Gli alchimisti hanno sempre creduto che esistesse una sorta di schema, una legge universale che governasse il tutto e che, conoscendola, nulla sarebbe stato loro precluso.
La famosa pietra filosofale era l’incarnazione di questa legge universale, ne avrai di sicuro sentito parlare. Si narra che potesse qualunque cosa: trasformare il piombo in oro, donare la vita eterna.
Ma la nostra storia non parla di alchimisti, quindi il silenzio è di piombo e la vita… beh, la vita è tutt’altro che eterna.
Nestor Casagrande
Oh Black Betty…«Sono le undici e trentaquattro a El Paso, è sabato mattina e il sole è alto nel cielo. Avete appena ascoltato il country blues di Kentucky Bill Johnson con la sua
Sativa red carpet, direttamente dagli anni d’oro in cui il secondo emendamento ancora rendeva sicure le strade della nostra gloriosa nazione.»
La voce profonda del dj risuonò metallica dagli altoparlanti del 57 Cakes Inn, cingendo nel suo abbraccio rassicurante le caviglie doloranti delle cameriere che, in linea con le politiche aziendali, ancheggiavano da ore nelle loro minigonne arancioni, come a voler scoprire centimetri di cosce arrossate dal sudore e dagli sguardi lascivi.
Fugaci sorrisi ebeti si stampavano a intervalli regolari sui grugni degli alcolisti abituali che occupavano la sala, a dimostrazione del fatto che solo la prospettiva di un po’di sesso senza sentimento riusciva a distrarli dalla redenzione che, ancora dopo anni, si ostinavano a cercare sul fondo vuoto dei loro bicchieri.
Randy lo sfregiato non apriva bocca da ormai svariati minuti, teneva la mano sinistra ferma sotto la giacca e lo sguardo nervoso fisso oltre la spalla di Jimmy lo spaccone, troppo impegnato a pontificare per accorgersi dello stato d’animo del compagno.
«Capisci? La verità è che non gliene frega un cazzo a nessuno di te, della tua pistola del cazzo o del perché te ne vai in giro a puntare quella tua cazzo di pistola del cazzo su qualsiasi figlio di puttana negro, ebreo o messicano del cazzo che ti trovi davanti.»
Jimmy lo spaccone levò gli occhi al cielo. Le iridi azzurre si nascosero dietro le palpebre tremanti, segno tangibile di una storia d’amore mai veramente finita con una bianca signora vestita in polietilene. Gettò teatrale il cucchiaino nel piatto, abbattendo l’unico pezzo di torta alla crema sopravvissuto allo spuntino di mezza mattinata, poi riprese a sproloquiare:
«Te lo dico io cosa devi fare, devi indirizzare le tue energie verso qualcosa di più produttivo dell’odio razziale. Per esempio, per esempio, perché adesso, invece che andare a cercare un figlio di puttana a cui sparare in faccia solo perché è nato dalla parte sbagliata del Rio Grande, perché non tiri fuori la tua 44 e non la usi per fare una rapina? Una bella rapina, cazzo! Sì, una bella rapina del cazzo! Tanto chi cazzo vuoi che te lo impedisca? Guardati attorno, qui non gliene frega un cazzo a nessuno. Pensi che quella cameriera muoia dalla voglia di farsi fare una presa d’aria addizionale al cervello solo per impedirti di rapinare quel maiale obeso del suo capo? Per me quella lo odia pure il suo capo. Ti dirò una cosa, tutte le cameriere del cazzo odiano il loro capo. Per me sarebbe persino contenta se tu rapinassi questo posto ora, le faresti addirittura un favore.»
L’unico segno di una presunta attività cerebrale dello sfregiato era il suo continuo muovere la mandibola a destra e sinistra, come fosse un frantoio. Lo sguardo sempre fisso oltre la spalla dello spaccone.
Il vecchio canuto si afflosciò sulla sedia all’angolo del locale e, in preda allo sconforto, batté il pugno sul tavolo schiacciando un rimasuglio di panna montata lasciato in ricordo da qualche avventore precedente.
Lo sguardo furioso indugiò per qualche istante sui fogli sparsi davanti a lui, indeciso se lasciarsi andare al dolce abbraccio dell’ira o sforzarsi di recuperare la lucidità.
Le formule scritte fitte sugli appunti lo fissavano con disappunto: gli zeri parevano sguardi inquisitori, le radici quadrate canini appuntiti che digrignavano sorrisi di scherno. Si portò le mani alle tempie e chiuse gli occhi per non vedere, sentiva che stava per perdere il controllo.
