Forum Scrittori e Lettori di Horror Giallo Fantastico

Skannatoio, marzo 2013, speciale XVI, Ventiquattr'ore con lo scienziato pazzo
* Campionato pri-est 2013, 2 di 12

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view post Posted on 13/3/2013, 16:20
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Magister Abaci

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CITAZIONE (Rovignon @ 13/3/2013, 14:05) 
Ragazzi... si può fare!
Ho già scritto qualcosa e credo che tra domani o dopo dovrei riuscire a postare.
Incrocio le dita perchè non voglio rinunciae per due volte a fila allo Skanna! ;)

Coraggio! Al limite, se sarai l'unico a postare, avrai due racconti in gara nel prossimo speciale ;)
 
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anark2000
view post Posted on 13/3/2013, 20:57




Tremate...
 
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view post Posted on 13/3/2013, 21:35
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Arrotolatrice di boa

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trAmate!
 
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Nozomi 2.0
view post Posted on 13/3/2013, 22:36




La Scoperta
di Nozomi

Lei: Eureka! Eureka!
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Loro: Signorina, si calmi, prego, e si sieda. In cosa possiamo servirla?
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Lei: Ho fatto un'invenzione straordinaria!
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Loro: Ovvero?
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Lei: Ho inventato l'Amore!
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Loro: Mi dispiace signorina. Pare che l'idea non sia nuova. E comunque il principio di funzionamento si basa su teorie scientifiche errate. Arrivederci.
logo_tema2_ita


Lei:"Sigh!"
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Fine!


Va beh, si vede che non c'ho niente da fare, eh! L'ispirazione langue! :unsure: Ok, mi autocensuro! mki
:ph34r:
 
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anark2000
view post Posted on 13/3/2013, 23:58




Habemus Papam


13 marzo 2013.
Mario, dalla Francia, seguiva sul computer la diretta televisiva di SkyTg24.
La folla gremiva piazza San Pietro in attesa della presentazione del nuovo Papa. L'inno del Vaticano veniva suonato dalla banda seguito da una breve esecuzione di quello di Mameli.
- Cazzo! Voglio proprio vedere come vogliono fare un passo avanti, 'sti preti. - pensò.
Aveva deciso di celebrare l'evento con una buona bottiglia di bordeaux del 2011, durante la cena: era da un'ora che lo aspettava.
A un tratto la folla esultò. Le luci nella stanza della basilica si accesero.
- Gentili ascoltatori ci siamo! Tra poco uscirà l'incaricato all'annuncio che tutti aspettavamo da giorni. - commentò il cronista.
- Ancora? Ma non doveva uscire il Papa? - esclamò, incredulo, Mario.
Le tende furono raccolte ai lati, le finestre aperte: il crocifisso apparve alto in tutto il suo splendore e la gente esternò il proprio entusiasmo. Giunse in seguito il protodiacono Jean-Louise Pierre Tauran che, senza esitare, disse: “Nuntio vobis gaudium magnum: habemus papam. Eminentissimum ac reverendissimum dominum, dominum Jorge Sanctae Romanae Ecclesiae cardinalem Bergoglio qui sibi nomen imposuit Francesco.”
Dubbioso, il disattento spettatore, si chiese chi fosse l'eletto.
Il cronista riprese la parola, nonostante le urla dei fedeli. - È il cardinale che si fece da parte nell'ultimo conclave per far eleggere Ratzinger, da lui stimatissimo!
- Ah! - pensò Mario - adesso me lo ricordo!
Un attimo dopo la terrazza del Vaticano si svuotò e le tende rosse vennero chiuse completamente.
Mario sorseggiò il vino, dopo aver rosicchiato un grissino. In quel momento si chiedeva se questo gesuita si sarebbe comportato proprio come San Francesco d'Assisi: lo voleva vedere camminare tra i poveri con croci di legno.
Dopo una breve attesa, finalmente uscì il nuovo Papa.
I fedeli lo accolsero con un boato d'entusiasmo.
Le sue prime parole da emissario di Dio furono: - Buonasera, fratelli e sorelle.
Scese il silenzio, tutti volevano ascoltarlo. Tuttavia, dopo qualche minuto di preghiere dedicate a Ratzinger, un elemento esterno fece il suo ingresso, dal cielo.
Mario non credeva a quello che vedevano i suoi occhi: uno strano velivolo era atterrato, con quelle che potevano essere delle zampe, sopra l'obelisco; sembrava la riproduzione di una falena, ma grande come un dirigibile. - E quello che cazzo è? - urlò, come se si attendesse una risposta immediata.
Le telecamere inquadrarono la folla in preda al panico; poi, la terrazza con Papa Francesco che discuteva con i suoi cardinali. Una voce tonante attirò l'attenzione di tutti.
- Fate silenzio! Lasciate che mi presenti al mondo intero: sono lo stimatissimo dottor Eureka! - disse urlando da altoparlanti nascosti. - Da anni sto costruendo una flotta ultra tecnologica con il solo intento di dichiarare guerra agli impostori del Vaticano. Questi falsi predicatori sono solo degli alieni parassiti che hanno invaso il nostro pianeta con l'intento di dominarci. È da duemila anni che vi prendono per il culo!
In quel momento la connessione di Mario ebbe quella che nel gergo internauta veniva definita “lag”: disperato, si alzò di corsa e, mentre invocava l'aiuto di Dio con parole sue, iniziò a scuotere stupidamente il modem.
Lo streaming del video riprese il suo flusso regolare nel momento in cui il cronista strillava terrorizzato. - Mio Dio! Mio Dio!
Dal dorso della falena partirono dozzine di razzi luminosi diretti contro Papa Francesco.
I microfoni erano ancora aperti, al suo fianco, e Mario sentì quello che stava recitando la voce di Dio: “Veni in auxilium hominum.” disse con i palmi rivolti verso gli strani missili.
Un muro di luce si eresse a sua protezione, come una barriera, e ogni colpo avversario venne assorbito al suo interno implodendo nel nulla.
I fedeli inneggiarono cori di preghiere per ringraziare il Signore del miracolo concesso.
Il dottor Eureka tuonò di nuovo, questa volta furioso. - Stolti! Gli alieni si nutrono di energia spirituale attraverso le vostre preghiere. Si stanno servendo di voi per i loro oscuri progetti.
Gli occhi delle persone emisero luce e la stessa cosa accadde anche a Mario, benché non stesse pregando.
Papa Francesco puntò l'indice verso il mezzo volante e pronunciò qualcosa di simile a una formula magica: “ Vicit Leo de tribu Juda, radix David!”
Una forza invisibile investì l'insetto meccanico, il quale iniziò a comprimersi in se stesso, rimpicciolendosi; il dottore riuscì a mandare un ultimo messaggio.
- Non finisce qui, la prossima volta ti invierò l'intera flotta! Questo era solo... - la comunicazione si interruppe bruscamente, poi la falena si contorse ulteriormente sino a esplodere come una minuscola bolla di sapone.
Un uomo, giù in basso, gridò. - Sia lodato il signore!
Tutti lo seguirono in coro.
Mario balbettò una sola parola. - Miracolo.
Papa Francesco si rivolse ai suoi collaboratori. - Adesso rimetterò tutto a posto.
Il protodiacono si fece avanti, preoccupato. - Siete certo di riuscire nell'impresa? Non ha mai provato l'onda psichica finale e non vorremmo rischiare che il nuovo Papa venga consumato dalla sua stessa energia ancora prima di iniziare la sua missione.
- Abbiate fede. - rispose lui, sorridendo. - Sono molto più forte e vigoroso del mio predecessore: quando facevo il buttafuori non per niente mi chiamavano Il Cancello di Cordoba. Adesso, fatevi da parte.
Il Santo Padre si volse verso la piazza e allungò le braccia verso il cielo. - Fratelli e sorelle, presto il mondo sarà un posto migliore. Preghiamo.
Dopo una breve pausa pronunciò, in tono solenne: “Urbi et orbi.“
Si chinò in avanti, le mani giunte, e tutti si unirono a lui. Dagli antichi obelischi romani partirono dei fasci di luce verso il cielo e un'aura splendente ricoprì l'intero pianeta.
Un attimo dopo, il silenzio.
Mario osservava lo schermo del computer, con sguardo ebete; a un tratto tornò in sé e si fece sfuggire un commento a voce alta. - Chissà se tra la folla c'è nascosto qualche estremista islamico che vuole farsi saltarsi in aria.
La voce del cronista, intanto, tornò a commentare gli eventi. - Abbiamo appena assistito alla presentazione di Papa Francesco I, che in questo momento sta salutando i fedeli e si accinge a lasciare la terrazza. Tutti si chiedono quale sarà il nuovo volto della Chiesa a partire da domani.
I festeggiamenti continuarono per alcune ore in tutto il mondo, nessuno sembrava ricordarsi di quanto realmente accaduto.
Mario aprì un'altra bottiglia di bordeaux.
Il dottor Eureka, intanto, bramava vendetta da qualche luogo nascosto e sicuro.


Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare questo mio racconto su 'Skan Magazine'. (se non ci sono problemi di censura)

Edited by anark2000 - 15/3/2013, 21:44
 
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view post Posted on 14/3/2013, 14:18
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Racconto rimosso su richiesta dell'utente

Edited by Marco Lomonaco - Master - 27/2/2014, 23:42
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 14/3/2013, 15:01




Già due racconti, di cui uno d'attualità, e tutto
prima del 15. Ne mancano solo tre, coraggio!
 
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view post Posted on 14/3/2013, 15:51
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Noooo! Porca zozza il corsivo! Posso correggere vero?
 
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cristiano r.
view post Posted on 14/3/2013, 19:13




Visto che ieri sera hoa avuto la malsana idea di leggere le specifiche prima di andare a letto, non ho dormito una sega! Come vendetta, ho deciso di scrivere questa storia.
Anch'io, come Anark, ho preso spunto dall'elezione del nuovo Pontefice.
Autorizzo Jackie e il Tetra alla pubblicazione del racconto su Skan e che Dio vi benedica.

VIA DELL’ INFINITO n. 8
(Puttanaio Cosmico)

- Buon giorno caro!-
- ‘Giorno.
- Sai chi è passato a trovarci mentre eri a correre con Nike? E’ passato CJ.-
- Ma dai!? E come sta quell’hippye da quattro soldi di tuo figlio?-
- L’ho visto un po’ dimagrito, è ancora disoccupato: dice che per trovare un lavoro di questi tempi ci vorrebbe un miracolo!-
- Già, tempi duri. Con questa storia del Risveglio Globale, Dei e Divinità saltano fuori come funghi. E dimmi un po’: sta ancora con quella tipa carina che lavora al Buddah Bar… come si chiama?
- Madelaine. Sì, stanno ancora insieme, d’estate andranno a fare un giro in Francia.-

- Mmmm… che profumino! Cos’hai cucinato di buono, Mary?-
- Strozzapreti e capesante, per celebrare l’elezione del nuovo Pontefice.-
DJ si passa una mano sopra la pelata e con l’altra inizia ad arricciare la lunga barba bianca, vistosamente innervosito.
- A proposito, sai una cosa, credo di aver combinato un bel casino, ieri sera.-
Mary allontana la padella dal fuoco, piega le braccia ai fianchi a mo’ di anfora e guarda dritta negli occhi il marito il quale, imbarazzato, fa di tutto per non incrociare lo sguardo della moglie.
- Hai ricominciato a bere il distillato di mele?-
- Ma no, figurati!-
- Hai fulminato qualcuno per sbaglio?-
- Magari…-
- Allora hai fatto esplodere un’altra volta il tuo laboratorio!-
DJ sta per enunciare il misfatto compiuto, quando la suoneria del suo cellulare inizia a far vibrare le note della Marcia Imperiale di Guerre Stellari. Sul display, una Monade luminescente con la scritta ILLUMINATI di BAVIERA preannuncia tempesta in arrivo.

- Lo so, lo so…- si giustifica il vecchio barbuto. - doveva essere un Papa nero, o al massimo un asiatico, per allargare il nostro dominio ad Oriente ma…-
-Niente ma!- Sentenzia dall’altro lato George Bush.- Adesso trovi un rimedio alla cazzata che hai fatto, da solo per giunta! Qui siamo pieni di lavoro, abbiamo un sacco di Ordini…non stiamo mica a giocare con gli aereoplanini telecomandati, noi! Ma poi come Diavolo ti è venuto in mente… un Papa argentino!-
Il vecchietto si accende una sigaretta, si mette a sedere sul suo trono e inserisce il vivavoce.
- Mi sono lasciato condizionare dai media…- Annuncia sconsolato.
- Ma i media siamo noi!- Urla incazzatissimo George Bush.
- Però con la solfa del Papa rivoluzionario che sappia districarsi tra i problemi della Chiesa Cattolica avete fatto due coglioni così!-
- Sì, ma quella era la solita manfrina di circostanza. Insomma, come sei arrivato al Papa argentino?-
DJ prende fiato, guarda Mary, che scuote la testa avvilita, e inizia a spiegare il suo contorto ragionamento. - Per associazione di idee!- Dichiara. - Volevate un rivoluzionario? Mi è venuto a mente Ernesto della Sierra Guevara. Volevate una figura abile a districarsi tra i problemi, un “driblatore raffinato” e per giunta con la mano divina? Ho pensato a Maradona. Entrambi poi sono argentini e così…-
- Io non ho parole.- Replica con voce dimessa l’ex presidente degli Stati Uniti.- E adesso che si fa?-
Il maldestro alchimista-creatore rimane in silenzio per qualche secondo, poi esclama: - Eureka! Ho trovato la soluzione: potreste farlo fuori il prossimo anno…che so io, l’11 marzo del 2014, ad esempio.-
- L’11 marzo abbiamo già colpito, in Giappone, un paio di anni fa, quando abbiamo testato Onda Oscura, la macchina crea tzunami.-
- Allora…anticipate la data all’11 febbraio prossimo, o cavolo… Ratzinger si è dimesso proprio quel giorno. - Di settembre non se ne parla nemmeno, vero?-
- Infatti, anche perché è dall’11 settembre del 1941, quando è stata posta la prima pietra per la costruzione del Pentagono, che qui nessuno va in vacanza. Hai idea di quanti arretrati dobbiamo pagare ai nostri impiegati?-
- Allora…-
- Allora basta!- Lo interrompe Bush, con voce alterata. - Niente attentati, niente complotti: risolvi il danno che hai fatto da solo, o scateno un puttanaio cosmico che neanche te lo immagini!-

