Forum Scrittori e Lettori di Horror Giallo Fantastico

Skannatoio, edizione IV, Militare degradato usa impropriamente arma propria
I mini-campionato, 1 di 6

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alaine
view post Posted on 5/7/2011, 21:41




CITAZIONE (kendalen @ 5/7/2011, 22:36) 
Grande Matteo! Così ti vogliamo, combattivo e pugnace!

eheheh ;) a la guerre comme a la guerre... :lol:
domani inizio a leggere, ora no, son troppo stanco
 
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Cattivotenente
view post Posted on 5/7/2011, 21:50




Voglio postare, ma come faccio a mantenere le impostazioni (corsivo, allineamento, ecc...)?
Aiuto!
 
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alaine
view post Posted on 5/7/2011, 21:52




non usare la risposta rapida, ma il bottone rispondi (nero con scritta rossa) che vedi a destra "sopra" la scritta "risposta rapida"
 
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kendalen
view post Posted on 5/7/2011, 21:52




CITAZIONE (Cattivotenente @ 5/7/2011, 22:50) 
Voglio postare, ma come faccio a mantenere le impostazioni (corsivo, allineamento, ecc...)?
Aiuto!

Temo che l'unico modo sia usare l'html.
Puoi provare a salvare il testo in html e copia-incollare quello. Non garantisco nulla però.
 
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Cattivotenente
view post Posted on 5/7/2011, 21:58




Non funziona, nemmeno con l'editor! Che faccio, posto così? Voi come avete fatto?
 
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kendalen
view post Posted on 5/7/2011, 22:00




CITAZIONE (Cattivotenente @ 5/7/2011, 22:58) 
Non funziona, nemmeno con l'editor! Che faccio, posto così? Voi come avete fatto?

Azz, mi spiace...
Prova ancora così: da word/openOffice, seleziona tutto, copia
Poi, qui, clicca su "HTML Editor", quindi incolla nella casella di testo. Dovrebbe mantenerti la formattazione (a me lo ha fatto su un testo molto breve, provato ora).
 
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Cattivotenente
view post Posted on 5/7/2011, 22:02




CITAZIONE (kendalen @ 5/7/2011, 23:00) 
CITAZIONE (Cattivotenente @ 5/7/2011, 22:58) 
Non funziona, nemmeno con l'editor! Che faccio, posto così? Voi come avete fatto?

Azz, mi spiace...
Prova ancora così: da word/openOffice, seleziona tutto, copia
Poi, qui, clicca su "HTML Editor", quindi incolla nella casella di testo. Dovrebbe mantenerti la formattazione (a me lo ha fatto su un testo molto breve, provato ora).

No, ho provato, ho già eliminato il post perché era tutto sfalsato. Ma che cazz... Che dici, un'immagine?
 
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kendalen
view post Posted on 5/7/2011, 22:05




CITAZIONE (Cattivotenente @ 5/7/2011, 23:02) 
No, ho provato, ho già eliminato il post perché era tutto sfalsato. Ma che cazz... Che dici, un'immagine?

:p111:
Con un'immagine tagli la testa al toro, ma non è bellissimo. E se poi voglio fare copia-incolla di pezzi del tuo racconto nel commento, come faccio? :p099:

Ci sono molti pezzi con formattazioni non standard? Se sono pochi, temo ti tocchi sistemarli a manina, a sto punto...
 
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Cattivotenente
view post Posted on 5/7/2011, 22:09




Tra l'altro, come faccio a fare un'immagine? Ho fatto un pdf ma si comporta come word. Ho mac os. Se mi dai una dritta, posto prima l'immagine e poi il testo, così per il copia e incolla non c'è problema. Grazie, mio salvatore.
 
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Peter7413
view post Posted on 5/7/2011, 22:09




CITAZIONE (Cattivotenente @ 5/7/2011, 23:02) 
CITAZIONE (kendalen @ 5/7/2011, 23:00) 
Azz, mi spiace...
Prova ancora così: da word/openOffice, seleziona tutto, copia
Poi, qui, clicca su "HTML Editor", quindi incolla nella casella di testo. Dovrebbe mantenerti la formattazione (a me lo ha fatto su un testo molto breve, provato ora).

No, ho provato, ho già eliminato il post perché era tutto sfalsato. Ma che cazz... Che dici, un'immagine?

Copi incolli e riformatti il tutto. Io faccio così.
:)
 
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kendalen
view post Posted on 5/7/2011, 22:13




CITAZIONE (Cattivotenente @ 5/7/2011, 23:09) 
Tra l'altro, come faccio a fare un'immagine? Ho fatto un pdf ma si comporta come word. Ho mac os. Se mi dai una dritta, posto prima l'immagine e poi il testo, così per il copia e incolla non c'è problema. Grazie, mio salvatore.

Ma quale salvatore! :P
L'unico modo che conosco per fare di un documento word un'immagine, a meno di avere plugin particolari, è il print screen, ma diventi pazzo a farlo se - come penso - il tuo racconto è più lungo di una pagina...
Alla fine l'unica e copia-incollare e riformattare. Semmai, copi-incolli, aggiungi la risposta e poi la modifichi per le formattazioni, giusto per non sforare col tempo (ammettendo che si possa fare, eh).
 
