Duttilità Neuronale Soriana
di Alessandro Renna
“Sto puntando in alto.
E per puntare così in alto, bisogna fare grandi rinunce.
Rinunce estreme.”
Professor Augustus Meier
1.– Chissà che cosa voleva dire il professor Meier? – Si chiese Lara, richiudendo il vecchio quaderno degli appunti. – È strano Jack, come le sue annotazioni negli ultimi anni siano diventate più discorsive e intimistiche rispetto alle incomprensibili formule matematiche dei primi tempi.
– E che c’è di strano in questo? – Chiese il ragazzo aprendo la porta cigolante della vecchia villa in cui Meier aveva trascorso i suoi ultimi anni di vita.
– In teoria nulla, anzi, forse ho scoperto più cose della sua anima in questi ultimi giorni leggendo queste annotazioni che in tutti gli anni di lavoro passiti al suo fianco come assistente di laboratorio.
– Sarà pure come dici tu, Lara, ma da quel poco che mi hai fatto leggere, le sue annotazioni, saranno pure più intimistiche, ma a me sanno tanto di delirio senile.
Entrati nel salone, i discorsi di Lara e Jack s’interrompono bruscamente per la comparsa di Cavia, un grosso gatto soriano che negli ultimi mesi il vecchio uomo di scienza aveva preso a vivere con sé. Il gatto si era lanciato dall’ultimo scaffale dell’ingombra libreria e dopo essere atterrato sulla spalla dell’uomo, aveva spiccato un altro balzo fermandosi al centro della massiccia scrivania, quindi, con il pelo ritto si era girato inarcando la schiena e soffiando minaccioso verso di lui.
– Ma? Dannato gattaccio – reagì rabbioso Jack provando a colpire l’animale con una rivista capitatagli a portata di mano.
L’agile felino si spostò di lato e sfoderati gli artigli saltò sul suo viso.
– O mio Dio. Basta Cavia, lascialo, lascialo! – Gridò spaventata Lara senza sapere che cosa fare.
Cavia tornò al centro della scrivania, quindi le rivolse uno strano sguardo. Sembrava quasi volesse dire: “Mi sono fermato solo perché me l’hai detto tu”. Ma fu solo un attimo, un’impressione fugace. Il felino tornò subito a gonfiare il pelo e a inarcare la schiena soffiando rabbioso in direzione di Jack.
– Vieni via, Lara. Guarda, mi ha fatto sanguinare quella furia. Potevo rimetterci un occhio.
2.– Cavia. Cavia dove sei? Sono tornata.
Lara non ricevette alcuna risposta e tornò ad avanzare nella penombra della sala.
– Cavia, dai, vieni fuori. Sono sola, non c’è Jack. – Fu in quel momento che la ragazza sentì il gatto strofinarsi contro la sua gamba.
– Hmm… lo sapevo che eri un bravo micione – disse la ragazza abbassatasi ad accarezzarlo – ma sei stato davvero cattivo con Jack, è un bravo ragazzo. Dovresti dargli un’altra possibi…
Il gatto, si staccò da lei bruscamente e si mise a soffiare rabbioso senza farle finire la frase.
– Se tu non fossi un bel micione dal pelo fulvo, penserei davvero che tu sia geloso – disse Lara aprendosi in un sorriso divertito mentre Cavia le girava attorno altezzoso – Va bene, d’accordo, lasciamo perdere. Ci saranno altre occasioni per fare amicizia con Jack.
Ma di nuovo Cavia si mise a soffiare minaccioso.
La ragazza decise di non insistere e dopo essersi riavvicinata al gatto, gli offrì la mano in segno di pace.
Il felino rabbonito tornò a prendersi le carezze, poi, dopo aver afferrato con i denti aguzzi il polsino del maglione, tirò, facendole capire di seguirlo.
Il gatto si muoveva agile nel buio delle stanze senza aver bisogno di aspettare che Lara accendesse la luce, azione che non le veniva spontanea non essendosi mai addentrata in quei locali della villa.
