Ombre danzanti
di Aser
Le ombre danzavano sul muro rosso fuoco.
Mutavano e assumevano forme astratte, grottesche, disumane.
Tom le osservava dall'unico spiraglio che glielo consentiva: una piccola fessura geometricamente scavata nel legno.
Attratto e impaurito, non riusciva a distogliere lo sguardo dai quei mostri scuri, le cui movenze seguivano il tempo di un suono martellante, cadenzato, come quello del suo cuore, che però batteva più forte e veloce.
Poggiando la mano sulla porta notò che era calda. Contrastava con la fresca e umida stanza in cui si trovava, avvolto nella penombra, in compagnia di mostruosi oggetti che parevano animarsi quando non li osservava. Solo un piccolo raggio di sole, che filtrava dalla finestra socchiusa, gli dava la sicurezza per restare e guardare in quel minuscolo pertugio.
Deglutì, cercando il coraggio. Quel coraggio che trovava per lanciarsi in sella alla bici, senza freni, nella ripida discesa dietro casa. Quel coraggio che non l'aveva mai abbandonato quando, nel laghetto appena fuori città, catturava grossi e viscidi rospi. Dov'era ora? Si chiedeva.
Doveva solo aprire una porta. Abbassare una maniglia. Spingere un po' in avanti e gettare lo sguardo dentro la stanza rossa. Doveva assicurarsi che quei disegni sul muro, scuri e animati, non fossero altro che ombre, come quelle create dagli alberi la notte, e farsi una grassa risata.
Poi, forse, avrebbe potuto trasformare quella semplice azione in una grande avventura da raccontare agli amici. Un immenso gesto che l'avrebbe fatto balzare in cima alla classifica dei più coraggiosi del gruppo. Ammesso che ci avrebbero creduto. Perché non ci riesco? Si chiedeva.
Forse quello strano odore di bruciato. No, erano le ombre danzanti. Il suono cupo e martellante. Il calore. Devo farlo, si disse.
Portò la mano tremante sulla maniglia. L'avvolse, con le dita mingherline, cercando di sopportare il calore che emanava. Spinse verso il basso. Era dura. O era lui che non usava la forza? Spinse ancora. Ancora un po'. Strideva.
«Tommaso!»
Il grido lo fece trasalire. Spiccò un balzo all'indietro. «Mamma!» gridò pure lui, voltandosi.
«Tom, per la miseria, è più di un ora che ti cerco, che ci fai qui dentro?»
«Io...niente...volevo...»
«Sei sempre il solito ficcanaso. Dai andiamo. La nonna ci aspetta, e non è affatto contenta. Non hai nemmeno fatto una preghiera per il nonno.» con quelle parole, la madre lo trascinò fuori.
Qualche minuto dopo, Tom osservava il grosso cancello nero del cimitero farsi sempre più piccolo. La macchina sfrecciava sul viale costeggiato dagli alti cipressi.
Nella testa non sentiva altro che quel suono metallico. La notte sognò le ombre danzare dentro la sua stanza.
***
Matteo e Daniele osservavano Tommaso senza dire nulla, ma l'espressione dei volti parlava per loro. Le guance erano gonfie, pronte a esplodere in una fragorosa risata.
Aveva visto giusto Tom: non gli credevano.
«Ridete pure.» disse in tono offeso.
L'invito fu accolto. I due sghignazzarono a più non posso, poi, Matteo, il più grande dei tre, prese la parola, «Ok. Andiamo!» esclamò deciso.
«Andiamo dove?» risposero in coro Tom e Daniele.
«A vedere i mostri neri che vivono nel casa del custode del cimitero!»
I due osservarono l'amico bullarsi della decisione presa, e Tom si fece subito coinvolgere, «Avresti il coraggio di aprire quella porta?»
«Certo» ribatté Matteo, «non sono mica un fifone come Daniele», concluse in tono sarcastico, rivolgendosi all'amico che non mostrava entusiasmo all'idea di aprire una porta che custodiva mostri.
«Tu non vuoi venire?» gli chiese Tom, in tono più amichevole, «Forza! Che fai altrimenti? Torni a casa?»
«Si è meglio se vai a casa, queste cose non son per te!»
