Forum Scrittori e Lettori di Horror Giallo Fantastico

Skannatoio, Agosto 2013, speciale XXI, La maschera e lo specchio
* Campionato pri-est 2013, 12 di 12

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view post Posted on 14/8/2013, 19:37
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Il Tospanico Polemico

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@Sol postacelo , io non l' ho letto !
 
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view post Posted on 15/8/2013, 17:24

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Senza volto
Di Alexandra
La nebbiolina si inspessì sempre di più.
I palazzi dalle mura umide, divennero rarefatti attraverso quella che aveva tutto l’aspetto di una striscia di garza fatta di goccioline.
Kerleen voltava le spalle a quello spettacolo irreale e non solo perché odiava la nebbia e il marciume acquoso che le pareti dei palazzi gli avevano alitato addosso durante il suo viaggio a piedi.
Non voleva che la sua faccia si vedesse in giro.
Se l’umidità fosse stata una benda, se la sarebbe avvolta volentieri intorno alla testa, ma aveva altri metodi per aiutare gli amici in difficoltà.
Per quel giorno ne avrebbe aiutato uno.
Lo aveva chiamato in tutta fretta, mandandogli come indizio un grappolo di glicine bianco con delle lettere dell’alfabeto per ogni fiorellino.
Insieme, combinavano la profezia più raggelante, almeno per uno come lui.
Herdis Moeller era molto legato alla sua identità e non sopportava di essere un semplice nome che i più si erano completamente dimenticati.
La sua ultima speranza era rimasta Kerleen.
Non era forse stato l’apprendista migliore del giardiniere capo del Palazzo di Glycinia?
Perché poi avesse rinunciato a continuarne l’opera, non lo aveva mai detto a nessuno, tuttavia, non si era scordato come trattare i fiori che c’erano nel giardino.
Il giardiniere capo, prima di morire, li aveva trasformati in mastini vegetali: nessuno avrebbe mai violato la sua memoria senza pagarla.
E i grappoli profumati viola e bianchi non si sarebbero lasciati strappare e calpestare senza vendicarsi degli attentatori.
Si sarebbe abbattuta una tremenda punizione anche nei riguardi di chi avesse osato modificare il giardino anche a fin di bene.
Il vecchio Spaltenhyeb aveva insegnato la disciplina ai suoi fiori: crescevano a grappoli ordinati ed eliminavano da soli le erbacce.
Di lì la loro collera davanti ai gesti di Herdis Moeller e compagni.
Per la verità, l’intera impresa avrebbe meritato di essere punita per i metodi sbrigativi che aveva adottato nel ripulire il giardino, ma i fiori non erano dello stesso avviso.
Spaltenhyeb aveva lasciato loro un’unica istruzione: abbattere il castigo su un’unica persona, che facesse da esempio per tutte le altre.
Dovevano colpirla in quello che amava di più: ossia la propria identità.
Di tutta l’impresa, il tipo più noto ai fiori era Moeller, già amico del giardiniere capo e di Kerleen.
Lo odiavano più di tutti perché era un traditore.
Li conosceva, eppure non li aveva difesi quando il capo della Gartnerschlau aveva puntato il dito contro di loro:

“ Meglio ridurre il numero dei grappoli viola. Sono troppi. E quelli bianchi attorcigliati sulla colonna con tanto di lapide? Via, via. Fa troppo cimitero.”
Moeller, neo assunto, era stato zitto, temendo di perdere il posto già dal primo giorno.
Lo aveva scritto anche a Kerleen nella lettera disperata che aveva accompagnato il fiore con i petali che riportavano la profezia.
Ci teneva al suo lavoro.
Voleva che il suo nome comparisse nell’elenco dei giardinieri capaci.
Kerleen non aveva mai nutrito un’ambizione del genere, preferendo non comparire in una lista come quella, dove al nome seguiva per forza una fotografia.
Capiva comunque lo stato d’animo di Moeller e decise di fare qualcosa per aiutarlo.
Era davvero stato sfortunato.
Non era come lui, abituato a godersi la vita nel Palazzo delle Foglie Gialle, dall’altra parte della città.
Era un posto gradevole, per lui.
In penombra e con la possibilità di andarsene in giro intabarrati senza che nessuno facesse domande.
Il suo amico, Herdis Moeller, non la pensava così.
La sua disgrazia era dovuta ai lavori di risistemazione del Palazzo di Glycinia, dove le infiltrazioni avevano guastato il bellissimo giardino interno che dava il nome all’edificio.
Brutta cosa, trovarsi nel mezzo del pergolato con la strada sbarrata da grappoli violacei di fiori dolciastri mossi da un vento di collera per aver visto i loro amici bianco avorio buttati in un angolo insieme al palo di ferro che si ergeva nell’aiuola accompagnato da una lapide con un nome ormai reso illeggibile dalle pessime maniere dell’impresa Gartnerschlau.
Peggio ancora trovarsi senza un’identità per colpa della profezia collegata a essi:

“ Un giorno qualcuno smantellerà l’aiuola dove riposa l’anima del giardiniere che la progettò a suo tempo e ne toglierà la lapide commemorativa. Quando ciò avverrà, si troverà nei guai peggiori della sua vita, poiché perderà la faccia e il nome”.
A Moeller sarebbe stato facile scampare a un destino tanto brutto, se solo avesse letto le righe che seguivano il nome del giardiniere.
Non ce l’aveva fatta, purtroppo.
Colpa della fretta del suo datore di lavoro.
Pensò a come fare.
I lineamenti di Moeller erano sbiaditi dalla sua memoria.
Non ricordava neppure bene che età avesse, dove abitasse di preciso nel quartiere del palazzo Glycinia.
Herdis, intanto, aveva cominciato a litigare con la padrona di casa:- Cosa vuole che ne sappia, dell’umidità che sta corrodendo l’edificio?
La donna, una vecchiaccia gobba coperta di un doppio strato di vestiti di lana spessa grigia, lo stava accusando di aver guastato la cisterna che riforniva il quartiere:- Perché tu sei un inviato delle forze del Giardino Morto.
Moeller, a sentire di nuovo quelle parole aspre, si copriva la fronte con una mano.
Non aveva neppure più la forza di risponderle.
La padrona di casa continuava così la sua invettiva contro di lui:- So che invidiate il buon lavoro di quel tale…oh, come si chiama…accidenti, tutti hanno un nome….sarà per un’altra volta…, ma non è il caso di provare a disfarlo facendo marcire il mio palazzo. Dovreste essere contenti che ci siano riusciti quegli imbecilli della Gartnerschlau. Io, per me, ne sono indifferente. Allora, volete annullare quel maleficio alla mia cisterna o no? E mi guardi in faccia quando le parlo, si giri, una buona volta.
Il poveretto non sapeva neppure bene a cosa alludesse quella linguaccia, né osava più girarsi in sua presenza, era intimidito da lei, come non gli succedeva da tempo.
Non aveva osato scendere dal giorno dell’incidente a Keerlen.
La cisterna aveva cominciato a dare problemi già ai tempi del capo giardiniere, così Keerler si era offerto di risistemarla.

“Quel giorno, tuttavia, le cose non avevano voluto saperne di funzionare. Gli eventi ti facevano inciampare peggio delle radici di Glycinia che affioravano dal terreno dove meno te lo aspettavi, ricordò Moeller. Aveva sentito dire Keerlen che c’entravano quelli del Giardino Morto, ogni tanto riaffioravano dalla terriccio e guastavano le tubature apposta. Lui ci aveva perso la faccia quando aveva quasi sistemato quella di mezzo. L’acqua era diventata improvvisamente bollente e lo aveva sfigurato”.

Era un evento che lo aveva obbligato a vivere staccato dai suoi simili, ma non lo aveva inasprito.
Semmai gli aveva insegnato come seguire Moeller a distanza.
Poteva solo fare in modo che il maleficio non peggiorasse la sorte di colui che continuava a ritenere un collega.
Nella sua mente, c’era ancora un ricordo del mondo di prima, dove non erano mai avvenuti incidenti in un posto pericoloso come la cisterna del Palazzo di Glycinia e nessuno si trovava a vedere la propria identità sbiadire ogni giorno come i colori da una cartolina immersa nell’acqua da una settimana.
Lo aveva aiutato muovendosi di notte nel giardino, visto che c’era l’entrata secondaria dall’eterna porticina di legno dalla serratura rotta.
E aveva sedato la furia distruttiva di qualche fiore malefico curandolo come ai tempi di Spaltenhyeb: questo aveva risparmiato qualche tassello dell’identità di Moeller.
Qualcuno, se non altro si ricordava di lui.
E, cosa più importante, lui continuava a ricordare chi era, sapeva quello che faceva.
Era già molto, tuttavia troppo bello per durare.

