Ok, rassegnazione. Il racconto sfiora i 20000 caratteri e ci perderei la testa a fare il print screen. Pazienza, la prossima volta mi organizzerò prima. Tenetevi forte e turatevi il naso, che sta arrivando!
Un noir dell’altro mondo
Garrett entrò nel bar accolto da selva di sguardi ostili. Si fece strada attraverso il locale tagliando la penombra fumosa, avvolto in un trench consunto. Si sedette al banco e ordinò un vagiti. Solo stare in quel posto gli dava la nausea. A dire la verità, lo rivoltava letteralmente sottosopra. Resistette alla tentazione di sparire alla velocità della luce e sollevò un po’ la testa, guardando da sotto la tesa del cappello il brutto muso del barista, che stava rovesciando il liquido chiaro nel bicchiere unto che gli stava davanti. Poggiò una banconota sul bancone, che l’uomo afferrò e intascò immediatamente. Subito dopo, un’espressione sollevata gli comparve sul volto.
“Tu devi essere Aristides”, disse Garret, appena prima di ingurgitare un gran sorso del suo vagiti. Mentre scendeva, il liquido gli corroborava l’animo e pareva confortarlo dall’interno. Si sentì subito meglio e i crampi allo stomaco si allentarono fino a sparire.
“Chi lo vuole sapere?”, chiese l’altro, rimettendosi in faccia la sua peggior espressione diffidente.
“Mi hanno detto che sai molte cose” disse, senza rispondere.
“Vai a farti un giro”, grugnì l’altro. “A occhi e croce non sei di queste parti, perciò dammi retta: finisci il tuo vagiti e torna da dove sei venuto”.
“Che parolone”, lo canzonò Garrett. “A sentirti, si potrebbe quasi credere che tu possa sostenere le tue minacce”.
“Saresti sorpreso, piccolo principe. Guardati attorno: qui sono tutti amici miei. Nemmeno uno come te può sperare di farcela”.
“Saresti sorpreso anche tu” rispose Garrett, buttando giù l’ultima golata di vagiti. Adesso si sentiva davvero invincibile. Onnipotente, quasi. “Però non è in cerca di guai che sono venuto”, lo rassicurò. “Anzi, vorrei proporti un affare. Come hai visto, pago con roba di qualità”. L’altro lo studiò per qualche istante.
“Chi ti ha parlato di me?”, domandò infine.
“Vuol dire che l’affare t’interessa?”
“Dimmi chi”, tagliò corto Aristides.
“Ma si, va. Che diavolo, tanto è già morto… E’ stato Tony Buioni”.
“Buioni, vecchio bastardo…” rimuginò il barman. “Va bene, dimmi che vuoi”.
“Voglio sapere dove si può trovare una di queste” disse, poggiando una foto sul bancone. Il barista sgranò gli occhi al punto che Garrett pensò gli sarebbero usciti dalle orbite. Afferrò immediatamente una bottiglia e ne calò il fondo sulla fotografia, per coprirla.
“Sei pazzo?”, ringhiò verso Garrett. “Hai idea di cos’è quella roba e di cosa potrebbe succedere se qualcuno la vedesse?”
“Ma qui non erano tutti tuoi amici?”, ironizzò il detective.
“Non voglio più guai di quelli che ho già. Fuori dal mio locale”.
“Potrei sempre portare questa a un paio di angioletti che conosco e fargli il tuo nome. Sai bene che non vanno tanto per il sottile, quelli”.
“Bastardo! Questo è un ricatto!”
“Non farla tanto lunga, dai. E poi, guarda il lato positivo: posso pagarti con diecimila biglietti come quello”.
Un lampo di avidità accese lo sguardo dell’uomo. Per quella cifra, si sarebbe venduto anche il culo della vecchia madre morta. Si piegò in avanti e bisbigliò qualche parola all’orecchio di Garrett. Quando ebbe finito, il detective sollevò una ventiquattrore nera e la passò al barista. L’uomo l’appoggiò al bancone, fece scattare le chiusure e l’aprì. Una luce dorata gli illuminò il volto. Rimase incantato a guardare all’interno, finche la voce del detective non lo scosse dalla trance in cui era caduto.
“Siamo contenti?”, domandò.
“Siamo contenti”, rispose Aristides, chiudendo la valigetta.
“Stai attento a quella roba, c’è chi sarebbe disposto a tutto per averla. Ma qui sono tutti amici tuoi, giusto?”