«Non mi sembra il massimo come idea, poi se ci dovesse trovare il custode...» Daniele cercava di reagire alla presa in giro di Matteo, confidando in uno sguardo amichevole di Tom. Non mancò, come le continue battute dell'altro.
«Dai lasciamo qui. Io vado», disse Matteo, inforcando la bici, «Chi arriva ultimo apre la porta!» gridò da lontano.
Tom si gettò all'inseguimento, «Andiamo Dan!», gridò. Al pauroso Daniele non restò che accodarsi, seppur con poca convinzione.
***
I tre amici, in sella alle loro biciclette, percorrevano il lungo viale alberato, senza particolare fretta, come se non volessero mai arrivare. Erano le sei del pomeriggio. Il sole era ancora caldo, sebbene l'estate stesse finendo e le giornate iniziavano ad accorciarsi.
Avevano un'ora di tempo per arrivare nel capanno del custode, aprire la porta... e fuggire a perdifiato, pensò Tom. Fuggire da cosa? Morti camuffati da ombre? Cercò di scacciare via quei pensieri.
Una volta arrivati, nascosero i mezzi a due ruote dietro un grosso cespuglio.
Sull'uscio del grosso cancello nero, esitarono.
«Andiamo. Fifoni!» li esortò Matteo, mostrando un finto coraggio.
Tommaso e Daniele si scambiarono uno sguardo. Cercando la forza l'uno negli occhi dell'altro.
Entrarono, ma dopo soli due passi furono travolti da un grosso problema: «Da che parte, Tom?», chiese Daniele. Silenzio. Tom non aveva la minima idea della direzione da prendere. Cercò di fare mente locale, ma solo ora si rese conto che il giorno prima era arrivato al capanno girando a casaccio. Ma, soprattutto, non era partito dall'ingresso.
«Non lo sai, vero?» chiese Matteo, quasi scocciato. Una folata di vento scosse i rami di un grosso albero, «Forse è meglio tornare a casa», aggiunse Daniele a bassa voce.
Il cimitero era deserto. Una cornacchia gracchiava in lontananza.
«Be, fate un po' come volete. Io vado.» e con quelle parole Matteo si avviò. Come prima con la bicicletta. I due amici lo osservarono allontanarsi e sparire dietro un corridoio di loculi.
«Lo odio. Fa sempre lo sbruffone, poi... » Daniele non fece in tempo a finire la frase che Tom, sorridendo, gli disse «Dai, non vorrai farti prendere in giro per tutta la vita. Guarda che è più fifone di noi quello lì.»
«Si...lo so...ma... » Daniele era sempre meno convinto della cosa, ma non voleva darla vinta a Matteo, e voleva apparire bene agli occhi di Tom, uno dei suoi pochi, veri, amici.
«Non sarà mica poi così grande questo cimitero.» aggiunse.
I due si incamminarono, cercando di portare i discorsi verso temi divertenti, utili ad allentare la tensione.
***
Camminavano ormai da un bel po'. Ogni corridoio che imboccavano era uguale al precedente: loculi a destra, loculi a sinistra; fiori a destra, fiori a sinistra. Le uniche differenze si trovavano incise nelle lapidi. Daniele, al loro passaggio, leggeva tutti i nomi. Tom la trovava una cosa insensata, ma lo lasciò fare, perché lo vedeva più tranquillo. Non era dello stesso parere Matteo che, per ogni nome detto, lanciava verso l'amico fifone una di quelle palle secche e marroni cadute dai cipressi, e lo canzonava «Per ogni nome che leggi, la persona a cui appartiene ti tormenterà nei sogni».
«Non mi fai paura!» rispondeva Daniele a tono, e via con un altro nome.
Tom, sfiduciato, non si chiedeva più se avessero trovato il capanno del custode. No. Si chiedeva se mai avessero ritrovato l'uscita. Si immaginò chiuso, al buio, dentro quel labirinto di loculi, accompagnato da fiocche luci rosse, fiori secchi, grossi alberi e...ombre!
Scacciò via subito il pensiero, aiutato dall'odore che invase le sue narici. Odore di bruciato. Quello che aveva sentito nel capanno.
«Zitti!» gridò. «Venite!»