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Cattivotenente
view post Posted on 5/7/2011, 22:22




Ok, rassegnazione. Il racconto sfiora i 20000 caratteri e ci perderei la testa a fare il print screen. Pazienza, la prossima volta mi organizzerò prima. Tenetevi forte e turatevi il naso, che sta arrivando!

Un noir dell’altro mondo



Garrett entrò nel bar accolto da selva di sguardi ostili. Si fece strada attraverso il locale tagliando la penombra fumosa, avvolto in un trench consunto. Si sedette al banco e ordinò un vagiti. Solo stare in quel posto gli dava la nausea. A dire la verità, lo rivoltava letteralmente sottosopra. Resistette alla tentazione di sparire alla velocità della luce e sollevò un po’ la testa, guardando da sotto la tesa del cappello il brutto muso del barista, che stava rovesciando il liquido chiaro nel bicchiere unto che gli stava davanti. Poggiò una banconota sul bancone, che l’uomo afferrò e intascò immediatamente. Subito dopo, un’espressione sollevata gli comparve sul volto.
“Tu devi essere Aristides”, disse Garret, appena prima di ingurgitare un gran sorso del suo vagiti. Mentre scendeva, il liquido gli corroborava l’animo e pareva confortarlo dall’interno. Si sentì subito meglio e i crampi allo stomaco si allentarono fino a sparire.
“Chi lo vuole sapere?”, chiese l’altro, rimettendosi in faccia la sua peggior espressione diffidente.
“Mi hanno detto che sai molte cose” disse, senza rispondere.
“Vai a farti un giro”, grugnì l’altro. “A occhi e croce non sei di queste parti, perciò dammi retta: finisci il tuo vagiti e torna da dove sei venuto”.
“Che parolone”, lo canzonò Garrett. “A sentirti, si potrebbe quasi credere che tu possa sostenere le tue minacce”.
“Saresti sorpreso, piccolo principe. Guardati attorno: qui sono tutti amici miei. Nemmeno uno come te può sperare di farcela”.
“Saresti sorpreso anche tu” rispose Garrett, buttando giù l’ultima golata di vagiti. Adesso si sentiva davvero invincibile. Onnipotente, quasi. “Però non è in cerca di guai che sono venuto”, lo rassicurò. “Anzi, vorrei proporti un affare. Come hai visto, pago con roba di qualità”. L’altro lo studiò per qualche istante.
“Chi ti ha parlato di me?”, domandò infine.
“Vuol dire che l’affare t’interessa?”
“Dimmi chi”, tagliò corto Aristides.
“Ma si, va. Che diavolo, tanto è già morto… E’ stato Tony Buioni”.
“Buioni, vecchio bastardo…” rimuginò il barman. “Va bene, dimmi che vuoi”.
“Voglio sapere dove si può trovare una di queste” disse, poggiando una foto sul bancone. Il barista sgranò gli occhi al punto che Garrett pensò gli sarebbero usciti dalle orbite. Afferrò immediatamente una bottiglia e ne calò il fondo sulla fotografia, per coprirla.
“Sei pazzo?”, ringhiò verso Garrett. “Hai idea di cos’è quella roba e di cosa potrebbe succedere se qualcuno la vedesse?”
“Ma qui non erano tutti tuoi amici?”, ironizzò il detective.
“Non voglio più guai di quelli che ho già. Fuori dal mio locale”.
“Potrei sempre portare questa a un paio di angioletti che conosco e fargli il tuo nome. Sai bene che non vanno tanto per il sottile, quelli”.
“Bastardo! Questo è un ricatto!”
“Non farla tanto lunga, dai. E poi, guarda il lato positivo: posso pagarti con diecimila biglietti come quello”.
Un lampo di avidità accese lo sguardo dell’uomo. Per quella cifra, si sarebbe venduto anche il culo della vecchia madre morta. Si piegò in avanti e bisbigliò qualche parola all’orecchio di Garrett. Quando ebbe finito, il detective sollevò una ventiquattrore nera e la passò al barista. L’uomo l’appoggiò al bancone, fece scattare le chiusure e l’aprì. Una luce dorata gli illuminò il volto. Rimase incantato a guardare all’interno, finche la voce del detective non lo scosse dalla trance in cui era caduto.
“Siamo contenti?”, domandò.
“Siamo contenti”, rispose Aristides, chiudendo la valigetta.
“Stai attento a quella roba, c’è chi sarebbe disposto a tutto per averla. Ma qui sono tutti amici tuoi, giusto?”
Il barista lo guardò torvo, mentre stringeva a sé il suo tesoro. Garrett si allontanò sorridendo dal banco e allargò le braccia, i palmi rivolti verso l’alto. I lembi del suo impermeabile cominciarono a scolorire velocemente, fino a diventare trasparenti. Un istante dopo, non era più lì.
“Lo dicevo che non era di questi parti”, commento Aristides.

Garrett camminava sul molo intento nei suoi pensieri, lasciando alle sue spalle una scia di fumo azzurrino. Le assi di legno cigolavano a ogni passo e pareva impossibile che, a volte, sopportassero il peso di migliaia di persone assieme.
Giunse alla base del faro che la Gauloise era già finita. Spedì la cicca nelle acque scure sotto di lui con una schicca del medio, si calcò una mano sul borsalino per evitare che il vento glielo strappasse e reclinò la testa verso la sommità dell’imponente costruzione. “Carò!”, chiamò a gran voce. Era difficile vincere il ruggito del mare che, poco distante, s’infrangeva contro gli scogli ma, dopo qualche istante, sentì una voce provenire da una borchia metallica accanto alla porta. “Ho messo il citofono”, annunciò il guardiano del faro, “bastava suonare”. Il portoncino si socchiuse con uno scatto e Garrett entrò dentro, chiudendosi la porta alle spalle.

