Forum Scrittori e Lettori di Horror Giallo Fantastico

Skannatoio, settembre 2012, speciale X, Ventiquattr'ore con Mister X
* Campionato aut-inv 2012, 2 di 12

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 15/9/2012, 14:58
Avatar

Advanced Member

Group:
Member
Posts:
1,111

Status:


Ce l'ho fatta! Questa sera una bella rilettura e poi posto!

@Polly
Anche io oggi ho fatto tutto con l'ipad! Ho i pollici a pezzi!!! :)
 
Top
Miksi
view post Posted on 15/9/2012, 15:10




per uno che ce la fa, una che abbandona :(

per questa volta vi siete risparmiati miksi, che ha esaurito il proprio tempo a disposizione per scrivere (iniziato non tanto tempo fa, a dire il vero XD) senza riuscire a finire e quindi rinuncia allo speciale, a malincuore direi =\

Buona gara a tutti :lol:
 
Top
view post Posted on 15/9/2012, 16:24
Avatar

Amante Galattico

Group:
Member
Posts:
10,080
Location:
Don't stop believin'

Status:


CITAZIONE (Jackie de Ripper @ 15/9/2012, 13:38) 
E la Tour Eiffel non se la fila nessuno?

La
prendo
io
:shifty:
 
Top
view post Posted on 15/9/2012, 16:56
Avatar

Arrotolatrice di boa

Group:
Moderatori
Posts:
3,298
Location:
Di solito da casa mia.

Status:


@Rov! Uno che mi capisce... Secondo me ci dovrebbe essere un bonus per noi
 
Contacts  Top
view post Posted on 15/9/2012, 18:00

Alto Sacerdote di Grumbar

Group:
Moderatori
Posts:
2,582

Status:


Intrighi di Giada



I passi delle due guardie armate echeggiarono nel corridoio sempre più flebili man mano che si allontanavano. I coni di luce delle torce tascabili, ormai spariti dietro l’angolo del corridoio, gli lasciarono negli occhi la sensazione che il buio fosse più impenetrabile di quanto gli fosse parso fino a poco prima.
Si calò piano dall’angolo del soffitto nella cui ombra aveva trovato riparo: il sottile strato di cuoio gommato non emise alcun suono quando, dopo un salto di cinque metri, tornò a toccare terra.
Riprese a muoversi rapido tra i corridoi, lungo il percorso che aveva imparato a memoria: secondo i suoi calcoli avrebbe dovuto incrociare ancora una volta la ronda quattro, ma non successe.

-Vieni, figlio mio, siedi con me.
Il vecchio capo villaggio, barricato nel suo kimono più pesante, indicò al ragazzo un basso tavolino al centro del cortile innevato. La coltre bianca attutiva persino i pensieri, che parevano sussurrati come parole di un amore proibito. Solo il rumore di una canna di bambù che, riempita dalla cascatella sotto la quale era situata, si svuotava battendo con regolarità su una pietra, ricordava a quel posto immobile l’esistenza del tempo.
-Hai.
Il giovane prese posto alla destra di suo padre dopo avergli tributato un inchino profondo e attese che la ragazza, fino a quel momento invisibile alle loro spalle, gli versasse del tè.
I due stettero a lungo in silenzio a contemplare la perfetta imperfezione della natura artificiale che li circondava, concedendosi solo di quando in quando un breve sorso dalle tazze in ceramica decorata, usate perlopiù per tenere calde le mani.
-Il consiglio si è riunito questa mattina. Abbiamo deciso che il tempo per riportare a casa il Pettine di Giada, simbolo del nostro clan, è ormai giunto.
Il vecchio fece un altro piccolo sorso e appoggiò la tazza: silenziosa come la neve su cui si muoveva, la ragazza la riempì nuovamente e tornò veloce alla distanza che le era concessa.
-Hai.
-È stato deciso che sarai tu a occuparti del recupero.
Una smorfia si disegnò sul volto del ragazzo: quella decisione lo riempiva di orgoglio e disgusto al tempo stesso.
-Hai qualche perplessità riguardo il tuo compito?
-No padre. Mi chiedevo solo chi avesse proposto me per un incarico tanto importante e-, fece una lunga pausa,-tanto lontano.
Un sospiro profondo precedette la risposta dell’anziano:
-Sai bene che le decisioni del consiglio non hanno nome, né volto. Mi manchi di rispetto con la tua arroganza.
-Perdonate, padre. Non era mia intenzione.
-Partirai al tramonto! Ora va’, raggiungi Matsumoto nella sala della guerra, ti aggiornerà sui dettagli.

-Il Taj-Mahal? - Han strabuzzò gli occhi,-stai scherzando?
Matsumoto rise mentre aprì sul tavolo una serie di rotoli con le mappe del palazzo.
-Non essere precipitoso, la sicurezza è meno intensa di quanto si possa pensare. Saranno altre le tue preoccupazioni in questa missione.
Han incassò il colpo, era giovane, ma era il miglior ninja del più importante clan del Paese: i Murasaki.
-Quali?- rispose freddo.
-Prima o poi dovrai cominciare a interessarti di politica, Han, un giorno sarai capofamiglia. I clan non portano a termine i loro affari con kunai e shuriken, ma con lingua e cervello.
-Le lingue si tagliano, i cervelli si infilzano. Questa è tutta la politica che mi serve.
-Ringrazia che non ti abbia sentito tuo padre. Ora taci e ascolta!- il tono di Matsumoto non ammise repliche: Han si sedette accanto a lui osservandone le mani che si muovevano rapide sui disegni, mentre le sue parole lo riempivano di informazioni.
Dopo più di tre ore, il ragazzo aveva quattro pagine di taccuino fitte di appunti sull’edificio e i sistemi di sicurezza.
-Incredibile che un edificio come il Taj sia così poco sorvegliato.
-Perché il maggior valore ce l’ha l’edificio stesso e, sai, ho come l’impressione che sarebbe oltremodo difficoltoso rubarlo.
L’atmosfera tra i due si era molto distesa durante il briefing, parlare della parte operativa della missione li aveva messi subito d’accordo.
-Grazie dei consigli, Matsumoto-san, a presto.
-Han, aspetta, non sottovalutare i risvolti politici della missione. Se qualcosa dovesse andare storto, ci sarebbero famiglie pronte a scattare come serpi contro il nostro clan. Stai molto attento a che tutto vada per il verso giusto.
-Hai.- rispose sbuffando Han, prima di sparire.
-Una volta c’era più rispetto!- sorrise Matsumoto, tornando all’interno.

L’ombra avvolgeva l’uomo dietro il grosso tavolo in legno: solo il lieve cigolio della sedia su cui poggiava rassicurava sulla sua effettiva presenza. Di fronte a lui, Hanzo Mitsushi e Shito Nakamura, capifamiglia degli omonimi clan, sedevano impettiti aspettando una sua parola.
-I preparativi in India sono a buon punto?
Il tono grave dell’uomo scandiva ogni parola: solo un lieve tremolio nella voce tradiva la tensione che anche lui doveva provare.
-Sì, sarà tutto pronto per dopodomani notte, in linea con i piani, non c’è nulla di cui preoccuparsi.
Rispose Nakamura d’un fiato, il ginocchio destro gli tremava vistosamente, se lo afferrò con la mano per mascherare il nervosismo.
Nel buio, un sorriso invisibile si disegnò sul volto dell’uomo: gli piaceva che i suoi sottoposti o, come preferivano essere chiamati, “collaboratori” lo temessero.
-E in seno al consiglio? È stato tutto predisposto come ho ordinato?
-Al momento opportuno, tutti i capiclan sapranno da che parte schierarsi. Mi sono personalmente assicurato che Murasaki non sospetti nulla.
Mitsushi pareva più calmo del suo parigrado: era famoso per saper mascherare bene le proprie emozioni e si stava rivelando una pedina molto utile nello scacchiere dell’uomo nell’ombra.
-Perfetto. Avete agito bene. Prima dell’alba partiremo anche noi per l’India, voglio che voi, i miei più fidi e importanti collaboratori, siate al mio fianco nel momento di questa vittoria. Una nuova era sta per nascere, avrete il privilegio di esserne testimoni.

Incastrò la capsula argentata sul piano del piccolo cingolato elettrico, grosso non più del suo pollice. Si stupiva sempre di quanto fosse stata radicale, negli ultimi anni, la trasformazione dei loro mezzi e delle loro risorse: la tecnologia, un tempo ripudiata in nome delle tradizioni, era diventata uno dei loro maggiori punti di forza. Controllò col GPS che il piccolo trasporto fosse nel punto giusto, poi fissò l’orologio proiettato sullo schermo interno delle lenti oculari, aspettando il momento giusto per avviarlo.
In un lieve ronzio, il cingolato si mise in moto, guidato attraverso i corridoi bui del grande Taj dal chip programmato con il percorso da seguire per arrivare alla camera funebre. Han lo osservò sparire nell’oscurità, sorrise. Fece un respiro profondo e corse nella direzione opposta: era in anticipo di una dozzina di secondi sulla tabella di marcia, ma non c’era comunque tempo da perdere.