Il barista lo guardò torvo, mentre stringeva a sé il suo tesoro. Garrett si allontanò sorridendo dal banco e allargò le braccia, i palmi rivolti verso l’alto. I lembi del suo impermeabile cominciarono a scolorire velocemente, fino a diventare trasparenti. Un istante dopo, non era più lì.
“Lo dicevo che non era di questi parti”, commento Aristides.
Garrett camminava sul molo intento nei suoi pensieri, lasciando alle sue spalle una scia di fumo azzurrino. Le assi di legno cigolavano a ogni passo e pareva impossibile che, a volte, sopportassero il peso di migliaia di persone assieme.
Giunse alla base del faro che la Gauloise era già finita. Spedì la cicca nelle acque scure sotto di lui con una schicca del medio, si calcò una mano sul borsalino per evitare che il vento glielo strappasse e reclinò la testa verso la sommità dell’imponente costruzione. “Carò!”, chiamò a gran voce. Era difficile vincere il ruggito del mare che, poco distante, s’infrangeva contro gli scogli ma, dopo qualche istante, sentì una voce provenire da una borchia metallica accanto alla porta. “Ho messo il citofono”, annunciò il guardiano del faro, “bastava suonare”. Il portoncino si socchiuse con uno scatto e Garrett entrò dentro, chiudendosi la porta alle spalle.
“Certo che da quassù la vista è incredibile”, commentò Garrett accendendo un’altra Gauloise, i gomiti appoggiati al parapetto sulla sommità del faro e lo sguardo perso all’orizzonte.
“Già”, concordò il guardiano. “Non importa quante stranezze puoi vedere. Questo spettacolo le batte tutte”.
“Senti”, tagliò corto Garrett “ho bisogno di un socio. Uno esperto, che si possa muovere nei bassifondi”.
“E perché lo chiedi a me? Cerca in giro, vedrai che qualcosa trovi senz’altro”.
“No, mi serve un nuovo arrivo, qualcuno di cui mi possa fidare. Ho un grosso caso per le mani e non posso permettermi passi falsi. Ho bisogno di dare un’occhiata al tuo registro”.
“Sai che è contro le regole”, disse il guardiano, sulla difensiva.
“E dai, chi vuoi che venga a dire qualcosa a te? Siamo amici da… neanche me lo ricordo, da quanto siamo amici!”
“Spaicente, le regole sono regole”.
“Allora sei veramente un dimonio…”, lo punzecchiò Garrett.
“Ma vaffanculo”, rispose l’altro.
“Scherzo, non te la prendere. Certo però che ti ha sputtananto per bene, quell’italiano”.
“Si, ma gliel’ho fatta pagare appena mi è capitato a tiro. Avresti dovuto vedere la sua faccia. Per quel po’ di chiaroveggenza che aveva, si sentiva in diritto di sputare sentenze su onesti lavoratori come me”.
“E già, proprio uno stronzo”, concordò conciliante il detective.
“Vabbè, và, dai un’occhiata veloce”, concesse il guardiano alla fine. Garrett si avviò sorridendo verso il gigantesco libro. “Ehi”, lo bloccò l’altro, inarcando un sopracciglio e strofinando indice e pollice della mano sinistra.
“Mi pareva strano”, commentò Garrett, cacciando una mano in tasca e tirandone fuori alcune banconote, che consegnò all’amico. “Tutto ha un prezzo Frank, lo sai”, si schernì l’altro.
Garrett aprì il libro degli arrivi e cominciò a scorrere i nomi, passandoci sopra il dito. Dopo soli ottomilaseicentoventitre nominativi, fermò l’indice su Roberto Pavione. “Un altro italiano”, annunciò con tono gaio.
“Italiani del cazzo…”, si limitò a borbottare il guardiano.
Garrett aveva quello che cercava. Il suo uomo sarebbe arrivato di lì a poco. Salutò affettuosamente Caronte e scese di nuovo sul molo. Scribacchiò nome e cognome su un foglio e si posizionò agli arrivi reggendo il cartello davanti a sé. Poi alzò gli occhi verso il fascio luminoso del faro e ingannò l’attesa osservando le anime che giungevano in volo nel cono di luce.
“Roberto?”, domandò sorridendo all’uomo in tuta da combattimento che camminava smarrito verso di lui lungo il pontile, mostrandogli il cartello con il nome.
“Sono io” rispose guardingo. “E tu chi saresti?”
“Mi chiamo Garrett, e sono qui per te”, rispose con tono rassicurante.
“Sono morto?”
“Ho paura di si”.
“Cazzo”, si limitò a dire.