Moeller aveva capito di essere nei guai quando la padrona di casa, litigando con lui e accusandolo di fare parte del gruppo del Giardino Morto aveva cominciato a trattarlo in modo diverso:- Ecco, proprio adesso che sto entrando nel vivo della questione lei ha pensato bene di andarsene, ma come si permette?
Questo, nonostante lui gridasse anche più forte e le avesse dato anche un paio di spintoni per farle capire che era lì e la sentiva benissimo.
Non era finita lì.
Quando la vecchiaccia se ne era andata minacciando di mettere altra gente nell’alloggio, visto che tanto non lo occupava più nessuno, Moeller si era guardato intorno smarrito e aveva cominciato ad avere seri dubbi sul suo alloggio.
Davvero viveva lì da oltre un paio di anni?
Aveva scelto lui quel grigio per le pareti del soggiorno?
E i mobili di finto ebano?
La sua crisi si era aggravata quando aveva rovesciato i cassetti con i vestiti.
Davvero lui indossava quella roba?
Poi era passato agli attrezzi da giardinaggio che aveva sistemato nel ripostiglio accanto alla cucina: cos’erano? A cosa servivano?
L’unica cosa che ricordava di sé era di chiamarsi Herdis Moeller e di avere un collega di nome Keerler.
Il suo collega, il suo amico, colui che lo avrebbe salvato, arrivò quando il postino, ormai quasi sul punto di diventare idrofobo, gli mise in mano una lettera:- Per caso lei vive qui?
- No, ma potrei esserle utile, mi sa- gli disse Keerler, vedendolo sullo stesso piano dell’alloggio in cui viveva Moeller.
- Ecco, allora gli consegni questa da parte dell’impresa Gartnerschlau.
Era un grosso plico.
- Non posso prenderlo io. Deve esserci lui a firmare. Aspetti che lo chiamo.
Suonò il campanello.
Bussò alla porta.
Provò a ruotare la maniglia.
Niente da fare.
- Herdis, vuoi aprire la porta? C’è qui il postino. Non può stare qui tutto il giorno.
E l’incaricato pubblico, di rimando:- Devo proprio buttare la porta giù a spallate per consegnarle la raccomandata, signor…signor…
Il postino sbiancò e gettò via la busta:- Aggiustatevi da soli, io quelli che hanno a che fare con la gente del Giardino Morto non voglio neppure vederli su un francobollo.
Scappò via.
Keerler guardò la busta e vide che non c’era nessun indirizzo del destinatario.
Moeller gli domandò:- Che succede? Cos’ha quello da gridare tanto?
- Non gli hai aperto. Ormai se n’è andato. Fammi entrare.
- Volentieri, se solo mi ricordassi di come si apre la porta.
Il suo collega non si scompose.
Gli era capitato di peggio.
Tirò fuori la chiave di riserva che Moeller gli aveva affidato in tempi più felici:- Adesso arrivo, Herdis, se non altro mi riconosci ancora e sai chi sei, allora c’è ancora speranza.
- No, invece- si disperò Moeller –tu dovresti scendere nella cisterna e pulire l’ingorgo dei fiori marci del Giardino Morto, ma quelle maledette peonie hanno intasato le tubature e ti hanno cambiato i connotati già una volta. Non credo che scenderai.
Per quanto disperato e con i nervi a pezzi, Moeller aveva ragione, tuttavia, Keerler aveva deciso di combattere con il coraggio della disperazione.
Chi gli garantiva che non sarebbe finito come il suo collega?
- Senti, a questo mondo si può sempre cambiare idea- gli rispose Keerler infilando la chiave nella toppa.
Dovette ritirare la mano di scatto, perché al primo giro, la chiave si sciolse nella toppa come un cioccolatino d’estate.
- Abbi pazienza, Herdis, adesso entro.
C’era un oggetto rigido nella grossa busta che sarebbe dovuta essere per il collega e lui decise di infilarlo attraverso la porta.
Un’idea folle, ma che fu vincente.
Entrò.
Moeller, pur se con delle maniere da gatto isterico, aprì la raccomandata tutto contento:- Finalmente mi hanno restituito la mia copia controfirmata. Era ora che potessimo ricominciare a lavorare…
Poi si arrestò.
- Che c’è Herdis? Perché sei rimasto girato di spalle tutto il tempo?
Il collega era rimasto zitto.
E Moeller, pur sapendo che non gli piaceva essere toccato, lo fece girare su di sé.
Troppo tardi.
Al posto del giovane timido che lo aveva aiutato a curare il giardino di Palazzo Glycinia, c’era solo un involucro rinsecchito, come il tronco di una pianta morta.
Solo dalle narici e dalle orbite vuote gli spuntavano foglioline e fiorellini delle Peonie Verde Oro che avevano intasato la cisterna per accorrere in aiuto dei fiori del giardino.
Opera di Spaltenhyeb?
Oppure i suoi fiori avevano deciso di fare tutto da soli, obbedendo all’ultimo ordine distorto di colui che li aveva coltivati con grande cura?
Non lo sapeva.
La sua unica certezza era che doveva scappare di lì, perché tanto il maleficio aveva messo radici troppo profonde per le sue forze.



Autorizzo Jackie de Ripper all’eventuale pubblicazione su Skan Magazine

Salve Sol, ecco il mio racconto. Ci ho riprovato. Contiene anche una profezia.

Grazie Kaipirissima. Questa è l'ultima volta che cancello e riscrivo da capo un elenco.
 
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view post Posted on 15/8/2013, 18:30
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Il Tospanico Polemico

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***** DISCLAIMER*******


Allora , io avevo avuto una bella idea per queste specifiche ... Molto fantascienza, un po' Warhammer...
Ma poi sono andato a cena fòri e m'hanno fatto bere... E giù un orujo giù un'altro son tornato a casa brillo.
E mi venivano cazzate a ruota, una dietro l'altra.
Ecco insomma il risultato è un racconto non-sense, demenziale , a tratti volgare, in cui
personaggi positivi non mi pare siano troppi. Inoltre è pieno di citazioni da film o giochi che non credo proprio tutti conoscano.
Però io sono stato fino alle sette di mattina a ridere da solo come un cretino mentre lo scrivevo,
e spero che a qualcuno succeda lo stesso leggendolo.
Mi dispiace per i puristi e le persone serie che storceranno il naso , ma ,
d'altra parte, mica si può essere tutti grulli uguale ...

Saludos


— Radici — di David Galligani



"Io… sono… tuo padre!"
(Darth Vader)


— Madre, chi sono io veramente?
La piccola donna lasciò cadere di colpo le borse della spesa e guardò il ragazzo con aria stupita e un po' impaurita.
— In che senso Al?
— Perché io sono diverso da te e dai miei fratelli?
Perché io sono alto, bello, biondo, con gli occhi azzurri e la mascella quadrata mentre voi siete piccoletti, brutti e anche un po' pelosi?
La donna cominciò a piagniucolare — Al, amore mio, sapevo che questo giorno sarebbe arrivato prima o poi… In realtà… Ecco… In realtà non sei figlio mio. Ti consegnò alla famiglia Fiero un sacerdote quando eri ancora in fasce… E… Non so quali siano le tue vere origini… Ma…
— Bene madre, se le cose stanno così, è giunto per me il momento di scoprire chi sia in realtà. Sono un uomo ormai. Mi dispiace, ma devo andare alla ricerca delle mie radici.
— No… ma come… Al!
Al prese la sua armatura di acciaio Inox, le sue armi, i suoi tre pastori tedeschi A(sso), B(ello) e C(ampione) con i loro collari luccicosi, e montò sul suo cavallo bianco.
—"Destriero" (così chiamato per le simpatie leghiste) al galoppo!— comandò.
E partirono.

E così, di punto in bianco, se ne andò, lasciando sua madre adottiva in lacrime in mezzo a carote, patate e vasetti di yogurt senza zucchero caduti per terra.

Galoppete, galoppete, galoppete… il biondo ciuffo al vento, con i pastori tedeschi in formazione a triangolo equilatero, dopo qualche ora vide finalmente la bandiera con i familiari quattro cerchi concatenati, simbolo della Chiesa di "Nostro Signore Schiacciato da un Audi", svettare dall' alto di un edificio in pietra.
Si avvicinò al trotto al cortile, dove aveva intravisto un sacerdote intento a strappare delle erbacce.
— Sit! A "Elle" — ordinó ai suoi cani, che si sedettero sulle zampe posteriori in una formazione a "L" con angolo di 90º perfetti.
Destriero nitrì, impennò e scosse la testa per attirare la attenzione e mostrare il bianco crine.
— Prete! — esclamò Al.
— Oibó! Perché mi appelli in tal guisa? Mica son sacerdote cristiano! — rispose l'altro.
— Lo so, ma mi parevi anziano (1) — si giustificò Al.
— Chi sei? E che desei? — domandò il vecchio.
— Il mio nome è Fiero, Al Fiero — rispose mostrando il suo profilo migliore e alzando il mento all'insù (perché ancora non aveva imparato ad alzarlo all'ingiù) — E vado cercando al Grande Maestro.
— Seguimi, dunque o giovine — disse il sacerdote lasciando cadere il falcetto e il sacco con le erbacce, e lo guidó fino a un bagno, dove una figura era raccolta in meditazione su un water.
— Grande Maestro Iodio, mi dispiace disturbare, ma v'è qui un giovine che dimanda di lei.
— Il Grande Maestro Iodio si alzò.
Il suo viso era di colore rosso scuro (da qui il nome) e grandi vene gonfie segnavano il suo collo, perché lo Sforzo™ era grande in lui.
— Dimmi, giovane, in che ti posso essere d'aiuto? — chiese Iodio con la voce roca di chi è sotto Sforzo™.
— Il mio nome è Al Fiero, e mia madre mi ha rivelato che molti anni fa, dei sacerdoti del vostro ordine mi consegnarono ancora in fasce alla mia famiglia. Adesso è giunto per me il momento di conoscere la verità sulle mie origini.
— Mi ricordo benissimo, ero giovane allora, e fui proprio io a portarti da loro — disse Iodio — ma fu la "Fatina Turchina" a portarti qui da noi. E io non so dirti nient' altro. Dovrai chiedere a lei temo.
— Molto bene, sa dirmi dove posso trovare questa Fatina?
— Segui la strada a est, fino a un grande incrocio. Là vicino si trova il "Bosco delle Lucciole", ed è lì che potrai trovarla all' imbrunire.
— Grazie mille maestro, lei mi è stato molto utile.
— Penitenziagite! — disse il sacerdote.
— Che lo Sforzo™ sia con te Al! — salutò il maestro
— Come fosse Antani! — rispose Al — e uscì.

Asso, Bello e Campione erano ancora immobili nella stessa posizione, perché erano di una precisione teutonica e non avendo ricevuto un contrordine non si erano spostati di un millimetro, mentre Destriero si stava allenando a muovere la criniera come nella pubblicità Loreal.
"Ri-poso" — gridò ad ABC — "Al-Passo".
Poi balzò in sella, Destriero nitrì, impennò e bla bla bla e partirono.

Era notte quando giunsero al bivio descritto da Iodio ma non fu difficile trovare il "Bosco delle Lucciole" (quasi tutte dell' Europa dell' Est) per via dei numerosi falò.