La linea sembra essere caduta quando all’improvviso, in sottofondo, la voce dell’americano torna a farsi sentire, anche se la frase pronunciata è chiaramente indirizzata ad un’ altra persona:- George W! George W! Smettila di mangiare i noodles con il compasso! Ma tutte a me devono capitare, non bastava questo figlio demente sul quale non poter fare affidamento!-
Poi, A Washington D.C., viene davvero interrotta la chiamata, bruscamente.

A Paradise City invece, in via dell’Infinito n. 8, DJ scoppia in un a risata liberatoria.
- Che hai da ridere?- Chiede Mary incuriosita.
Lo scienziato pazzo prende il cofanetto appoggiato su un bracciolo del trono, lo apre ed estrae tutto l’occorrente per fare una canna.
-Vuoi sapere la verità? Vuoi proprio sapere perché ho fatto Papa Francesco?- Indaga con un sorriso burlesco.
- Spara!-
- L’ho fatto per fare un dispetto ai tifosi della Lazio!-
A Mary escono gli occhi fuori dalle orbite.
- Come ben sai, mia cara, io sono il più grande tifoso della Roma e immenso amante di Roma città…-
- E allora?-
- Ti ricordi quando ho creato Totti, Francesco Totti, il capitano dei giallorossi?-
- Certo che me lo ricordo, eri “ fuori come un terrazzo” quella sera! Ti sei scolato una bottiglia di Vin Santo e poi sei sceso nel laboratorio …-
- Infatti, ma ieri ho avuto la possibilità di riparare al danno fatto. Quando pensai ad una nuova divinità per il popolo di Roma mi ispirai a Tot, il Dio della conoscenza e del sapere degli antichi Egizi.-
- Continua.-
- Volevo creare un personaggio carismatico, onnisciente, misterioso ed ermetico che sapesse leggere la sfera della Sapienza, invece…-
- Invece l’unica sfera che quell’analfabeta hai mai visto in vita sua è fatta di cuoio, e tutto questo perché devi aver inserito un programma sbagliato, ubriaco com’eri.-
- Esatto! Filosofia e Football poi, tra i miei link preferiti, sono una accanto all'altro!-
- Almeno il nome è quasi uguale!- Esclama Mary, grattandosi la testa con il mestolo e aggiungendo:
- Ancora però non capisco la connessione con la scelta che hai imposto al Conclave.-
-Il nuovo Papa eletto si chiama Francesco, come Totti, sai come gli roderà il culo a quei burini bianco celesti!-
La Santa donna non risponde, ormai ha perso ogni speranza. Mesta e rassegnata si rimette ai fornelli.
- Ieri sera, quando i fedeli in Piazza S. Pietro acclamavano il nuovo Papa al grido di Francesco! Francesco!, il capitano della Roma, l’altro Francesco, ha creduto che invocassero lui e si è affacciato dalla finestra della sua villa…roba da pazzi! Dovevo fare assolutamente qualcosa.-

DJ, terminata la spiegazione degli eventi, accende la canna, fa un bel tiro e soffia fuori un enorme nuvola di fumo bianco come la sua barba.
Soddisfatto e compiaciuto, inizia ad armeggiare col telefonino.
Appena apre la pagina di Face Book però, trova un messaggio inviatogli da Cristiano F. “Templare NeroAzzurro”, un tizio che non gli è mai andato tanto a genio.
- E questo interista di merda ora cosa vuole?-
Infila gli occhiali da vista, avvicina il cellulare e legge a voce alta : - << SEI VERAMENTE UN COGLIONE! ADESSO TUTTI I TIFOSI DELLA LAZIO SI CONVERTIRANNO ALL’ISLAM…>>-

L'alchimista strampalato si toglie gli occhiali, fa un altro bel tiro e tutto stizzito annuncia: - A questo stronzo gli tolgo “L’Amicizia”!-

Edited by cristiano r. - 25/3/2013, 14:39
 
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view post Posted on 15/3/2013, 11:53
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Duttilità Neuronale Soriana
di Alessandro Renna



“Sto puntando in alto.
E per puntare così in alto, bisogna fare grandi rinunce.
Rinunce estreme.”

Professor Augustus Meier


1.
– Chissà che cosa voleva dire il professor Meier? – Si chiese Lara, richiudendo il vecchio quaderno degli appunti. – È strano Jack, come le sue annotazioni negli ultimi anni siano diventate più discorsive e intimistiche rispetto alle incomprensibili formule matematiche dei primi tempi.
– E che c’è di strano in questo? – Chiese il ragazzo aprendo la porta cigolante della vecchia villa in cui Meier aveva trascorso i suoi ultimi anni di vita.
– In teoria nulla, anzi, forse ho scoperto più cose della sua anima in questi ultimi giorni leggendo queste annotazioni che in tutti gli anni di lavoro passiti al suo fianco come assistente di laboratorio.
– Sarà pure come dici tu, Lara, ma da quel poco che mi hai fatto leggere, le sue annotazioni, saranno pure più intimistiche, ma a me sanno tanto di delirio senile.
Entrati nel salone, i discorsi di Lara e Jack s’interrompono bruscamente per la comparsa di Cavia, un grosso gatto soriano che negli ultimi mesi il vecchio uomo di scienza aveva preso a vivere con sé. Il gatto si era lanciato dall’ultimo scaffale dell’ingombra libreria e dopo essere atterrato sulla spalla dell’uomo, aveva spiccato un altro balzo fermandosi al centro della massiccia scrivania, quindi, con il pelo ritto si era girato inarcando la schiena e soffiando minaccioso verso di lui.
– Ma? Dannato gattaccio – reagì rabbioso Jack provando a colpire l’animale con una rivista capitatagli a portata di mano.
L’agile felino si spostò di lato e sfoderati gli artigli saltò sul suo viso.
– O mio Dio. Basta Cavia, lascialo, lascialo! – Gridò spaventata Lara senza sapere che cosa fare.
Cavia tornò al centro della scrivania, quindi le rivolse uno strano sguardo. Sembrava quasi volesse dire: “Mi sono fermato solo perché me l’hai detto tu”. Ma fu solo un attimo, un’impressione fugace. Il felino tornò subito a gonfiare il pelo e a inarcare la schiena soffiando rabbioso in direzione di Jack.
– Vieni via, Lara. Guarda, mi ha fatto sanguinare quella furia. Potevo rimetterci un occhio.

