| Il creatore di Demoni
di
Mother95A
PARTE I
Quanto era difficile resistere, resistergli. La bustina era lì sul tavolino, accanto al letto, veniva irradiata da una luce livida che donava a tutta la stanza un colorito bluastro. Synias sedeva sul bordo del letto, dando fugaci sguardi alla bustina; dentro c'era l'equivalente di 500 dollari in eroina. La decisione era stata presa, niente ripensamenti perciò. Presto un tipo di nome Grey, che era anche l'addetto alle camere, lo avrebbe trovato disteso a terra, smerdato e con una viscosa e bavosa barba di vomito intorno alla bocca. Prese un profondo respiro; aveva ragionato a lungo su come andarsene definitivamente e alla fine aveva optato per un lungo, lunghissimo viaggio. Era il modo migliore e soprattutto il più coerente. Allungò la mano verso il tavolino, essa tremava come fosse indemoniata, non riusciva a controllarla e anche se non lo avrebbe mai ammesso, in quel momento era nel panico più totale. Tre pere. Un viaggio intorno al mondo e nella sua coscienza, chissà cosa avrebbe visto, chissà se sarebbe solamente morto, poteva succedere. La sua conoscenza in materia finiva col farsi e in questo era diventato bravo, un esperto. Poteva eseguire la procedura ad occhi chiusi e anche se aveva talmente tanti buchi nel braccio da rassomigliare un formaggio svizzero, bastava un po' di concentrazione per assicurarsi il paradiso. Aveva tutto l'occorrente: cucchiaio, laccio, cotone, siringa, accendino... non aveva portato il limone o l'aceto deliberatamente. Secondo il Mattone, cioè lo spacciatore abituale di Synias, la ero che gli aveva rifilato era un vera merda, tagliata con la stricnina o altri veleni. Ma a lui non importava, anzi. Dopotutto nelle sue intenzioni lo sballo era l'ultima cosa a cui pensava. Bisogna considerare che Synias non era sempre stato un eroinomane. Nel corso della sua breve vita aveva avuto diverse soddisfazioni personali: si era aggiudicato una borsa di studio nel disegno; era riuscito a destreggiarsi tra lavoro e scuola e alla fine era stato anche un ragazzo normale prima di diventare a tutti gli effetti un cadavere ambulante. Aveva avuto una famiglia che gli voleva bene, degli amici e dentro quella spelonca arredata con suppellettili fatiscenti ripensò a quella vita che, in effetti, adesso rimpiangeva: era nato, cresciuto ed era morto. Ma si può morire in tanti modi diversi, e alcuni, pensò, sono peggiori della morte stessa. Armeggiò un po' con gli attrezzi del mestiere, riscaldò il preparato con il bic arancione che aveva comprato proprio per questo motivo e succhiò il tutto con la siringa. Ripeté il passaggio altre due volte. Prese un bel respiro, allineò con cura le tre siringhe, strinse con forza il laccio e sospirò la parola addio. Vide i suoi occhi nell'oscuro rettangolo della televisione spenta e quelli erano gli occhi di un folle.
Nella mente di Synias
5
Ero disteso sul prato. Vicino a casa mia c'era un grande parco con gente che di solito va a correre e altre stronzate. Io quel giorno, prima che tutto iniziasse, prima che creassi il mio inferno in terra, ero calmo. Forse perché la giornata era particolarmente bella, forse perché ero già eccitato per quello che sarebbe successo. Non lo so, mi sentivo bene. E non mi ero fatto neanche una pera che fosse una! Avevo una gran voglia di sigarette ma mi ero ripromesso di smettere. Brutto vizio mi dissi, e con quello che costa l'ero di questi tempi era meglio pensarci su prima di fare cazzate. Non potevo togliere dei soldi destinati all'ero per spenderli in sigarette, andava contro tutti i miei principi morali e quindi mi decisi che in realtà non ne avevo bisogno ed ero riuscito a smettere. In tasca avevo una pallina di stagnola con dentro un quartino. Volevo farmelo io ma avevo dei piani ben precisi. Quella droga era destinata a qualcosa di più grande, qualcosa che comprendeva me e tutti quelli che mi aleggiavano intorno. C'era da scommetterci la testa che qualche tossico sarei riuscito a raccattarlo, erano come delle puttane: pronti a svendersi per una dose e una dose era quello che offrivo.