Una stangona rossa occhi verdi, in giarrettiera e tacchi a spillo si avvicinò ancheggiando ad Al.
— Ciao bel biondino, ti posso essere utile in qualcoza?
— Fafà tatattu… na — farfugliò Al arrossendo e cominciando a grondare di sudore.
— Non capisco, tu anche straniero? — disse La Rossa
— La Fata-tà Turchinà — riuscì ad articolare Al.
— Ah! Lei — disse la stangona con aria stizzita — se proprio tu piace il genere… Lei quella brutta con parrucca azzurra vicino al grande albero — dopodiché si girò con aria offesa e se ne andò.
Al si diresse verso il grande salice che dominava la scena, sotto il quale si trovava la donna con la parrucca azzurra.
— Ma ciao bel fustacchione! — lo salutò Fatina Turchina (all'anagrafe Samantah Tròttoli, 160kg per 160cm, anni 39, di professione aiuto-sciampista)
— Salve Fatina, sarò breve — esordì Al — Tu mi consegnasti in fasce ai sacerdoti della Chiesa di "Nostro Signore Schiacciato da un Audi".
E sono qui per sapere qual è la mia vera identità! — esclamò Fiero.
Il volto della Fatina cambiò d'espressione, lo sguardo divenne serio e intenso.
— Attento, giovane stolto! Perché quello che scoprirai potrebbe non piacerti!
— Falla finita e dimmi quello che voglio sapere!
— Bene, se proprio lo desideri… La risposta che cerchi solo la potrai trovare nel "Castello dell'Innominato".
Ma ti avverto! Grandi pericoli ti aspettano! E inoltre nessuno sa ove si trovi il castello.
— Come nessuno lo sa? Nemmeno il navigatore GPS? — rispose Al esterrefatto
— Il mio no — rispose Fatina — ma l'ho preso all'Esselunga con i punti… Ma si dice che nemmeno Google Maps lo sappia!
— Come è possibile? E chi è l' Innominato?
— Nessuno sa chi sia, ma è un uomo potente e forte è il suo braccio! Io ti ho avvisato, giovane sciocco. Rinuncia, finché sei in tempo!
— No, non rinuncerò — rispose Al, ostinato — e dammi almeno un' indicazione. Dopotutto tu sei in parte responsabile.
— E sia. Prendi per di là, seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino.

E di nuovo galoppete, galoppete, galoppete.
Ma era notte e non si vedeva una mazza. E un po' tutti cominciavano ad aver fame.
I cani uggiolavano, Destriero sbuffava, lo stomaco gorgogliava… insomma un casino.
Per cui Al decise di deviare e tornare sulla strada principale alla ricerca di una stazione di servizio.
Ma non ebbero fortuna e quindi decisero di riposare fino al mattino seguente, quando alla fine trovarono una stazione Monsanto.
Fuori, seduto con aria sorniona, sonnecchiava un Gatto Con Le Ciabatte.
Destriero nitrì, si impennò e bla bla bla.
— Buongiorno, Gatto Con Le Ciabatte — salutò Al.
— Non sono ciabatte sono Crocs — rispose l'altro.
— Che sono che?
— Che sono Crocs — ripetè Gatto — cosa vuole?
—(Boh a me paiono delle ciabatte) ehm volevo il pieno di biada Ogm al 2% per il cavallo, delle crochette per i cani, un panino e un pollo con patate da portare via — disse Al
— Va bene, la servo subito.
— Ah e anche un'altra cosa…
— Dica pure — rispose Il Gatto Con Le Crocs.
— Non è che per caso… da qualche parte… avete ancora una di quelle vecchie carte stradali ACI?
— Mah — ci pensó un po' su — forse il mio socio sa se ce n'è rimasta qualcuna. SOCIOOOO! — gridò
Una figura fulva si presentò alla porta.
— Io sono il Gatto, lui la Volpe… stiamo in società — fece il Gatto.
— Ma pensa un po' — disse Al.
— Socio, sai mica se da qualche parte c'è rimasta una di quelle vecchie carte stradali ACI?
— Sì, credo di sì, adesso vado a controllare — rispose Volpe, e tornò dentro alla stazione di servizio.
Destriero si fece fuori la sua biada al 2%, i cani le crochette, Al il panino e poi mise in saccoccia il pollo con patate.
Infine riapparve Volpe con in mano una carta giallastra.
— Questo è tutto quello che ho trovato — disse Volpe.
Al dette un' occhiata. La mappa era gialla, di pergamena, con tanto di firme di monaci amanuensi, però l'aveva visto!
Vi era segnato un "Castellum Innominati"!
Un sorriso gli illuminó il volto.
— Grazie, siete stati molto gentili, quant'è? — chiese.
— In tutto… con la biada, etc. Etc. Sono 200 Petroldollari, più il 51% di IVA… 302 Petroldollari. Grazie.
— Ma come 302 Petroldollari! Mi pare esagerato! E poi l' IVA è solo al 38%, non al 51% — sbuffò Al.
— Si ma siccome dobbiamo pagare in anticipo le tasse dei prossimi cinque anni, e poi l' IVA aumenta di sicuro, e lo Spread, il Rating, la crisi…
— Eh si va bene, va bene — rispose Al — con scappellamento eh?
— A destra — rispose la volpe.

Al pagò.
E poi galoppete, galop… insomma s'è capito.
Guadarono fiumi, attraversarono vallate, scalarono montagne
e al tramonto, finalmente attraversarono il Ponte Storto (era stato costruito da un architetto pisano) e si trovarono di fronte il Castello Dell'Innominato.
Era una costruzione massiccia e quadrata, in pietra lavica, con tanto di fossato intorno. Incuteva timore solo a vederla.
— Ma tanto, anche nella più stellare delle fortezze, c'è sempre almeno un condotto di areazione attraverso cui il Buono di Turno, contro ogni logica, può sconfiggere il Cattivo — pensò Al
— E io sono Bello, Biondo e Buono. E quindi invincibile.
Mentre si scervellava per trovare un Piano Stupido, si accorse di avere nuovamente fame e quindi si apprestò a tirar fuori il pollo con patate per mangiarlo.
Ma, con grande stupore, si accorse di essere stato truffato.
Il Gatto e la Volpe gli avevano venduto un pollo di gomma con una carrucola nel mezzo!
Animali Spregevoli!
Che fare quando tutto quello che hai è un pollo di gomma con carrucola nel mezzo?
Alla fine, ebbe un idea brillante.
Si arrampicò su per un palo della luce.
Non fu facile tirar su Destriero, perché gli zoccoli scivolavano e più volte rischiò di cadere e schiacciare Asso, Bello e Campione che salivano uno sopra l' altro.
Ma ce la fecero.
Destriero si attaccò con i denti al pollo con la carrucola inserita sopra ai fili della luce, Al si afferrò alla criniera e ABC alla coda di Destriero.
Un piccolo colpo di reni e attraversarono in un baleno il fossato.
Arrivati sul tetto del castello, scoprirono un lucernario che dava sulla camera da letto dell'Innominato.
Senza pensarci due volte si gettarono attraverso il vetro…

La camera da letto era grande come una piazza d'armi e su un enorme letto a baldacchino (che si mormora fosse un regalo di Putin) vi erano una prosperosa bionda ammanettata e completamente nuda, e un losco figuro vestito di cuoio borchiato e latex, con il volto mascherato, la pancia prominente e braccia e spalle pelose.
I due erano intenti a fare XXXXXXX e a XXXXXXX a vicenda.
Destriero atterrò, nitrì, impennò e bla bla bla.
I pastori tedeschi toccarono terra con agili capriole.
— Sit! A piramide — ordinó Al e i fidi cani si posizionarono in formazione piramidale, due alla base e uno sopra.
— Hey tu porco, levale le mani di dosso! — intimò al nero figuro
— E tu chi cazzo sei? — lo apostrofò l'Innominato — e perché mi hai sfondato il lucernario? Non potevi passare dalla porta come fanno tutti?
— Io sono Al Fiero — disse — e sono qui per avere una risposta riguardo alle mie origini. La "Fatina Turchina" mi ha rivelato che tu sai!
— Ah si eh? Te le do io le origini. Bravi a me! — gridò
l' Innominato.
E immediatamente si palesarono i Bravi: i Mastini Napoletani Nino, Pino e Lino (anche se quest'ultimo in realtà era barese)
che si misero a guardare in cagnesco Asso, Bello e Campione.
Accorgendosi che quest'ultimi rimanevano immobili, li derubarono immediatamente dei collari luccicosi.
E anche dei microchip, perché non si sa mai.
L'Innominato porto le dita alle labbra e fischiò.
Un trapestio di zoccoli. Un nitrito.
E apparve Sinistriero, dimonio dagli occhi di bragia e dal manto nero, con la criniera rasta e il "Che" marchiato a fuoco sul fondoschiena.
— Mbuahahahaha! — rise malignamente l'Innominato.
Si chiuse la patta dei pantaloni e montò a cavallo.
I due cavalieri si studiarono.
Ma Sinistriero, scorgendo il simbolo della Lega Nord sul fondoschiena di Destriero, vide "rosso" e si imbizzarrì, scagliandosi ventre a terra contro l'avversario.
Destriero non volle essere da meno e anche lui si lanciò in avanti a testa bassa.
I due animali si scontrarono torace contro torace con inaudita violenza.
Il boato fu udito dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno.
I cavalieri furono sbalzati di sella dalla forza dell'impatto e cominciarono a lottare all'arma bianca.

Di picca, di mazza, di spada, di lancia.
Destriero mise a segno un veloce uno-due contro Sinistriero, che replicò con un uppercut al mento.
ABC erano immobili.
I Bravi trattavano con un volpino la vendita dei collari.
La Bionda guardava X Files.

Di mazza, di picca, di spada, di agile ascia.
Sinistriero tentò un Laccio Californiano, ma Destrierò lo evito e contrattaccò con uno strangolamento.
ABC erano immobili.
I Bravi mangiavano impepata di cozze.
La Bionda era alla quinta stagione di X Files.

Di spada, di picca, di lancia, di mazza.
Destriero nitrì "ORYUKEN!" e lanciò un globo infuocato a Sinistriero che schivò e rispose con "I Cento
Zoccoli di Okuto"
ABC erano immobili.
I Bravi erano ubriachi di limoncello.
La Bionda era al remake di "Chi ha ucciso Laura Palmer" con Gerry Calà e la Fenech.

Lo scontrò sembrava destinato a non finire mai.
— Usa lo Sforzo™! — pensò Al.
Si concentrò, chiudendo con forza i pugni.
E lo Sforzo™ divenne potente in lui.
Le vene del collo si gonfiarono, la faccia divenne rosso scuro e gli occhi parevano uscire dalle orbite.
Nella sala regnava il silenzio.
— Che schifo — esclamò Al — mi sono cacato addosso!