2.
– Cavia. Cavia dove sei? Sono tornata.
Lara non ricevette alcuna risposta e tornò ad avanzare nella penombra della sala.
– Cavia, dai, vieni fuori. Sono sola, non c’è Jack. – Fu in quel momento che la ragazza sentì il gatto strofinarsi contro la sua gamba.
– Hmm… lo sapevo che eri un bravo micione – disse la ragazza abbassatasi ad accarezzarlo – ma sei stato davvero cattivo con Jack, è un bravo ragazzo. Dovresti dargli un’altra possibi…
Il gatto, si staccò da lei bruscamente e si mise a soffiare rabbioso senza farle finire la frase.
– Se tu non fossi un bel micione dal pelo fulvo, penserei davvero che tu sia geloso – disse Lara aprendosi in un sorriso divertito mentre Cavia le girava attorno altezzoso – Va bene, d’accordo, lasciamo perdere. Ci saranno altre occasioni per fare amicizia con Jack.
Ma di nuovo Cavia si mise a soffiare minaccioso.
La ragazza decise di non insistere e dopo essersi riavvicinata al gatto, gli offrì la mano in segno di pace.
Il felino rabbonito tornò a prendersi le carezze, poi, dopo aver afferrato con i denti aguzzi il polsino del maglione, tirò, facendole capire di seguirlo.
Il gatto si muoveva agile nel buio delle stanze senza aver bisogno di aspettare che Lara accendesse la luce, azione che non le veniva spontanea non essendosi mai addentrata in quei locali della villa.
Cavia era sceso giù nella taverna seminterrata e aspettava calmo davanti alla porta a lato del camino. In effetti, non aveva bisogno che qualcuno gliela aprisse per passare. Lara, infatti, aveva notato che in tutte era presente uno sportello per permettere al gatto di muoversi da solo da un ambiente all’altro. No, il gatto la stava aspettando, voleva proprio che lei lo seguisse.

3.
Avevano disceso un lungo e stretto corridoio in fondo al quale, una pesante porta d’acciaio spalancata immetteva in un enorme bunker di cemento armato pieno di strane apparecchiature elettroniche. O almeno, così sembrava nel buio appena rischiarato dalla luce che scendeva giù dalle scale.
Lara avrebbe voluto tornare indietro a raccogliere qualcosa per farsi luce, ma appena Cavia avanzò oltre la soglia, un rilevatore di movimento si accorse della sua presenza e la stanza fu invasa dalla luce di decine di neon.
– Ma? Che cosa sono queste macchine? – Si domandò Lara curiosa
passando la mano sul freddo spigolo di un mobiletto d’acciaio smaltato.
Il gatto ci saltò sopra e soffiando minaccioso le fece capire che era meglio non toccare, quindi, riafferratala per il polsino, la invitò di nuovo a seguirla.
Il gatto si posizionò vicino a una scrivania, poi con un balzo ci saltò su e con gesti collaudati premette il bottone d’accensione di un personal computer.
Il sommesso ronzare della ventola dell’alimentatore si confuse con il più forte soffiare dell’aria condizionata che assicurava il ricambio dell’aria al bunker.
– Ma… è impossibile? – Balbettò Lara mentre seguiva sul monitor la sequenza d’accensione che terminò con l’avvio di un’applicazione che visualizzava, al centro dello schermo, l’immagine in primo piano del volto del professor Meier.
Il gatto le lanciò uno sguardo in tralice, poi, posizionatosi davanti alla tastiera, digitò alcuni caratteri.
– Eureka! – Esclamò il computer mentre il volto di Meier si animava, quasi fosse stato davvero lui a pronunciare quella parola. – Password corretta. – quindi, dopo alcune smorfie, il viso tornò immobile.
Lara tornò a guardare il gatto sentendosi una stupida nel momento in cui si rese conto che stava per chiedergli spiegazioni. Confusa, si lasciò cadere di peso sulla sedia imbottita davanti alla scrivania.
L’animale le saltò in grembo alla ricerca di altre carezze e Lara gliele diede meccanicamente perdendosi in pensieri riguardo al recente passato del professore. Un periodo di studi per nulla chiaro da cui era stata esclusa subito dopo aver intuito l’influenza delle onde elettromagnetiche sulle connessioni neuronali.
– A che cosa stava lavorando?

4.
Cavia dopo alcuni minuti tornò con un balzo sulla scrivania, quindi, posizionatosi di nuovo davanti alla tastiera, premette i tasti con gesti sicuri.
– Ciao Lara, scusa se ti ho fatto aspettare, ma il sistema informatico che ho avviato, anche se si avvale dei computer più potenti in commercio, è davvero complesso e ha bisogno di qualche minuto per attivarsi al 100%.
– Ma Cavia? Sei tu a parlare?
– No Lara, sono io August Meier – disse il viso del professore al centro del monitor – ho solo trasferito la mia mente nel corpo di Cavia.
– Vuol dire che…
– …non è stata accidentale la mia morte. Mi sono sottoposto volontariamente a un esperimento che ha permesso alla mia impronta neuronale di trasferirsi.
– Ma com’è possibile?!
– Suvvia, ragazza. Non sottovalutarti. Sei stata anni al mio fianco, e in base agli studi che abbiamo fatto gomito a gomito, dovrebbe esserti chiaro che una cosa del genere è possibile.
– Beh… abbiamo indotto modifiche alle architetture neuronali di diversi animali da laboratorio – disse Lara guardando Cavia – ma non credevo si potesse operare con tale precisione.
– Sì che si può – disse il Professore dopo che il gatto ebbe ripreso a digitare sulla tastiera – diciamo solo che una volta imboccata la strada giusta, ho cercato di tenerti fuori da tutta questa faccenda apposta. Sapevo che ti saresti fatta un po’ troppi scrupoli di coscienza, forse me lo avresti persino impedito, ma così…
– Beh, così non c’è più nulla da fare. Credo che lei si sia spinto troppo avanti.
– A dire il vero potrei tranquillamente sottoporre il cervello di un altro uomo a una modifica dell’impronta neuronale e tornare ad assumere sembianze umane. Sembianze addirittura più giovani e sane, ma…
– La capisco professore.
– Davvero?
– Bhe sì, il suo trasferimento corrisponderebbe alla morte di un individuo, non sarebbe etico.
– Eh già, cara la mia Lara.
Cavia, dopo aver digitato queste ultime parole, si voltò e tornò in grembo alla ragazza.