«Professor Cohen, mi dispiace che si sia sporcato. Le do una mano io a pulirsi, solo un secondo.»
La coscienza del matematico si sentì strattonare con violenza da quella voce suadente e ritrovò in un istante tutta la lucidità di cui era capace.
Riaprì gli occhi e si ritrovò davanti Tina, la nuova cameriera in prova, china su di lui che brandiva un tovagliolo di carta.
Non portava nulla sotto la maglietta: i capezzoli turgidi spingevano sul cotone di infima qualità con un’arroganza adolescenziale che lo conturbava, la pelle lievemente ambrata dei suoi seni, attraverso i bottoni aperti della scollatura, era una visione celestiale che risvegliava in lui istinti infernali.
Vorrei tanto infilartelo tutto in gola, così in fondo da vederne la forma sotto la tua bella pelle vellutata.«Su, professore, mi faccia vedere.»
Certo che ti faccio vedere, sgualdrina, ti faccio vedere io.La ragazza, nel tentativo di avvicinare il tovagliolo alla macchia, gli sfiorò appena il polso. Il contatto con la pelle fresca diede un brivido al vecchio che, per la seconda volta in pochi istanti, si trovò ritrascinato di forza alla realtà. Pieno di vergogna , ritrasse di scatto la mano e si affrettò ad asciugarla su un lembo del lungo camice bianco mentre, facendo appello alle poche briciole di pudore rimastegli, si obbligava a tenere lo sguardo lontano da quella tentazione ambulante che erano i seni acerbi della giovane.
«No, no. Non fa nulla, non è niente. Ecco, vedi? È già tutto a posto.»
«Ma cosa dice? Non è a posto niente, adesso si è sporcato tutto il camice.»
Tina si chinò ancora di più sul vecchio, demolendone la già provata moralità con un candore disarmante.
Un altro contatto: solo un soffio di stoffa separava l’avambraccio del professore da quei capezzoli così invitanti.
Dio onnipotente, ti prego, fa’ che io possa leccarle il s…Un lampo abbagliò la mente del matematico che, in un istante, comprese.
«Il seno! Ho bisogno del seno!»
Abbassò lo sguardo sui fogli di appunti e lì, in un angolo del tavolo, la funzione cosinusoidale lo fissava terrorizzata, sapeva che i suoi giorni erano finiti.
Il vecchio alzò di nuovo gli occhi e urlò tutta la sua gioia al mondo intero:
«Eureka, brutto coseno di merda.»
Nessuno nel locale lo degnò di uno sguardo, tranne un uomo, dal volto sfregiato, che lo stava fissando nervoso da ormai diversi minuti.
«Ecco, lo vedi? Non hai le palle! Sempre con quella pistola del cazzo in mano ma poi, quando arriva il momento, te la fai sotto. Allora diciamolo: Randy lo sfregiato è uno che se la fa sotto, che non ha le palle. Non so neanche perché cazzo sto qui a perdere il mio tempo del cazzo con te. Come se avessi del tempo del cazzo da perdere. Neanche avessi scritto in fronte “ehi, guardate tutti, qui c’è un figlio di puttana timorato di Dio che ha da perdere un sacco di tempo del cazzo”. Ne ho piene le palle di perdere tutto il mio tempo del cazzo! Ho bisogno di una sigaretta.»
Jimmy lo spaccone infilò la mano nella tasca interna della giacca alla ricerca delle Lucky Strike quando, da dietro le sue spalle, sentì una voce sovrastare il brusio sommesso della sala:
«Eureka, brutto coseno di merda.»
Non fece a tempo a trovare il pacchetto di sigarette che, con la coda dell’occhio, vide Randy scattare veloce come un serpente a sonagli. Estrasse la mano sinistra da sotto la giacca e con il pollice armò il cane della 44 magnum nero satinato. Appena un istante per tendere il braccio oltre la spalla di Jimmy e un boato squarciò l’aria.
Il proiettile rivestito di teflon si avvitò nell’aria correndo all’impazzata e, prima che chiunque potesse reagire, si schiantò contro il cranio dello scienziato che esplose in una pioggia di schegge d’osso, sangue e cervella, congelando il tempo all’interno della tavola calda.
«Gesù Cristo, Randy,» Jimmy lo spaccone si teneva l’orecchio a pochi centimetri dal quale il compagno aveva appena fatto fuoco, «ma che cazzo fai?»
Randy non rispose, si limitò a osservarlo con il suo solito sguardo assassino imperscrutabile, la 44 ancora puntata verso il vecchio ormai morto.