E’ perfetto, pensò Garrett, complimentandosi con sé stesso per la scelta. “Vieni, andiamo a mettere qualcosa sotto i denti” disse, gustandosi la sua faccia stupita.
“Un lavoro?” domandò il militare strabuzzando gli occhi. “Ma ti rendi conto di che cazzo dici? Io sono appena morto, e tu mi vieni a parlare di
lavoro? Dove sono i parenti e gli amici, dov’è tutto il fottuto comitato di accoglienza? Mi aspettavo mia nonna, non una specie di Humphrey Bogart dei poveri. E poi, perché sono ancora vestito così?” chiese, afferrandosi il bavero della divisa da incursore paracadutista.
La conversazione fu interrotta dall’arrivo di una cameriera dalle forme prorompenti strizzate in una divisa da film americano anni cinquanta, il viso da Betty Boop incorniciato da un perfetto caschetto nero corvino, che servì le ordinazioni. Garrett aveva portato il neomorto a un bistrot arredato in modo bizzarro, un incrocio fra un museo militare e una casa di tolleranza, e aveva ordinato bistecche di chianina con patate alla brace e Brunello di Montalcino per entrambi.
“Sei tu stesso a influenzare l’ambiente che ci circonda” rispose tranquillo il detective, versando il vino. “Tutto ciò che vedi è tratto dai tuoi ricordi e desideri, come la cameriera o quel macinapepe”. Roberto guardò perplesso la bomba a mano tipo ananas davanti al suo piatto. La afferrò e notò che era tagliata nel mezzo; reggendola per la parte superiore ruotò quella inferiore, e una fine pioggia di pepe macinato cadde dal fondo.
“Sinceramente, me lo aspettavo diverso, l’aldilà”, commentò.
“E’ un errore comune”.
“Comunque, come guida fai cagare”, disse risoluto, spostando la sedia all’indietro con uno stridio e cominciando ad alzarsi.
Garrett alzò gli occhi al cielo, fece un cenno con la mano e l’altro ripiombò pesantemente a sedere. “Ascoltami bene”, disse, ora per nulla accomodante. “Mi sa che hai capito male. Io non sono una guida. Non è così che funziona. Morire è un po’ come nascere, non c’è nessun libretto d’istruzioni. Il detto “la morte non è un rimedio all’ignoranza”, è sacrosanto. Tu hai avuto la fortuna di trovare me ad aspettarti, ma è un’eccezione, non la regola”.
Roberto ascoltava ora in silenzio. Evidentemente, la manifestazione di forza di poco prima l’aveva impressionato.
“Mi sa che qualche spiegazione, comunque, sia necessaria”, riflettè Garrett. “La prima cosa che devi accettare, è che sei morto. Questo fatto non lo puoi cambiare. Indietro non si torna, e con quelli dell’altra parte non puoi comunicare. Prima te lo ficchi in testa, meglio è. Quelli che non si rassegnano e rimangono attaccati alla vita, di solito, non arrivano nemmeno fin qui. Escono dal fascio di luce del faro e diventano spettri. Se ci tieni, comunque, puoi sempre gettarti in mare e cominciare a nuotare verso il mondo dei vivi, per guadagnarti un posto fisso da fantasma”.
“Secondo: quello che ti sei lasciato alle spalle è solo il tuo corpo fisico. Ne hai molti, oltre a quello, uno dentro l’altro, sempre più eterei. Hai presente le matrioske? Una cosa del genere. Terzo: tu sei destinato al Limbo, quello che nei livelli superiori chiamiamo i“bassifondi”. Sopra ci sono vari piani di realtà, cui si accede secondo il livello di consapevolezza, ma non è semplice come potresti credere, non c’è semplicemente l’inferno per i cattivi e il paradiso per i buoni. Cioè, l’inferno in effetti esiste, ma è transitorio. Il concetto è che gli abitanti di un piano possono essere indifferentemente luminosi o oscuri. Vale per quelli più bassi come per i più elevati. Puoi anche essere stato gentile e educato tutta la vita e finire comunque nei bassifondi, dove vive la gran parte degli umani. Quei posti non si discostano molto dalla terra: ci sono sobborghi stupendi, dove mangiare, bere, scopare e divertirsi senza fine, e quartieri malfamati e miserabili. Chi come me sta sopra, invece, può muoversi fra le dimensioni, spostarsi alla velocità del pensiero e cose così. Salendo ancora, l’immedesimazione con il sé comincia a venir meno e la soggettività si discioglie nella consapevolezza universale, anche se di preciso non saprei dirti cosa significhi. Oltre alle anime degli umani, i vari piani sono abitati da divinità ed entità, esseri potenti e antichi, anche loro positivi e negativi; più spesso una via di mezzo. Ognuno di loro ha i suoi scopi e la sua corte di fedeli, alleati e protetti”.