— Mbuahahaha! È la tua fine stolto! — sghignazzò l' Innominato, saltando sul letto per poi usare il lampadario sul soffitto come liana.
Ma il lampadario KÄNDELABR (IKEA 54,99€) cedette appena l'uomo vi appoggiò il primo dito.
E l'Innominato rovinò a terra, colpendo con forza la testa al suolo.
— Hehehe — ridacchiò Al — non importa quanto sia scemo, un Bello, Biondo e Buono vince sempre!
Si puli alla meglio con un Kleenex, e tolse le manette alla Bionda (che in realtà non fu molto contenta della cosa)
Dopodiché si chinò vicino al corpo dell'Innominato, che ancora pareva in qualche modo cosciente.
— La risposta! Voglio la risposta! — esclamò Al
— Qu… quarant… quarantadù… — rantolò l'Innominato. E svenne.
— Quarantache? Quarantadue? Che razza di risposta è? — e sferrò un calcio al corpo dell'uomo incosciente.
— Senti Cicciolino… — lo interruppe la Bionda — tu hai sconfitto Orsetto Peloso, ma adesso voglio sperare che mi farai tua.
— Certo, madamigella! Dopo averti riscattato dalle grinfie del malvagio, ovviamente ti porterò all'altare — rispose Al
— Si va bene l'altare, ma non è che sei uno di quelli della posizione del Missionario e basta vero?
Nove paia di orecchie, animali e umane, erano tese aspettando la risposta.
— No, anche a Pecorella — rispose Al Fiero — Ma…
— Ma? — fece la Bionda, con un sorriso e l'aria poco convinta.
— Ma ovviamente solo per la procreazione. Se no è peccato — disse Al.
Il gelo.
Sinistriero e Destriero si guardarono con aria preoccupata.
Asso, Bello e Campione se avessero potuto avrebbero sudato.
I Bravi tentarono di coprirsi gli occhi con le orecchie.
— E che chezzo! Scappiemo! — gridò Lino il Mastino.

E poi, un urlo belluino squarciò l'aria.
La dea Kalí posseduta dall' Esorcista posseduto da Conan.
La Bionda estrasse da un fodero una Grosse Messer
(Acciaio al carbonio 1055, 42 ¼ pollici, manico in legno di Roso, soltanto $349.99. Spese di spedizione non incluse. www.coldsteel.com/Product/88GMS/GROSSE_MESSER.aspx ) e spada in una mano e gatto a nove code nell'altra, cominciò a menare fendenti a destra e a manca al grido di "Disgraziato, te la do io la procreazione!".

Asso, Bello e Campione furono i primi a dileguarsi, seguiti dai Bravi a dorso di Sinistriero.
Al mentre correva per la stanza ripetendo "Mimportasegaamedelleradici, Mimportasegaamedelleradici!" riusci ad afferrare la coda di Destriero, che uscì al galoppo dalla porta.
E continuarono a scappare e scappare senza guardarsi indietro.

La Bionda e l'Innominato da allora vivono felici e contenti, continuando a fare XXXX e anche XXXXXXX senza che nessun cretino li disturbi più.
Al Fiero alla fine sposò la "Fatina Turchina" e adesso hanno 12 figli e un tredicesimo in arrivo…

FINE (?)


Nessun animale è stato maltrattato durante la realizzazione di questo racconto. (Ma qualche neurone si)

Note:
(1) #entry540490761





Autorizzo Jackie de Ripper all’eventuale pubblicazione su Skan Magazine
 
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mother95A
view post Posted on 15/8/2013, 20:04




Eccomi... solo una cosa, penso di aver rispettato le specifiche, però, come si suol dire, sono un po' celate. Non so se vada bene lo stesso.
Comunque ecco a voi

Prendere Forma

di

Mother95A




Io non esisto. Sono il tuo peggior incubo e presto te ne renderai conto. Quando accadrà, sarà troppo tardi per rimediare.
Piangi adesso perché non avrai il tempo per farlo in seguito. Sto aspettando e quando arriverà il momento non sarai niente e vagherai per deserti aridi tra monti che grattano il cielo e spartani cespugli canini che t'indicheranno la via per l'inferno.
L'uomo nero sta arrivando e ciò che nasconde dietro la schiena non sarà piacevole.
Ah-ah-ah.
Senti le assi crepitare? E i sussurri alle tue spalle...? Sono io.
Suoni che si insinuano nei pensieri e li sradicano come un fragile castello di carta. Sono sempre io, che entro dentro e osservo.
Ti conosco molto bene e so che la tua stabilità mentale non durerà per molto.
Presto staccherai gli occhi da queste parole e sarà allora che attaccherò. Prega che siano lunghe abbastanza per dedicare un pensierino piccino piccino a ciò che ami perché non ne avrai il tempo quando afferrerò il tuo collo.
Sono dietro di te, sono dentro di te... guardami!
Ah-ah-ah.
No, non accendere la luce, rovineresti solo l'atmosfera e poi, se solo spostassi la mano l'avvinghierei con i miei artigli. Sei sicuro di voler correre questo rischio? Come ti ho già detto, siamo insieme e vedo quello che fai.
Guardarti attorno non servirà a niente... non mi vedrai... no no.
Non mangiarti le unghie, sai che è un brutto vizio. Spegni quella sigaretta e, diavolo di un demonio, chiudi la finestra che oggi il vento è troppo forte. Non vorrai ammalarti?
A che punto sei? Ah! Stai pensando ai tuoi cari? Immaginati cosa diranno quando vedranno il tuo viso squartato e ridotto a sbobba per maiali e con il corpo nudo come mamma l'ha fatto? Forse ti copriranno e piangeranno, ma prima o poi verrai dimenticato... sì, sì; ogni giorno che passa sarai solo una foto dentro qualche cornice d'argento. Un fantasma statico che sorride.
Come ti sembra... è allettante? Senti la saliva che inonda la tua bocca? E il sudore che ti impregna le tempie?
Sì, penso ti possa piacere.
Anzi, sono sicuro che l'idea ti piaccia.
Sorridi, questo è per te.
Ma permettimi di dire che per un'istante ho creduto che potessi fermarmi... davvero, che fossi forte abbastanza. Sai qual è la verità? La verità è che hai bisogno di me, mi brami e desideri che le mie mani stringano il tuo collo, che ti squarci ogni qualvolta hai bisogno di essere squarciato.
Oh piccolo uomo, per quanto ancora ti lascerai possedere?
Eppure, se volessi, potresti essere molto forte. Ma sei abituato ad aprire il seno della tua anima e io mi legherò sempre a essa, come un gioiello trasparente che non farà altro che renderti più umano.
Ho rimuginato molto se scriverti o no, e adesso la cosa che più mi preme chiederti è: Chi sono?
Dico, chi sono per te? Mi hai sognato, mi hai creato e alla fine sono chiunque tu pensi che sia. Niente di più e niente di meno... sai dirmi con sangue freddo, la pancia in dentro e il petto in fuori chi diavolo sono?
Non posso vedermi e non so che aspetto ho solo perché cambi continuamente e mi sono adattato. Questo dovrebbe dire molto su di te. Si potrebbero scrivere interi libri ma a me basta che tu risponda a questa semplice domanda: chi sono?
Hai troppa paura?
Dovresti averne visto che stai leggendo le parole scritte da ciò che più ti terrorizza.
Ma se non vorrai rispondermi lo capisco e mi accontenterò, ma spero che tu comprenda che ci sarò quando il freddo divorerà le tue carni. E in quei momenti ti amerò perché nell'istante in cui saremo insieme io di te mi nutrirò.
Un bacio avvelenato.
Un sudario che cela l'orizzonte.
E non servirà mostrare gli occhi per farmi pietà, non potrò guardarli.
Adesso accendi pure la luce o non farlo. Se vuoi stenditi sul letto, chiudi le palpebre e dormi.
Trattieni il respiro e aspetta il mio gelido abbraccio...

Fine
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 15/8/2013, 21:08




CITAZIONE (Sol Weintraub @ 14/8/2013, 19:39) 
Sapete una cosa buffa?
Mi sovviene ora che il tema dello scorso Ferragosto era 24 ore con Mister X, dove una delle specifiche richiedeva la presenza di un personaggio dall'identità misteriosa. :woot:
Quasi quasi ripropongo fuori concorso il mio racconto cyberpunk... :shifty:

Mi pare che si possano riproporre tutti... ma non fate girare la voce ;)
 
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HerrJoe&MadameFreida
view post Posted on 15/8/2013, 21:15