Tre SUV neri si fermarono a qualche centinaio di metri dal palazzo. Attraverso i parabrezza oscurati, la costruzione sembrava fluttuare nel vuoto, stagliando la sua magnificenza verso il cielo e affondando le proprie radici nel nulla. All’interno dei veicoli, i tre uomini aprirono la comunicazione attraverso gli auricolari.
-Nakamura, Mitsushi, mi sentite?
-Sì, io sento bene.
-Anche io.
Le loro voci rimbalzavano attraverso i microfoni, permettendo loro di conversare come fossero seduti l’uno accanto all’altro.
Dentro il veicolo centrale, l’uomo nell’ombra aprì una piccola borsa e ne estrasse un tablet. Osservò lo schermo nero, su cui era ricalcata in verde la pianta di un’area del Taj-Mahal, su cui lampeggiava una dozzina di statici punti gialli. Le mani dell’uomo si mossero rapide sullo schermo spostando e ingrandendo la mappa, fino a quando vide, intermittente e in movimento, un punto rosso diretto verso la camera funebre.
-Manca poco, godetevi lo spettacolo.
I suoi occhi seguirono trepidanti il movimento del localizzatore rosso, lo guardarono avvicinarsi sempre più all’obiettivo. Un’ondata di emozioni lo percorse da capo a piedi.
Dopo un minuto lungo un’eternità, il puntino raggiunse finalmente il centro della stanza: si trovava proprio d’innanzi al sarcofago della regina. L’uomo chiuse gli occhi immaginando la scena: Han era sicuramente lì, magari stava già sollevando il coperchio, tronfio e spavaldo come sempre.
Sorrise, era impossibile trattenere la gioia: allungò la mano verso lo schermo, trattenne il fiato e toccò il riquadro azzurro nell’angolo in basso a destra.
Il segnale satellitare impiegò pochi istanti a raggiungere i detonatori delle dozzine di dispositivi a impulsi sparsi per tutto l’edificio, istanti in cui il mondo intero parve fermarsi, tributando il giusto rispetto a un momento tanto importante.
Un lampo blu si accese nel palazzo, proiettando per un istante nel cielo le forme degli arabeschi forati delle cupole. L’onda d’urto e lo spostamento d’aria arrivarono immediatamente a investire anche i tre veicoli che tremarono sugli ammortizzatori. Infine li raggiunse anche il rumore, un ronzio robotico assordante, ultimo preambolo al più magnifico spettacolo di distruzione mai visto: la frequenza degli impulsi, entrando in risonanza con il marmo delle colonne, le aveva disgregate, rendendole null’altro che dei cumuli di sabbia candida. Senza più alcuna struttura portante, in pochi attimi l’intero edificio collassò su se stesso, implodendo in una cascata di pietra e polvere.
-Addio, Han, non mi eri mai piaciuto.
Sussurrò compiaciuto l’uomo nell’ombra prima di scoppiare in una liberatoria e fragorosa risata. Le lacrime di gioia gli sgorgarono copiose dagli occhi mentre, a ogni singhiozzo, sentiva la felicità esplodergli nel ventre come poderosi colpi di timpano.

Le risate gli morirono in gola quando, appena fuori dal finestrino, sentì risuonare una voce fin troppo familiare.
-La morte ti diverte, traditore?
Il vetro esplose in mille frammenti sotto il pugno di Han che, rapido e preciso, diresse la lama del kunai a recidere la cintura di sicurezza. Prima che questi potesse reagire, con l’altra mano lo afferrò per l’orlo del kimono e, con forza, lo tirò fuori dal finestrino scaraventandolo a terra. In un attimo fu sopra di lui, la lama della spada a carezzargli la gola, pronta a dissetarsi con quel sangue infame.
Lenti e ritmati, dei passi risuonarono nell’erba: l’uomo dell’ombra alzò lo sguardo e vide avvicinarglisi Hayao Murasaki, le mani nascoste all’interno dell’abito e un’espressione grave dipinta sul volto. Accanto a lui Hanzo Mitsushi, appena sceso dal SUV lì accanto.
Il vecchio Murasaki si fece più vicino all’uomo a terra e, con un gesto rapido, gli sollevò il capo per guardarlo in faccia:
-Matsumoto, il mio più fidato consigliere. Non ci volevo credere, persino ora che ti vedo in faccia e ne ho le prove non mi capacito del tuo tradimento. Uccidere mio figlio, macchiare me dell’onta del fallimento e far ricadere sulla famiglia la responsabilità dell’attentato. Sei un uomo senza onore e come tale morirai. Han.
Il giovane ninja infilò a forza la spada tra le labbra del condannato, l’acciaio stridette strisciando sui denti serrati ma, alla fine, con un gesto rapido e preciso, la lama recise la lingua e parte delle labbra. Si alzò in piedi e gli trafisse il cranio infliggendogli il colpo di grazia.
-Le lingue si tagliano, i cervelli si infilzano.- sussurrò rinfoderando l’arma.
-Figlio, assicurati che Shito Nakamura plachi sul nascere ogni suo desiderio di fuga, lo porteremo davanti al consiglio e lì risponderà dei suoi crimini, senza sconti. Si torna a casa.

La primavera era sbocciata nel cortile di villa Murasaki, il profumo dei gelsomini pervadeva l’aria e i petali dei peschi in fiore tingevano il tutto di un rosa immacolato. Il canto degli uccelli era scandito ancora una volta dalla canna di bambù che, dal centro di una delle cascatelle del ruscello, si svuotava ritmicamente battendo sulla pietra. Al basso tavolino nel centro dello spiazzo in pietra bianca, sedevano, l’uno accanto all’altro, Hayao Murasaki e Hanzo Mitsushi: sorseggiavano lenti il tè, accompagnati l’uno dal figlio Han e l’altro dalla figlia Sayuri, tutti avvolti nei lunghi kimoni tradizionali della festa dei fiori.
-Mitsushi-san, vi ringrazio di aver accettato il mio invito, conosco l’entità degli impegni che gravano sulle vostre nobili spalle.
-L’occasione era importante, Murasaki-san. Questo sarà ricordato come un giorno storico nel nostro grande Paese.
I due capiclan non avevano fretta di esaurire i convenevoli, che i patriarchi delle due più influenti famiglie di tutto lo stato si sedessero da amici allo stesso tavolo, era una cosa che non succedeva da più di duecento anni. Le tradizioni andavano rispettate.
-Voglio cogliere una volta ancora l’occasione per ringraziarvi di aver salvato l’onore e la sorte della mia casa, Mitsushi-san. Se non fosse stato per la vostra integrità, la vipera che cresceva nel nostro grembo ci avrebbe avvelenati a morte. Mi sento in debito con voi.
-Le nostre famiglie sono rivali da più di mille anni, ma mai si sono affrontate senza onore: conosco il rispetto che portate per i miei antenati perché io nutro lo stesso per i vostri. Non ho salvato il vostro onore, ho solamente preservato il mio, non mi dovete nulla.
Si rivolsero a vicenda un inchino prima di fare un altro sorso di tè, a conferma che avevano ognuno apprezzato le parole dell’altro: si poteva proseguire.
-Amico mio, - continuò Murasaki, - credo che i nostri ragazzi fremano per conoscere il motivo della loro convocazione. Vuoi farmi l’onore di spiegare loro la situazione?
-Hai. Han, è cosa nota che tu sia un guerriero forte e rispettato. Mia figlia Sayuri ha ormai raggiunto l’età giusta per prendere marito. Per cementare la nuova alleanza e l’amicizia che dovrà, d’ora in avanti, regnare tra le nostre grandi famiglie, io e Murasaki-san abbiamo deciso che, al termine della primavera, voi due vi sposerete, così che i nostri clan siano legati dal più forte dei vincoli: il sangue. Che questo matrimonio sancisca l’inizio di una nuova era per noi e per tutto il nostro glorioso Paese.
-Hai parlato bene, Mitsushi-san. A questo proposito, credo che mio figlio abbia un dono con cui omaggiare la sua futura sposa. Han.
Il giovane si alzò in piedi e si inginocchiò di fronte al padre della ragazza, si profuse in un profondo inchino, arrivando a lambire il terreno con la fronte. Senza sollevarsi, allungò le mani sopra il capo porgendogli un cofanetto di legno scuro. L’uomo lo prese e, aspettato che il ragazzo si fosse rialzato, lo ringraziò con un inchino appena accennato. Appoggiò poi il cofanetto sul tavolo e lo aprì. Sgranò gli occhi quando i tenui raggi del sole si rifletterono sugli intarsi in madreperla del Pettine di Giada. Alzò lo sguardo pieno d’orgoglio verso l’altro capofamiglia:
-Ci avete dimostrato il massimo rispetto possibile, d’ora in poi non vi considereremo nostri amici, sarete per noi dei fratelli,- spostò gli occhi su Han,-sarete per me dei figli.


autorizzo Jackie alla pubblicazione su Skan Magazine
 
Web  Top
view post Posted on 15/9/2012, 18:58
Avatar

Arrotolatrice di boa

Group:
Moderatori
Posts:
3,298
Location:
Di solito da casa mia.

Status:


La vendetta del demone volpe
Ancora un rametto.
Kioshi tagliò sotto il primo dei nodi e il ramoscello cadde sul pavimento quasi senza rumore.
Lo scostò col piede e fece due passi indietro per controllare il proprio lavoro. Suo nonno sarebbe stato fiero di lui. Sorrise pensando a quei lunghi baffi bianchi e poggiò il piccolo pino marittimo sullo scaffale, accanto ad altri bonsai. Si soffermò incantato dalle volute della corteccia, dalla perfetta simmetria che era riuscito a donargli; finché il suono del cellulare parve destarlo.
Lasciò che il ritornello dell'ultimo successo dei Luna Sea si ripetesse un paio di volte prima di rispondere, «Akane ciao! No mi dispiace, non stasera. Sono impegnato.»
Non lo avrebbero portato nei soliti bar karaoke quella sera, né in qualche sala giochi in centro. Avrebbe rivisto la ragazza dai capelli rossi.

Il taxi lo fece scendere a una decina di metri dall'ingresso della discoteca, ma la fila per l'entrata era tale, che fu addirittura costretto a tornare indietro a piedi, per non passare avanti a qualcuno.
Si aggiustò il bavero del kiodo e si mise in coda, con educazione.
Doveva esserci musica dal vivo quella sera, almeno a giudicare dagli applausi che riuscivano a filtrare dalla pareti insonorizzate.
Accese una sigaretta, non era sicuro che la ragazza sarebbe stati lì. Non si erano dati appuntamento, non si erano nemmeno presentati a dire il vero. Ma quello dove si erano conosciuti la sera prima, era l'unico punto di riferimento che avesse.
Dalla punta incandescente della Hope si srotolò l'ultimo arabesco di fumo, lui abbassò lo sguardo per gettarla. «Sei qui per me?»
Un sobbalzo seguito da un sorriso. «Be', si in effetti. Speravo di vederti qui.» La bellissima ragazza scosse la testa, divertita, facendo ondeggiare la lunga coda rossa. Si acconciò due ciuffi ribelli dietro le orecchie e si mordicchiò il labbro inferiore. «Entriamo?» aggiunse.
Kioshi si voltò indicando la fila che sottendeva a una lunga attesa.
Non c'era più nessuno.
Soltanto loro due, davanti a un buttafuori spazientito.
«Come..?» non terminò la frase, lei lo prese per la mano e lo trascinò oltre la corda rossa e oro.
Ballarono per ore. Una musica veloce e compulsiva che Kioshi aveva sempre detestato, fino a quel momento.
Un paio di ragazzine poco vestite urtarono la ragazza dai capelli rossi. Una di loro si frappose tra lei e Kioshi arrogante, quasi quanto lo era la sua maglietta fucsia.
Lui si scostò con un sorriso cortese e si avvicinò di nuovo alla ragazza con i capelli rossi.
Le due amiche si scambiarono un sorriso e di nuovo maglietta-fucsia si lanciò all'attacco.
«Perché non mi offri a bere, fa un caldo qui!» Lui rimase basito qualche secondo, accennò col capo alla ragazza che era stata appena esclusa dalla conversazione e di nuovo si scostò.
La ragazzina allora si slacciò i primi bottoni della camicetta e barcollando si avvicinò ancora.
«Ma non senti che si brucia?» terminò la frase con una risata, impastata ai fumi dell'alcol.
La ragazza dai capelli rossi che non aveva smesso di sorridere, guardò in alto, fece scorrere lo sguardo tra il dedalo di tubi per l'areazione e le luci strobo, finché non individuò quello che cercava. Fissò il bocchettone antincendio e dopo un istante, una pioggia gelata si riversò sulla rivale.
Un paio di gridolini di sorpresa precedettero il coro di risa, e l'inevitabile vuoto attorno alla ragazzina ormai zuppa.