PARTE II
Finite le tre siringhe la prima cosa che provò furono delle fortissime fitte al cuore, come se un paio di operai stessero scavando da quelle parti, con picconi e bulldozer. Pensò che non sarebbe riuscito a superare la serata ma poi chiuse gli occhi, si distese sul letto e tutto passò. Si sentì leggero, vuoto e allo stesso tempo pieno; non sapeva descrivere di cosa ma era comunque una bellissima sensazione. Pace e tranquillità. Cominciò a percepire vari odori, odori vibranti che si accomunarono con dei colori sfavillanti, lucenti, vivi. Tre pere non se l'è mai fatte nessuno, pensò, e se qualcuno avesse provato sarebbe morto, ma io no. Io sono ancora qui; ed era felice di constatare questo. Tutto penetrava dentro di lui e fluiva a una rapidità magica. I sensi erano solo fittizi perché in quel momento tutto il suo corpo era un ricettore, che assorbiva emozioni e sensazioni come fosse la punta di quelle tre siringhe. Sì, mi sento come la capocchia di quelle siringhe, pensò. E tutto questo era normale, ogni cosa lo era. Ebbe degli sbalzi di temperatura da far spavento. Questione di attimi e tremava dal freddo per poi sentire un caldo asfissiante. Quindi si alzò; gli sembrò di camminare qualche centimetro dal suolo e il tempo di prendere coscienza di questa cosa che si ritrovò fuori casa. Il venticello lo accarezzava ed era piacevole. La strada davanti a sé sembrava come un lungo serpente nero che si snodava all'infinito. Ai lati c'erano i lampioni che sfrigolavano e sembravano emettere un loro suono, come se fra loro parlassero un linguaggio segreto; il linguaggio segreto dei lampioni. Gli sembrava plausibile. Tutti i centotto muscoli delle gambe lavoravano in perfetta sincronia, così in sincronia da non accorgersi di utilizzarli. Era come se il corpo e la mente si fossero scissi, come se il suo spirito vegliasse dall'alto quel corpo vuoto che avanzava strascicando i piedi nel nero dell'asfalto. Guardò l'orizzonte e non gli era mai sembrato così lontano. E notò un'altra cosa, che si sviluppò dentro di lui in crisi di panico veloci e pungenti: in ogni angolo della strada, tra i cassonetti della spazzatura e le lattine di birra, c'erano delle ombre. Queste ombre si muovevano lentamente ma era già assodato che avessero un corpo, che avessero preso possesso della terza dimensione. Da un muro (decorato con un murale colorato che riportava una scritta non dissimile a questa: Gli unici morti sono quelli che dimentichiamo), un ombra si staccò, e si avvicinò di corsa a Synias. In pochi secondi riconobbe la camminata sbilenca, i lunghi capelli neri che sbatacchiavano da una parte all'altra, la solita maglietta larga dei SOAD di Philip. Il cuore gli si riempì di gioia. Era da tempo che non lo vedeva; era da tempo che aveva dimenticato il suo volto. Lo avvinghiò per le spalle e il momento si ripeté venti, trenta volte prima che Philip effettivamente gli parlasse e si mettesse di fianco a lui. <<amico, stai sognando pecore elettriche?>> Non rispose. Era ben evidente. <<ci sono degli amici a Frolix 8 che vorrebbero conoscerti.>> Era strano, pensò, tutte quei termini li ricordava: erano titoli di libri di Philip K. Dick che loro utilizzavano per parlare in codice. E pensò: in tutti i libri di Dick c'è un doppio senso che può essere percepito solo da una mente malata, fatta, riempita di psicofarmaci, fottuta, andata, persa per sempre. Solo noi possiamo comprendere Dick. E rise, c'era da ridere a quell'affermazione e continuò a ridere. La città prese a ridere con lui, come se si aprisse, si riempisse e poi si afflosciasse. <<quindi lo fai sul serio?>> Chiese Philip. <<amico, l'ho già fatto.>> <<non dovevi, non da solo.>> <<le cose sono andate così...