I tre corsero per qualche metro poi, svoltando a sinistra, lo videro. Il vecchio capanno del custode.
Una vecchia stamberga in mattoni di tuffo, ricoperta di muffa e intonaco scrostato.
Sembrava una di quelle case che disegnano i bambini, con la porta al centro, a mo' di bocca, e il tetto a punta. Mancavano le finestre, che si trovavano ai lati, ma, in compenso, c'era la canna fumaria. Fumante.
I tre si avvicinarono cautamente, scambiandosi sguardi furtivi e d'incoraggiamento. Daniele camminava un passo indietro, ma non sembrava avere paura. Anzi, mostrava una certa sicurezza, che sorprese Tom.
La porta d'ingresso era socchiusa.
«Prima tu, Tom» disse Matteo.
Tom esitò un attimo. «Perché?» chiese, «Io ci son già stato, vai tu. Avevi così tanta fretta!».
«Si, ma appunto perché ci sei già stato, puoi farci strada!» ribatte l'amico.
«Ma quale strada? Dietro questa porta c'è solo una stanza, poi la porta...»
Mentre i due discutevano, non si accorsero che Daniele, con un impeto di coraggio, era già entrato. Quando tornò indietro per esortarli a fare lo stesso, rischiarono di incastrarsi sull'uscio, entrando contemporaneamente.
***
Il sole calava, nella stanza predominava il buio. I tre si guardavano intorno.
Nella parete sinistra, tre grossi martelli pendevano a testa in giù. Sull'orlo di un grosso tavolo in legno, una strana bocca metallica stritolava una lastra di ferro arrugginita. A pochi centimetri da questa, un feroce disco dentellato riposava quieto, sospeso a mezz'aria, retto da uno strambo oggetto a forma di pistola.
«Che razza di posto è questo!» disse Daniele, tradendo un accenno di forte paura.
«Sembra una stanza delle torture.» aggiunse Matteo.
«Forse, le persone che si svegliano vive nella tomba, vengono...» Daniele esitò, i due amici lo fissavano spaventati, «tolte dalla bara e...uccise qui!» concluse, in tono piagnucoloso.
«No. Per me questa è la casa della morte!» bisbigliò Matteo, manifestando una certa dose di paura, mentre indicava una grossa falce, poggiata di fianco a un attaccapanni da cui pendeva un logoro cappotto nero.
«Smettetela!» ribatté infastidito e impaurito Tom, e cercando di sdrammatizzare aggiunse, «a me sembra il capanno attrezzi di mio padre.»
I tre risero nervosamente, prima di accorgersi del suono che proveniva dall'altra stanza, propagandosi nell'aria. Cadenzato. « È li!» Tom indicò la porta.
Si voltarono. Davanti a loro si ergeva una porta nera. In alto, al centro, spiccava una vecchia targa in legno che Tom, quella volta, non notò. «Che c'è scritto? Non leggo, è troppo buio.»
Matteo chiese a Tom di fargli da scaletta. Posando il piede sulle mani giunte dell'amico, si elevò sino all'altezza della targa, e iniziò a leggere.
«Bi-gna...bisogna...mo...morire... »
«Morire?» i due da sotto in coro, «dobbiamo morire?»
«Un attimo!...bisogna morire molte volte...prima di...Tom, c'è già buio, la scritta è vecchia, e se tu continui a muoverti non leggo nulla!»
«Matteo inizi a pesarmi! Non riesco a reggerti...Daniele, vieni qui e dammi una mano! Non stare li a frugare!»
Ma Daniele non si accorse di nulla, intento com'era a raggiungere una scatola metallica poggiata su uno scaffale. Matteo, nel frattempo, riuscì a leggere.
«Bisogna morire molte volte per imparare a vivere!»
Un gran frastuono fece spaventare Tom, che mollò la presa, facendo cadere l'amico sopra di lui.
«Scusatemi.» disse Daniele, cercando di sistemare la cassetta degli attrezzi che aveva rovesciato.
«Sei il solito imbranato, vuoi farci scoprire!» gridò Matteo, furioso.
«Non l'ho fatto apposta!», si giustificò l'altro, pronto a scoppiare a piangere.
«Non importa! Ora, per penitenza, entri lì dentro! Dove bisogna morire per vivere, e ci dici se ci sono ombre o...»