Kioshi cinse le spalle della sua accompagnatrice scortandola al bar, mentre alcuni uomini della manutenzione si precipitavano nella pista da ballo.
«No grazie, non bevo mai alcolici.»
La ragazza sciolse la coda e si ravvivò i capelli, Kioschi si sorprese a pensare di non averne mai visti di tanto splendenti.
«Bellissima, virtuosa e... Misteriosa! Non conosco nemmeno il tuo nome.»
«Puoi chiamarmi Kitz.»
Un uomo troppo avanti con gli anni per frequentare un locale come quello caracollò su di loro, biascicò qualcosa, poi rovinò addosso alla ragazza.
«Hei, ma che cazzo fai?» Kioschi non era mai stato un uomo violento, né particolarmente impulsivo, ma prendere l'ubriaco per il collo della maglietta e scaraventarlo un paio di metri più indietro gli era sembrato naturale.
Quando si voltò verso la ragazza, lei si era già alzata. I grandi occhi nocciola fissi su di lui.
«A questo punto devo andarmene.»
«Cosa? Perché?»
«Succede sempre così...»
Kioshi si pulì le mani sui jeans, alzò lo sguardo e lei era sparita.

Il giorno successivo sembrava privo di scopi. Comunque, Kioshi si era alzato un'ora prima della sveglia e aveva annaffiato i suoi bonsai, comunque aveva corso i suoi tre chilometri quotidiani, comunque era arrivato in orario al lavoro.
Aveva già inchiostrato una tavola quando l'interfono gracchiò il suo nome.
Non era mai stato nell'ufficio del direttore, lavorava lì solo da pochi mesi. Si sedette su un divanetto in eco pelle, nero. Un vecchio dipinto decorava l'ampia parete, altrimenti spoglia.
Il soggetto lo aveva visto molte altre volte, un demone volpe nell'atto di trasformarsi in una splendida ragazza. Ma l'intensità degli occhi nocciola dello spirito raffigurato, non lo avevano mai colpito tanto.
«Mio padre era un grande pittore.»
Il ragazzo scattò in piedi, scusandosi goffamente.
«Mi dicono che sei un buon elemento, e che potresti passare alle matite.» Lui si limitò ad annuire.
«Bene! Portami qualcosa per domani, e deciderò se è arrivato il momento di una promozione.»
Il direttore non aspettò l'inchino di commiato e si richiuse la porta alle spalle.
Quando rientrò nel suo modulo, Tetsuia e altri due colleghi erano lì ad aspettarlo.
«Allora? Che voleva il grande capo?»
«Devo portare degli schizzi domattina e forse passerò alle matite.» Ripeté meccanicamente, quasi atono.
Tetsuia sfoderò un sorriso visibilmente forzato. «Allora stasera si festeggia!»
Avrebbe voluto dire di no, sapeva che nessuno di quei tre poteva essere veramente felice per lui. Tetsuia inchiostrava da anni, il suo corpo flaccido e la sua pancia prominente erano il segno inequivocabile di una vita passata davanti a un tecnigrafo. Degli altri due sapeva poco, ma erano entrambi lì quando lui fu assunto. Per un istante la malsana idea che lo avessero invitato per impedirgli di prepararsi degnamente, lo colse.
Aveva poche tavole pronte, ma sperava anche di rincontrare Kitz, quindi accettò.
«Va bene, va bene. Ma il locale lo scelgo io.»

La discoteca era chiusa, Arata e Tetsuia avevano appreso da un ambulante lì vicino, che un inspiegabile guasto all'impianto antincendio della sera prima aveva allertato i vigili del fuoco e il locale sarebbe rimasto chiuso qualche giorno, il tempo necessario ai controlli di routine.
Kioshi si perse tra le luci della Tokio Tower, si accorse che Hoshi gli stava parlando, solo quando questi alzò parecchio la voce. «Dico, ci beviamo una birra in quel pub laggiù?»
La voce flautata di una donna anticipò la risposta, «volentieri!»
«Sei arrivata! Pensavo che avrei dovuto aspettare chissà quanto.»
Kitz era anche più bella della sera precedente, i capelli sciolti le cadevano in ciocche sulle spalle scoperte. Il corpo aggraziato, fasciato da un abito lungo.
«E chi è questa bellezza?»
Arata non era avvezzo a commenti inopportuni, di solito.
«Ragazzi credo che potremmo rimandare, la discoteca è chiusa, e io domani devo alzarmi presto.»
Tetsuia intervenne cingendo i fianchi della ragazza, «come tutti noi del resto, una birra e poi a nanna.»
Attraversarono la strada principale agilmente, scivolando tra le auto ferme da un traffico congestionato. Una decina di cartelli pubblicitari a led, informavano la popolazione dell'imminente avvento di una nuova, imperdibile bibita gassata.
Il gruppo si infilò nel bar karaoke già stipato, indicato da Hoshi. Era chiaro che gli avventori della discoteca avessero avuto lo loro stessa idea, riversandosi nei locali attorno alla Tokio Tower.
Arata era una specie di gigante e ci volle tutta la sua irruenza per guadagnare il bancone, fece largo agli atri con un paio di spallate, confidando che in pochi avrebbero avuto la cattiva idea di contestargli alcunché. «Cinque Banzai cocktail!» urlò al barista, senza tener conto delle proteste di Kioshi.
Un successo di venticinque anni prima veniva martoriato dai latrati sconnessi di un uomo in giacca e cravatta. E Arata aveva ordinato un secondo giro.
«Kitz non beve alcolici.»
Una risata coprì le proteste del ragazzo, «mi sembra che abbia bevuto, invece. Forse non beve con te!»
La pista da ballo era larga solo una decina di metri, me era gremita di persone: ballavano in modo scomposto e frenetico, ammassate le une sulle altre.
Hoshi batté col palmo aperto sul tavolo tre volte, e ululò imitando un vecchio cartone animato americano, «un punto per Arata!»
«Ma che cavolo vi prende a tutti? Kitz vieni, andiamo via.»
Tetsuia arpionò la ragazza per la spalla e la costrinse di nuovo a sedere, «è ancora presto, dove andate?»
Kioshi si accorse troppo tardi della presenza di Arata alle sue spalle, con un colpo sul collo gli impedì di alzarsi. La musica sembrava più alta, e la gente più invasata. Il ragazzo diede una veloce occhiata introno, ma nessuno incrociò il suo sguardo. «Non fate i coglioni, voglio andarmene da qui!»
Kitz poggiò i palmi sul tavolo nell'atto di sollevarsi, abbassò la testa fin sopra la candela decorativa accesa e vi soffiò sopra. Invece di spegnersi si ravvivò, esplodendo un istante più tardi in una vera e propria fiammata. La lingua di fuoco saettò intorno al tavolo bruciando le mani di Hoshi. Gli altri fecero un salto indietro, Tetsuia cadde addirittura dalla sedia.
La base continuava a cinguettare mentre l'uomo con la cravatta, come il resto degli avventori, non riusciva a distogliere lo sguardo dal tavolo in fiamme.
Kitz afferrò la mano di Kioshi.
«Andiamo via!»
I due si precipitarono fori dal locale, seguiti dal resto del clienti allertati dall'allarme antincendio, pochi secondi più tardi.
La piazza sembrava essersi svuotata, solo qualche automobile e le persone che avevano appena abbandonato il bar karaoke,
Kioshi non lasciò la mano della ragazza, la trascinò oltre la carreggiata, e dentro una via stretta. «Ho parcheggiato qui, ti porto a casa.» Avevano smesso di correre, certi che la follia dei colleghi di lui, si sarebbe chetata al pari del fuoco, con l'arrivo delle autorità.
«Mi dispiace, ti sei spaventata?»
Lei guardò verso la fine del vicolo, da un lato un muro, dall'altro le luci della piazza arrivavano velate, si toccò il viso con le mani, e si appoggiò alla portiera dell'utilitaria verde chiaro.
Una mano appoggiata sotto al seno, l'altra si muoveva in modo nervoso avanti e indietro. «Accadono sempre queste cose quando ci sono molti maschi. Mia madre me lo ripete di continuo, per questo non posso bere. Per questo devo essere sempre concentrata. Il mio odore inibisce la gente.»
Kioshi finse di capire e assentì con un sorriso. Protese un braccio verso di lei.
L'unica cosa che sentì dopo, fu il rumore secco delle sue costole che si rompono.
Rotolò a terra senza fiato, le braccia strette al torace. Un metro più indietro Arata brandiva il crick cui lo aveva percosso. Il gigante si lanciò su di lui e lo colpì al volto con un calcio. Kioshi riuscì a distinguere il grido della ragazza, nel fischio continuo che gli era esploso in testa. Non ebbe nemmeno il tempo di gridare, perché anche Hoshi si era lanciato su di lui e lo aveva afferrato per i capelli. Sentì in modo distinto due denti saltare, e la conseguente ondata di sangue riempirgli la bocca, con il secondo calcio.
«Volevi tenerla tutta per te?»
Le lacrime impastate al sangue gli offuscavano la vista, intravide Tetsuia scaraventare la ragazza contro la portiera e strapparle il corpetto del vestito.
Gli altri due lo lasciarono per precipitarsi dal lato opposto del vicolo.
Arata la sollevò, strattonandola per il collo, sembrava così piccola schiacciata dal corpo di quel gigante. Non riusciva a sentirla piangere, non riusciva a vederle il volto, tutto intorno a lui aveva preso a vorticare. Sputò una boccata di sangue e trascinandosi sui gomiti cercò di avvicinarsi.
"Lasciatela stare!" Lo aveva detto, lo aveva gridato, ne era sicuro! Anche se dalle sue labbra spaccate non usciva altro che sangue.
Tetsuia si era slacciato i pantaloni, con una mano teneva quella di Kitz bloccata contro il tettino della macchina, e con l'altra aveva preso ad armeggiare sotto al vestito, ormai lacero.
Riuscì a toglierle le mutande, mentre già Arata le sollevava le gambe, pronto a possederla.
Il più grosso dei tre incurvò la schiena, per appoggiarsi addosso a lei nello slacciare i pantaloni, e impedirle di muoversi. Per un istante Kioshi vide il volto di lei.
Le labbra e il mento sporchi di sangue e lo sguardo terrorizzato. Aprì la bocca e gridò.
Qualcosa di simile a un ultrasuono esplose nella stradina, i vetri delle finestre sovrastanti si infransero nello stesso momento, ricoprendo assalitori e vittime di una scintillante pioggia di cristallo.
I tre si coprirono la testa con le mani e le braccia, e costringendosi a lasciarla si accovacciarono. Solo quando lei cadde in ginocchio il suono smise.
Kitz raccolse un lembo della propria gonna da terra e scattò in avanti, solo due passi e Hoshi le afferrò la caviglia. La ragazza crollò a terra, il viso vicino a quello di Kioshi.
Tetsuia le saltò addosso, la rivoltò con violenza a la mise supina. Un cazzotto su quel viso d'angelo le fece perdere i sensi per qualche secondo.
Aprì gli occhi quasi subito, ma l'uomo le era già sopra. Le schiacciò il collo con una mano e la penetrò.
Kitz spalancò la bocca di nuovo, ma stavolta un fascio compatto di fuoco le sortì dalle labbra, infrangendosi sul volto dello stupratore.
Continuò a sputare fuoco finché un calcio al viso, di Arata le chiuse la bocca.
«Ma che cazzo di mostro sei?» preso dal panico Hoshi sollevò sulla testa un bidone dei rifiuti e glielo lancio addosso.
Un momento più tardi gli unici suoni erano quelli dei clacson, poi distanti.
Kioshi non aveva più la forza di gridare, quasi strisciando si avvicinò alla ragazza, avvicinò una mano e fece rotolare via il secchione. Da sotto il sangue e l'immondizia, due occhi vuoti avevano smesso di fissarlo.