>> Philip non parlò più. Lo seguì in silenzio per il lungo serpentone, verso l'ignoto, dove qualcuno lo aspettava (o almeno così sperava). <<amico,>> parlò Philip. <<c'è una possibilità concreta che questa merda ti mandi fuori, ma veramente fuori, che ti spari dritto in orbita verso pianeti e stelle... non so se mi capisci.>> <<e' un mio diritto.>> rispose più acido di quanto avrebbe voluto. <<posso ancora scegliere e non per forza le cose devono essere sempre una tragedia. Si può vivere, sapendo di essere già morti, abbastanza tranquillamente.>> <<ma per quanto riguarda il bad trip, l'Ubik? Ci hai pensato?>> <<amico,>> disse stoicamente <<sono talmente fatto che il bad trip è andato a farsi fottere. Non posso dire con certezza neanche se tu sia reale o meno. Mi capisci?>> <<ti capisco, cioè, un po'. Ma se non sei in trip in cosa sei?>> <<non ne ho idea.>> <<quante pere ti sei fatto?.>> <<tre.>> <<cazzo!>> Philip dopo un tempo indefinito passato in silenzio a seguire Synias pedissequamente prese il telefono e compose un solo numero: <<oh, ciao bello!>> Disse. <<senti, c'è qui Syoh che l'ha fatto! Sì, l'ha fatto davvero, non pensavo lo facesse e invece... <<sì, proprio lì. No, non so se ci sarà. Forse, lo spero per lui.>> Ci fu un lungo silenzio nella quale Philip annuiva di continuo. <<vieni anche tu?... Bene!>> Le ombre si fecero più numerose, e fissavano tutte dalla sua parte. Synios guardò la sua, e vide che era lunga e stretta ma ancora salda al terreno. Di fianco, quella di Philip, non c'era. <<amico, non hai più l'ombra.>> Disse Synias farfugliando. <<non è che non ho più l'ombra,>> rispose Philip. <<è una questione di prospettiva.>> Synias annuì, se l'era bevuta. Più che altro per non ragionare, non gli andava di adoperare il cervello. <<la prospettiva è tutto.>> Disse infine Philip. <<come una cosa ti colpisce...>> <<chi sta arrivando?>> <<manny.>> Lo conosceva? Poteva anche darsi ma per il momento non sapeva chi diavolo fosse questo Manny.
Nella mente di Synias
4
Tutto era pronto già da tempo. Li avevo scelti con cura. In verità ne avevo scelta una sola, il suo nome era Beth ma contavo che a lei si aggregassero degli altri tizi, più strafatti, più morti e più fragili di lei. I fattoni, i Simulacri, come amavo chiamarli, erano più docili di una mosca. Il loro aspetto scialbo, da cadavere è soltanto una maschera che serve ad allontanare tutti e tutto. Pensavo fosse un modo per allontanare le persone che si vogliono bene e morire in santa pace. Nella stazione di Kora, vicino al B&B della signora Wilson, di solito si radunavano un pugnetto di tossici. Quelli erano i più disperati perché avevano perso ogni cognizione di sé, ogni dignità, ogni pudore. Si nascondevano là sotto, nella semioscurità, per non farsi più vedere. Erano quelli all'ultimo stadio; quelli che si sarebbero strappati un rene a morsi pur di farsi una dose. Vidi Beth seduta in un angolo. Tremava. Aveva la scimmia, una delle più terribili. Pensai che fossero già due giorni che non si faceva. L'avevo vista battere per la via principale ma nessuno sembrava volerla possedere. Per me, possederla, era la cosa che più desideravo. Dopo due giorni passati ad osservarla, il 20 ottobre decisi che era arrivato il momento di agire. Mi avvicinai, le presi la mano e la tirai a me. Lei non protestò, cadde docile docile fra le mie braccia. La portai fuori dal Kora e lì le dissi che volevo regalarle una dose. Dissi: <<ora ci facciamo una pera.>> I suoi occhi si illuminarono, presero vita. Il demone Eroina s'impossessò del suo corpo. <<tu però dovrai fare tutto quello che ti dirò, ok?>> Lei muoveva la testa con decisione senza mai smettere di sorridere. Come pescare un pesce in un barile, pensai.