Cavia era sceso giù nella taverna seminterrata e aspettava calmo davanti alla porta a lato del camino. In effetti, non aveva bisogno che qualcuno gliela aprisse per passare. Lara, infatti, aveva notato che in tutte era presente uno sportello per permettere al gatto di muoversi da solo da un ambiente all’altro. No, il gatto la stava aspettando, voleva proprio che lei lo seguisse.
3.Avevano disceso un lungo e stretto corridoio in fondo al quale, una pesante porta d’acciaio spalancata immetteva in un enorme bunker di cemento armato pieno di strane apparecchiature elettroniche. O almeno, così sembrava nel buio appena rischiarato dalla luce che scendeva giù dalle scale.
Lara avrebbe voluto tornare indietro a raccogliere qualcosa per farsi luce, ma appena Cavia avanzò oltre la soglia, un rilevatore di movimento si accorse della sua presenza e la stanza fu invasa dalla luce di decine di neon.
– Ma? Che cosa sono queste macchine? – Si domandò Lara curiosa
passando la mano sul freddo spigolo di un mobiletto d’acciaio smaltato.
Il gatto ci saltò sopra e soffiando minaccioso le fece capire che era meglio non toccare, quindi, riafferratala per il polsino, la invitò di nuovo a seguirla.
Il gatto si posizionò vicino a una scrivania, poi con un balzo ci saltò su e con gesti collaudati premette il bottone d’accensione di un personal computer.
Il sommesso ronzare della ventola dell’alimentatore si confuse con il più forte soffiare dell’aria condizionata che assicurava il ricambio dell’aria al bunker.
– Ma… è impossibile? – Balbettò Lara mentre seguiva sul monitor la sequenza d’accensione che terminò con l’avvio di un’applicazione che visualizzava, al centro dello schermo, l’immagine in primo piano del volto del professor Meier.
Il gatto le lanciò uno sguardo in tralice, poi, posizionatosi davanti alla tastiera, digitò alcuni caratteri.
– Eureka! – Esclamò il computer mentre il volto di Meier si animava, quasi fosse stato davvero lui a pronunciare quella parola. – Password corretta. – quindi, dopo alcune smorfie, il viso tornò immobile.
Lara tornò a guardare il gatto sentendosi una stupida nel momento in cui si rese conto che stava per chiedergli spiegazioni. Confusa, si lasciò cadere di peso sulla sedia imbottita davanti alla scrivania.
L’animale le saltò in grembo alla ricerca di altre carezze e Lara gliele diede meccanicamente perdendosi in pensieri riguardo al recente passato del professore. Un periodo di studi per nulla chiaro da cui era stata esclusa subito dopo aver intuito l’influenza delle onde elettromagnetiche sulle connessioni neuronali.
– A che cosa stava lavorando?
4.Cavia dopo alcuni minuti tornò con un balzo sulla scrivania, quindi, posizionatosi di nuovo davanti alla tastiera, premette i tasti con gesti sicuri.
– Ciao Lara, scusa se ti ho fatto aspettare, ma il sistema informatico che ho avviato, anche se si avvale dei computer più potenti in commercio, è davvero complesso e ha bisogno di qualche minuto per attivarsi al 100%.
– Ma Cavia? Sei tu a parlare?
– No Lara, sono io August Meier – disse il viso del professore al centro del monitor – ho solo trasferito la mia mente nel corpo di Cavia.
– Vuol dire che…
– …non è stata accidentale la mia morte. Mi sono sottoposto volontariamente a un esperimento che ha permesso alla mia impronta neuronale di trasferirsi.
– Ma com’è possibile?!
– Suvvia, ragazza. Non sottovalutarti. Sei stata anni al mio fianco, e in base agli studi che abbiamo fatto gomito a gomito, dovrebbe esserti chiaro che una cosa del genere è possibile.
– Beh… abbiamo indotto modifiche alle architetture neuronali di diversi animali da laboratorio – disse Lara guardando Cavia – ma non credevo si potesse operare con tale precisione.