Il frastuono li sorprese ancora immobili.
Un rumore assordante di metallo saturò l'aria, la terra iniziò a tremare, poi esplosero le grida. Dal vicolo videro passare una fiumana di gente, correvano e gridavano, continuando a voltarsi indietro. Con i volti contratti dal terrore, calpestavano chi era caduto, e continuavano a correre.
Arata e Tetsuia si avvicinarono, verso quella che comunque, era l'unica via di fuga.
Furono investiti da una nube di polvere e detriti. Tra le urla e il delirio riuscirono a percepire un nome ripetuto più volte e da più parti. Kitsune.
Davanti alla Tokio Tower, sospesa a mezz'aria, levitava una donna dai lunghi capelli color argento.

"Dov'è?"

Le parole non furono udite con le orecchie ma risuonarono nella cassa toracica e nella mente. La donna protese le braccia e sospinse il vento in avanti. Almeno trenta vetture, come foglie spazzate, volarono per un centinaio di metri, accartocciandosi sopra a quelle in fuga.

"Dov'è?"

Allargò le braccia dunque, portandole dietro alla schiena, le sue nove code color ghiaccio aperte a ventaglio, vibrarono. Alle sue spalle la torre prese ad attorcigliarsi. Si piegò e si contorse. Il rumore era assordante, tanto che ogni individuo della massa in fuga, cadde carponi, le mani pigiate sulle orecchie sanguinanti.
Il cielo aveva preso una sfumatura grigio scuro, infilzato da colonne di fumo nero, dritte come lance, che si levavano dalle auto incendiate.
La Kitsune vibrò le code di volpe ancora più forte. La terra tremò di nuovo e una profonda voragine si aprì nell'asfalto, ingoiando ogni cosa nel raggio di cinquanta metri.
Ormai nulla era più distinguibile nella cacofonia di grida, sirene e clacson.
Strinse le mani infine e la torre di metallo si accasciò su se stessa, le putrelle come enormi bastoni di liquirizia si attorcigliarono e piegarono, cozzando con i palazzi vicini.
Una valanga di detriti tracimò in quello che restava della piazza, come vomitata dalla bocca dell'inferno.

"Voi."

Girò lo sguardo verso il vicolo dove Hoshi e Arata si erano inginocchiati, stretti l'uno all'altro come bambini.
Tra le affusolate dita della donna si materializzò una sfera luminosa, e con la stessa indifferenza con cui si scaccerebbe un insetto molesto, gliela scagliò contro.
Il fuoco li divorò in pochi secondi, ancora meno impiegò lo spirito a raggiungerne i resti sfrigolanti.

Kioshi era seduto, la schiena appoggiata al muro che chiudeva il vicolo e il corpo senza vita di Kitz adagiato sulle gambe.
Non sapeva cosa sarebbe accaduto, ma aspettare la morte con lei, gli era sembrato il modo migliore di andarsene.
La kitsune si avvicinò e raccolse il corpo senza vita da terra, stringendolo tra le braccia. Una coda di volpe, rosso mattone, scivolò da sotto i brandelli del vestito.
«Tu hai cercato di proteggere mia figlia?» Gli chiese con una voce finalmente umana.
Il ragazzo non rispose, poggiò una mano sul proprio torace, anche respirare era diventato faticoso.
Un globo luminoso simile a quello evocato in precedenza, apparve davanti alla donna, «so che lo hai fatto.»
La sfera si ingrandì fino a fagocitarle entrambe, poi come una bolla di sapone scoppiata, scomparve.

Kioshi voltò il capo da un lato, le sirene delle autoambulanze e dei pompieri erano più vicine, deglutì ancora una boccata di sangue e aspettò.


Autorizzo l'eventuale pubblicazione su Skan magazine.
 
Contacts  Top
view post Posted on 15/9/2012, 19:45
Avatar

Advanced Member

Group:
Member
Posts:
1,111

Status:


PETTINI E COZZE AL CURRY




chef



– Questa pastasciutta fa schifo!
– Huè Miche’ – risponde Domenico con rabbia al figlio, – ma tu hai astutichito proprie! Ma ti pare? Urlare ‘ste cose in cucina con tutti i clienti in sala?
– Clienti? Ma se la sala è vuota.
– E quel cristianone con la barba vicino all’acquario?
Michele si affaccia in sala e quando rientra conferma: – Hai ragione pa’. Scusa.
– Tu mi vuoi rovinare.
– Io? Ma se sono settimane che non viene più nessuno.
– E che ci posso fare se tre mesi fa quello strunze è venuto a morire proprio qui? Tutti dicono che è stato a causa della mia cucina, ma quello l’infarto se l’è meritato! Stava come nu puerche. Pesava centottanta chili. Otto paramedici ci sono voluti per sollevarlo!
– E due ambulanze per portarlo via.
– Sì, sfotti. Ma qui, quella sera, c’erano davvero due ambulanze. E anche due auto dei carabinieri, tre della polizia…
– E quattro dei pompieri.
– Ehi Miche’, ma tu vuoi farmi incazzare? Se ti dico che era un casino era nu ca–si–ne! E per forza che stanno tutti a dire che da Mimino il tarantino si mangia male!
– È vero, – ammette Michele, – siamo stati sfortunati. Ma qui, ammettiamolo, non si è mai mangiato davvero bene. Ma adesso… è pure peggio.
– Ehi, sciacquate ‘a vocche! Come ti permetti a dire cose del genere?
– Va beh, allora non te lo dico che quel sugo fa schifo. Assaggialo. È salatissimo!
Domenico non si muove, ma quando il figlio gli mette davanti una forchettata di pastasciutta, accetta remissivo. Due secondi e sputa tutto nel tritarifiuti.
– Allora?
– Nu schife! – Quindi, urlando al cuoco, aggiunge: – Aziz! Ma come cazzo lo cucini il sugo di cozze al paese tuo?
– Non ci sono cozze a Marrakech. – Risponde il cuoco Marocchino in un italiano impeccabile.
In quel momento, il campanello montato sulla porta annuncia l’arrivo di altra gente.
– Sei fortunato. Ci stanno i clienti. – Dice Domenico uscendo.

chef



– Scusa Aziz. – Dice Michele.
– Non preoccuparti. Sono abituato alle sfuriate di Mimino.
– Sì, sarai pure abituato alle sue sfuriate, ma quel sugo fa davvero schifo.
– E che ci posso fare? Mimino mette sale in tutte le pentole senza nemmeno assaggiare?
– E tu diglielo che ce l’hai messo.
– E glielo dico sì, ma poi, quando è in buona, mi dice di star zitto che io so fare solo il Kebab! Ehi! Ma Ridi?
– Scusa, ma la battuta è bella. C’è del vero.
– Vero? Ma se il kebab è turco!
– Dai, non fare così. Neanche fossi un grande chef.
– Ora mi arrabbio. Lo sai che sono diplomato alla scuola di cucina di Gordon Ramsey…
– Sì, lo ripeti di continuo, ma figurati se uno che ha studiato con quello là finiva a lavorare in una bettola come questa.
– Quante volte devo ripeterlo che ho avuto i ladri in casa e mi hanno preso il diploma?
– Ma sono tre mesi che lavori qui, da dopo la morte del grassone. Com’è possibile che ancora non te l’abbiano ridato?
– E che ne so? – Risponde il cuoco mentre fa saltare una padella sul fuoco. – Telefono tutti i giorni, ma la risposta è sempre la stessa: se Ramsey non ripassa da Siena, niente da fare. Deve firmarlo in originale…
– E ‘na cazzo di copia nel frattempo no? Un attestato piccolo piccolo, un foglio a quadretti con su scippata ‘na firma. Cazzo Aziz come faccio a crederti. Siamo nell’era delle e.mail…
– Guarda che Gordon ha degli standard altissimi, non manda i suoi attestati esclusivi da chef per e.mail.
– Bha, lasciamo stare. Ora lo chiami pure Gordon. Fra un po’ mi dirai che sei il suo testimone di nozze. Finiscila con ‘sta storia e mettiti al lavoro. Sarai anche un allievo di Ramsey, ma il sugo di cozze faceva schifo.