«Ragazzi fuori di qui!» gridò Tom, staccandosi dallo spioncino della porta. Era stato l'unico a rendersi conto che il suono che proveniva da dietro la porta era cessato, e guardando da quel piccolo buco, vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere: l'ombra veniva verso di lui!
***
I tre si lanciarono fuori dal capanno come razzi, sfondando la porta d'ingresso. Tom si voltò, e la vide: l'ombra. Era alta e grossa e stringeva un grosso coltello nella mano. O forse era un martello. O forse una falce. Forse era veramente la morte. Forse era troppo spaventato.
«Di qua!» gridò Matteo, imboccando una corsia a sinistra. Daniele piangeva.
«Non ti fermare Dan corri. Corri!»
Tom la vedeva, era ancora dietro di loro, non riusciva a seminarla.
«Ci ucciderà. Ci ucciderà!», le lacrime di Daniele scorrevano come un fiume in piena.
«Fifone. Se non la smetti di piangere ucciderà te per primo. Muovi il culo!», nelle parole di Matteo non c'era un tono ironico questa volta. Anche lui aveva paura, ma rallentò per afferrare l'amico impaurito per il braccio, «Dai. Dov'è Tom!?». Si erano separati. Non aveva svoltato a sinistra.
I due continuarono a correre. Si ritrovarono nella zona delle tombe monumentali. Grandi statue si ergevano da terra, a custodire il sonno dei defunti. I loro sguardi cattivi mettevano in soggezione i due ragazzini che, tremando, si voltavano i ogni direzione alla ricerca dell'amico. E alla ricerca del nemico. Spalla a spalla, si sorreggevano e si davano forza.
«Dici che l'ha preso?» chiese Daniele. Matteo esitò, prima di rispondere, «Non lo so. Dovremmo andare a cercarlo.»
Ancora esitazione. Nessuno aveva il coraggio di dir nulla. Poi Daniele, a capo chino, ruppe il silenzio «Ho paura Matteo...se ci prende, se ha preso Tom, se....»
«Basta...che razza di amico sei? Vuoi lasciarlo qui?» rabbia e paura nelle sue parole.
«No.» Daniele stringeva i pugni. Una lacrima rigò il suo viso. Tremava come una foglia.
«Smettila di comportarti così. Tommaso è nostro amico dobbiamo...» le parole morirono nella bocca di Matteo, quando, non lontano da loro, vide Tom. Poi il suo viso si pietrificò, così come i suoi muscoli, quando, dietro l'amico in fuga, vide una grossa figura scura.
***
Tom correva a perdifiato. Sentiva il cuore esplodergli in petto, ma non si sarebbe mai fermato. Per nulla al mondo. Ma a ogni curva, incrocio, deviazione, l'ombra era sempre più vicina. L'avrebbe preso per i capelli, e poi? L'avrebbe trascinato in quella stanza angusta, dove lo aspettavano lunghe torture, prima di essere gettato in pasto alle ombre.
«Tom, di qua!», era la voce di Matteo. Non era mai stato così felice di vederlo. Si trovava alla fine della corsia di loculi. Quando lo raggiunse, svoltò velocemente, pur consapevole di non averla seminata, «Matteo, state bene? Dov'è Daniele?», nella paura, il pensiero che Matteo avesse mollato Daniele lo fece imbufalire, ma scoprì che non c'era bisogno.
«Ora lo vedrai.» lo rassicurò Matteo, «Vieni!»
Si arrampicarono su alcune lastre di marmo nero, calpestando fiori e rovesciando lumini, e si accucciarono dietro due grosse lapidi su cui risaltavano le foto di due anziani signori.
Tutti e tre portarono le mani alla bocca, per cercare di tappare ogni minimo rumore, ma l'estenuante corsa li costringeva a respirare affannosamente. Dopo pochi istanti riuscirono a calmarsi.
Regnava il silenzio, infranto di tanto in tanto dal gracchiare di qualche cornacchia, o dal vento che scuoteva i cipressi. Poi, rumore di passi. Prima lontani, man mano sempre più vicini. A ogni passo il battito del cuore aumentava. Diventava così forte da coprire qualsiasi altro suono, eccetto quelli dei passi che, con lo stupore di tutti e tre, andarono sfumando.