Era da qualche minuto che Lara accarezzava il folto pelo arancione del gatto in cui si era trasferita la coscienza del professor Maier, quando il gatto, estratte le unghie, con un movimento repentino la graffiò sul dorso della mano.
– Haia! Mi ha fatto male.
Il gatto intanto era tornato alla tastiera e si era rimesso a digitare.
– Ti sbagli Lara, ho fatto il tuo bene. Ci vuole solo un po’ di pazienza.

5.
Quando Lara aprì gli occhi, la percezione che aveva dell’ambiente era diversa. Provò a rimettersi in piedi, ma subito si accorse che il meglio che riusciva a fare era reggersi su quattro zampe… e non era un modo di dire.
– Ma che cosa?! – Esclamò spaventata con una voce acutissima, graffiante, che seppur modulata come un miagolio alle sue orecchie giungeva comprensibile.
– Nulla di grave, anzi, ti ho dato un’opportunità riservata solo a pochi eletti – spiegò il professore Meier con la voce di Cavia, diventata comprensibile senza più bisogno d’avvalersi di alcun sintetizzatore vocale. – Se però hai bisogno di ulteriori conferme, lì c’è uno specchio.
Lara con passo incerto si spostò fino a poter contemplare la propria immagine. – Ma… sono un gatto!
– Ti sbagli, sei una gatta. Una magnifico esemplare femmina di Cattus Soriani Ultrasapiens – disse Meier strofinandosi su di lei.
– Mi stia lontano! – Urlò Lara alle soglie di una crisi isterica.
– Come vuoi, dolce Lara – disse il gatto-professore leccandosi il pelo della zampe con fare indifferente – quando verrà la stagione dell’amore sarai tu a venirmi a cercare.
– Lei é disgustoso! Voglio tornare nel mio corpo! Mi rimetta nel mio corpo!
– Mi spiace, ma non è più possibile.
– Ma se ha detto che potrebbe tornare a possedere sembianze umane, perché adesso mi dice che non si può!
– Perché il tuo corpo ormai è privo di vita. – quindi, spostatosi di lato Meier disse: – Vedi.
Il corpo di Lara giaceva sulla sedia dove si ricordava d’essersi assopita.
– Ma che cosa mi ha fatto.
– Hai ragione Lara, meriti un po’ di spiegazioni. Allora… sì, adesso siamo gatti. Gatti il cui cervello è stato modificato fino a diventare una copia del nostro, una copia fedele nonostante la miriade di contatti neuronali, in cui ho potuto riversare le nostre coscienze, assieme a tutti i nostri ricordi, il nostro sapere… insomma, siamo molto di più di una copia, siamo davvero il Professor Meier e la sua assistente dentro il corpo di due felini.
– E perché proprio dentro dei gatti?
– Perché dopo tutti gli esperimenti fatti, è l’animale su cui ho riscontrato la minor percentuale d’errore nel replicare le sequenze neuronali. Quella che io amo chiamare “Duttilità Neuronale Soriana”. Sai, non è poi così difficile intervenire, il più è stato individuare la frequenza di risonanza delle onde elettromagnetiche con cui bombardare il cervello di questi animali.
– Lei è pazzo – disse disgustata Lara provando ad allontanarsi.
Meier la lasciò andare controllandola a distanza. Poi, un attimo prima che la gatta raggiungesse l’entrata, saltò su un bottone vicino alla tastiera del computer attivando la chiusura della pesante porta d’acciaio.
– Mi spiace Lara, ma devo trattenerti. Ma lo capirai, è per il tuo bene.
– Il mio bene?! Lei mi ha trasformata in un gatto. Come fa questo a essere un bene.
– Vedi, una volta che accetterai la tua nuova condizione, lo apprezzerai. Il nostro non è il corpo di un comune soriano. È il corpo di una razza nuova di cui ho migliorato i tratti genetici, dotandola di possibilità uniche.
– E quali sono queste possibilità, otre a gonfiare il pelo e fare le fusa?
– Sei divertente ragazza. Ho sempre apprezzato la tua… graffiante ironia, ma quelle a cui mi riferisco sono capacità che non puoi nemmeno immaginare.
– Dimmene una allora – gridò rabbiosa Lara assumendo involontariamente un’aggressiva posizione di attacco sfoderando minacciosa gli artigli.
– Le unghie.
– Che cosa?
– Le unghie, gli artigli… chiamali come vuoi. In realtà sono aculei capaci di iniettare un letale veleno.
– O mio Dio! – Esclamò Lara contemplandosi inorridita una zampa. – Allora… Jack…
– Mi spiace Lara – disse Meier con finta contrizione – non puoi fare più nulla per lui.

Epilogo
Lara si voltò a guardare i suoi figli.
L’ultima cucciolata era stata più numerosa e dolorosa delle precedenti. Ma tutto era andato comunque a buon fine.
– Come stai? – domandò Jack premuroso strofinandosi addosso alla compagna.
– Bene, non credevo che diventare un gatto soriano avrebbe potuto riempirmi di così tanta soddisfazione.
– Nemmeno io, ancora non me ne capacito.
– È strano come gli eventi si siano ribellati al piano ordito da quel pazzo di Meier per conquistare il mondo.
– Già, una nuova razza di gatti per sterminare l’umanità salvando solo gli individui che in base al suo personale giudizio meritavano di diventare Cattus Soriani Ultrasapiens, ma ancor più strano è stato scoprire che proprio grazie alla sua macchina hai potuto riportarmi in vita.
Lara chiuse gli occhi e ripensò ai suoi primi giorni da gatto, giorni in cui aveva dovuto subire le peggiori angherie, vere e proprie torture psicologiche da cui era riuscita a liberarsi per un’incredibile fatalità: la morte di Meier a causa di una lisca di pesce rimastagli conficcata in gola. Senza il professore, lei e gli altri Soriani Ultrasapiens si erano organizzati in una comunità con ambizioni molto meno assolutistiche, dandosi da fare per trovare un nuovo senso alla diversa forma d’esistenza cui erano approdati.
– Eppure Lara, non mi hai ancora detto come hai fatto a risequenzare il mio cervello. Ero morto da tre settimane quando mi sono risvegliato.
– A dire il vero Jack, anche per questo dobbiamo ringraziare Meier. Aveva operato sul tuo cervello senza che tu nemmeno te ne accorgessi. Eri una delle tante cavie che a propria insaputa gli hanno permesso di ottenere i suoi incredibili risultati e io, dopo la sua morte, quando ho potuto accedere a tutti i file che aveva in memoria nel suo computer, ho scoperto che avrei potuto riportarti in vita. Mi spiace, avrei voluto ridarti sembianze umane, ma non me la sono sentita.
– Non ti preoccupare – disse Jack tornando a strofinarsi su di lei dopo aver dato un’occhiata ai loro gattini – va bene così.