chef



Michele va dal padre e si sorprende di quanta gente ci sia in sala.
– Hei Miche’ vatt’a mettere nu sunale che m’hai d’aiuta’!
– Che cos’è che devo andare a mettermi?
– Nu sunalicchie! Un grembiule! Ma che razza di tarantino sei?
– Ueh papi, mi sun de Milan! Altro che tarantino. Nato e cresciuto all’ombra della Madunina!
– E c’hai ragione. Ancora mi chiedo come ho fatto a finire qui cinquantasei anni fa! Comunque preparati. Questa sera è tosta. Nemmeno so se c’è cibo per tutti.
– Non ti preoccupare, – dice Michele indossando un grembiule, – tu vai in sala a prendere gli ordini, io do il ritmo alla cucina e porto fuori i piatti.

chef



– Scusi. Ci porta il menù?
– Il menù?
– Sì, il menù.
– Vede, qui non usiamo presentare i piatti su carta. Preferiamo dirli a voce.
– Beh, allora… ci dica. Cosa ci consiglia?
– Fagioli.
– Fagioli? Fagioli come?
– Allora… Fagioli a zuppa. Zuppa di fagioli. Pasta e fagioli. Fagioli con la pasta. Zuppa di pasta e fagioli.
– Ma? Sa che è davvero un fenomeno? – Dice il signore mentre tutti quelli al tavolo scoppiano a ridere.
– Grazie. È che mi piace scherzare. Vede… per mettere a proprio agio i clienti. Facciamo così, se vi fidate, una serie di antipasti e un bel piatto di linguine all’astice di primo. Poi, se avete ancora fame, vi preparo anche un bel secondo.
– D’accordo. Mi fido di lei.
– Intanto vi porto da bere.

chef



– Mannagghia Miche’! – Esclama Domenico rientrando in cucina. – Non ho mai avuto così tanta gente. Pensa, uno voleva pure il menù! E io che non so nemmeno che c’è nel frigo.
– Beh, ho visto che te la sei cavata bene.
– Sì, ho declinato la parola fagioli in tutte le sue forme e salse. Un disastro!
– E se facessimo lo stesso menù per tutti? – Dice Aziz.
– Ehi, grande chef, – risponde Domenico imbronciato, – non è che questa è opera tua? Magari hai chiamato quel tuo amico cuoco, che a me pare pure un tantino ricchione, e adesso mi ritrovo una videocamera nel forno per vedere s’è sporco?
– Gordon non è gay! – Risponde il cuoco piccato. – E comunque, io non ho chiamato nessuno!
– Però è vero, – s’intromette Michele, – da qualche sera su Sky trasmettono un programma dove dei collaboratori di Ramsey vanno a provare i ristoranti con le videocamere nascoste.
– Ecco! – Esclama Domenico battendo le mani e stringendosele al petto. – U sapev’ie! Lo sapevo! Adesso corro ad accendere la TV in sala per controllare, ma ti giuro Aziz che se solo vedo una telecamera, io te spacc’ ‘a facce. E non ti salvi nemmeno se crolla San Cataldo!
– San Cataldo?
– Ignorante. – Dice Domenico schifato.
– È il duomo di Taranto. – Spiega Michele.
– Tutto qui? – Chiede in tono ironico Aziz.
– Continua a scherzare che solo con il crollo del duomo di Milano ti salvi! Ora basta fesserie. Qui ci vuole un menù!
– Tu hai le idee confuse su che cosa sia un menù.
– Ehi non litigate. – Interviene spazientito Michele. – Dobbiamo darci da fare.
– Io un’idea ce l’ho. – Dice serio Aziz. – Però ho bisogno di qualcuno che mi dia una mano.
– Ok. – Concorda Michele. – Vado a prendere la mamma e mia sorella. Cinque minuti e vedrai, con loro in cucina non avrai problemi. Intanto pa’, torna in sala a portare da bere.
– D’accordo. Ma prima accendo la televisione.

chef



– Allora siete pronti a fare uscire qualche piatto?
– Mimino aspett’ ca simme arrivate mo’ mo’!
– È vero Domenico, – S’intromette Aziz, – sono appena arrivate. Giusto il tempo di mettersi il sunale…
– Ehi Aziz, adesso parli pure tarantino? Giuro che a fine sera ti uccido!
– Scusate, – dice l’uomo che sedeva vicino all’acquario, affacciandosi in cucina, – dov’è il bagno.
– Ehi, non si può entrare qui. – Dice brusco Domenico. – E poi, dove vuole che sia? In fondo a destra.
– Papà sei contento? – Grida in quel momento la figlia saltandogli al collo.
– E perché Grazia? Non hai visto quanta gente c’è in sala?
– Certo! Sono stata io!
– Cosa?
– Sì. Ho fatto stampare un po’ di volantini e sono andata a distribuirli in giro!
– Ma… che cazzo! E me lo potevi pure dire!
– Ma la mamma ha detto che doveva essere una sorpresa.
Domenico si sottrae all’abbraccio della figlia e con rabbia affronta la moglie. – Rosa! Ma hai astutichito pure tu?
– Ueh Mimine. No face u maschele de case cu mme!
– Il maschio di casa? Ehi Rosa, non ho voglia d’incazzarmi di più! Incomincia a pulire i piatti che se no dopo gli antipasti dobbiamo far mangiare i clienti sui tavoli.
– Io non lavo piatti! Falli lavare ad Alì Babà!
– Io mi chiamo Aziz e non sono uno sguattero. Sono uno chef.
– Ehi bello. – Dice Rosa con le mani sui fianchi. – Se stai qui a spignattare è perché io mi sono messa in pensione dopo quarant’anni di cucina. E se sono venuta, è per dare una mano ai fornelli, no di certo per lavare i piatti.
– Non litigate. – Interviene Grazia lanciando uno sguardo alla madre e un sorriso ad Aziz. – Li lavo io.
– Allora. Che cosa prepariamo?
– Signora. Oggi è arrivato un sacco di pesce fresco. Possiamo sbizzarrirci. Suo marito non l’ha ancora congelato!
– Stai cominciando con il piede sbagliato. Poche chiacchiere. Che cosa prepariamo?
– Per antipasto farei un po’ di gamberi e pesce spada crudi marinati in olio e limone. Pettini e cozze gratinati, gamberoni in salsa aurora, salame di tonno e polipo in cassetta.
– E chi li ha mai sentiti ‘sti piatti? E poi, ce la facciamo a farli in venti minuti?
– Bhè, il polipo in cassetta me l’ero preparato per me oggi pomeriggio. Ma visto l’andazzo, rinuncio volentieri. Pettini e cozze sono già aperti in due, visto che Domenico me li fa congelare così! Basta solo guarnirli e metterli in forno. Il salame di tonno è solo da affettare…
– E i gamberi in salsa aurora?
– Beh, ho già fatto anche quelli.
– Ma tu che ne sapevi che stasera sarebbero arrivati tutti ‘sti cristiani?
– Ma come! – Esclama il cuoco. – Lei e sua figlia fate stampare i volantini e adesso è colpa mia se il locale è pieno di gente?
– Bah, lasciamo stare. Allora, i gamberi?
– Domenico, quando arriva il carico al martedì, me li fa pulire e sbollentare prima di metterli in freezer. Ho finito meno di un’ora fa. Basta tirarli fuori e buttarli in acqua bollente per cinque minuti. Per la salsa aurora… Beh, che Gordon mi perdoni, useremo quella confezionata.
– Mmm… Hai le idee chiare ragazzo. Mi piaci.
– Grazie. – Dice Aziz sorridendo a Grazia.
– Levami una curiosità. – Dice Rosa dopo un’occhiata alla figlia. – Ma ce sso le pett’ne?
– Cosa?
– Che cosa sono i pettini? – Traduce Grazia scandendo le parole.
– Aah… le capesante.

chef



– Come procede? – Chiede Domenico tornando in cucina.
– Siamo pronti con gli antipasti. – Dice Michele. – Ma tu dov’eri finito?
– Ma che ti credi, che sia uno scherzo dare pane, vino e acqua a cinquanta cristiani?
– Caspita Mimino, sei meglio di Gesù!
– Guai a te Aziz! Spera che cada la Madonnina altrimenti questa sera ti uccido! Come se non bastasse quel rompipalle vicino all’acquario!
– Che ha fatto? – Chiede Michele incuriosito.
– Ha voluto cambiare posto. Adesso sta qui dietro la cucina, seduto a quel tavolino stretto di servizio.
– E perché?
– Dice che dove stava prima era pieno di spifferi.
– Ma non è che quello ci sta tenendo d’occhio?
– Tu dici? – Risponde Domenico in un sussurro per non farsi sentire.
– Ma che fai Aziz? – Urla Rosa. – Metti il curry sulle cozze gratinate?
– Rosa! – Sussurra perentorio Domenico. – Ma vuoi proprio che ci scoprano?
– E chi ci deve scoprire? E a fare cosa, poi?
Domenico fa’ dei gesti con la testa riferendosi all’uomo con la barba seduto vicino alla porta.
– Ma finiscila. E portagli da mangiare questo. Poi torna subito qui che dobbiamo servire gli altri.

chef



– Caspita Aziz. – Dice Grazia dopo un giro veloce in sala. – Sono tutti contenti. I tuoi antipasti sono andati alla grande e adesso si stanno rimpinzando di tagliolini all’astice.
– Davvero! – Conferma Michele. – C’è chi mi chiede la ricetta.
– Grazie. Ma per i tagliolini dovete fare i complimenti a vostra Madre. Mi ha confidato alcuni segreti che nemmeno Ramsey…

chef



– Dannate! – Sbotta Michele entrando in cucina e sbattendo un foglio sul tavolo. – Voi volete la mia testa!
– Che cos’è?
– Varde Miche’ che si sono inventate ‘ste pazze. Me l’hanno dato i primi che si sono alzati a pagare.