Ars Goetia
Madame Freida

Le mani di Micia sono sul volante; una torsione delle braccia magre, e la macchina svolta sull’ennesima curva. È un pezzo che siamo per strada, e chi avrebbe mai detto che sarei stata una-da-donne-con-braccia-magre? Mi sistemo meglio sul sedile e mi scappa dalle labbra uno sbuffo non tanto mascherato da sospiro.
«Ti piacerà. Lucio piace a tutti.» fa lei, in risposta.
Mi stringo nelle spalle; liscio il vestitino nero, allungandolo un po’ verso le ginocchia, e non dico niente.
Fuori, la provincia scorre silenziosa. Gli svincoli per le aree commerciali deserte e illuminate a giorno dai lampioni, la sopraelevata coi piloni del ponte coperti di graffiti, i mucchietti di foglie ai lati della strada e ai piedi degli alberi.
«Così,» borbotto «li conosco tutti in una botta sola?»
Spio Micia con la coda dell’occhio e la vedo annuire.
«Ale, il Barba e Mal.» aggiunge poi.
«Sono le dieci, ho coprifuoco a una certa.»
Micia annuisce, gli occhi fissi sulla strada davanti a sé.
«Siamo quasi arrivate.»
Mi mordo il labbro inferiore e esito.
«E come mi presento?» mi rotola poi fuori dai denti. Mi ero ripromessa di non fare questa domanda, ma ora che guardo venirci incontro le strisce gialle della strada deviata dai lavori, le parole mi risalgono il gozzo senza che possa fermarle. «Loro lo sanno? Lo dico io, o tu, o vuoi dirlo in un altro modo?» Gioco con i miei bracciali, ne sfilo alcuni e li ripongo nella borsetta. Mi osservo il polso, che con solo metà di tutta quella massa argentata sembra più fine. «Non voglio passare per una tua amica.» piagnucolo poi, a mezza voce.
«Ti ho detto, non preoccuparti.» mi risponde Micia, paziente. Fa manovra e parcheggia l’auto sul ciglio della strada. Siamo al margine di un cantiere, leggermente in salita, proprio accanto all’arancione sparato della rete slabbrata. Un po’ più avanti di noi, la strada provinciale termina in una specie di slargo; un muro diroccato da un lato e il fianco di un pub dall’altro. Perfino da qui posso distinguere il giallo del boccale di birra dipinto sull’intonaco bianco del muro ad angolo.
Micia mi sta guardando, mi volto a fissarla negli occhi. So di essere stata petulante, ma lei mi sorride in silenzio. Allungo le dita a sistemarle i capelli corti dietro l’orecchio.
«Capiranno tutto da soli. Hanno occhio per certe cose.» mormora contro il mio palmo, la testa appena ruotata per sfiorarmi la mano con le labbra.
Qualche schiamazzo dal pub ci fa voltare; gruppetti di ragazzi scherzano tra di loro. L’area è illuminata da un paio di lampioni, ma i puntini luminosi delle sigarette brillano vividi.
Micia mi stringe una spalla, fa scattare le portiere ed usciamo. Rimango un attimo indietro a fissare la sua figura sottile che avanza verso il pub. Non ho messo i tacchi, perché non volevo essere una-tacchi-a-sproposito, e poi non avrei mai retto il confronto con come li porta lei. Con un paio di falcate dei miei anfibi pesanti le sono accanto, intreccio le dita con le sue.
Quando arriviamo al pub, Micia va dritta al bancone e io rimango discosta, timorosa. Il barista è un vecchio incartapecorito, la pelle secca e scurita dal sole, i capelli lunghi e canuti raccolti malamente in una coda. Mi fissa, si gratta la barba a chiazze, sporge il mento verso Micia.
«Ohi. Che è la sbrodina che ti sbatti, quella?»
La vedo ghignare mentre accenna alla birra che l’uomo sta spillando.
«Zitto, Forca. Due medie e chiudi quella boccaccia.»
Il vecchio continua a fissarmi, le labbra contorte in una smorfia crudele. Ho la pelle d’oca. Micia mi si avvicina, mi mette in mano il bicchiere di birra e mi trascina di nuovo fuori, ma continuo a sentirmi gli occhi del nonno piantati nel coppino.
All’esterno del pub, l’aria è più fresca di quanto non ricordassi. Micia si passa una mano nel ciuffo di capelli neri e si guarda attorno.
«Lucio?» domando, incoraggiante.
«Lucio arriva sempre in ritardo.» borbotta lei, poi si illumina. «Eccoli.»
Si avvia decisa verso un gruppo di ragazzi seduti per terra vicino al muro diroccato. Per qualche attimo non si accorgono di noi, poi quello che dev’essere il Barba ci intravede e si alza per salutarci. Più si avvicina, più realizzo che non è affatto vecchio come Forca, ma tanto biondo che la barba incolta ed i capelli rapati sembrano bianchi.
«Questa è Denni.» attacca subito Micia, e mi prende per mano. Il Barba annuisce, sorride, si china a baciarmi su entrambe le guance. Ha la pelle ruvida, solcata dalle cicatrici dell’acne, e la tuta blu da ginnastica che indossa ha visto giorni migliori.
Ma non voglio essere una-giudicante, quindi sfodero il mio sorriso migliore.
Ci accostiamo al resto del gruppo, Micia si siede per terra senza riguardo per i jeans nuovi. Io mi appollaio su un pezzo del muro diroccato, tenendo le gambe chiuse per ovviare alla gonna. Mi guardo intorno da sopra il bicchiere, bevendo la birra a lunghi sorsi.
«Dicevo che c’è il festival, settimana prossima, e voglio andarci.» dichiara un ragazzo bruno, con le gambe lunghe, tanto sottile da sembrare una femmina. «Ale.» si presenta poi, quando si accorge che lo guardo. Solleva la mano sinistra davanti al volto e mi mostra un anello d’argento, in quello che suppongo dovrebbe essere un gesto di saluto.
Allungo timida il braccio per stringergli la mano, ma lui si volta verso il ragazzo che gli è seduto affianco. Questi toglie la sigaretta dalle labbra e tende l’altra mano a stringere la mia.
«Mal.» ha la voce roca e un sorriso largo, simpatico. «Allora, sei qui per conoscere Lucio?»
Micia ridacchia. Il Barba le passa un grumo scuro di fumo e lei si mette a gremarlo, l’odore dolciastro che si diffonde attorno a noi. Stringo le labbra e mi sforzo di produrre un sorrisino.
«Nessuno è come Lucio.» considera tra sé e sé il Barba, il filtrino per la canna dietro l’orecchio e la lingua che gli guizza all’angolo della bocca mentre con dita abili deposita il tabacco nella cartina, meticoloso.
Segue il silenzio, mentre Micia inclina il palmo e fa scivolare le bricioline di fumo sopra al tabacco. Il Barba lo mischia, prendendone un poco tra pollice ed indice e facendolo ricadere nel mucchio. Mal spegne la cicca su un mattone poco discosto da dove sono seduta, poi si cava il pacchetto di tasca e prende un’altra sigaretta. La picchietta sul coperchio di cartone, poi se la infila tra le labbra e la accende con uno scatto dello zippo. Fa un cenno col pacchetto;
«Vuoi?» mi chiede. Scuoto la testa e torno a nascondermi nella birra. Ale mi scruta, silenzioso.
Il Barba rolla la canna, lecca la cartina e la chiude. Micia la accende, tira una lunga boccata e me la passa. Scrollo le spalle, normalmente rifiuterei, ma non voglio fare quella-che-non-partecipa; così, prendo la canna tra le dita e ne fumo un po’. Tengo un momento gli occhi chiusi, aspettandomi qualche effetto immediato, ma il fumo si limita a riempirmi la bocca, caldo. Lo lascio uscire in uno sbuffo leggero. Ale ridacchia con una smorfia;
«Non sa nemmeno fumare.»
«A Lucio piacerà.» taglia corto Micia. Mi aspetto che aggiunga qualcosa sul fatto che anche a lei piaccio, ma si limita a prendere la canna dalle mie mani, fumare ancora e passarla al Barba.
«A Lucio piacciono tutte.» Ale si gratta una scapola ossuta da sopra il maglione nero, arricciando il naso mentre mi osserva da capo a piedi.
Mal gli dà uno scappellotto.
«Oggi sei simpatico come un dito nel culo. Che ad alcuni piace, ma a molti no.» alza la testa a guardarmi, la sigaretta già quasi fumata del tutto che ondeggia in aria mentre parla, stretta tra la punta delle dita. «Scusalo, Denni. È mestruato.» Sorride con una smorfia sbilenca e non saprei proprio dire se sia serio o meno. Con quel vitino sottile, una ragazza potrebbe esserlo.
In qualche modo la canna ci ha messo poco a fare il giro di tutti quanti, e di nuovo il Barba me la porge, sorridendo. La prendo, fumo ancora e questa volta sento il caldo che scende giù nei polmoni prima di espirarlo. La passo a Mal, che per prenderla spegne la sua sigaretta sul muretto accanto a quella vecchia.
«Così sei la ragazza di Micia.» mi dice, sempre sorridendo nel suo modo sbilenco.
Mi sento sorridere di rimando, in un modo un po’ deficiente, con le labbra intorpidite. Una-che-non-regge.
«Avevo paura di sembrare un’amica.»
Il Barba scuote la testa e si gratta la pancia attraverso la felpa lisa. Un ciuffetto di peli biondissimi spunta a tratti da sotto il bordo della stoffa e io storco il naso senza riuscire a trattenermi. Nessuno sembra accorgersene.
«Una così bellina, mica se la faceva scappare, la Micia.» mi ammicca, e io mi sciolgo in un altro sorriso, lusingata.
Cerco gli occhi di Micia coi miei, lei mi sorride, ha le guance arrossate. Le faccio segno di sedersi sul muretto accanto a me, e quando mi è vicina le appoggio la testa sulla spalla.
Sollevo il bicchiere fino alle mie labbra e bevo quel che rimane della birra, in un sorso solo.
«Lo pensavo davvero.» insisto, e Mal annuisce incoraggiante. Mi sfugge un rutto, piccolo piccolo, e Micia scoppia a ridere. Anche Ale ghigna, beffardo.
Le risate si calmano, rimaniamo in silenzio. Micia mi accarezza i capelli, pettinandomeli lungo la schiena. Avverto distintamente le sue unghie lunghe percorrermi il dorso, e un brivido mi sale lungo le vertebre fino alla nuca. Micia mi stringe a sé.
Mal ha posato il capo in grembo ad Ale, che gli passa le dita fini tra le ciocche. L’anello d’argento balena e mi sembra che la chioma scura e scomposta nasconda il muso di un gatto. Sbatto le palpebre e nascondo il viso nel collo di Micia. Il Barba sta rollando un’altra canna e l’odore mi fa pizzicare le narici.
«Ho sete.» mormoro. Micia mi allunga il suo bicchiere. Mi inumidisco le labbra. «Che sono in un periodo strano, no? So mica cosa penseranno di me.» farfuglio a nessuno in particolare.
Questa volta è Ale a passarmi lo spinello, e lo prendo come un invito a continuare. <<voglio dire. Con essere lesbica e tutto. Una-che-va-a-donne.>> mi sembra quasi di sbocconcellarlo, il fumo, mentre parlo.
Il mio busto si inclina un po’ troppo contro quello di Micia e scivolo dal muretto, in equilibrio precario sui miei anfibi. Lei mi regge senza sforzo.
«È il momento.» dichiara a mezza voce, e tutti si alzano.
Ci dirigiamo verso il pub, ed è un sollievo perché mi scappa proprio da pisciare. Invece, procediamo oltre, nell’aiuola che separa dalla strada. Cammino impacciata, sorretta da Micia, i piedi che sembrano incapaci di seguire una linea retta nell’erba bagnata. Arriviamo al guardrail, in qualche modo riesco a sollevare una gamba e buttarla dall’altra parte. Quando faccio passare anche la seconda, inciampo nei miei stessi piedi e mi sbuccio le ginocchia contro l’asfalto. Non provo dolore. Micia mi prende da sotto le ascelle e mi tira su, malamente.
«D-Dove andiamo?» boccheggio.
Attraversiamo la strada e arriviamo al guardrail opposto. Mal mi prende per i fianchi senza tante cerimonie e mi scarica oltre la barriera di metallo.
«Andiamo da Lucio.» mi sorride Micia quando arriva anche lei dall’altra parte. Non so quando si è tolta giacca e felpa, e ora è rimasta con solo il reggiseno nero.
«Prenderai freddo.» sussurro, piano, risistemandole una spallina che è caduta lungo il braccio. Le spalle sono più larghe e muscolose di quanto ricordassi, le coppe mi sembrano quasi vuote. Chiudo gli occhi e deglutisco. «Una-che-va-fuori.» borbotto.
Camminiamo ancora, in silenzio. Il campo incolto oltre la strada si tramuta in una zona boscosa. Inciampo in una radice, cado coi palmi nel sottobosco. Un millepiedi mi passa tra le dita. Urlo e lo scrollo via, mi rialzo. Micia mi spinge, le mani appena sopra il sedere.
«Più veloce.» intima, la voce profonda.
Il Barba ha la faccia arrossata, come gli stesse venendo un infarto. Avvicina le labbra per fischiare e fa il verso di una civetta, poi allarga la bocca con la lingua piegata su se stessa e gracchia come un corvo. Nel buio, gli animali rispondono.
Dai capelli di Mal occhieggiano le iridi gialle di un gatto e, quando passiamo attraverso un raggio di luna che è riuscito a penetrare nel bosco, distinguo chiaramente un rospo tra le ciocche scure.
«Oh, ti piacerà, Lucio. Piace a tutti.» dice la voce roca di Mal dalle labbra mucose del rospo, e poi gracida.
Mentre avanziamo, Ale schiocca le dita e si batte le mani sul petto, o sul collo gonfiando la gola. Sembra un rullare di tamburi. Si è tolto il maglione, rimanendo anche lui a torso nudo. La sua pelle è spessa e arrossata, callosa, quasi divisa in squame.
Lacrimoni mi rotolano lungo le guance. Qualcosa mi ha fatto male, ho le allucinazioni.
«Micia.» frigno. «Torniamo indietro.»
Micia mi abbraccia da dietro, le mani grandi e nodose che si intrecciano alle braccia per tenermi stretta. La sua carne è livida. Nocche e gomiti hanno bucato la cute ed emergono in placche ossee biancastre.
«Lucio ci aspetta.» mi gracchia nelle orecchie una voce maschile. La lingua di Micia mi saetta in un orecchio, ruvida come quella di un gatto, lasciando una scia di bava. Mi conficca le unghie lunghe nei fianchi e mi solleva. Riprende a camminare.
I miei piedi sono sollevati dal terreno. Mi contorco debolmente, ma ho la testa che ciondola. Enormi zampe di gallina spuntano dalle gambe muscolose sotto di me e avanzano artigliando il muschio. Mi cola il naso.
«Torniamo indietro!» strepito. Le braccia mi stringono forte. Nessuno risponde.
Dal culo del Barba spunta una coda lunga, come un serpente. Il rettile striscia per terra, trascinata dall’uomo a cui è attaccata, poi si solleva a soffiarmi in faccia. Spalanca le mascelle e i denti luccicano nel buio. Urlo.
Micia mi lascia andare. Mi accascio per terra. Rimango qualche attimo ad occhi chiusi, i muscoli tra le costole che pulsano per il dolore. Sollevo la testa. Ho pucciato i capelli in un rigagnolo fetido e acqua e fango mi scorrono sulla fronte fino agli occhi. Mi passo l’avambraccio sul viso. Tento di alzarmi, poi mani nodose e unghiate mi strattonano le braccia e mi mettono seduta.
Mal mi prende il volto per il mento, lo torce verso il suo.
«Lucio ci aspetta.» ringhia con la sua voce roca, l’alito che sa di marcio.
Ale si avvicina ghignando, stringendo tra le dita un chiodo lungo un palmo. Inizio a piagnucolare, ma Mal mi scrolla il viso. Le vertebre del mio collo scricchiolano.
Micia mi solleva, tenendomi ancora stretta. Mi addossano ad un albero, Mal mi preme il volto contro la corteccia. Un ragno allunga le sue zampe sulla mia fronte e mi cammina sul naso.
Ale mi ficca due dita in bocca, graffiandomi le gengive per afferrarmi il labbro inferiore. Lo tira, allontanandolo dai miei denti e facendolo aderire al tronco dell’albero. Gemo.
Il ragazzo alza il pugno che stringe il chiodo, lo punta contro la carne viscida delle mie mucose, poi carica il colpo.
Grido, la voce che mi graffia la gola. Ale abbassa il pugno.
Il chiodo è conficcato nel mio labbro e nel tronco. Il sangue gorgoglia caldo attorno al metallo, schiuma, scende in goccioloni sulla terra sottostante, sul vestito.
Mi lasciano libera. Allungo le dita tremanti a cercare di sfilare il chiodo, i polpastrelli che mi scivolano per la bava e le lacrime. Una-che-non-tornerà-a-casa-stanotte.
Gli altri si sono allontanati. Il Barba sta disegnando un cerchio attorno all’albero. Micia ha delle corna ritorte che spuntano dalle tempie;
«Sta arrivando, finalmente. Lucifero.» ghigna.

