| Mi sbrigo,la neva mitoglierà la connessione a breve...
Lama primitiva Il discorso dell'Eccellentissimo gracchiò per qualche minuto nella sua testa e le luci si accesero nella cabina dell'incursore Lucas Delgado. Con un gesto svogliato spostó il droide sessuale dal proprio pene e si sollevò sui gomiti. Impiegò qualche istante ad abituare gli occhi al chiarore giallastro, per posarli subito dopo sulla testa bionda di Marylin Monroe, inginocchiata ai piedi del letto. Il caffè riempì la tazza nella nicchia alimentare. Lucas allungò la mano e dopo un paio di tentativi falliti riuscì a prenderla. «Puttana, vieni qui.» Il droide scivolò sulle ginocchia bianche e con un sorriso avvolse, di nuovo, il sesso del soldato tra morbide labbra al silicone.
Nella sala Maggiore i trentamila fanti non avevano ancora tolto lo sguardo dal pavimento tirato a lucido. Un ginocchio a terra e il pensiero ovunque, fuorché in quella stazione orbitante. Lontano dalle parole biascicate dall'ottuagenario che disponeva delle loro vite. La grande cupola riempita in toto dalla figura avvizzita del Reggente Massimo.
Nei venticinque minuti della discesa su Terra Uno l'esoscheletro aveva lentamente avvolto il torace e gli arti dei soldati. Lucas avvertì un lieve formicolio alle mani quando gli induttori di movimento si interfacciarono ai suoi nervi, dagli spinotti epidermici. I nove quintali della sua armatura si mossero, quasi leggeri, nell'erba alta, mentre schermate viola si susseguivano sulmsuo impianto oculare alla ricerca dei ribelli. L'aria fresca e naturale gli pizzicò il viso e la gola, per un istante pensò anche di disfarsi del respiratore, poi rammentò le raccomandazioni del suo capitano su quanto il loro corpo non fosse abituato all'aria primordiale del pianeta d'origine. Era talmente sbagliato che un mondo tanto florido fosse in mano ai neo-primitivi, superstiti dei disgeli. Mentre loro erano costipati da secoli in stazioni orbitanti superaffollate. Questo almeno, era il pensiero indotto, che gli ronzava in testa ogni mattina.
La ragazzina aveva gli occhi della fame e le ginocchia della strada. Lo guardava accovacciata, in quello che la vegetazione aveva risparmiato di un pavimento di cemento. "ribelle femmina, ore dodici" Dagli avambracci metallici sibilarono due fucili al plasma. La ragazzina roteò davanti a se un coltello, strappando un sorriso divertito al soldato. Lucas sollevò il puntatore mentre la ragazzina rotolò alla sue spalle. Un sibilo lo costrinse a voltarsi. Non ci riuscì. Il fischio continuo dell'aria che usciva troppo velocemente, confermato dalla sua vista appannata. Girò la testa, mentre il liquido nero degli ingranaggi sgorgava a fiotti dai tubi recisi dell'esoscheletro. La ragazzina cambiò impugnatura mentre Lucas cercava di sganciarsi da quella che era diventata una trappola. Il tubo del suo ossigeno sventolava, tagliato di netto. La ragazzina tirò su col naso e si lanciò verso la gola di Lucas, affondandoci il coltello.
Mentre la bocca del soldato si riempiva di sangue e domande la piccola infilò il coltello nella propria cintura e si allontanò.
La speranza dell'agente Smith Colle Oppio era deserto, barboni stretti nel cartone e negli stracci di una vita e due ragazzi appartati dietro una quercia. Le auto più in basso erano solo una scia di luci rosse, avvolta attorno al Colosseo. La ragazza aveva vent'anni e un viso troppo serio per quell'età, «sicuro che dobbiamo aspettarlo qui?» Lui la abbracciò affondando le dita nei ricci scuri, «ha detto che ci saremmo visti qui alle nove, mancano sei minuti. Rilassati.» Con un gesto deciso le spostò la testa sul proprio petto. «Ho paura. Ci sono posti più sicuri in Matrix.» Un gatto rosso si leccò una delle zampe, ruotò le orecchie all'indietro e saltò giù dalla panchina. Il ragazzo sospirò, osservando le volute lattiginose levarsi dalla sua bocca, «l'oracolo vive qui vicino, sarebbe stato peggio entrare e uscire due volte.» Lei fissò la cabina telefonica dietro l'unica panchina del parco. «Le nove e un minuto, andiamo via.» Si guardarono intorno, istintivamente le mani di lei cercarono la Skorpion legata in vita. Un gatto rosso si leccò una delle zampe, ruotò le orecchie all'indietro e saltò giù dalla panchina. «Sta cambiando!» La ragazza lo spinse, lanciandosi sul prato, l'arma stretta in pugno. Uno dei barboni si alzò. Il suo viso parve collassare: i lineamenti si compressero fino a scomparire, facendo