VENITE TUTTI DA MIMINO IL TARANTINO
PESCE FRESCO A VOLONTÀ



– No. Più in basso. La scritta rossa sulla destra.

50% DI SCONTO A CHI ESIBIRÀ QUESTO VOLANTINO



– Matte! Matte! Voi volete la mia rovina! Ma che credete che io sto qui ogni sera per gioco?
– Bhè… Forse il cinquanta è un po’ troppo, però…
– Però che cosa Aziz?
– È una bella pubblicità. Con i prossimi clienti inizieranno i guadagni.
– Stai attento a quel che dici Alì babà. Ho visto come guardi mia figlia, ma non ti lascerò fare i tuoi loschi affari. Te lo ripeto: spera che crolli il duomo oppure…
– Scusate, – dice l’uomo con la barba affacciandosi in cucina. – purtroppo ho un po’ di fretta se mi dite quant’è.
– Arrivo. – Dice Domenico trattenendo a stento l’ira. – Aziz, ti sei salvato di nuovo. Ma è questione di minuti.

chef



– Anche gli ultimi se ne sono andati. – Annuncia Michele entrando in cucina.
– Bene. – Dice Domenico puntando gli occhi su Aziz. – Adesso possiamo fare i conti.
– Ma? Mimino, io pensavo scherzassi.
– O sì, sei libero di pensarla come vuoi. Io intanto mi preparo.
– Ma che fai? – Interviene Michele vedendo suo padre staccare la mannaia dal muro.
– Levati! Ho detto che l’uccidevo e mo’… l’agghie a ffa’!
– Ma non dire stuticarie! –Interviene Rosa.
Intanto Aziz prova a spostarsi verso la porta, ma Domenico si sposta impedendogli il passaggio.
In quel momento entra Grazia con il telefono cordless. – Aziz c’è un certo Gordon che chiede di te.
Aziz non se lo fa dire due volte ed esce dalla cucina di corsa.
– Ma allora? – Balbetta Domenico.
– Eh sì, è tutto vero. – Continua Michele.
Domenico appoggia la mannaia sul tavolo e pensieroso si lascia abbracciare da Rosa.
– E dai, Mimino, calmati.
– Ma allora… Vuoi vedere che…
– Che cosa Miche’?
– Quel rompipalle con la barba.
– E che c’entra mo’ quello scassacazzi?
– Come pa’, quello doveva essere uno di Sky! Altrimenti perché si è affacciato addirittura due volte in cucina?
– Mannagghia Miche’, e c’hai ragione! E io che l’ho pure trattato male. É stato l’unico che ho fatto pagare per intero.
– Ma come?
– Era senza volantino!
Seguono alcuni secondi di assoluto silenzio. Poi, Domenico torna a impugnare la mannaia e con urlo belluino corre in sala. – Adesso ti uccido. Ti uccido. Com’è vere cc’a me chiame Mimine!
– Cosa? – Chiede perplesso Aziz che non ha afferrato la situazione.
– Te lo fai tradurre da qualcuno quando arrivi di là. – Grida Domenico afferrando Aziz al colletto mentre alza la mannaia sopra la sua testa.
È in quel momento che parte la sigla del telegiornale: – Edizione straordinaria! Edizione straordinaria. Siamo in diretta da Milano, piazza del duomo, per darvi testimonianza di un disastro inaudito: l’abside del duomo ha ceduto e si teme per il crollo di quanto rimasto in piedi. La Madonnina giace a terra tra tonnellate di marmo frantumato. Fortunatamente alle 23 e 42 , ora del crollo, la cattedrale era vuota. Non sono però da escludersi vittime tra gli eventuali passanti.


Autorizzo la pubblicazione su Skan Magazine

Edited by Rovignon - 15/9/2012, 22:40
 
Top
Sol Weintraub
view post Posted on 15/9/2012, 20:22




NOZOMI


- SPERANZA -


Racconto Rimosso

Edited by Marco Lomonaco - Master - 3/9/2015, 10:22
 
Top
cristiano rimicci
view post Posted on 15/9/2012, 21:34




ULTIMO BALUARDO

Piazza dei Miracoli non dorme, riposa.
Lo stendardo rosso con la croce bianca sventola orgoglioso sopra il campanile del Duomo.
Pisa combatterà con tutte le sue forze e se dovesse cadere, i Pisani sapranno cosa fare.
Il Demonio non avrà mai questa città, dovrà accontentarsi del suo cadavere.

I fuochi di bivacco, accesi per riscaldare la gelida notte, stanno esalando i loro ultimi respiri.
I volti smunti dei soldati dell’Armata di S. Sepolcro cercano qualcosa da mangiare.
C’è rimasto ben poco ormai. I civili rifugiati all’interno di Ultimo Baluardo hanno portato solamente pochi viveri, non hanno avuto il tempo per prepararsi: l’attacco del nemico è stato devastante e improvviso, ha attaccato via mare.
Livorno Incatenata è stata la prima a cadere.
- Non abbiamo fatto abbastanza! Li abbiamo lasciati morire come carne da macello…-
- Mastro Ranieri, non vi colpevolizzate per la perdita della città carcere, i suoi abitanti hanno ricevuto la grazia del Signore nostro Dio, hanno combattuto, sono morti e adesso sono nella Luce.-
- Che il Divino li accolga nel regno dei Cieli. Adesso vai Bonanno, fedele compagno, lasciami solo coi miei peccati. Torna solamente quando tutti i messaggeri saranno rientrati. –
Il militare, con la spada conficcata nella nuda terra e ben salda nelle mani, si volta velocemente, estrae l’arma dal suolo e si congeda dal superiore.
Il Gran Maestro è rimasto solo. Dall’interno della sua tenda può udire il suono cupo dei tamburi degli Infedeli che assediano Piazza dei Miracoli.
Ha paura.
Si sdraia supino sull’erba fresca e apre le braccia.
Il suo corpo è una croce.
La sua anima consumata è l’ultima difesa del Cristianesimo: se Pisa cade il Gran Ducato verrà schiacciato dalle forze del Male e, probabilmente, tutta la penisola verrà conquistata.

Improvvisamente, la cancellata che veglia in direzione Foriporta viene aperta.
Un cavaliere galoppa veloce, porta con se lo stendardo gigliato.
Un dardo sfiora la sua testa, un altro quella del poderoso destriero.
- Chiudete il cancello presto! Il messaggero è dentro Ultimo Baluardo -
Bonanno ripiega velocemente la mappa della città e accorre verso il fiorentino.
Il cavallo arresta la corsa ad un palmo dal naso del soldato pisano, un nitrito liberatorio…
- Porto cattive notizie. Firenze l’ Illuminata è stata presa dall’interno.-
- Maledizione! Com’ è accaduto?-
Il messaggero si asciuga il sudore con il suo stendardo, scende da cavallo e comincia a riportare ciò che è successo tra le sue mura.
- Sono stati gli Scommettitori, hanno distrutto Ponte Vecchio e il Ponte della Carraia dividendo la città. Quando mi sono messo in viaggio stavano mettendo a ferro e fuoco tutte le chiese del centro: Santa Croce, Santo Spirito, Santa Maria Novella…-
- E Nuova Inquisizione? Che cos’ ha fatto in tutto questo tempo?-
Il fiorentino scuote la testa:- Si dice che gli Scommettitori abbiano venduto l’anima al Diavolo: hanno barattato la propria città in cambio di laute vincite al gioco d’azzardo. Posso assicurarvi che il dolore che porto dentro è cento volte più grande della rabbia che esternate, soldato pisano.-
Bonanno sta per congedarsi dal messaggero quando questi lo ferma, ponendogli una mano su una spalla.
- Perdonate la mia curiosità…-
- Bonanno, il mio nome è Bonanno.-
- Perdonate la mia curiosità Bonanno, ma a Firenze corre voce che qui, tra le mura di Pisa, c'è un uomo che può sconfiggere L’Esercito delle Tenebre, da solo. Lo chiamano l’ Incappucciato-
- Potresti essere accusato di blasfemia per codeste parole…adesso sparisci! Abbevera il tuo cavallo e fallo riposare. Ripartirai domattina all'alba. E dì alla tua gente che Pisa resisterà…anche senza l’Incappucciato!-
Bonanno sputa in terra e corre via verso la tenda dov’è riunito il Gran Consiglio di Difesa.
Le guardie che controllano l’ingresso tirano a se le lance, lasciando passare il vice comandate dell’Armata di S.Sepolcro.
Appena varcata la soglia, il vociare degli Uomini Importanti si placa e tutti gli sguardi volgono verso di lui.
Arduino Fibonacci, lo Stratega rompe il silenzio:- Credevamo fosse l’uomo senza volto.-
- Gente di poca fede, ancora non credete in Mastro Ranieri.-
- E in che cosa dovremmo credere?- Replica Settimo Galilei, Sommo Maestro delle Arti Incomprese.- Dovremmo forse credere che l’uomo marchiato da Dio ci salverà? Ma nessuno ha mai visto quel marchio, tanto meno il suo volto. E se fosse un impostore?-
Bonanno impugna l’elsa della spada con entrambe le mani e con tutta la disperazione che ha in corpo lascia partire un fendente, dall’alto verso il basso, distruggendo il tavolo posto al centro della tenda. Calici di vino e ciotole di zuppa di farro schizzano in aria.
- Io ho combattuto al fianco di Ranieri e posso assicurarvi che quell’uomo è baciato dalla Grazia Divina. I miei occhi hanno visto cose che voi nobili e consiglieri di Pisa neanche potete immaginare. Ho visto interi blocchi di marmo alzarsi in cielo al semplice comando della sua mano destra. Ho visto gli stessi blocchi scagliarsi con violenza contro le armate nemiche di Pisa, guidati solamente dal movimento dell’altra mano del Gran Maestro. Ho visto…-
Un sibilo assordante interrompe Bonanno.
Tutti i membri del Consiglio escono dalla tenda.
Un enorme palla di fuoco verde ha appena sorvolato le mura di Ultimo Baluardo.
- Alto Fuoco! Alto Fuoco!-
Militari e civili scappano in mille direzioni cercando riparo.
Bonanno osserva la traiettoria a parabola dell’arma nemica incendiare il cielo sopra Piazza dei Miracoli.
Un sussurro:- No Signore mio, ti scongiuro…-
La palla infuocata centra il campanile del duomo, più o meno all’altezza del quarto anello di scale.
L’impatto è devastante, pezzi di pietra volano in ogni dove, alcune colonne crollano ma il campanile pendente è sempre in piedi.
Un altro sibilo, un’altra sfera infuocata, stessa traiettoria, medesima parabola.
Fuoco e gravità contro calce e pietra.
La torre resiste ancora.
Per poco.
L’Alto Fuoco brucia e divampa in lingue fumanti che avvolgono il simbolo di Pisa.
La calce comincia a sciogliersi, la pietra stride, si sgretola, si sfalda.
La parte superiore della torre, quella degli altri quattro anelli di scale scivola via, come tagliata da una lama invisibile.
I Pisani osservano atterriti e impotenti il loro gigante stramazzare al suolo.
L'impatto a terra fa sobbalzare tutta la piazza.