Autorizzo Jackie de Ripper all’eventuale pubblicazione su Skan Magazine
 
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Sol Weintraub
view post Posted on 15/8/2013, 21:30




E quattro... ancora un racconto perchè l'edizione sia valida.
 
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Callagan
view post Posted on 15/8/2013, 21:39




CITAZIONE (Sol Weintraub @ 15/8/2013, 22:30) 
E quattro... ancora un racconto perchè l'edizione sia valida.

pant pant pant
Callagan imposta velocità supersonica
pant pant pant
le dita volano sulla tastiera
pant pant pant
il sonno incombe malefico
pant pant pant
- devo scrivere, ce la devo fare!
SCRIVI
- Sto scrivendo!
pant pant pant
MA NO NEL FORUM, IDIOTA
:p108:

Ce la farò? Sono in produzione Sol. ;)
 
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Sol Weintraub
view post Posted on 15/8/2013, 21:47




Bravo Callagan, confido in te. Stavo giusto per prendere una frusta e costringere Albertine (che si è messa in stand-by fino a Settembre) a scrivere un racconto in un'ora. :p097:

La colpa è comunque sempre e comunque di anark che è partito per le ferie. Maledetto!
 
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cristiano r.
view post Posted on 15/8/2013, 22:10




Una piccola premessa. Negli ambienti nazi-fascisti di oggi il numerro 88 rappresenta la medesima lettera dell'alfabeto ripetuta due volte, la lettera H, la quale, appunto è l'ottava dell'alfabeto.
La doppia H sta a significare il famoso saluto con il quele veniva acclamto il Fuhrer: Heil Hitler.
Questo racconto è dedicato al mio portatile, il quale, nonostante la sua veneranda età, riesce ancora a dare il peggio e il meglio di se stesso.



88


(Il numero della vittoria)




“Che ne dici Franz, ti piace il mio ultimo tatuaggio?”
Mentre spacco la testa di un cinese con una spranga, la domanda di Eva mi fa ricordare quanto sia pazza la mia nuova ragazza.
I Dr. Martens assestano un paio di calci alla mascella del fottuto asiatico, tanto per assicurarmi che non si rialzi dalla sua pozza rosso-comunista. Riprendo fiato e appoggio la sbarra metallica sul cranio aperto del muso giallo poi, con calma, mi volto verso la ventenne.
La Fred Perry, da lei sbottonata in tutta fretta, mostra la pelle chiara ancora arrossata: sotto al lato destro del collo, un'aquila imperiale artiglia con fierezza una croce uncinata.
“ Heil Hitler!” rispondo io, alzando la mia arma insanguinata “Non vedo l'ora di leccarlo…” concludo.

Uno scroscio improvviso però interrompe le mie fantasie erotiche.
La benzina fuoriuscita da una tanica di plastica mi riempie le narici col suo odore pungente. Ho un sussulto, è arrivata l'ora della purificazione totale.
“Adesso tocca a me! voi rientrate nel furgone” annuncia una voce decisa ”Ci penso io a disinfestare questa topaia…”
Da dietro una colonna della sartoria abusiva, l'ombra imponente di Otto Berger, il bestione della baviera, comincia ad aggirarsi sopra i corpi massacrati degli orientali. Uno di loro sputacchia frasi incomprensibili, una donna distesa poco più avanti, si protegge il grembo con una mano, con l'altra invece cerca di indicare l'uomo che sta per porre fine alla sua inutile esistenza.
Probabilmente ci staranno maledicendo tutti; che vadano pure al diavolo insieme a Mao Tze Tung!...e al suo fottuto Libro Rosso.
Prima di mettermi al posto di guida però, decido di voltarmi, non voglio perdermi l'atto finale dello spettacolo; ho giusto il tempo di vedere il contenitore del liquido infiammabile infrangersi contro la muraglia di paccottiglie che riempie il magazzino, poi salgo e metto in moto
“Anche noi siamo molto bravi coi fuochi d’artificio!” Grida l'amico, un attimo dopo aver strusciato un fiammifero sotto la suola di uno stivale.
Una fiammata divampa nel tugurio adibito a laboratorio, Otto raggiunge l'uscita e blocca la saracinesca con una catena.

Il veicolo dribbla sicuro il traffico notturno sui viali della capitale.
La porta di Magdeburgo, bastione teutonico a guardia della superiorità della nostra razza, si avvicina in tutta la sua maestosità, ricordo di quel tempo perduto in cui la Germania governava l'Europa, ripulendola senza pietà dai fetidi rigurgiti giudaici.

Dalla finestrella rettangolare che da sulla cabina, un pizzetto schiumato di birra sbuca tutto eccitato “Che ne dite di fare un salto a Kroizberg?” Chiede Gunter “Vorrei tanto malmenare qualche lurido turco e ingozzarmi di kebab…”
L'idea è allettante.
Anche dentro le mie vene infatti, l'adrenalina scorre ancora copiosa come un fiume in piena.
Eva, tuttavia, seduta al mio fianco, sembra aver pianificato un altro tipo di invasione.
Il suo volto sporco di sangue straniero si avvicina al mio, con una mano poi, inizia a palpeggiarmi tra le gambe.
La pressione si trasforma presto in una presa decisa che cinge il mio fallo in erezione “Il piano era di dividerci il prima possibile” La risposta, priva di convinzione, é strozzata dalla presa poco sensuale della giovane.
“Già!” Esclama Gunter all’indirizzo degli altri membri del gruppo stipati insieme a lui nel retro vano “così potrai finalmente sparare qualche colpo di cannone…”
Dalle casse dello stereo intanto, la voce di Marlene Dietricht sembra cantare le gesta della mia prossima battaglia.