“Certo che da quassù la vista è incredibile”, commentò Garrett accendendo un’altra Gauloise, i gomiti appoggiati al parapetto sulla sommità del faro e lo sguardo perso all’orizzonte.
“Già”, concordò il guardiano. “Non importa quante stranezze puoi vedere. Questo spettacolo le batte tutte”.
“Senti”, tagliò corto Garrett “ho bisogno di un socio. Uno esperto, che si possa muovere nei bassifondi”.
“E perché lo chiedi a me? Cerca in giro, vedrai che qualcosa trovi senz’altro”.
“No, mi serve un nuovo arrivo, qualcuno di cui mi possa fidare. Ho un grosso caso per le mani e non posso permettermi passi falsi. Ho bisogno di dare un’occhiata al tuo registro”.
“Sai che è contro le regole”, disse il guardiano, sulla difensiva.
“E dai, chi vuoi che venga a dire qualcosa a te? Siamo amici da… neanche me lo ricordo, da quanto siamo amici!”
“Spaicente, le regole sono regole”.
“Allora sei veramente un dimonio…”, lo punzecchiò Garrett.
“Ma vaffanculo”, rispose l’altro.
“Scherzo, non te la prendere. Certo però che ti ha sputtananto per bene, quell’italiano”.
“Si, ma gliel’ho fatta pagare appena mi è capitato a tiro. Avresti dovuto vedere la sua faccia. Per quel po’ di chiaroveggenza che aveva, si sentiva in diritto di sputare sentenze su onesti lavoratori come me”.
“E già, proprio uno stronzo”, concordò conciliante il detective.
“Vabbè, và, dai un’occhiata veloce”, concesse il guardiano alla fine. Garrett si avviò sorridendo verso il gigantesco libro. “Ehi”, lo bloccò l’altro, inarcando un sopracciglio e strofinando indice e pollice della mano sinistra.
“Mi pareva strano”, commentò Garrett, cacciando una mano in tasca e tirandone fuori alcune banconote, che consegnò all’amico. “Tutto ha un prezzo Frank, lo sai”, si schernì l’altro.
Garrett aprì il libro degli arrivi e cominciò a scorrere i nomi, passandoci sopra il dito. Dopo soli ottomilaseicentoventitre nominativi, fermò l’indice su Roberto Pavione. “Un altro italiano”, annunciò con tono gaio.
“Italiani del cazzo…”, si limitò a borbottare il guardiano.
Garrett aveva quello che cercava. Il suo uomo sarebbe arrivato di lì a poco. Salutò affettuosamente Caronte e scese di nuovo sul molo. Scribacchiò nome e cognome su un foglio e si posizionò agli arrivi reggendo il cartello davanti a sé. Poi alzò gli occhi verso il fascio luminoso del faro e ingannò l’attesa osservando le anime che giungevano in volo nel cono di luce.

“Roberto?”, domandò sorridendo all’uomo in tuta da combattimento che camminava smarrito verso di lui lungo il pontile, mostrandogli il cartello con il nome.
“Sono io” rispose guardingo. “E tu chi saresti?”
“Mi chiamo Garrett, e sono qui per te”, rispose con tono rassicurante.
“Sono morto?”
“Ho paura di si”.
“Cazzo”, si limitò a dire.
E’ perfetto, pensò Garrett, complimentandosi con sé stesso per la scelta. “Vieni, andiamo a mettere qualcosa sotto i denti” disse, gustandosi la sua faccia stupita.