posto a un viso comune. Le vesti logore si accartocciarono come plastica sul fuoco, scoprendo un'abito formale. Corse verso di loro. Lei aveva appena toccato l'erba che venne strattonata e sbattuta contro la quercia. «Sky corri!» Gridò, ma l'uomo in nero le era già addosso. «Non mi faccia arrabbiare signorina Bird.» Le strinse la destra al collo sollevandola dal terreno. Lei prese a scalciare, emettendo una serie di sconnessi rantolii. Sky esplose tre colpi. L'uomo in nero era fermo, ai loro occhi, ma le tre pallottole si persero come se le avesse schivate. Con la sinistra estrasse una pistola e torse il braccio indietro, sparò senza nemmeno guardare. «No!» Bird riuscì a scandire solo quella sillaba, mentre sentiva la vita scorrere via. Ancora un paio di scossoni, la Scorpion le scivolò dalle dita, cadde sul prato solo un secondo prima del corpo di Sky. «Cerchiamo di essere intelligenti signorina Bird.» L'uomo allentò la presa. «Sono l'agente Rossi, ma lei lo sa già.» La lasciò cadere. Bird atterrò con un tonfo, le mani strette al collo dolorante e un affanno impossibile da contenere, «Sky...» riuscì a piagnucolare. L'agente Rossi sfilò l'auricolare dal proprio orecchio, «di lui non avevamo bisogno.» Le gambe della ragazza continuavano a tremare e lunghe scie nere erano quello che rimaneva del suo trucco inondato di lacrime, «di me avete bisogno?» «Io, solo io, signorina Bird.» Si accovacciò accanto a lei, con due dita sollevò la gamba di Sky e lo trascinò tra di loro. Girò quel viso ormai privo di espressione verso di lei, «lo guardi bene, questo è un perdente, un inutile umano inadatto a fornire energia. Ma lei! Una mente fantastica, una fine conoscitrice dei sistemi.» Non era riuscita a smettere di piangere e quel volto deformato dalle mani dell'agente Rossi non faceva che aumentarne i singhiozzi, «L'oracolo...» «Ho mandato io i messaggi, l'oracolo non sa nemmeno che esistete. Avevo bisogno di vederla da solo.» Bird balbettò qualcosa di incomprensibile ma il suo squittio fu interrotto dall'indice dell'agente, «Non c'é tempo. Io devo andarmene. Non da qui, io devo andarmene da Matrix, odio questo posto, odio voi!» Tolse la mano dal mento del cadavere e se le portò al naso, «non sopporto il vostro fetore.» «Che posso fare io?» «Sei una programmatrice, io ti do accesso ai miei codici e tu craccki il sistema, mi destini a un incarico lontano da voi e io non ti eviscero.» Bird si inumidì le labbra, prese fiato e spalancò gli occhi. Subito dopo cadde, il viso nella terra. Rossi si guardò intorno, un barbone stava riprendendo le proprie sembianze. Infilò l'auricolare, «si, certo. Grazie per l'intervento dell'agente Bianchi. Cercavo notizie di Neo. Rientro.»
L'ultima tentazione dell'eletto
«Non puoi negarci il tuo aiuto.» «Non posso?» Che seducente idea di sé ha questa umana. Profumo, occhi, curve. Tutto perfetto. «Il Merovingio ha detto che ci avresti aiutato.» La voce. Troppo stridula, tono supplichevole, dovrebbe stare zitta. Basta pensarlo, sono solo stringhe in fondo, e la sua bella bocca carnosa scompare. «Mio fratello manda qui la gente, quando vuole togliersela di torno. Ora diafana creatura, annuisci se devi.» Troppa paura e il suo scuotere la testa le rovina l'acconciatura. «E va bene, parla.» «Dicono che tu conosca l'eletto. Che tu sappia dove trovarlo.» Potrei risponderle ma non credo capirebbe. Quella sua bella testolina dovrebbe pensare ad altro, «non é il momento di trovarlo, né di cercarlo. Non più.» Sono in vena di stupire e materializzo due calici colmi di vino francese, un Borgogna, e abbasso le luci, guardandole. «Perché dici che non é il momento?» «Potrebbe essere tardi, potrebbe aver appreso che conoscere il codice ha molte peculiarità oltre alla missione, che deformare Matrix a proprio piacimento é più stimolante che distruggerlo.» Sussulta, ancora non capisce. Questo vestito nero ne copre le grazie, il rosso. Questo ci vorrebbe. Rosso fuoco, come la passione, scollato. Provocante. Sobbalza quando un brivido le fa notare le proprie cosce, finalmente scoperte. I suoi seni non più stretti nel neoprene paiono esplodere. Mi guarda e capisce. Chi sono e chi avrei dovuto essere.
Scusate la fretta e le, sicure, sviste, ma nella mia casetta in campagna non c'è connessione con la piggia figuriamoci con la neve! Quini ho dovuto postare al volo.
Edited by Polly Russell - 16/1/2013, 21:38
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