Passarono interminabili minuto di silenzio, in cui i tre amici si scambiavano occhiate furtive, in cerca di sicurezza, in cerca di qualcosa che sbloccasse la situazione. Ma nessuno aveva il coraggio di prendere l'iniziativa. Poi Tom esordì, bisbigliando.
«Non mi credevate?» disse, «Avevo troppa fantasia, dicevate!».
«Io ti ho sempre creduto» rispose Daniele, con voce tremante.
«Ma zitto. Hai riso quanto me quando ci ha raccontato questa storia!» lo rimproverò Matteo.
«Non è vero!», «Si che è vero!»,«Non è vero!», «Si che è vero!», «Non....»
Mentre i due litigavano, Tom fissava il blocco di marmo bianco che stava davanti a loro. Preso dallo spavento e dal rumore dei passi, non aveva notato che era diventato più scuro. Ma non tutto. Solo all'interno di una sagoma... l'ombra!
Uno stormo di uccelli si sollevò in volo, accompagnato dal grido di Tommaso, Matteo e Daniele.
***
«...e poi li acciuffai tutti e tre. Erano terrorizzati! Bianchi come cadaveri, e io ne ho visti di cadaveri!», quelle parole furono accompagnate da una fragorosa risata che riempì l'angusta stanza in cui i due discutevano. Era tale e quale a come la ricordava.
Quando finì di ridere, il vecchio si accese una sigaretta, aggiungendo «Come vedi c'è anche da divertirsi. Non è di sola morte che vivo», un'altra risata, accompagnata da colpi di tosse, «Ma piuttosto, perché ti interessa conoscere queste storie, ragazzo?»
«Sto scrivendo un articolo sui custodi dei cimiteri. Mito e leggenda che si fondono con la realtà. E chi, più di lei, può darmi queste informazioni.» rispose, con tono pacato e amichevole.
«Capisco...bé, mi ha fatto davvero piacere questa chiacchierata signor...signor?»
«Tommaso. Ma può chiamarmi Tom.»
«Tom.» il vecchio annuì con la testa, sembrava pensieroso, poi riprese a parlare, «dicevo, mi ha fatto piacere la chiacchierata, signor Tom. Sa, non è che parli con molte persone durante il mio lavoro, anche se, a volte, i morti ci raccontano più di quanto possiamo immaginare. Bisogna saperli ascoltare.»
«È il senso di quella frase?» chiese Tom, indicando la targa appesa sulla porta alle spalle del vecchio.
«In un certo senso.» rispose, voltandosi a osservarla, «Ora però ti devo lasciare Tom, il lavoro mi chiama. Magari passa domani, ho tante storie da raccontare, e poche persone a cui raccontarle.» un'altra risata accompagnò quelle ultime parole poi, il vecchio si congedò, alzandosi lentamente. L'età non gli consentiva gli agili movimenti di un tempo. Tom lo osservò trascinarsi verso quella porta che, da piccolo, gli costò quasi un infarto, e un mese di punizione.
Il vecchio sparì dentro la stanza, rossa e calda come allora, chiudendosi la porta alle spalle. Quel suono ritmato riprese. Tom si avvicinò cautamente. Da quel giorno non era più rientrato nel capanno del custode, né aveva mai scoperto cosa si celasse dietro quella porta.
Posò una mano sulla maniglia. Era calda come allora. Fece per abbassarla, ma si bloccò. Decise di tornare indietro. Aprì la sempre più logora porta d'ingresso, e andò via.
Camminando sul viale d'uscita del cimitero, carico di cipressi come allora, pensava.
Pensava al fatto che non c'era nessun articolo da scrivere, che era andato lì solo per capire cosa c'era dietro quella porta. Ma rivivendo quella storia, capì che forse era meglio non scoprirlo. Non svelare nulla. Le magie, pensò, son belle sin quando non conosci il trucco, e di trucchi svelati, crescendo, ne aveva visti fin troppi. Almeno quello, voleva lasciarlo inalterato.
[18247 caratteri] Autorizzo Jackie per un eventuale pubblicazione sullo Skan Magazine.Edited by Aser - 7/2/2013, 23:35