Autorizzo Jackie de Ripper alla pubblicazione del racconto su Skan Magazine
 
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view post Posted on 15/3/2013, 12:10
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Magister Abaci

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Ne manca solo uno. Chi sarà il temerario autore che in meno di 12 ore scriverà un pezzo su un pazzo ;)
 
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view post Posted on 15/3/2013, 12:42

il gattaro

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Ci sono. Stacco un'oretta, rileggo e posto. Cheers.
 
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view post Posted on 15/3/2013, 13:41
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Grande Smilo!

Proprio questa volta che ho scritto un racconto dedicato ai gatti!
 
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view post Posted on 15/3/2013, 15:06

il gattaro

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17263 caratteri.
Doppio disclaimer: sono quasi sei mesi che non scrivo, sono piuttosto arrugginito. Abbiate pietà di me. Inoltre conosco perfettamente l'inconsistenza scientifica di ciò che viene descritto nel racconto - tuttavia non ho resistito al richiamo del taglio Lovecraftiano.


Buona skannata.

Interferenze



L’inverno russo batteva alla finestra, cercando di entrare e lasciando grosse impronte agli angoli degli infissi, simili a efflorescenze di muffa ghiacciata. Il vento stesso aiutava come poteva, fischiando e facendo turbinare il nevischio.
Semyon alzò la testa dal quadro comandi che controllava la sua linea di produzione, sbirciando verso l’orologio appeso al muro. Il monitor a fosfori verdi ronzava sommesso.
- Altri quaranta minuti e ce ne andiamo a casa. Ammesso che il tempo ce lo permetta.
Kirill muoveva velocemente le dita sulla vecchia calcolatrice, annotando qualcosa a margine degli schemi che coprivano la scrivania. Il collega si chiese se lo stesse ignorando o se non lo avesse proprio sentito. Alzò le spalle e si girò verso il tubo rovente della condotta pressurizzata.
- Un po’ di the di montagna? – chiese, afferrando il bricco che aveva preso a gorgogliare. Nessuna risposta. No, non lo stava ascoltando. Dal sacchetto di carta oleata prese una manciata di foglie secche, odorose ancora di menta, e le unì all’acqua e allo zucchero scuro. Gettò un’occhiata alla console. Le spie verdi erano accese, i relè ticchettavano, i manometri delle pompe a vuoto non segnavano anomalie. Tutto a posto.
-Mi spieghi cosa stai progettando? – chiese alla fine sporgendosi sul tavolo, sbirciando gli schemi costruttivi ricolmi di note e conti a margine. – Sono giorni che sei lì sopra. Non che ci sia molto da fare, ma della compagnia non guasterebbe.
Kirill alzò finalmente lo sguardo. Aveva gli occhi arrossati e febbricitanti, e il labbro umido gli tremava appena. Non si radeva da qualche giorno, osservò Semyon. Persino il colletto che spuntava dal camice sembrava aver visto tempi migliori.
- Non è bellissima? – chiese Kirill con la voce resa sottile dalla stanchezza. Con la mano spinse sotto gli occhi del compagno lo schema di una valvola termoionica. Semyon strizzò gli occhi, posando la tazza ancora fumante e chinandosi sul foglio. Era un ingegnere elettronico anche lui, eppure non aveva mai visto nulla di simile. Assomigliava come tecnica a una valvola elicoidale, eppure il filamento interno sembrava disegnato da Esher. La presenza di tredici elettrodi poi era assurda.
Si passò una mano sui folti baffi scuri, e guardò il collega in faccia. – Kirill – disse con tono preoccupato – credo che tu abbia bisogno di riposo. Da quanto non ti fai un bagno?
Il collega, non poté fare a meno di notare, puzzava di sudore.
- Oh, non importa Semyon! È pronta, devo solo trovare il materiale per il filamento!
Semyon sbuffò. Appoggiò la grossa mano sulla spalla di Kirill. Sotto di essa poteva sentirne le ossa. – Ascolta amico mio – prese a dire con tono più calmo possibile – adesso va a casa, mangia qualcosa di caldo. Ti copro io con quelli del turno successivo. Magari un bel piatto di boršč caldo, con una bella fetta di pane nero, che ne dici? Chiedi a tua madre di…
Non fece tempo a finire la frase che vide la rabbia montare negli occhi del collega. – Lascia stare mia madre! – Una risposta secca, a voce alta. – Non sa niente lei, non capisce niente. Solo di cucina e bucato. Raccolse gli schemi con movimenti nervosi, ripiegandoli alla meno peggio e infilandoli in una cartelletta sotto lo sguardo attonito di Semyon.
- Lei non sa! – concluse sibilando, indossando il pesante cappotto di montone e uscendo sbattendo la porta. Semyon scosse la testa preoccupato, mentre, attraverso la finestra ghiacciata, osservava il collega allontanarsi nel piazzale antistante alla fabbrica.

Kirill girò la chiave nella toppa d’ottone. Fece per aprire la porta, ma questa girò sui cardini solo pochi centimetri prima di sbattere rumorosamente sul chiavistello interno. Dall’appartamento proveniva odore di cipolle e aringhe stufate.
- Arrivo Kirill, arrivo! – disse una vocetta stridula dal corridoio. Aspettò in silenzio davanti alla porta. – Un attimo, ho detto che arrivo! – aggiunse la voce seccata, nonostante lui non avesse proferito parola.
Il rumore del chiavistello che veniva aperto gli martellò le tempie doloranti per il malditesta. La porta si aprì, rivelando la minuscola e tondeggiante figura di sua madre, coperta come al solito da un grembiule sporco di cibo. Aveva le mani sui fianchi, e le sopracciglia atteggiate in segno di rimprovero. Kirill si fece avanti, a testa china, nell’ingresso tappezzato di carta da parati color vinaccia. Il pavimento di linoleum era tirato a lucido.
- Mettiti le pantofole, ho appena pulito! – gli berciò la madre contro, chinandosi a slacciargli le scarpe e infilandogli delle babbucce di feltro ai piedi.
- Come mai a casa a quest’ora? Sei in anticipo. Hai perso il posto? Solo un mulo come te può perdere il posto. – lo incalzò in tono acido.
- No mamma, sono solo stanco. – mormorò Kirill, avviandosi verso la cucina. – Ho avuto una giornata pesante, e il malditesta non mi ha lasciato per un istante.
La madre si zittì qualche secondo, per poi riprendere ancora più petulante di prima. – Te l’ho detto che lavori troppo. E ti pagano poco, non è come quando c’era il regime, che tutti avevano da mangiare. Adesso lavori per fare lo schiavo, e al mercato non compri nulla. Adesso mangia qualcosa Liroc’ka, ascolta la mamma.
Gli piazzò sotto il naso un piatto ricolmo di patate e barbabietole, accompagnato da una pila di aringhe annegate nella panna acida.
- Mangia.
- Non ho fame, mamushka, devo solo riposare.
- E allora riposa – rispose accondiscendente – ma prima mangia qualcosa. Vuoi che ti imbocchi?
La forchetta già carica di cibo viaggiava verso le labbra di Kirill, esasperato dalla premura nevrotica della madre. Non avrebbe aperto la bocca, non stavolta. Era un uomo, e sua madre doveva rispettare i suoi desideri.
-No mamma, davvero.
Si ritrovò a dover scansare il boccone che sua madre gli offriva con protervia.
- Mangia! Guarda che occhi, sembri un lupo dopo l’inverno. Mangia!
La madre abbassò la posata, guardandolo con gli occhi carichi di lacrime. Ecco che arriva il pianto, pensò stancamente Kirill. Non ne poteva più, sfinito da attenzioni soffocanti di cui non riusciva a liberarsi. Tuttavia sua madre era anziana e sola, e lui non aveva certo una vita sociale degna di nota. Magari avrebbe resistito un’altra volta, poteva farla contenta per oggi. Meccanicamente aprì la bocca.