Eva si riveste.
“Tu sai chi è lui…” Sussurra la ragazza dopo aver appoggiato la testa rasata su una mia spalla.
Ci metto un po' di tempo, prima di capire a chi si stia riferendo, ancora nel pieno del momento estatico.
“No, non lo so. Nessuno lo sa. Domani sera comunque lo incontreremo tutti quanti per la prima volta”
“Gli altri lo chiamano L'Angelo Bianco” continua lei, con un tono di riverenza.
Mi metto a sedere sul letto.
Il monolocale della ragazza è piuttosto semplice, per non dire fatiscente: un guardaroba, appoggiato a una parete piena di muffa, ha tutta la parvenza di essere un sopravvissuto dei bombardamenti inglesi. Dal soffitto, una lampadina solitaria emana una luce fredda, come quella riflessa dallo specchio incrinato, posto sopra al lavandino ingiallito.
Dietro la porta però, appeso a mo' di rock star, il poster di zio Adolf ci guarda soddisfatto sotto ai suoi baffetti ben curati, deve aver proprio gradito il nostro accoppiamento ariano.
“Ti è piaciuto il libro?” Domando, per alleggerire la tensione.
Eva si volta, allunga un braccio e raggiunge la copia del manoscritto sul comodino sgangherato.
“La mia battaglia” Grida lei, sollevando in aria il nostro testo sacro “Certo che mi è piaciuto, l'ho divorato!”

La musica Ska riempie lo stanzone con le sue note veloci.
Eva balla ubriaca nel mezzo della pista. Illuminata da una luce strobo, forse rubata a qualche pidocchioso centro sociale, sembra anticipare con i suoi salti cadenzati le tracce di dj Wermacht.
Gunter e Otto, come al solito, si stanno prendendo allegramente a pugni.
Gli altri invece giocano a freccette con i loro coltelli a serramanico: il bersaglio, ovviamente, è la foto sbiadita di Lenin incollata su muro del seminterrato dove siamo riuniti.
A un certo punto, l'atmosfera cambia improvvisamente: il volume sfuma, le luci si attenuano.
Sopra al piccolo palco, posto vicino al bancone dove viene servita la birra, un tizio dalla corporatura minuta, ben vestito e incappucciato, sta per prendere la parola.
Alle sue spalle, nel centro di un enorme stendardo che riprende i colori della svastica, campeggia glorioso il numero 88.
“Heil Hitler!” Ci saluta l'uomo.
Un coro di braccia alzate lo accoglie con la medesima ovazione, Eva si avvicina al mio fianco.
L'Angelo Bianco si accerta che il microfono sia acceso e inizia la sua propaganda “La nostra fratellanza è stata sul punto di soccombere, ma voi avete tenuto duro. Noi abbiamo tenuto duro. Per la sovranità della nostra Nazione!”
Di nuovo, dalla folla, il medesimo coro e lo stesso gesto esaltano quelle parole.
“Se anche voi, come me, siete stanchi di vedere le strade della Germania infestate da prostitute negre, venditori ambulanti dell'Europa dell’Est e drogati che mendicano qualche soldo infangando l'onore della nostra bandiera, bene, miei cari fratelli, oggi più che mai è arrivato il tempo di combattere, perché la vittoria non è mai stata così vicina!”
Un attimo di silenzio, poi la voce ammaliante del misterioso oratore riprende a galvanizzare i nostri cuori.
“ Il Reich risorgerà nel suo splendore prima di quanto possiate immaginare. Io sarò la vostra guida e presto arriverà il momento in cui potrò presentarmi personalmente, fidatevi di me!”
Gunter mi bisbiglia qualcosa nell'orecchio, capisco solo l'ultima parte “…membro del parlamento”
“No!” Rispondo, abbassando però il tono della affermazione seguente “ho sentito dire che sia un industriale, altri invece dicono che sia un religioso, o qualcosa del genere…”
Il fratello ariano alza le spalle. Alla fine non è che faccia molta differenza.
La Germania ha bisogno di una nuovo capo carismatico, non importa da quale estrazione sociale derivi.
Le promesse di un mondo migliore, più sano, più pulito, si susseguono una dietro l'altra.
L'Angelo Bianco parla anche di soldi, molti soldi, destinati anche alla nostra fazione, la quale, come tutte le altre sparse per il paese, verrà armata di tutto punto prima della rivolta in cui destituiremo il governo in carica.
Mentre le frasi incandescenti si susseguono, immagino le strade di Berlino insanguinate dalle gole recise degli stranieri inferiori, dei froci, dei tossici, dei comunisti e di tutta quella feccia che alimenta il marciume mascherato dietro una parola: tolleranza.
Decorata da cifre prive di significato e ostentate da telegiornali faziosi a tutela di un benessere solamente illusorio, ha ormai inebetito la maggior parte delle famiglie tedesche, a discapito della loro vera identità.
Purtroppo però, non appena sgozzo anche l'ultimo capitalista, le luci si riaccendono.
Il comizio è finito.
Due guardie del corpo scortano quell'ometto carico di energia verso un'uscita secondaria, mentre gli altri fratelli della Squadriglia 88 inneggiano al ritorno del un nuovo Fuhrer.
Dopo tutto questo calore, ho bisogno di un po' d'aria fresca.
Raggiungo l'uscita e accendo una sigaretta.
Non appena soffio fuori la prima boccata nella gelida notte berlinese, Eva mi raggiunge.
Contemporaneamente, una mercedes, fuoriuscita dal vicolo a fianco del locale, ci sfreccia davanti coi vetri oscurati.
“Cosa ne pensi?”
Sto per dirle che è stato davvero un gran bel discorso, ma una vibrazione inaspettata trattiene la risposta.
Estraggo il cellulare dall'interno del bomber mimetico, l'immagine di mia madre mi guarda con il suo ripugnante sorriso sdentato.
Apro il messaggio:
Figliolo! dovresti passare da casa a salutare i nonni. Sono appena arrivati dalla nostra amata Polonia e hanno portato dell'ottima vodka!

Edited by cristiano r. - 27/9/2013, 14:13
 
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Sol Weintraub
view post Posted on 15/8/2013, 22:27




Grande Cri! Sei una garanzia.
 
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kaipirissima
view post Posted on 15/8/2013, 22:34




Ci rinuncio. La formattazione del mio testo che ad un certo punto dovrebbe essere a singhiozzo, cioé con molti più spazi che separano le parole non me la prende. Perciò fa un po' schifo.




LA LEGGE DI NEWTON


Mi chiedo
quando si accorgeranno di ciò che mi sta accadendo
Mi chiedo
per quanto tempo potrò ancora fingere che nulla mi stia succedendo
Ho paura

Qualcuno chiama il mio nome, è Carla, un’amica

"Santo cielo! Ma come ti sei combinata non hai caldo?"
"Sei tu che sei la solita calorosa" rispondo, "guarda che siamo in febb…"
"… braio, ma sembra di essere a giugno! Ah, quanto amo queste giornate! Mi sembra di rinascere… questa mattina…. e poi pensa che…

Ascolto, guardo la sua bocca e i suoi occhi, veloci, come le sue parole; strano mi sento più calma, un pensiero è nato in me: Carla è così, parla e non ascolta, non serve intervenire; anche se lei è davanti a te e tu davanti lei, ognuno è altrove, dentro un altro pensiero,

un’altra storia

"… così ho telefonato a Giulia… Ottellio… ti va?"
"… come? Ah si certo… ma devo fare prima una commissione… no vado da sola, tu intanto vai, poi ti raggiungo"

La guardo allontanarsi mentre calcolo nella mia mente il percorso che devo compiere per arrivare sana e salva a quel bar: controllo la distanza, per fortuna oggi non c’è vento, tutto sarà più facile

È da una settimana che vivo in questo continuo terrore di volare via.
Ricordo bene quando tutto è cominciato, era mercoledì pomeriggio, camminavo per via Mercato vecchio guardando le vetrine alla ricerca di qualcosa che i miei amici potessero regolarmi per il compleanno, ormai imminente, ma in realtá nulla m'interessava.
Camminavo distratta e così non mi accorsi dell'uomo che, nella direzione contraria, procedeva zigzagando tra le persone.
Avrei dovuto accorgersi di qualcosa di strano, avrei dovuto essere più attenta a quello che accadeva intorno a me, ma ciò che i miei occhi registrarono fu solo un uomo dalla stazza imponente che camminava lesto: tipico esemplare che attende l'ultimo giorno utile per acquistare i regali di Natale.
L'uomo passava veloce, indenne tra le persone come se queste si aprissero davanti a lui, come un sipario, come le acque del Mar Rosso. Sembrava che un istinto naturale muovesse i fili evitando si sfiorassero, toccassero. Almeno fino a che non giunse davanti a me e, dopo avermi lanciato uno sguardo enigmatico, la sua spalla urtò la mia talmente forte che persi l'equilibrio.
L’impatto mi spostò e i miei piedi persero la solida aderenza con il suolo.
Mi girai per dirgli qualcosa, ma alle mie spalle non c’era nessuno, solo un brivido alla base del collo
Fu in quel momento che quando spostai il piede per muovermi e andare avanti, non percepii più il terreno sotto di me, come una marionetta muovevo le gambe, eppure lì rimanevo, sospesa
La gamba aveva perso il suo peso e sembrava non trovasse la spinta, la forza necessaria ad imprimere la mia direzione
Il mio corpo sembrava non avere peso, galleggiava

Da quel giorno, le cose mi passano accanto, le percepisco ma appartengono ad un’altra dimensione

Sfioro i muri, gli alberi, i campi, le strade

Per spostarmi mi afferro disperatamente agli oggetti eppure, nel momento in cui li stringo é come se mi sfuggissero
So che una sola, piccola distrazione può allontanarmi da loro

Per tornare a casa, quel giorno impiegai tre ore

iniziai a riempire le mie tasche di pesi, la mia borsa di libri, ad usare strani uncini per incastrarmi nel mondo e continuare a ingannarlo, a ingannare me stessa

È da un mese che non esco di casa
Sono stanca Preferisco starmene qui sola, in fondo non è poi così brutto

galleggiare,


anzi, a dire la verità mi sembra che la vita abbia finalmente un senso
Il tempo mi attraversa,
la luce
entra ed esce dalle finestre,
la polvere si posa sui mobili
Qui non esiste il bene il male non c’è
Il mondo è cavo e io sono perduta dentro
Sono sola

Sono passati ormai tre mesi
Credo
Il telefono
ha smesso di suonare, non rispondo,
non c’è nessuno con cui vorrei
parlare,
nessuno che vorrei
vedere

credo che il mondo abbia dimenticato il mio nome, come io non ricordo
più
il suo

Non so chi sono, né chi vorrei essere,
non so cosa sperare, nè cosa aspettarmi

galleggio

volteggio

e continuo a sfiorare le cose che mi circondano, ma ho smesso di afferrami a loro in
cerca di
stabilità

Socchiudo gli occhi e guardo verso la finestra,
sospiro leggermente,
un giorno uscirò da quella. finestra,
in una notte di luna piena,

con le stelle che brillano,

aprirò le mie braccia e mi lascerò andare…
qualcuno alzerà lo sguardo verso il cielo per esprimere un desiderio e
vedendo la mia sagoma mi scambierà per un
angelo…

È quasi un mese che non galleggio più. Il telefono aveva ripreso a squillare, sempre più spesso, sempre più fastidioso… quel trillo malefico, penetrava nella mia sospesa armonia. Per sfuggirgli con tutte le mie forze ho aperto la finestra… pioveva, faceva freddo… il telefono continuava a suonare… pioveva
"Santo cielo! Ma si può sapere dove eri finita?"
-"… Chi parla?" chiesi frastornata
"Come chi parla? Chi vuoi che sia? Vabbè, non farsi sentire per mesi... Se fosse per te... Sono sempre io a..."
"Carla" sussurrai.
"Be'! Almeno ti ricordi il mio nome! È già qualcosa. Allora asociale, cosa hai fatto in tutto questo tempo?"
"Non sono stata troppo bene, ma…. mi sembra che adesso vada meglio… si adesso va meglio".