“Un lavoro?” domandò il militare strabuzzando gli occhi. “Ma ti rendi conto di che cazzo dici? Io sono appena morto, e tu mi vieni a parlare di lavoro? Dove sono i parenti e gli amici, dov’è tutto il fottuto comitato di accoglienza? Mi aspettavo mia nonna, non una specie di Humphrey Bogart dei poveri. E poi, perché sono ancora vestito così?” chiese, afferrandosi il bavero della divisa da incursore paracadutista.
La conversazione fu interrotta dall’arrivo di una cameriera dalle forme prorompenti strizzate in una divisa da film americano anni cinquanta, il viso da Betty Boop incorniciato da un perfetto caschetto nero corvino, che servì le ordinazioni. Garrett aveva portato il neomorto a un bistrot arredato in modo bizzarro, un incrocio fra un museo militare e una casa di tolleranza, e aveva ordinato bistecche di chianina con patate alla brace e Brunello di Montalcino per entrambi.
“Sei tu stesso a influenzare l’ambiente che ci circonda” rispose tranquillo il detective, versando il vino. “Tutto ciò che vedi è tratto dai tuoi ricordi e desideri, come la cameriera o quel macinapepe”. Roberto guardò perplesso la bomba a mano tipo ananas davanti al suo piatto. La afferrò e notò che era tagliata nel mezzo; reggendola per la parte superiore ruotò quella inferiore, e una fine pioggia di pepe macinato cadde dal fondo.
“Sinceramente, me lo aspettavo diverso, l’aldilà”, commentò.
“E’ un errore comune”.
“Comunque, come guida fai cagare”, disse risoluto, spostando la sedia all’indietro con uno stridio e cominciando ad alzarsi.
Garrett alzò gli occhi al cielo, fece un cenno con la mano e l’altro ripiombò pesantemente a sedere. “Ascoltami bene”, disse, ora per nulla accomodante. “Mi sa che hai capito male. Io non sono una guida. Non è così che funziona. Morire è un po’ come nascere, non c’è nessun libretto d’istruzioni. Il detto “la morte non è un rimedio all’ignoranza”, è sacrosanto. Tu hai avuto la fortuna di trovare me ad aspettarti, ma è un’eccezione, non la regola”.
Roberto ascoltava ora in silenzio. Evidentemente, la manifestazione di forza di poco prima l’aveva impressionato.
“Mi sa che qualche spiegazione, comunque, sia necessaria”, riflettè Garrett. “La prima cosa che devi accettare, è che sei morto. Questo fatto non lo puoi cambiare. Indietro non si torna, e con quelli dell’altra parte non puoi comunicare. Prima te lo ficchi in testa, meglio è. Quelli che non si rassegnano e rimangono attaccati alla vita, di solito, non arrivano nemmeno fin qui. Escono dal fascio di luce del faro e diventano spettri. Se ci tieni, comunque, puoi sempre gettarti in mare e cominciare a nuotare verso il mondo dei vivi, per guadagnarti un posto fisso da fantasma”.
“Secondo: quello che ti sei lasciato alle spalle è solo il tuo corpo fisico. Ne hai molti, oltre a quello, uno dentro l’altro, sempre più eterei. Hai presente le matrioske? Una cosa del genere. Terzo: tu sei destinato al Limbo, quello che nei livelli superiori chiamiamo i“bassifondi”. Sopra ci sono vari piani di realtà, cui si accede secondo il livello di consapevolezza, ma non è semplice come potresti credere, non c’è semplicemente l’inferno per i cattivi e il paradiso per i buoni. Cioè, l’inferno in effetti esiste, ma è transitorio. Il concetto è che gli abitanti di un piano possono essere indifferentemente luminosi o oscuri. Vale per quelli più bassi come per i più elevati. Puoi anche essere stato gentile e educato tutta la vita e finire comunque nei bassifondi, dove vive la gran parte degli umani. Quei posti non si discostano molto dalla terra: ci sono sobborghi stupendi, dove mangiare, bere, scopare e divertirsi senza fine, e quartieri malfamati e miserabili. Chi come me sta sopra, invece, può muoversi fra le dimensioni, spostarsi alla velocità del pensiero e cose così. Salendo ancora, l’immedesimazione con il sé comincia a venir meno e la soggettività si discioglie nella consapevolezza universale, anche se di preciso non saprei dirti cosa significhi. Oltre alle anime degli umani, i vari piani sono abitati da divinità ed entità, esseri potenti e antichi, anche loro positivi e negativi; più spesso una via di mezzo. Ognuno di loro ha i suoi scopi e la sua corte di fedeli, alleati e protetti”.
Roberto era letteralmente sopraffatto dalla mole d’informazioni che stava ricevendo. Garrett sapeva bene come doveva sentirsi ma, con quello che c’era in ballo, non poteva concedersi il lusso di aspettare che digerisse con calma la sua nuova realtà. Buttò giù un sorso di brunello e ricominciò.