Un silenzio surreale cala su tutto il campo.
Fiammelle verdi e fumi grigi fuoriescono dalla base spezzata del campanile, prima di scomparire nell'aria incenerita.
L’altra metà della torre invece è ancora avvolta da una nuvola di pulviscolo bianco e nero.
Quando la polvere si posa al suolo le urla dei Pisani si alzano al cielo.
Imprecazioni, maledizioni, lamenti e preghiere.
All’esterno delle mura un boato nemico pregusta la vittoria.

Bonanno non si è mosso di un centimetro. I suoi occhi bruciano dal dolore e dalla polvere.
Lo sguardo fisso sulla metà del campanile ancora in piedi.
C’è uno stendardo che sventola tra le fiamme, ma non è quello di Pisa.
Il vice Comandante stenta a credere a ciò che vede.
E' una bandiera quadrata, suddivisa in due colori posti l’uno sopra l’altro, il bianco e il nero con una croce rossa che risalta nel campo scuro del vessillo.
E’ la bandiera dell’Ordine dei Templari.

Una sagoma sembra reggere quell’antico cimelio.
Una sagoma avvolta in una tunica marrone.
I soldati, i nobili e la gente comune allora cominciano a radunarsi ai piedi della torre dimezzata.
La folla mormora un nome, un titolo altisonante, un soprannome che incute terrore.
- E’ Ranieri! E’ Il Gran Maestro! E’ l’uomo senza volto…-

L’uomo senza volto, L’Incappucciato, colui che porta il Marchio Divino.

- Io porto il nome del Santo che protegge questa città! Il suo sangue scorre dentro di me!-
Un brusio di dissenso e incredulità si leva dal volgo pisano.
- Mostraci il Marchio Divino!- Grida un soldato.
- Si, mostraci il Marchio…impostore!- Gli fa eco la moltitudine.

- Un tempo ormai passato ci chiamavano Vituperio delle genti!- Urla Ranieri.
- Il Marchio, vogliamo vedere il Marchio!-
- I fiorentini, ancora oggi, mangiano pane sciapo, perché le nostre gloriose armate assediarono la città gigliata bloccando i rifornimenti di sale provenienti dalla costa.
Lucca Cento Chiese costruì poderosa mura, perché Pisa faceva paura!-
- La conosciamo la storia, vogliamo vedere la tua faccia…-

- Le nostre navi dominarono i mari, i nostri mercanti giunsero ai confini del mondo e i nostri guerrieri lottarono in Terra Santa proteggendo i pellegrini in viaggio, nel nome di S.Sepolcro. Perché Pisa sapeva essere anche misericordiosa.-
Non appena detta questa frase, prima ancora che la folla reclami nuovamente la sua vera identità, Ranieri toglie il cappuccio, mostrandosi ai suoi concittadini per la prima volta.
Ha una croce forgiata nella pelle, una croce cicatrizzata che gli sfigura tutto il lato destro della faccia.

La folla s’inginocchia.

- Genova ci prese con l’inganno, ma l’ingordigia di colui che ci tradì da uomo libero e potente, presto si trasformò in fame. E infame fu, fino all'ultimo dei suoi giorni terreni, anima dannata divenuta pane per altri dannati.
E a tutti quelli che ancora oggi preferiscono avere un morto in casa che un Pisano alla porta, io dico “Che il Signore vi accontenti!”-
Improvvisamente i Pisani riprendono il coraggio perduto, non sono soli, l’uomo toccato dal Signore esiste davvero, è davanti ai loro occhi e gli sta parlando.
- Pisa, madre patria di astronomi, scienziati, matematici e architetti.
Pisa, calce e pietra.
Pisa, solamente scalfita dall’unghiata del Demonio.
Pisa, che delle forze della natura ti sei presa gioco, hai cacciato gli Infedeli da Majorca.-
Adesso la folla ascolta con ardore, acclama, applaude…
- Pisani, vi chiedo l’ultimo sacrificio: oggi, come allora, ripudiate il Male, respingete l’Esercito delle Tenebre, siate la mano di Dio che ferma l’avanzata di Satana!-
Adesso Pisa è in delirio.
- Ricacciamo gli Infedeli! All’arme Pisani! Pisa Calce e Pietra…-

Nel giro di pochi minuti l’Armata di S. Sepolcro si ricompone, la Croce Armena in campo rosso è pronta per lo scontro finale. Al suo fianco ci sono i Cavalieri di Siena la Benestante, fedele alleata.
Gli stendardi della Tortuca, dell’Istrice e dell’Onda sono in prima fila, come sempre.
I cavalli scalpitano, hanno riconosciuto l’odore della battaglia.
Tutto è pronto.
I capitani di brigata guardano verso Ranieri.
Il Gran Maestro però non dà nessun ordine, s’inchina solamente, con la faccia rivolta verso la parte della torre spezzata adagiata al suolo.
Alza la mano destra.
Improvvisamente l’enorme struttura cilindrica si scuote.
Ranieri gira il palmo della mano verso l’alto, l'immenso blocco di pietra inizia a levitare.
I cavalli impauriti disarcionano alcuni cavalieri, l’Armata e il popolo si allontanano il più possibile schiacciandosi ai lati delle quattro mura.
- Non nobis, domine, sed nomine tuo da gloriam,
Non nobis, domine, sed nomini tuo da gloriam…-
La voce di Ranieri riecheggia per tutta la piazza.

La torre adesso è alta nel cielo.
La mano sinistra di Ranieri sembra disegnare un movimento rotatorio.
Il campanile ferito comincia a volteggiare, lentamente.
Ranieri, con un movimento repentino, muove entrambe le braccia in direzione delle mura che guardano verso S. Rossore.
La torre risponde ai suoi comandi, posizionandosi esattamente oltre le mura, sopra le teste degli Infedeli.
L’Ultimo Templare fa roteare anche la mano destra.
Veloce, sempre più veloce.
Il campanile volteggia nell’aria come una trottola lanciata sopra ad un tavolo.
- Non a noi, o Signore, ma al tuo nome da gloria!-
Ranieri abbassa le braccia simultaneamente e il bastione spezzato si scaglia contro L’esercito delle Tenebre, falcidiando i suoi soldati.
Le catapulte d’Alto Fuoco crollano una dopo l’altra, gli stendardi neri con il pentacolo bianco vengono spazzati via come foglie secche in balia di una tempesta.
Corpi scaraventati in aria, ossa frantumate, arti che schizzano in ogni direzione, urla di dolore e terrore.
Santa Mattanza.
Da sopra le mura, le vedette pisane osservano pietrificate ciò che sta accadendo davanti a loro occhi increduli.
Dall'interno della cinta invece, L’Armata di S.Sepolcro vede solo un vortice d’aria creato dalla torre muoversi lungo tutto il perimetro esterno.
Non appena il colosso di pietra torna esattamente nel punto in cui ha iniziato la sua sacra carneficina, Ranieri si alza i piedi portando le braccia lungo i fianchi.
Lentamente, il turbine diminuisce d’intensità, fino a scomparire dietro a Ultimo Baluardo.
Una leggera brezza trasporta nell’aria i lamenti dei nemici gravemente feriti.
- Aprite la porta di S. Rossore.- Ordina stremato Ranieri.- Uscite fuori e uccideteli tutti, che nessun Infedele rimanga in vita. Il loro seme maligno non ingraviderà più nessuna donna. Pisa Calce e Pietra sarà l’ultima città che vedranno i loro occhi!-
Dette queste parole, Ranieri si accascia al suolo cercando un sostegno tra le colonne divelte.
L’esercito pisano è il primo a uscire, seguito dalla cavalleria senese.
Intanto Bonanno, che non aveva mai tolto lo sguardo dal suo Gran Maestro, accorre alla base del campanile.
Si fa largo tra le macerie e infila la porta obliqua.
Bonanno ha fede, spera in un altro miracolo.
Quando raggiunge il quarto anello di scale si trova davanti Ranieri, adagiato sui gradini.
- Maestro!- Grida col cuore in gola.- Maestro, rispondete! Nel nome di Cristo Redentore!-
Ranieri non fiata, non ne ha la forza.
L’unica cosa che riesce a fare è portare la mano destra sulla faccia.
- La Croce, Maestro! La Croce sul suo volto è scomparsa!-
Ranieri accenna un debole sorriso, i suoi occhi si riempiono di lacrime, prima di esalare l’ultimo respiro.
Bonanno abbraccia il Cavaliere Templare.
- Pisa è salva, la Cristianità della nostra terra è stata preservata.-

NON NOBIS, DOMINE, SED NOMINE TUO DA GLORIAM
NON A NOI, O SIGNORE, MA AL TUO NOME DA GLORIA

Edited by cristiano rimicci - 15/9/2012, 23:08
 
Top
White Pretorian
view post Posted on 15/9/2012, 22:02




Mollo anch'io: un grave problema a casa ha cionsumato praticamente tutto il mio tempo disponibile e non sono potuto andare oltre l'incipit. :(

Nei prossimi giorni completerò il racconto e lo posterò in "racconti sotto la lente" così almeno potrò avere i vostri pareri.