– Sì che si può – disse il Professore dopo che il gatto ebbe ripreso a digitare sulla tastiera – diciamo solo che una volta imboccata la strada giusta, ho cercato di tenerti fuori da tutta questa faccenda apposta. Sapevo che ti saresti fatta un po’ troppi scrupoli di coscienza, forse me lo avresti persino impedito, ma così…
– Beh, così non c’è più nulla da fare. Credo che lei si sia spinto troppo avanti.
– A dire il vero potrei tranquillamente sottoporre il cervello di un altro uomo a una modifica dell’impronta neuronale e tornare ad assumere sembianze umane. Sembianze addirittura più giovani e sane, ma…
– La capisco professore.
– Davvero?
– Bhe sì, il suo trasferimento corrisponderebbe alla morte di un individuo, non sarebbe etico.
– Eh già, cara la mia Lara.
Cavia, dopo aver digitato queste ultime parole, si voltò e tornò in grembo alla ragazza.
Era da qualche minuto che Lara accarezzava il folto pelo arancione del gatto in cui si era trasferita la coscienza del professor Maier, quando il gatto, estratte le unghie, con un movimento repentino la graffiò sul dorso della mano.
– Haia! Mi ha fatto male.
Il gatto intanto era tornato alla tastiera e si era rimesso a digitare.
– Ti sbagli Lara, ho fatto il tuo bene. Ci vuole solo un po’ di pazienza.
5.Quando Lara aprì gli occhi, la percezione che aveva dell’ambiente era diversa. Provò a rimettersi in piedi, ma subito si accorse che il meglio che riusciva a fare era reggersi su quattro zampe… e non era un modo di dire.
– Ma che cosa?! – Esclamò spaventata con una voce acutissima, graffiante, che seppur modulata come un miagolio alle sue orecchie giungeva comprensibile.
– Nulla di grave, anzi, ti ho dato un’opportunità riservata solo a pochi eletti – spiegò il professore Meier con la voce di Cavia, diventata comprensibile senza più bisogno d’avvalersi di alcun sintetizzatore vocale. – Se però hai bisogno di ulteriori conferme, lì c’è uno specchio.
Lara con passo incerto si spostò fino a poter contemplare la propria immagine. – Ma… sono un gatto!
– Ti sbagli, sei una gatta. Una magnifico esemplare femmina di Cattus Soriani Ultrasapiens – disse Meier strofinandosi su di lei.
– Mi stia lontano! – Urlò Lara alle soglie di una crisi isterica.
– Come vuoi, dolce Lara – disse il gatto-professore leccandosi il pelo della zampe con fare indifferente – quando verrà la stagione dell’amore sarai tu a venirmi a cercare.
– Lei é disgustoso! Voglio tornare nel mio corpo! Mi rimetta nel mio corpo!
– Mi spiace, ma non è più possibile.
– Ma se ha detto che potrebbe tornare a possedere sembianze umane, perché adesso mi dice che non si può!
– Perché il tuo corpo ormai è privo di vita. – quindi, spostatosi di lato Meier disse: – Vedi.
Il corpo di Lara giaceva sulla sedia dove si ricordava d’essersi assopita.
– Ma che cosa mi ha fatto.
– Hai ragione Lara, meriti un po’ di spiegazioni. Allora… sì, adesso siamo gatti. Gatti il cui cervello è stato modificato fino a diventare una copia del nostro, una copia fedele nonostante la miriade di contatti neuronali, in cui ho potuto riversare le nostre coscienze, assieme a tutti i nostri ricordi, il nostro sapere… insomma, siamo molto di più di una copia, siamo davvero il Professor Meier e la sua assistente dentro il corpo di due felini.
– E perché proprio dentro dei gatti?
– Perché dopo tutti gli esperimenti fatti, è l’animale su cui ho riscontrato la minor percentuale d’errore nel replicare le sequenze neuronali. Quella che io amo chiamare “Duttilità Neuronale Soriana”. Sai, non è poi così difficile intervenire, il più è stato individuare la frequenza di risonanza delle onde elettromagnetiche con cui bombardare il cervello di questi animali.