Roberto era letteralmente sopraffatto dalla mole d’informazioni che stava ricevendo. Garrett sapeva bene come doveva sentirsi ma, con quello che c’era in ballo, non poteva concedersi il lusso di aspettare che digerisse con calma la sua nuova realtà. Buttò giù un sorso di brunello e ricominciò.
“Nell’aldilà ci sono triliardi di anime, distribuite in un’infinità plastica e soggettiva. Esiste il paradiso mussulmano, quello con le cento vergini. E’ nei bassifondi e, volendo, te lo posso far visitare. C’è quello cristiano, con i putti che strimpellano, la luce eterna e tutto il resto. Se invece la tua perversione sono gli inferni, ce ne sono di ogni sorta, oltre a quello vero. Per questo quasi nessuno trova i suoi cari ad attenderlo e, anche dopo, difficilmente ci si ricongiunge. Oltre al fatto nessuno conosce il momento di arrivo degli altri, la verità è che siamo tutti diversi, e alla fine ognuno decide di vivere dove lo porta la sua natura. Tutto chiaro?” domandò Garrett, concludendo la tirata con un sospiro.
“Ancora non capisco che senso abbia lavorare”, commentò perplesso Roberto.
“I livelli non sono prigioni, si può progredire. “Lavorare” è un modo come un altro per acquisire esperienza e consapevolezza per salire, oltre che l’unico mezzo per guadagnare karma, la moneta locale. Al tuo livello, la vedrai esattamente come ti aspetti – sottoforma di banconote. In realtà si tratta di energia, consapevolezza e beatitudine, miscelate in vari modi e misure. Adesso capisci il senso della mia offerta? Aiutami a risolvere la mia indagine, e ti riempirò di karma a tal punto che, se vorrai, potrai passare il resto dell’eternità strafatto di gloria celeste a scolarti vagiti su una spiaggia dei bassifondi”.
“Vagiti?”
“Il cocktail più in voga dell’aldilà”, spiegò paziente Garrett. “E’ molto costoso, fa impennare vertiginosamente il livello energetico. E’ un distillato di pura essenza divina: vagiti di angeli raccolti nei primi istanti di vita, prima che raggiungano la maturità. E che comincino a rompere i coglioni, ma questa è un’altra storia”.
“Ma perché hai bisogno di me?”, domandò il soldato, che non aveva ancora del tutto abbandonato la speranza di essere in realtà sdraiato sul suo letto dopo una notte brava.
“Perché appartengo a un livello superiore, e andare nei bassifondi mi debilita. Riesco a rimanerci solo per poco, e questo sta rallentando la mia indagine. Ho letto quello che c’è da sapere su di te, dal momento della tua nascita fino all’attentato che ha fatto saltare la caserma, assieme alla cella dov’eri rinchiuso per esserti insubordinato”.
Roberto fu attraversato da un gelido brivido di consapevolezza. Stava succedendo veramente. “Il mio capitano era uno stronzo sadico”, si giustificò. “Ma ormai non ha più importanza”.
“Ce l’ha, invece. Non ti ho scelto solo per la tua tempra, ma anche per la tua fondamentale bontà. So perché hai disobbedito a quell’ordine. So che hai rifiutato di aprire il fuoco contro il nemico e gli scudi umani che stava usando. Credimi, la degradazione è stata un piccolo prezzo da pagare, in confronto a quello che avresti dovuto affrontare qui, se avessi scelto diversamente”.
“Se non ti spiace, non ne vorrei più parlare. Dimmi invece di quest’indagine”.
Garrett lanciò un’occhiata circospetta attorno, poi si avvicinò a Roberto e sussurrò: “Omicidio”.
“Com’è possibile? Non siamo già tutti morti?”
“Qualcuno è riuscito a fabbricare questa” disse Garrett, mostrandogli la foto che aveva mandato nel panico Aristides il barista. “Ricordi la storia di un corpo dentro l’altro? Bene, questa può distruggerli tutti assieme. Qualcuno l’ha usata su un’anima dei livelli elevati, uno in vista, protetto da un’entità molto potente. L’ha dilaniato dal primo all’ultimo strato, dissanguandolo di tutta l’energia vitale, che è tornata alla sorgente di tutte le cose lasciandosi dietro una serie di inutili gusci vuoti. Stiamo parlando dell’unica vera morte definitiva, la forzata dispersione del sé nel tutto. Non si era mai visto nulla di simile, prima, e io sono stato assunto dall’entità per scoprire chi abbia fatto fuori il suo pupillo e perché. Ho dovuto muovermi con molta circospezione: il mio cliente ha nemici molto, molto potenti. Recentemente, però, ho trovato una pista valida e un nome. A questo punto, per chiudere il cerchio, bisogna solo andare nei bassifondi e menare abbastanza le mani. Per questo mi serve una tigre come te. Te la senti, soldato?”
