada sfogava i singhiozzi che la scuotevano. Non era un pianto di dolore, ma di liberazione. Sapeva di aver fatto ciò che doveva. Prese la collana, la baciò e la mise al collo, sentendo in cuor suo che tutti i messaggi e le chiamate sarebbero cessati. Cesare era sereno, ne era certa. Voleva solo dimostrarle il suo amore un’ultima volta.
Tornò all’auto sentendosi leggera come non si sentiva da settimane e prese la strada di casa. Sorrise alla vista del cellulare, inerte sul cruscotto. L’avrebbe ridato ad Elena, che non ne avrebbe rifiutato uno in più: era un suo regalo, sì, ma non ne aveva più bisogno. Sua nipote avrebbe capito.
Di nuovo in viaggio, Ada assaporò il pensiero di casa sua – casa
loro – che l’attendeva. Non era sola. Non lo sarebbe mai stata davvero.
Edited by Llyr - 25/10/2010, 02:33