Buona fortuna a tutti i partecipanti :lol:
 
Top
cristiano rimicci
view post Posted on 15/9/2012, 22:15




Ho corretto un paio di cose adesso visto che poco fa mi è saltata la connessione e ho rischiato di perdere tutto, come al solito.
A parte 666 passi nel delirio era da un po' di tempo che non scrivevo qualcosa di più impegnativo (mi riferisco ai k).
Sono a pezzi come la torre della mia storia, ma Pisa è salva,almeno per ora. :P
Buonanotte a tutti.

@w.p. e Mikisi
Ci vediamo sotto la lente, alla prossima. :lol:
 
Top
Cattivotenente
view post Posted on 15/9/2012, 22:27




Jackie, io ci sto provando, ho potuto mettermi a scrivere alle 22.30. Una proroghetta no, eh? So già cosa risponderai, però ci provo lo stesso. Dai, sino alle 6 del mattino, non di più. Che ne dici?


Nel caso: Burj al-Arab.
 
Top
view post Posted on 15/9/2012, 23:00
Avatar

Amante Galattico

Group:
Member
Posts:
10,080
Location:
Don't stop believin'

Status:


CIRCOLO
di Alberto Priora


Guido alza la mano in modo da coprire il sole e osservare, senza fastidio, la Torre Eiffel che si staglia contro il cielo.
— Pare che una volta fosse la torre più alta del mondo — dice, tradendo la lingua francese con quel suo accento mediterraneo, le sfumature italiane della sua famiglia d’origine che appesantiscono le parole. — Anzi, la struttura più alta del mondo.
Gérard alza le spalle e non risponde subito; è impegnato ad aspirare fino in fondo la sigaretta che si è concesso dopo colazione. Quando alla fine schiaccia il mozzicone a terra, tra la ghiaia del vialetto, sospira e poi ribatte: — E allora? Quando ero un ragazzo c’era ancora del tabacco in quello che fumavo, adesso credo che siano fatte solo con erba transitata dentro una vacca.
— In che senso?
— Nel senso che sanno di merda, ragazzo.
Guido scuote la testa. — Questo lo avevo capito; ti chiedevo qual era il senso del confronto.
Gérard si gratta la barba più grigia che nera e alza di nuovo le spalle. — Le cose cambiano. E allora? Una volta poteva essere anche una delle meraviglie del mondo, ma adesso non lo è più. Torri, piramidi, grattacieli, prima o poi c’è sempre qualcosa o qualcuno che le tira giù. È il ciclo naturale delle cose.
— Non credi che qualcosa che ha avuto un valore in un determinato periodo di tempo, lo mantenga anche in seguito?
— No. Sono convinto di no. E mi basta vedere mia moglie, quando mi sveglio al mattino, per rendermene conto. Ci vorrebbe una legge naturale per impedire il superamento dei sessanta.
Guido fa una smorfia, l’espressione poco convinta sul volto, ma non può continuare il discorso perché è appena giunta l’auto dell’Ingegnere. È un’auto scura, dai finestrini oscurati, il modello di lusso che usano solo ministri e alti dirigenti della Repubblica; motore solare di ultima generazione, sospensioni ad anti-gravità, guida robotizzata. Ne scende l’Ingegnere insieme alle tre guardie del corpo che lo accompagnano ovunque.
Gérard e Guido lo hanno soprannominato l’Ingegnere non solo perché non conoscono il nome del misterioso personaggio che il governo francese ha messo a capo del progetto, e che nessuno si è premurato di comunicare, ma proprio per il suo ruolo. Ogni volta che è apparso sul sito in cui stanno lavorando, è apparso sempre immerso nello studio di diagrammi e progetti, in giro a mostrare grafici e previsioni a tutta la squadra. È un uomo di media statura, il viso rotondo con i baffi e una barba che gli orla il mento, i capelli mossi con una striatura chiara, quasi bianca. Lo sguardo, che a una prima occhiata sembrerebbe spento, è in realtà attento a tutto quello che lo circonda.
Avanza salutando con un cenno gli uomini della squadra di demolizione e si ferma davanti a Guido e a Gérard, i suoi tre angeli custodi che imitano ogni suo movimento.
— Signor Parodì, Signor Vaillant. Avete preparato i nano-demolitori come indicato nel mio progetto?
— Sono pronti — risponde Gérard indicando le gabbie che gli uomini della sua squadra hanno scaricato nel primo mattino. Forse è la leggera titubanza nello scandire quelle due parole, forse è il tono, ma l’Ingegnere lo fissa e gli chiede: — Mi sembra che non sia convinto di qualcosa.
Gérard si morde un labbro, socchiude gli occhi per un istante e poi, con la sfrontatezza dell’età e dell’esperienza, risponde: —Non è questo, ma piuttosto il modo in cui vuole usare i nano-demolitori. Sono quarant’anni che faccio questo lavoro. Quando ero giovane usavo le gru e ho imparato ben presto che se si trova il punto esatto in cui agire, un edificio veniva giù senza problemi. — Il suo sguardo si sposta sui tre uomini della sicurezza, che si sa portano le armi sotto la giacca. — Però non vorrei sembrare indisponente — conclude.
L’Ingegnere alza le sopracciglia. — No, continui pure. Non si faccia problemi.
Guido alza una mano come a voler fermare Gérard, ma l’uomo più anziano lo ignora. — Dicevo che ho imparato che ogni tipo di struttura ha il suo punto debole e un modo adatto per farlo crollare. Per alcuni vanno bene le vibrazioni; non importa l’entità dell’urto, ma trovare il punto d’inizio per farle propagare. Per altri bisogna capire dove insistere con la forza, per altri ancora è necessario agire sul supporto. E la stessa cosa accade con i nano-demolitori, non basta aprire la porta e dargli istruzioni di attaccare, ma prepararli per una sequenza ben precisa, altrimenti si rischia di sprecare tempo e soprattutto energia e di energia quelli ne consumano parecchia.
L’Ingegnere alza lo sguardo verso la torre e poi torna a fissare Gérard. — E lei non è convinto che la sequenza sia giusta?
— Io l’avrei fatta in un altro modo. Li uso da dieci anni e ho tirato giù molti edifici in tutta Parigi e non solo.
— Sa quanti anni ha la Torre Eiffel?
— 187.
— Esatto. Quando è stata costruita era la struttura più alta al mondo, un vero e proprio orgoglio per la Francia.
Quando sente recitare quella frase, Guido sorride divertito, ma il suo gesto non viene preso come irrispettoso, perché l’Ingegnere prosegue. —Adesso è il momento di ripetere quella esperienza, di costruire una nuova torre ancora più alta, più alta di tutto quello che è stato costruito nel resto del mondo. Lei non può sapere quanto abbia investito la Repubblica in questo progetto, ambizioso sì, ma fattibile. Duemila metri di torre al centro di Parigi che simboleggino la Francia, e di conseguenza l’Europa che ne viene guidata.
— Capisco, eppure…
— Ma per fare questo è necessario, prima, togliere quella più vecchia. Averla come confronto servirebbe solo a far ricordare che prima c’era qualcosa di non così alto. Senza contare che serve questo luogo, questo spazio. — L’Ingegnere fa un passo avanti e allarga le braccia, quasi volesse abbracciare, in prospettiva, la stessa Torre Eiffel. — Dato che io ho l’incarico del nuovo progetto, ho chiesto al governo di poter gestire anche la demolizione della torre precedente — dice, voltandosi poi verso Gérard. — Dice che è troppo?
— Avrà le sue ragioni.
L’Ingegnere sorride. — Mi creda, ho fatto i miei calcoli. Conosco bene quella torre.
Gérard annuisce. — Allora, aspettiamo solo il suo comando.
— Sono qui per darlo. Aprite le gabbie — dice l’Ingegnere.
Guido si gira e alza un braccio verso gli uomini della squadra. Uno a uno premono il pulsante di apertura delle gabbie e, quando i portelli meccanici si sollevano, ne escono nugoli di nano-demolitori, sciami di piccoli robot programmati per un compito preciso e a termine, caricati di energia a rapido consumo. I gruppi si uniscono in una nuvola che si dirige verso la Torre Eiffel, superando in volo le alte transenne che delimitano la zona delle operazioni.
Tutti sollevano i propri visori, in modo da vedere la scena con un livello di dettaglio ravvicinato. I nano-demolitori sembrano esitare nell’avvicinarsi e poi colpiscono, assalendo come tentacoli di fumo vari punti situati a varie altezze, ghermendo il ferro e i bulloni, infilandosi tra i piani e aggirando le travi. Il loro lavoro è di smantellare, svitare, dissaldare, spostare, sbilanciare, decostruire.
— So dove agire — ripete l’Ingegnere.
E poi la torre crolla su se stessa, una marea nera che ricade verso il suolo, accasciandosi come senza forze, sollevando una minima quantità di polvere e con un rumore che rimane assordante.
— Ha visto, mio caro Vaillant. La perfezione.
Guido ha gli occhi pieni di quella meravigliosa apocalisse. Gérard sospira, poi abbassa lo sguardo a terra ammettendo la sconfitta.
—Suvvia, amico mio — riprende l’Ingegnere. — Le posso dire che i sui calcoli erano comunque ottimi, ma non potevano battere quelli di chi la torre l’ha costruita.
Lo sguardo interrogativo di Gérard vale la domanda.
—Un secolo meraviglioso il suo, con nuove tecniche interessanti. È proprio un bene che la Repubblica, decisa a far costruire un’opera eterna, non abbia lesinato sulle spese e mi abbia permesso di viaggiare nel tempo in modo da venire da voi a costruire una seconda Torre Eiffel. Tornate a visitarmi una volta che sarà iniziato il cantiere.
E detto questo l’Ingegnere risalì in auto e si allontanò.
 
Top
view post Posted on 15/9/2012, 23:02
Avatar

Arrotolatrice di boa

Group:
Moderatori
Posts:
3,298
Location:
Di solito da casa mia.

Status:


dai CT, dai, dai dai!!!
 
Contacts  Top
view post Posted on 15/9/2012, 23:07
Avatar

Amante Galattico

Group:
Member
Posts:
10,080
Location:
Don't stop believin'

Status:


Ah cacca!!!! :p095:

Comunque erano 8026 caratteri e autorizzavo a usare il mio racconto Circolo per Skan Magazine
 
Top
115 replies since 8/9/2012, 13:33   2293 views
  Share