“Nell’aldilà ci sono triliardi di anime, distribuite in un’infinità plastica e soggettiva. Esiste il paradiso mussulmano, quello con le cento vergini. E’ nei bassifondi e, volendo, te lo posso far visitare. C’è quello cristiano, con i putti che strimpellano, la luce eterna e tutto il resto. Se invece la tua perversione sono gli inferni, ce ne sono di ogni sorta, oltre a quello vero. Per questo quasi nessuno trova i suoi cari ad attenderlo e, anche dopo, difficilmente ci si ricongiunge. Oltre al fatto nessuno conosce il momento di arrivo degli altri, la verità è che siamo tutti diversi, e alla fine ognuno decide di vivere dove lo porta la sua natura. Tutto chiaro?” domandò Garrett, concludendo la tirata con un sospiro.
“Ancora non capisco che senso abbia lavorare”, commentò perplesso Roberto.
“I livelli non sono prigioni, si può progredire. “Lavorare” è un modo come un altro per acquisire esperienza e consapevolezza per salire, oltre che l’unico mezzo per guadagnare karma, la moneta locale. Al tuo livello, la vedrai esattamente come ti aspetti – sottoforma di banconote. In realtà si tratta di energia, consapevolezza e beatitudine, miscelate in vari modi e misure. Adesso capisci il senso della mia offerta? Aiutami a risolvere la mia indagine, e ti riempirò di karma a tal punto che, se vorrai, potrai passare il resto dell’eternità strafatto di gloria celeste a scolarti vagiti su una spiaggia dei bassifondi”.
“Vagiti?”
“Il cocktail più in voga dell’aldilà”, spiegò paziente Garrett. “E’ molto costoso, fa impennare vertiginosamente il livello energetico. E’ un distillato di pura essenza divina: vagiti di angeli raccolti nei primi istanti di vita, prima che raggiungano la maturità. E che comincino a rompere i coglioni, ma questa è un’altra storia”.
“Ma perché hai bisogno di me?”, domandò il soldato, che non aveva ancora del tutto abbandonato la speranza di essere in realtà sdraiato sul suo letto dopo una notte brava.
“Perché appartengo a un livello superiore, e andare nei bassifondi mi debilita. Riesco a rimanerci solo per poco, e questo sta rallentando la mia indagine. Ho letto quello che c’è da sapere su di te, dal momento della tua nascita fino all’attentato che ha fatto saltare la caserma, assieme alla cella dov’eri rinchiuso per esserti insubordinato”.
Roberto fu attraversato da un gelido brivido di consapevolezza. Stava succedendo veramente. “Il mio capitano era uno stronzo sadico”, si giustificò. “Ma ormai non ha più importanza”.
“Ce l’ha, invece. Non ti ho scelto solo per la tua tempra, ma anche per la tua fondamentale bontà. So perché hai disobbedito a quell’ordine. So che hai rifiutato di aprire il fuoco contro il nemico e gli scudi umani che stava usando. Credimi, la degradazione è stata un piccolo prezzo da pagare, in confronto a quello che avresti dovuto affrontare qui, se avessi scelto diversamente”.
“Se non ti spiace, non ne vorrei più parlare. Dimmi invece di quest’indagine”.
Garrett lanciò un’occhiata circospetta attorno, poi si avvicinò a Roberto e sussurrò: “Omicidio”.
“Com’è possibile? Non siamo già tutti morti?”
“Qualcuno è riuscito a fabbricare questa” disse Garrett, mostrandogli la foto che aveva mandato nel panico Aristides il barista. “Ricordi la storia di un corpo dentro l’altro? Bene, questa può distruggerli tutti assieme. Qualcuno l’ha usata su un’anima dei livelli elevati, uno in vista, protetto da un’entità molto potente. L’ha dilaniato dal primo all’ultimo strato, dissanguandolo di tutta l’energia vitale, che è tornata alla sorgente di tutte le cose lasciandosi dietro una serie di inutili gusci vuoti. Stiamo parlando dell’unica vera morte definitiva, la forzata dispersione del sé nel tutto. Non si era mai visto nulla di simile, prima, e io sono stato assunto dall’entità per scoprire chi abbia fatto fuori il suo pupillo e perché. Ho dovuto muovermi con molta circospezione: il mio cliente ha nemici molto, molto potenti. Recentemente, però, ho trovato una pista valida e un nome. A questo punto, per chiudere il cerchio, bisogna solo andare nei bassifondi e menare abbastanza le mani. Per questo mi serve una tigre come te. Te la senti, soldato?”
Roberto azzannò un pezzo di chianina al sangue e, per la prima volta dal suo arrivo, sorrise.