«Ti ho chiesto che cosa cazzo ti passa per quella cazzo di testa?» Jimmy urlava.
Con un altro movimento fulmineo, lo sfregiato spostò la canna della pistola verso l’amico e gliela infilò in bocca con violenza: il metallo aprì un taglio sul labbro che cominciò a gocciolare sangue su ciò che rimaneva della torta alla crema.
«Ora ascoltami bene, Jimmy, se ti sento dire ancora una volta la parola cazzo, se te la sento pronunciare anche solo un'altra misera fottuta volta, Black Betty sarà fiera di farti esplodere quella faccia di merda che ti ritrovi. Ora, io non voglio fare il rompipalle, tu lo sai che sono una persona ragionevole, sai che ti voglio bene, ma tu prova a dire solo un’altra volta la parola cazzo e, quanto è vero Iddio, io ti faccio esplodere la faccia. Mi hai capito bene? Perché non lo ripeterò.»
Jimmy lo spaccone si fece d’un tratto meno spavaldo e scosse la testa in cenno d’assenso, il sapore del sangue e della polvere da sparo gli si insinuava acre tra i denti.
«No, devi dirlo, dimmelo che hai capito! Dimmi “Si, Randy, ho capito che non devo più dire quella parola che tu non vuoi che io dica, altrimenti mi farai esplodere questa faccia di merda che mi ritrovo”. Dimmelo, Jimmy!»
«Fi Andy, ho fafito he on evo chiù ire quella arola che fu on fuoi he io ica.»
«Altrimenti mi farai esplodere questa faccia di merda che mi ritrovo.» insistette lo sfregiato tirando nuovamente il cane di Betty.
«Fì, fì, lo ico.» Jimmy stava per piangere, «Alfrienti i farai esfloere esfa faffia i erfa he i itrofo.»
Randy tolse la canna dalla bocca dell’amico e gli sorrise.
«Ecco, vedi? È così facile andare d’accordo, basta spiegarsi.» Indicò con un cenno del capo il cadavere del professore: «Quel figlio di puttana aveva la faccia da ebreo, avevo deciso di non ucciderlo per rispetto verso di te, Jimmy, perché so che ti avrebbe dato fastidio. Poi però lui mi ha guardato negli occhi e mi ha detto “crepa, messicano di merda”. E tu lo sai, Jimmy, quanto io odii essere chiamato “messicano di merda”. Questo perché, Jimmy, io non sono un “messicano di merda”. Io li odio i “messicani di merda”. Quindi ho dovuto fargli esplodere la faccia. È una questione di giustizia, Jimmy, è il karma.»
«C-certo, R-Randy, capisco, hai fatto benissimo, davvero, non era mia intenzione criticarti, a-anzi, se l’avessi sentito l’avrei fatto io al posto tuo.»
«Ora, per equilibrare il karma negativo dell’averti infilato in bocca la mia Betty, da buoni amici e senza urlare, rapiniamo questo posto. Proprio come volevi tu.»
I due si alzarono che il locale era completamente deserto, fatta eccezione per Tina, in ginocchio sul pavimento, immobile, tutta imbrattata di sangue e cervella.
«Forza Jimmy, va’ a svuotare la cassa! E tu, cocca, alzati in piedi, visto che sei stata così cortese da rimanere a farci compagnia, ti porteremo con noi.»
Randy salì sulla chevelle, al posto di guida. Aveva ancora in mano la 44, accarezzava lei e il volante come a volerli rassicurare.
Jimmy, galvanizzato per il colpo, era tornato lo spaccone, sbatté il baule e salì al posto del passeggero.
«Yehaw, Randy, siamo stati grandi. La puttana è chiusa dietro, abbiamo i soldi, mettiamo più miglia possibili tra noi e questo posto del cazzo dimenticato da Dio prima che arrivino gli sbirri.»
Randy carezzò un’ultima volta Betty, poi si voltò verso l’amico stampandosi in volto il sorriso meno minaccioso del proprio repertorio.
«Siamo stati grandi sì, Jimmy, e io, come ben sai, sono un uomo di parola.»
Piegò la mano sinistra verso l’amico e, senza smettere di sorridere, premette il grilletto.
Il proiettile colpì al centro della fronte, riducendo la macchina a un mattatoio all’orario di chiusura. Randy lo sfregiato si asciugò gli occhi dal sangue con la manica della giacca, poi mise in moto e partì sgommando, lasciandosi alle spalle null’altro che una nuvola di polvere.
«Io te l’avevo detto, Jimmy.»
Autorizzo Jackie a pubblicare questo racconto su Skan Magazine.