– Lei è pazzo – disse disgustata Lara provando ad allontanarsi.
Meier la lasciò andare controllandola a distanza. Poi, un attimo prima che la gatta raggiungesse l’entrata, saltò su un bottone vicino alla tastiera del computer attivando la chiusura della pesante porta d’acciaio.
– Mi spiace Lara, ma devo trattenerti. Ma lo capirai, è per il tuo bene.
– Il mio bene?! Lei mi ha trasformata in un gatto. Come fa questo a essere un bene.
– Vedi, una volta che accetterai la tua nuova condizione, lo apprezzerai. Il nostro non è il corpo di un comune soriano. È il corpo di una razza nuova di cui ho migliorato i tratti genetici, dotandola di possibilità uniche.
– E quali sono queste possibilità, otre a gonfiare il pelo e fare le fusa?
– Sei divertente ragazza. Ho sempre apprezzato la tua… graffiante ironia, ma quelle a cui mi riferisco sono capacità che non puoi nemmeno immaginare.
– Dimmene una allora – gridò rabbiosa Lara assumendo involontariamente un’aggressiva posizione di attacco sfoderando minacciosa gli artigli.
– Le unghie.
– Che cosa?
– Le unghie, gli artigli… chiamali come vuoi. In realtà sono aculei capaci di iniettare un letale veleno.
– O mio Dio! – Esclamò Lara contemplandosi inorridita una zampa. – Allora… Jack…
– Mi spiace Lara – disse Meier con finta contrizione – non puoi fare più nulla per lui.
EpilogoLara si voltò a guardare i suoi figli.
L’ultima cucciolata era stata più numerosa e dolorosa delle precedenti. Ma tutto era andato comunque a buon fine.
– Come stai? – domandò Jack premuroso strofinandosi addosso alla compagna.
– Bene, non credevo che diventare un gatto soriano avrebbe potuto riempirmi di così tanta soddisfazione.
– Nemmeno io, ancora non me ne capacito.
– È strano come gli eventi si siano ribellati al piano ordito da quel pazzo di Meier per conquistare il mondo.
– Già, una nuova razza di gatti per sterminare l’umanità salvando solo gli individui che in base al suo personale giudizio meritavano di diventare Cattus Soriani Ultrasapiens, ma ancor più strano è stato scoprire che proprio grazie alla sua macchina hai potuto riportarmi in vita.
Lara chiuse gli occhi e ripensò ai suoi primi giorni da gatto, giorni in cui aveva dovuto subire le peggiori angherie, vere e proprie torture psicologiche da cui era riuscita a liberarsi per un’incredibile fatalità: la morte di Meier a causa di una lisca di pesce rimastagli conficcata in gola. Senza il professore, lei e gli altri Soriani Ultrasapiens si erano organizzati in una comunità con ambizioni molto meno assolutistiche, dandosi da fare per trovare un nuovo senso alla diversa forma d’esistenza cui erano approdati.
– Eppure Lara, non mi hai ancora detto come hai fatto a risequenzare il mio cervello. Ero morto da tre settimane quando mi sono risvegliato.
– A dire il vero Jack, anche per questo dobbiamo ringraziare Meier. Aveva operato sul tuo cervello senza che tu nemmeno te ne accorgessi. Eri una delle tante cavie che a propria insaputa gli hanno permesso di ottenere i suoi incredibili risultati e io, dopo la sua morte, quando ho potuto accedere a tutti i file che aveva in memoria nel suo computer, ho scoperto che avrei potuto riportarti in vita. Mi spiace, avrei voluto ridarti sembianze umane, ma non me la sono sentita.
– Non ti preoccupare – disse Jack tornando a strofinarsi su di lei dopo aver dato un’occhiata ai loro gattini – va bene così.
Autorizzo Jackie de Ripper alla pubblicazione del racconto su Skan Magazine