Il terzo giorno fece irruzione nella stamberga maleodorante di quello che, in vita, doveva essere stato un religioso di qualche tipo. Garrett lo aveva imbottito di energia sottile e si sentiva come un cavallo da corsa dopato di winstrol. Afferrò l’uomo, totalmente sbronzo di vagiti, e lo sbatté contro la parete. Aveva ricostruito l’intera storia, mancava solo la prova regina, e una confessione registrata sarebbe andata benissimo. Ancora si stupiva di come processi complessi come quello che stava per compiere, venissero semplificati dalla sua percezione fino a una forma familiare come quella di un registratore portatile.
L’uomo provò a opporre resistenza ma, anche con in corpo tutto il vagiti del mondo, non c’era storia. “Da me non saprai un cazzo”, ringhiò.
Roberto sorrise, capendo una volta di più perché Garrett lo aveva scelto. “In fondo, le articolazioni sono articolazioni”, pensò, cominciando a fare il suo lavoro.
La cosa si rivelò però più difficile del previsto; sapere di non poter morire rende più sopportabile anche il dolore. Alla fine, però, la minaccia di essere abbandonato in mare lo fece crollare.

La realtà ondeggiava e si mescolava in forme incomprensibili. Quelle che avrebbero dovuto essere la parole di Garrett, erano alle sue orecchie suoni alieni e dolorosi. La vertigine cominciò a ridursi mentre sorseggiava il vagiti, fino a scomparire del tutto verso la fine del bicchiere. Le cose cominciarono ad assumere contorni decifrabili e le frasi un senso.
“… andare meglio. Te l’ho fatto triplo”, stava dicendo Garrett.
“Non mi ci abituerò mai”, commentò Roberto scuotendo la testa. Il suo livello di consapevolezza non gli consentiva di percepire correttamente quel livello di realtà e solo gli intrugli di Garrett, che aveva insistito per mostrargli la sua residenza, gli permettevano di rimanerci brevemente.
“Non sarà necessario. Sono sicuro che, tra qualche decennio, ti farai anche tu una villa da queste parti. Ora però non farmi stare sulle spine”, lo incalzò il detective.
“La vittima era un’anima molto potente”, cominciò Roberto, “disincarnata da lunghissimo tempo. Inspiegabilmente, aveva deciso di reincarnarsi, e la cosa a qualcuno non stava bene. L’entità che la proteggeva, infatti, conduce da lungo tempo una guerra fredda con un suo pari per il controllo di parte dei piani superiori. Se il protetto del nostro cliente fosse rinato, con la sua forza immensa, lo avrebbe fatto perfettamente cosciente di sé e dei suoi poteri. In quello stato, avrebbe potuto letteralmente cambiare il mondo, farlo evolvere di centinaia di anni nel giro di una vita umana, spostando gli equilibri attuali a favore della sua fazione. Nel giro di pochi anni, infatti, sarebbero arrivate da questa parte milioni di anime di alto livello, fedeli alla sua causa. A quanto pare, il rivale aveva previsto il rischio e aveva un piano d’emergenza. Da millenni esisteva sulla terra una congrega votata a un unico compito: il suicidio rituale. Il sacrificio di mille anime viventi, ha permesso di creare un’arma adatta a distruggerne del tutto una sola. Insomma, il nemico del nostro cliente ha giocato d’anticipo. Molto scaltro, anche se un po’ meschino”.
Garrett rimuginò brevemente in silenzio. “Bel lavoro”, disse infine. “Facciamoci un altro vagiti, prima di riferire al cliente. Credo che la notizia solleverà un bel vespaio, ai piani alti. In fondo, stiamo per raccontare a una divinità che il rivale gli ha ucciso il messia prima che nascesse”, disse alzando il calice.
“Cazzo!”, aggiunse subito dopo. “A sapere che si trattava di spionaggio industriale, non avrei mai accettato”.
 
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Magellanico
view post Posted on 5/7/2011, 22:41




Mi spiace non ce l'ho fatta, troppi impegni.

Però ce l'ho messa tutta.


Se la storia delle battaglie la si raccontasse così,
alla buona, credo che la causa della libertà
non ne soffrirebbe affatto.
[da Le Memorie di Barry Lyndon.]

Dedicato a Philip K. Dick,
a William Makepeace Thackeray
e a Stanley Kubrick.

Attraverso la granata del 1706.
“Se mai durante un conflitto ci furono più trepidanti attese per l’arrivo di forze alleate, al fine di rovesciare le sorti ormai insostenibili come nel caso di uno sfiancante assedio, posso affermare che questo avvenne a Torino, nei giorni antecedenti il settembre 1706.
Il tempo di sopravvivenza ci venne magnanimamente concesso dai nostri avversari e assediatori. Infatti, per nostra fortuna, i francesi accampati sotto le mura della Cittadella, litigiosi e superbi per indole, non raggiunsero mai l’accordo per intraprendere un’azione risoluta a fare soccombere definitivamente la nostra città.
Alla fine, dopo molti mesi e mille promesse disattese e fiumi gonfi di sangue sparso dalla migliore gioventù di tutto il continente, dopo aver battuto tutti i campi di battaglia della Vecchia Europa, ora impegnata nella Guerra di Successione Spagnola, il principe di Savoia-Soissons Eugenio riuscì a trovare un varco per raggiungere il Piemonte.
Intanto, troppo zavorrati di boria e di pregiati formaggi, i Gallo-Ispanici, non seppero contenere la nostra controffensiva, che ad ogni buon conto è raccolta nel mio resoconto, ovvero di Bernardo Combe. Queste parole narrano ciò che accadde in quei giorni e ciò che di incredibile potè vedere la mia brigata e di cui io solo ebbi il coraggio di riferire a superiori e che per tale incredulità e disattesa di ordini venni allontanato da una promettente carriera militare.
Con passo risoluto e accorto, come si confà ad un ufficiale della mio rango, portavo il mio destriero a piccolo trotto su per i sentieri che s’inerpicavano nella fitta boscaglia del Colle di Superga. Le fronde umide e fresche erano un luogo insicuro dove i Gallo-Ispanici avrebbero potuto tendere un agguato e la mia andatura circospetta era condotta così anche al fine di venire raggiunto da altri esploratori che dovevano fare come me, da apripista per i milleduecento cavalieri di Vittorio Amedeo e del principe Eugenio. Dietro loro marciavano cinquecento fanti provenienti da Chieri.
Devo dire che da lassù, la mia città mi apparve sul punto di collassare sotto i colpi che i francesi esplodevano sulla Cittadella.
Gli ufficiali raggiunsero la postazione di osservazione del colle ed estrassero i loro cannocchiali mentre ...

[continuerà]
 
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luigi bonaro
view post Posted on 5/7/2011, 22:45




Massacrato prima di iniziare. Ciao Jackie. Fa schifo ma l'ho fatto per te!

Surfing with the corpse



Tick tick tick tick tick tick tick tick
wu wu wu wu wu wu dor
wake wake wake wake wake wake wake
wu wu wu wu wu wu wor [1]