Edited by kaipirissima - 15/8/2013, 23:39
 
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cristiano r.
view post Posted on 15/8/2013, 22:39




@Sol

...una garanzia scaduta, viste le numerose castronerie che avrò scritto.
Comunque è pur sempre un piacere partecipare al tuo nuovo Skanna. ^_^
 
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Callagan
view post Posted on 15/8/2013, 22:44




SESSIONE IDENTITARIA B612
di Filippo Puddu



1.

Aaargh!
Un'altra fitta alla spalla, ma è la spalla questa? Non vedo. Punte acuminate mi trafiggono in ogni parte del corpo, una dopo l'altra. Dolore e buio. Panico. Muoio dalla paura, eppure son vivo… o questa non è vita? Non posso tremare, non posso sudare, non me la posso fare sotto.
Lasciatemi andare! Perché? Perché proprio io?
Non ho voce, le urla dei miei pensieri mi assordano.
I suoni (forse quelli reali?) li percepisco ovattati: sferragliare metallico.
Aaargh!
Luce.
Posso aprire gli occhi! L'ho voluto io, o sono stati loro? Sono disteso… immobile. Quella lampada mi acceca.
— Il soggetto è ora semi-cosciente, signore.
— Bene, procedete con l'oculoscopia organica.
Aaargh!
Cosa mi state facendo! Chi siete? Perché mi torturate?
Ombre… ombre… vi vedo! Ondeggiate davanti a me… camici bianchi, vi nascondete dietro la maschera? Chi siete!
— Oculoscopia ricevuta dall'organismo.
Mi sento soffocare!
Tu… tu… quegli occhi viola… sta lontano da me!
— SESSIONE IDENTITARIA B612 ATTIVATA

2.


I've got another confession to make
I'm your fool
Everyone's got their chains to break
Holdin' you
Were you born to resist or be abused?
Is someone getting the best,
— Amore?! — the best, the best, the best of you?
Is someone getting the best…

— … the best, the best, the best of you?
— Marco, stacca quella cazzo di sveglia!
— Buongiooorno vita mia! Da quando non ti piacciono più i Foo Fighters?
— Un altro scherzo del genere e ti mollo.
— E dammi un bacio!
Tre anni e ogni mattina mi sveglio in paradiso.
— Domani ti metto Laura Pausini, contenta?
— Stronzo!
— Shh. Ci sono i bambini qui affianco, non dire parolacce.
Non voglio alzarmi, è semplicemente fantastica…
— Fatti abbracciare.

— Amore? Amore! È meglio che i bambini non sentano neanche altri rumori.
— Ahaha, ma giocavo io!
— Seeh, tutti così dite, voi maschi!
— Voi maschi? Asia, mi devi dire qualcosa?
— Vai a preparare la colazione, scemo.
Con quel sorriso, ogni parola è un ordine per me.

— Asia?
— … e poi il dinossauro ha vissto la mucca ed è scappato ullando aaaah!
— papààà, Antonio sta dicendo bugie!
— Tina smettila, ti stava solo raccontando un sogno… Anto non urlare, fai il favore a papà. Asia mi stai ascoltando?
— Un attimo amore, fammi ascoltare questa notizia.
— Dai Asia sto scappando, il capo mi ha appena chiamato e…
— Stronzo di un grillino!
— Mamma ha detto una parolaccia!
— Stlonzo. Stlonzo. Stlonzo!
— Antonio! Amore, contieniti.
— Bambini, non ripetete oppure oggi state a casa…
— Nooo
— … Marco lo sai come sono questi qua… dicevi?
— Puoi accompagnare tu i bimbi a scuola? Il capo mi ha raccomandato la puntualità oggi. C'è profumo di promozione.
— Mmm, qui c'è profumo di vacanze in Grecia.
— Vacci piano, ancora non si sa niente.
— Ma io lo so che sei il migliore.
Le tue labbra morbide sulle mie, devo proprio andare a lavoro?

Quel deficiente di Bigazzi mi ha rubato il posto, domani gliela rigo quella schifezza di Punto. Ma che è sto Suv blu? Mai visto… sarà un altro cafone, per loro occupare due posti macchina non è un problema: ciao, mi chiamo Briatore, ho un suv, sono il re del mondo, posso fare quello che voglio. Me ne dovevo restare a casa, se solo Asia non fosse dovuta andare a lavoro.
Altro che promozione, quel vecchio grassone del capo ci farà la solita ramanzina del venerdì: siete troppo lenti, gli articoli li voglio sul mio tavolo ogni giorno alle sei, non un secondo dopo. Se lavorassi anche tu, vecchio idiota, magari questo giornale avrebbe vendite migliori. A quel paese! Mi parcheggio qui.

— Ohi, Dettori.
— Proprio te cercavo, guarda Luca, se domani mi occupi di nuovo il parcheggio ti faccio una bella dedica sulla portiera.
— Scusa Marco, ho dovuto… hai visto quel suv? Mi ha ciulato il posto.
— Si vabbè. Ma com'è che stai già facendo l'articolo tu?
— Perché, grazie a te, oggi lavoro il doppio, il capo ti manda in missione oggi.
— Ah ecco, com'è che tu lo sai e…
— Dettori, muoviti o il lavoro è di Bigazzi.
Salve capo, sempre simpatico come un calcio nel sedere. Mi fiondo nel buco che è il tuo ufficio, però tu beccati questo sorriso a trentadue denti. Promozione no, ma extra sicuro. Grecia arrivo!
Ma tu… chi cazzo sei?
— Le presento il suo partner. Avrà bisogno di un fotografo professionista oggi.
Bell'educazione stringermi la mano con un guanto di pelle, incominciamo bene… e poi che cavolo ci fai al chiuso con gli occhiali da sole?
— Un fotografo bene… prego lei si chiama?
— Noi paparazzi siamo sempre in incognito, preferiamo non rivelare il nostro nome.
— Proprio di questo parlavamo Dettori, pare che un noto esponente dell'opposizione oggi abbia un losco incontro. Esigo un reportage completo, il nostro amico le sarà di grosso aiuto!
Immagino.
— Sarà fatto signore.
Sono il migliore.

— Andiamo a prendere il suv?
— Come sa che guido un suv?
— Intuito, poi si sa… voi paparazzi siete sempre in incognito.
Tutti fessi come il vostro mentore. Ecco, il carcere è l'unico posto adatto per gente come voi.
Però… certo non si può dire che i sedili di questi carri armati non sono comodi. Mi sembra di essere spaparanzat — Ehi!
La cintura si è chiusa automaticamente, cosa sta succedendo? Sono bloccato. Non riesco a levarla!
— Tutto bene, stia tranquillo.
— E scusi, ma questo affare non funziona. Mi aiuta?
— Non c'è nulla per cui si deva spaventare. Guardi qui.
Ti ho chiesto di levarmi questa cosa, non di toglierti gli occhiali.
— Quegli occhi?
— Sì?
Quel sorriso è inquietante… ma non è quello. Sono le sue iridi… le sue…
— Sono viola!
— Vedo che in fondo i ricordi dello stato ibrido non sono del tutto sopiti.
Che?
— Lei è un pazzo! Mi faccia uscire di qui!
La portiera, cazzo non funziona manco questa.
— Voglio uscire!
— Inutile urlare.
— Ha una pistola! Aiuto! Aiutooo!
— Possiamo dire che, con una famiglia troppo perfetta e un lavoro mediocre e senza prospettive, il nostro esperimento è fallito. Siete il soggetto B612, ancora imperfetto. Necessitate di un nuovo trattamento.
— Non spararmi! Ti prego ho famiglia, due figli piccoli, come faranno senza
— Ogni volta la solita storia. Pazientate! Presto sarete un superuomo… ancora poco.
— SESSIONE IDENTITARIA B612 CONCLUSA
 
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Sol Weintraub
view post Posted on 15/8/2013, 23:11




Direi che il tempo è scaduto! Sette racconti, quindi edizione più che valida.
Ringrazio tutti gli scrittori che, nonostante il giorno di festa, si sono dati da fare. Il mio personale benvenuto a Madame Freida e mother95A che, per la prima volta, si affacciano allo Skannatoio. Mi auguri diveniate assidui frequentatori.
Una settimana per commentare i racconti e stilare le classifiche, scadenza le 23.59 di Giovedì 22 Agosto.
Non vi prometto niente ma se il lavoro, la stesura del romanzo, gli articoli per alec e per le riviste e il G.d.P. dello Skanna regolare mi lasceranno del tempo libero (lallero), avrete le mie personali impressioni.

Con questa edizione si chiude il Campionato Primavera - Estate.
Vi aspetto a Settembre per l'inizio del nuovo campionato (il cui regolamento sarà presto online) del quale vi annuncio già un'importante novità: d'ora in avanti saranno pubblicati, ogni sei mesi, due e-book che raccoglieranno il meglio dello Skannatoio regolare e della 24ore, curati da me e distribuiti in rete dal nostro alec. Un'ottimo modo per guadagnare visibilità come autori...
Vi aspetto.
 
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133 replies since 12/8/2013, 11:35   2164 views
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