Il topo atterrò nella teca illuminata, sul terreno ricoperto di pezzi di corteccia. Il minuscolo cuoricino batteva all’impazzata, e le narici si allargavano freneticamente annusando l’aria carica di odori alieni. Nessun rumore proveniva dai dintorni, e la debole vista non era sufficiente per distinguere l’esatta natura della forma bianca tesa pochi centimetri davanti a lui. Le zampette si mossero incerte, in cerca di un angolino nel quale nascondersi e calmarsi. L’ombra scura sotto la forma odorosa di legno doveva essere un nascondiglio, senza dubbio. Un rumore debolissimo, quasi impercettibile lo mise in allerta, mandando segnali nervosi ai muscoli che si tesero per fuggire, in una qualsiasi direzione che fosse opposta alla fonte di pericolo. Scattò verso l’anfratto, senza mai raggiungerlo, schiacciato a metà strada da un peso improvviso sulla schiena pelosa, al quale seguì un dolore lancinante che si sparse per le viscere. Il terrore cieco urlava disperatamente ai suoi muscoli tetanizzati di muoversi, fino a che il torpore non raggiunse i gangli cerebrali.
Kirill osservava estasiato i movimenti precisi e armoniosi dell’enorme migale, intenta nell’atto di avvolgere nella seta il topo completamente paralizzato. Una preda di quelle dimensioni bastava a nutrire un esemplare adulto per quasi un mese, e tramite un’attenta pianificazione dei pasti poteva ammirare quello spettacolo ogni quattro o cinque giorni, quando nutriva gli esemplari più grossi, il vanto della sua collezione. Oggi toccava alla Theraposa Blondii, la sua regina. La tela, che foderava interamente la tana, era così fitta che a malapena si potevano distinguere i bozzoli contenenti i resti delle prede dei mesi precedenti.
Finì di cibare i ragni alloggiati in altri terrari più piccoli, ammirandone i colori e l’eleganza dei movimenti, l’architettura perfetta delle tele. Si sentiva a suo agio, e il battito pulsante alle tempie si era attenuato. Si spostò verso il fondo della stanza, dove alcune apparecchiature ronzavano e ticchettavano. Da esse si dipanavano alcuni fili che finivano in una teca enorme, nella quale, sotto la fredda luce al neon, brillava una tela che occupava quasi tutto lo spazio. Sembrava un drappo finissimo di seta argentea dai riflessi cangianti, che vibrava impercettibilmente sotto la frenetica attività di migliaia di aracnidi della stessa dimensione e colore di un chicco di grano.
Gettò alcune cavallette nella teca, osservando i picchi disegnati sul minuscolo monitor verde dell’oscilloscopio. Non appena ebbero finito di mangiare Kirill trafficò con la strumentazione, e un’impalpabile nube di argento colloidale si diffuse come una nebbia, posandosi sulle tele e sui suoi abitanti che alzarono le zampe anteriori e i pedipalpi, fremendo all’unisono. L’oscilloscopio impazzì, disegnando arabeschi verdi. Gli altoparlanti urlarono a una frequenza appena percettibile dall’orecchio di Kirill, che estasiato sperimentava ancora una volta quel dolore acutissimo alla testa, così intenso da renderlo folle di piacere e tracotanza. La vibrazione della tela si attenuò e il fischio con esso, mentre i ragni abbassavano le zampe, lasciando Kirill alla sensazione estatica di sentirsi Dio.

-Adesso basta! – Il pugno di Kirill si abbattè sulla tovaglia, rovesciando la zvesva di rame e il suo contenuto sul centrino. La madre guardò attonita la macchia di caffè che si allargava sul fine tessuto di lino. Poi abbassò lo sguardo, scuotendo la testa con aria greve.
-Cosa ti sta succedendo Liroc’ka? - Allungò la mano ma Kirill ritrasse la propria.
– Cosa succede? Sei così nervoso, sempre stanco. Dillo alla tua mamushka.
Kirill chiuse gli occhi. Si sentiva fremere. Il malditesta non lo abbandonava un istante da giorni, e il sonno era tormentato da incubi. Si sentiva febbricitante, come se il suo corpo fosse in perenne attività, senza mai fermarsi. E la fame, la fame era continua.
-Kirill? - Aprì gli occhi, solo per trovarsi il volto della madre a pochi centimetri dal volto. La mano della donna gli serrò la nuca, e sentì il tocco umido delle labbra sulla fronte. – Scotti. Fila a letto.
In un altro momento il tono perentorio della madre avrebbe sortito il solito effetto. Si sarebbe alzato e sarebbe andato a sotto le coperte. Non questa volta. Sentiva la rabbia montare di nuovo, assieme al battito incessante alle tempie.
Si alzò di scatto dalla sedia. Sentiva il tessuto della camicia sulla pelle sfregare contro i peli del braccio. Sentiva ogni angolo del suo corpo brulicare, le terminazioni nervose sovraeccitate dal contatto con le fibre dei vestiti.
-Devo andare al lavoro.
Per una volta tanto era il suo tono di voce a non ammettere repliche.
La madre lo guardò uscire dall’appartamento sbattendo la porta.
-Guarda che disastro- mormorò, sistemando la tavola e raccogliendo il servizio da caffè.
Non riusciva a capire il comportamento del figlio, fino a poche settimane prima così docile. Sempre più assente, spariva per ore nella cantina, senza che lei sapesse cosa stava facendo. Il pensiero la fulminò, facendole fermare il cuore per un istante.
Il figlio di Yulya Sarpova l’avevano trovato morto con un ago nel braccio. Non poteva credere che suo figlio fosse un tossico, ma non avrebbe lasciato nulla di intentato. Si diresse verso la camera del figlio, intenzionata a trovare la chiave della cantina. Dopotutto, lei era pur sempre sua madre.
Irina Gorodeva scese le scale che portavano al seminterrato con l’ansia che le attanagliava il petto. Temeva quello che avrebbe potuto trovare, ma se fosse servito a far tornare suo figlio lo stesso di prima, ne sarebbe valsa la pena. La luce al neon sfarfallava, creando ombre grottesche sul cemento spoglio del basamento. Contò i numeri sulle porte, fermandosi davanti al 470. Sentiva uno strano odore provenire dall’interno, e l’aria sembrava più calda. Ormai rassegnata al peggio, l’anziana signora aprì la porta, convinta di trovarsi davanti le prove della tossicodipendenza del figlio. Quello che trovò davanti ai suoi occhi però, superava ogni sua immaginazione.