Le sue mostrine avevano tre stelle ma una di esse era nera. Tutti lo chiamavano “er Tenente” perché era capitano dei paracadutisti ma era stato degradato per aver picchiato una recluta durante un addestramento. Non era più nell’esercito da qualche anno, congedato con disonore per motivi psicologici. Questo era tutto quello che era scritto sul foglio di congedo. E tutto per via di quel maledetto incidente.
Era stato mandato in missione in Bosnia quell’anno. “Er Tenente” ci andava solo per i molti soldi che l’esercito “cacciava” per le missioni. Così diceva ai suoi amici di sempre, il Caccola e il Cicoria. Se le era fatte tutte le guerre. Si portava sempre dietro una chitarra acustica, una di quelle chitarre battenti a cassa larga, “una Eko de Recanati” come diceva sempre lui, per suonare Tombstone Blues mentre il sole tramontava sui cumuli di cadaveri. Al Tenente piaceva molto il pezzo in quella parte che recitava “Mama's in the fact'ry, She ain't got no shoes, Daddy's in the alley, He's lookin' for food, I'm in the kitchen With the tombstone blues. [2] Lui l’inglese non lo parlava bene ma inventava i termini dove non li sapeva. Così pure valeva per gli accordi.
Pare che una sera, almeno da quello che si diceva in giro, un colpo di contraerea nemica fosse caduto esplodendo proprio sulla sua tenda e la chitarra che si trovava all’interno. Il Tenente, pazzo di rabbia, aveva distrutto con il bazooka tutta una linea nemica più un intero avamposto dei carabinieri, fortunatamente vuoto: “Maledetti sbiri. M’avete fottuto ‘a chitara...” aveva commentato freddamente mentre puntava l’arnese verso gli appostamenti nemici. Purtroppo, non aveva fatto i conti con il rinculo.
Ormai, aveva chiuso con i militari già da un po’ di tempo. In fondo, l’esercito lo aveva stancato. Basta con le crudeltà, la divisa, i cadaveri. Adesso il Tenente aveva il suo chiosco sul Lungomare delle Meduse a Torvajanica, di seguito Torva Beach, e vendeva hamburger, that’s it.
Veramente, a dirla tutta, non era l’unica cosa che faceva il tenente. Insomma, neanche lui sapeva spiegarsi come fosse successo ma gli anni in guerra, tutte quelle crudeltà, lo avevano cambiato. Infatti, non si poteva dire con certezza che avesse chiuso definitivamente con le crudeltà e tutto il resto.
Al suo chiosco andava di rado a prendere una birra anche il Sellero [5] con cui era amico. Il Tenente diceva con un certo orgoglio che lui aiutava il Sellero per il lavoro sporco. Il Cicoria e il Caccola, però non ci credevano molto a questa cosa. E ovviamente anche il Tenente, come tutti gli altri, doveva dei favori al Sellero. Ma tutti devono dei favori al Sellero e questa è un’altra storia. Con il Sellero però il tenente condivideva sicuramente il gusto per l’abbigliamento estate-inverno. Sempre lo stesso. Canottiera, jeans sdruciti e infradito nere. In più, però, rispetto al Sellero, il Tenente si puliva lo sporco delle unghie dei piedi con una baionetta dei tempi del militare.
Si diceva che la mattina presto potevi trovare il Tenente a Tor San Lorenzo, una spiaggia a fianco a Torva Beach, sul bagnasciuga, con la sua tavola impiastricciata di paraffina a scrutare le onde con lo sguardo di pietra fisso sull’orizzonte. Molti sostenevano che lo avevano visto fare surf e lo reputavano molto bravo nel Duke dive [3] e alcuni lo avevano notato mentre, con il mare in burrasca, faceva addirittura dei tube riding. [4] Al di là delle dicerie sul suo conto, non si sapeva molto di lui. Era un personaggio molto schivo. Non parlava molto di questo. A rigor del vero, il Tenente non parlava affatto.
Il Cicoria e il Caccola sostenevano che da quando era tornato dall’ultima guerra era “sbroccato.”
Dunque, questa storia inizia con Baldassarre Galuppi, impiegato della USL, detto il Buranello per la sua provenienza, che un giorno ricevette l’incarico di fare una verifica in data 13/7/2009 sull’attività commerciale di Alfredo Angelucci, detto Er Tenente. Quel giorno d’estate, il Tenente stava pulendo al solito modo il luridume stratificato negli anni della piastra con cui arrostiva gli hamburger quando il dott. Galuppi si presentò presso il chiosco del Tenente: “Il sig. Angelucci?” disse con voce impostata. “Eh?” Replicò stupito il Tenente. Galuppi si schiarì la voce: “Ė lei il signor Angelucci?” scandì l’impiegato. Il Tenente prima lo guardò fisso e poi esclamò: “Scusa capo. Si sono io. Aspetta, ti spiego. Ė che nessuno mi chiama Sig. Angelucci. Anche la mia ragazza mi chiama il Tenente.”

Due



Era sera, il retro del furgone-chiosco sul lungomare di Torva-beach era illuminato. Non si vedeva nulla di quanto avveniva all’interno. Il vetro smerigliato del furgone lasciava intravedere solo macchie scure dai contorni aguzzi sul fondo giallo dei finestrini illuminati arginati dalla guarnizione nera della carrozzeria.
Il Tenente, all’interno, stava disarticolando una rotula dalla sua sede. “Un altro pochino e la gamba si dovrebbe separare” diceva tra sé. Si recò poi soddisfatto, con l’arto inferiore nudo e peloso corredato ancora sull’estremità di mocassino nero, calzaturificio di Varese e calzino blue con righina rossa aderente al polpaccio, verso la radio e azionò il play con le dita insanguinate.
“When I pick up on that smell, Pick it up and run like hell, Little woman save me some, Better get up on your run” [1]
Il Tenente deciso a completare l’opera impugnò un bellissimo seghetto senza lasciare la gamba. Si soffermò un attimo a osservare con occhio compiaciuto e professionale lo scintillio della lama dentata. Poi, rivolse lo sguardo dritto verso ciò che rimaneva dell’uomo e si avviò verso il tavolo. A lato, il cuoio consumato della borsa con i documenti della USL, luccicava sinistro alle fioche luci del vano.
Nel frattempo, il telefono iniziò a squillare: “Tenente” disse con voce scocciata. Dall’altro lato del filo una voce metallica rispose ansimando con un’inflessione veneziana: “Siamo i terroristi della USL. Sappiamo che servi hamburger di carne umana e sappiamo che stai per servire ai tuoi clienti il nostro collega “Galuppi”. Vogliamo centomila euro per il nostro silenzio altrimenti ti seviziamo e poi ti denunziamo.”