PARTE III
Camminavano da qualche ora. Il cielo era ricoperto di stelle, tante, tantissime piccole lucciole che brillavano nell'oscurità. Adesso Synias si trascinava con fatica, mentre Philip si aggirava un po' più avanti con passo tranquillo. Manny non era arrivato. Non sapeva il perché ma la presenza di Manny era importante, voleva che arrivasse. Lo aspettava con trepidazione. E ne mancavano altri. Chi fossero costoro non lo sapeva ma dovevano esserci tutti. La strada si fece sempre più stretta via via che avanzavano; quando partirono la corsia era grande come un palcoscenico ma adesso, complici i grandi palazzi ai lati, tutto era più claustrofobico, mancava il respiro e cosa ben peggiore, le ombre si erano fatte più vicine. Synias cominciò ad aver paura di tutte quelle ombre e cercava di non guardarle. Quando ne vedeva una subito distoglieva lo sguardo e questa spariva. Se solo si fosse guardato dietro. Da una di quelle ombre sbucò Manny. Quando vide il suo volto ricordò ogni cosa di lui. Gli veniva da piangere. Era come un fratello, un fratello di ero. Raramente le amicizie nate da una dipendenza comune diventano forti come la loro. Era piccolino, con dei lunghi capelli biondi. Il viso era tondo e sorridente, ma gli occhi, come quelli di Philip d'altronde, erano spenti. <<non so se essere contento o meno,>> disse Manny rifilandogli due pacche sulle spalle. <<però so che mi fa tanto piacere rivederti.>> <<bisogna che lo faccia. Il creatore deve prendersi cura dei propri demoni.>> Manny guardò dritto e non parlò. Intanto Philip aveva fatto qualche passo indietro e si era unito a loro. Philip chiese a Manny se avesse chiamato Blubell. Manny disse che sì, lo aveva chiamata e che stava arrivando. Blubell... non sapeva chi fosse. Per quanto ne sapeva poteva essere anche suo fratello.
Nella mente di Synias
3
Portai Beth ad abitare con me, nel mio buco. Lì le dissi che adesso non doveva più preoccuparsi della roba, che ci avrei pensato io, fino a quando Dio lo vorrà. Trattenni le risate perché sarebbero state estranianti ma non potevo credere al mare di cazzate che stavo dicendo. Ma d'altronde parlare con Beth era come parlare con un muro. Capiva solo eroina, eroina, buco, scimmia, quartino, pera, ago, siringa. Il suo vocabolario era molto limitato. Ma col tempo riuscì a sorprendermi la ragazza. Quando si faceva, quando ci andava giù pesante, riusciva a interloquire con me in maniera molto profonda. Aveva una concezione di sé molto originale. Mi disse che aveva cominciato a farsi perché un tipo non la desiderava, non l'amava. Pensai che fosse una cosa idiota rovinarsi la vita per qualcuno; quando lei espose la sua situazione paragonandola a quella di Eco, la ninfea greca. Mi disse che si sentiva come una novella Eco, innamorata perdutamente di un novello Narciso, quest'ultimo, appunto, innamorato solo di se stesso. Questo la consumò a tal punto che dovette rinchiudersi nel sottosuolo della città, come Eco nella grotta, per non mostrarsi come appariva: scheletrica e brutta. In quella galleria continuò a consumarsi, queste sono state le sue esatte parole, e di lei rimase solo la sua voce, che lamentava l'amore non corrisposto. Lo trovai molto arguto. Lei sorrise imbarazzata e io la strinsi a me. Gli dissi che speravo che questo novello Narciso si fosse affogato abbracciando la sua immagine nel lago per quello che gli aveva fatto. E lei sorrise ancora. Come mi aspettavo, la presenza di Beth mia portò a una invasione di eroinomani a casa mia. Tanti, tantissimi. In breve tempo la mia casa divenne un punto d'incontro per tutte quelle anime perse, e insieme a loro cominciai ad andarci pesante anch'io. Il mio buco si trasformò: era molto piccolo, con un solo tramezzo per il bagno. Il salone faceva da camera da letto, da cucina e tante altre cose. Era quello che volevo. Intorno vennero a crearsi delle vere e proprie isole di immondizia; la mochette, che pulivo ogni settima con l'aspirapolvere, si insudiciò di sangue venefico, sperma, sporcizia, brodo, sughi e talmente tante altre schifezze che non sto qui a raccontare; i muri vennero interamente coperti da scritte blasfeme, naziste, razziste... tutto questo mi andava bene, tutto questo mi era utile. Avevo il mio inferno, avevo la mia schiera di demoni e quindi divenni io stesso il Diavolo. Loro erano tutto ciò che avevo, la mia punizione per quello che feci, e stava bene che insozzassero tutto. Stava proprio bene.