Roberto azzannò un pezzo di chianina al sangue e, per la prima volta dal suo arrivo, sorrise.
Il terzo giorno fece irruzione nella stamberga maleodorante di quello che, in vita, doveva essere stato un religioso di qualche tipo. Garrett lo aveva imbottito di energia sottile e si sentiva come un cavallo da corsa dopato di winstrol. Afferrò l’uomo, totalmente sbronzo di vagiti, e lo sbatté contro la parete. Aveva ricostruito l’intera storia, mancava solo la prova regina, e una confessione registrata sarebbe andata benissimo. Ancora si stupiva di come processi complessi come quello che stava per compiere, venissero semplificati dalla sua percezione fino a una forma familiare come quella di un registratore portatile.
L’uomo provò a opporre resistenza ma, anche con in corpo tutto il vagiti del mondo, non c’era storia. “Da me non saprai un cazzo”, ringhiò.
Roberto sorrise, capendo una volta di più perché Garrett lo aveva scelto. “In fondo, le articolazioni sono articolazioni”, pensò, cominciando a fare il suo lavoro.
La cosa si rivelò però più difficile del previsto; sapere di non poter morire rende più sopportabile anche il dolore. Alla fine, però, la minaccia di essere abbandonato in mare lo fece crollare.
La realtà ondeggiava e si mescolava in forme incomprensibili. Quelle che avrebbero dovuto essere la parole di Garrett, erano alle sue orecchie suoni alieni e dolorosi. La vertigine cominciò a ridursi mentre sorseggiava il vagiti, fino a scomparire del tutto verso la fine del bicchiere. Le cose cominciarono ad assumere contorni decifrabili e le frasi un senso.
“… andare meglio. Te l’ho fatto triplo”, stava dicendo Garrett.
“Non mi ci abituerò mai”, commentò Roberto scuotendo la testa. Il suo livello di consapevolezza non gli consentiva di percepire correttamente quel livello di realtà e solo gli intrugli di Garrett, che aveva insistito per mostrargli la sua residenza, gli permettevano di rimanerci brevemente.
“Non sarà necessario. Sono sicuro che, tra qualche decennio, ti farai anche tu una villa da queste parti. Ora però non farmi stare sulle spine”, lo incalzò il detective.
“La vittima era un’anima molto potente”, cominciò Roberto, “disincarnata da lunghissimo tempo. Inspiegabilmente, aveva deciso di reincarnarsi, e la cosa a qualcuno non stava bene. L’entità che la proteggeva, infatti, conduce da lungo tempo una guerra fredda con un suo pari per il controllo di parte dei piani superiori. Se il protetto del nostro cliente fosse rinato, con la sua forza immensa, lo avrebbe fatto perfettamente cosciente di sé e dei suoi poteri. In quello stato, avrebbe potuto letteralmente cambiare il mondo, farlo evolvere di centinaia di anni nel giro di una vita umana, spostando gli equilibri attuali a favore della sua fazione. Nel giro di pochi anni, infatti, sarebbero arrivate da questa parte milioni di anime di alto livello, fedeli alla sua causa. A quanto pare, il rivale aveva previsto il rischio e aveva un piano d’emergenza. Da millenni esisteva sulla terra una congrega votata a un unico compito: il suicidio rituale. Il sacrificio di mille anime viventi, ha permesso di creare un’arma adatta a distruggerne del tutto una sola. Insomma, il nemico del nostro cliente ha giocato d’anticipo. Molto scaltro, anche se un po’ meschino”.
Garrett rimuginò brevemente in silenzio. “Bel lavoro”, disse infine. “Facciamoci un altro vagiti, prima di riferire al cliente. Credo che la notizia solleverà un bel vespaio, ai piani alti. In fondo, stiamo per raccontare a una divinità che il rivale gli ha ucciso il messia prima che nascesse”, disse alzando il calice.
“Cazzo!”, aggiunse subito dopo. “A sapere che si trattava di spionaggio industriale, non avrei mai accettato”.