Tre



Ciao!”
“Ciao Tenente!”
“Che ti do stasera?”
“Un doppio hamburger grigliato con cipolla, cetriolini, Ketchup e maionese.”
“Quella figlia di cane…”
“Di chi parli?”
“L’altra sera non mi viene in mente di prendermi l’hamburger da Gilda…”
“Gilda chi?”
“Quella stronzetta che si fa chiamare Rhonda”
“Non mi torna. Chi è questa Gilda?”
“Ma dai… Quella maledetta che si trova nel parcheggio vicino alla spiaggia con il chiosco Rhonda-Burger”
“E beh?”
“Eh Beh? Che Odino la fulmini. Ho vomitato tutta la notte. Sembravo una fogna con un tubo rotto.”
“Lo sai Tenente? Hai gli hamburger migliori della città.”
“Beh. Il segreto è nell’utilizzo della carne fresca.”
“Eh si. Lo so. Te sei veramente molto scrupoloso nella scelta. Chissà che ci danno da mangiare in giro questi maledetti principianti. Poi, sono andato anche a cercarla, la stronza. Gilda voglio dire. Volevo quantomeno dirle qualcosa, che so, almeno, che è una brutta cagna ma ho trovato il suo chiosco aperto e senza nessuno dentro. C’erano vicino al chiosco dei fogli della USL sporchi di sangue. Chissà che fine ha fatto quella sgualdrina, avvelenatrice di clienti.”
“Ecco fatto.”
“Ah! Che profumo meraviglioso!”
“Buon appetito!”
“Grazie Tenente! E buon lavoro. E… Ci vediamo in spiaggia domani mattina.”
“Eh si. Questa notte devo finire di sistemare tutto il retro del furgoncino ma ho già preparato la tavola da surf per domani.“
“Ah! Bene! Domani c’è il ventone. Preparati a bere mio caro.”
“Vedremo. Lo sai che il vecchio zio Tenente vi sa ancora stupire. Ma cavolo. È mai possibile che abbia già finito il ketchup?”

Quattro



Fu così che, per prendere la nuova confezione di Ketchup, il Tenente andò sul retro. Là si trovava il cadavere di una donna. La riconobbe perché nel sangue della testa semimozzata annegava un girocollo con un nome: Gilda. In bocca, Gilda aveva un biglietto: “Siamo i tuoi amichetti della USL. Stiamo per venire a prenderti per seviziarti per bene. Contemporaneamente, chiameremo la polizia che ispezionerà il tuo chiosco mentre noi ti sistemeremo come meriti e poi ti consegneremo. Sempre che tu non abbia i soldi da darci. Alle 5.00 saremo presso di te. Passarono quelle poche ore e ecco che i terroristi della USL comparvero presso il chiostro dal Tenente. Il leader della banda della USL stava per iniziare a parlare quando dal nulla comparve il Sellero vestito solo delle mutande di Duffy Duck. Il Sellero, con un tono un poco nervoso disse: “’Mo so’ cazzi vostra! Tenente, me devi nartro favore. Ti porto quattro cadaveri questa sera ma devi da fa sparì quella dentro al furgone. Stanno arrivà i sbiri…”


Cinque


Al chiosco dell’Angelucci non c’era nessuno quando la polizia arrivò. Non c’era nulla per cui dover incriminare il Tenente. A proposito, che fine aveva fatto?
Aveva legato Gilda alla tavola e la teneva con sé in acqua mentre faceva surf.

Note
__________________________

[1] Charlie – Stadium Arcadium – Red Hot Chili Peppers
[2] Tombstone Blues – Bob Dylan
[3]Duck dive
letteralmente tradotto con "tuffo dell'anatra" consiste nel passare sotto l'onda usando un movimento simile a quello che fanno le anatre quando nuotano contro corrente; tale manovra è necessaria per raggiungere la line up dalla spiaggia.
[4](tube riding)
è una delle manovre più spettacolari e consiste nel surfare un'onda rimanendo coperti dal labbro che l'onda forma nel frangere, per poi uscirne quando questa collassa. La condizione necessaria perché si crei il tubo è che l'onda si chiuda velocemente.
[5] Personaggio di Diario Pulp - Strumm

Edited by luigi bonaro - 6/7/2011, 00:05
 
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Selene B.
view post Posted on 5/7/2011, 22:56




Rimosso dall'autrice per revisione e riscrittura.

Edited by Selene B. - 27/7/2011, 09:00
 
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655 replies since 23/6/2011, 16:37   12501 views
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