Lavorava febbrilmente alla macchina utensile, limando alla perfezione il supporto per la valvola termoionica. Confrontò il pezzo ottenuto con gli schemi, misurandone con precisione nevrotica le dimensioni. Controllò ancora e ancora, per essere sicuro di non aver sbagliato nulla, stordito com’era dal malditesta. Ingoio un paio di antidolorifici, seguendo con lo sguardo le ombre che sembravano correre sui muri in maniera innaturale. Le luci al neon splendevano come soli, e gli sembrava di guardare il mondo attraverso un prisma. Con mani tremanti compose i pezzi della valvola che finalmente gli avrebbe consentito di amplificare e accordare le vibrazioni delle tele, e magari di capire e comprendere qualcosa in più dei suoi amatissimi aracnidi. Col fiato sospeso infilò il pezzo nella pompa a vuoto, e attivò il meccanismo. La luce della saldatrice ad arco gli fece lacrimare gli occhi, ma ormai a un passo dall’obiettivo non si sarebbe fermato. La luce rossa si spense e si accese quella verde di fine ciclo.
Estrasse la valvola dal supporto. Era perfetta, lucente come la coppa nella quale vedeva bere il patriarca ortodosso durante le funzioni religiose alle quali assisteva da bambino. La sua religione era la scienza, ora. Collegò gli elettrodi all’oscilloscopio, per verificare il guadagno. La valvola si accese, emettendo una luminescenza violacea. I picchi erano perfettamente accordati.
-Eureka! – mormorò senza fiato per il dolore. Ripose con delicatezza il pezzo in una custodia rigida, e fece appena in tempo a poggiarlo sul tavolo, prima che l’ennesima fitta al capo gli facesse perdere i sensi.
Il primo volto che riconobbe, riprendendo conoscenza, fu quello di Semyon. Il collega lo guardava con espressione preoccupata con i suoi occhi cerulei. La sua voce gli giungeva debole, come provenisse da dietro un muro.
-Kirill! Kirill, santa madre Russia, ti senti meglio?
Enormi mani gli porgevano un bicchiere d’acqua.
Kirill bevve, circondato dai colleghi che lo guardavano chi con aria interrogativa, chi preoccupata. Il malditesta era scomparso quasi del tutto, sostituito da una tremenda sensazione di vuoto e di perdita. Restava solo un debole ronzio di sottofondo, ai margini della percezione, un’eco lontana che lo chiamava.
La sensazione era orribile, perfino peggiore del dolore e dei disturbi che provava prima. Guardò con aria sconvolta Semyon.
-Devo tornare a casa, Semyon. – la sua voce era funerea. - Sta accadendo qualcosa di orribile.

Corse per le strade di Novosibirsk, con le gomme della Lada che slittavano sull’asfalto ghiacciato. Avvicinandosi a casa il ronzio si faceva più intenso e sofferente. Scese dall’auto senza nemmeno chiuderla, incespicando nella neve sul marciapiede, mentre col cuore in gola correva verso la cantina.
Quando arrivò, sua madre, Irina Gorodeva, sorrideva soddisfatta maneggiando l’insetticida a pistone, spruzzando veleno nelle teche. A ogni colpo che la madre dava, poteva vedere i suoi ragni contorcersi in preda agli spasmi. Poteva sentire la loro agonia, tradotta in un disperato stridìo che solo le sue orecchie potevano percepire.
Irina si accorse infine dello sguardo carico d’odio del figlio. Non fece nemmeno tempo a realizzare cosa avesse in mano il suo bambino, prima che i colpi brutali le sfondassero il cranio.
In piedi in mezzo alla stanza, con ancora in mano il pesante trasformatore imbrattato di sangue, Kirill osservava disperato la distruzione compiuta da sua madre. Corpi rovesciati, morti o agonizzanti, con le zampe ancora frementi, giacevano sul dorso nelle loro teche. Il loro richiamo si faceva sempre più debole. Il trasformatore gli cadde, finendo con un rumore viscido nella macchia di sangue che si allargava sul pavimento. Cercò nelle tasche un fazzoletto per pulirsi, e con mani tremanti estrasse la custodia di cuoio che conteneva la preziosa valvola. Con la vista offuscata dalle lacrime si diresse verso l’apparecchiatura, sostituendo il pezzo al gruppo d’amplificazione. La luce violacea illuminò la stanza, colorando le tele piene di cadaveri, prede e predatori insieme in un unico campo di sterminio. Gli amplificatori emisero una nota ai limiti dell’udibile e ancora sopra, facendo sanguinare i timpani di Kirill.
Si guardò intorno, con una comprensione diversa. Percepiva il dolore, la sofferenza agonizzante degli aracnidi. Era uno di loro, adesso, non più Dio, bensì fratello. Dal centro della stanza udì il richiamo della Theraposa Blondii, che riversa sul dorso cercava con le poche forze rimaste di girarsi.
Con la delicatezza con la quale due amanti si toccano, Kirill sollevò l’aracnide e lo sistemò al centro della tana ricoperta di seta. Afferrò un cacciavite, e con un movimento rapido mise fine alle sofferenze della tarantola.
Tese l’orecchio.
Il silenzio lo circondava, e una voragine nera era aperta nella sua anima. Tutto ciò che amava era in quella stanza, senza vita.
Afferrò nuovamente il cacciavite, puntandoselo sul cuore.
Poi, nuovamente, il silenzio.

piuttosto: autorizzo Jackie.
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 15/3/2013, 15:18




Gara valida! Ma prima di postare classifiche e commenti,
aspettate la mezzanotte. Ci potrebbero essere
dei ritardatari. Almeno lo spero!
 
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118 replies since 12/3/2013, 16:29   2148 views
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