PARTE IV
A Manny e Philip si aggiunsero Bluebell e Orson. Li conosceva tutti e rivederli era un vero piacere. Vide che tra loro c'era anche Beth. Era bellissima. Non aveva più quell'aria da cadavere e stranamente, pensò Synias un po' cinico, quando in realtà lo era. Cominciò a ricordare tutto man mano che quei demoni venivano al suo cospetto. E ricordò anche la meta, la meta di quel lungo viaggio. Non era facile da realizzare ma quella era la realtà dei fatti, l'unica cosa che poteva fare era accettarlo e dirigersi dirimpetto verso il suo destino, con coraggio. Adesso, in lontananza, riusciva a scorgere la luce. Lì, tra fari al neon e frizzanti sibili dei cavi ad alta tensione, c'era la causa di tutto questo. Ma si accorse brevemente che la causa era lui e che i propri demoni sono propri per l'eternità. E la schiera di ombre alle sue spalle erano un greve memento. Si girò e li vide tutti. Li riconobbe a uno a uno. Ma notò anche un'altra cosa, la sua ombra era scomparsa, era divenuto lui stesso un ombra, e per quanto lui pensasse di essere il Diavolo, per l'appunto, era soltanto un umile servo che aveva provato a volare troppo in alto.
Nella mente di Synias
2
Il piano era semplice: ucciderli tutti, uccidere tutti quei mostri, divenendo un mostro a mia volta. Non era perché ero cattivo; in verità stavo liberando tutti loro dal loro guscio di carne, quindi per quando riguarda la coscienza ero a posto. Niente di tutto questo. Loro, come me, avevano fatto delle scelte sbagliate, ma la mia, la mia era stata devastante. Un giorno Beth mi chiese perché avessi cominciato a farmi. Lei aveva raccontato la sua storia e io le raccontai la mia: non c'è molto da dire, solo che sono stato un idiota, un idiota, un idiota. Mi facevo da ben prima, con la mia ragazza, Yola. Era perfetta, era tutto ciò che potessi desiderare. Stavo passando un periodo nero della mia vita: i miei genitori erano morti in un incidente d'auto, la scuola, dopo la borsa di studio e tutto il resto, andava uno schifo. Yola era la mia ancora di salvataggio, il mio appiglio per rimanere ancorato a questa terra. Ma ben presto capii che Yola non bastava, avevo bisogno di qualcosa che... qualcosa che mi portasse a livelli che non saprei spiegare. Cominciai a drogarmi, all'Accademia delle Belle Arti c'è sempre il tipo che ha la roba giusta al momento giusto. Cominciai a farmi con cose leggere, marijuana soprattutto. Poi passai alla LSD e da lì il passo è facile. L'eroina fu la mia condanna e quella di Yola. Lei non volle mai lasciarmi solo, non voleva che io l'abbandonassi ma io mi facevo sempre più distante, sempre più assente. E lei, proprio per non abbandonarmi, per no lasciarmi solo, cominciò anche lei a bucarsi. Insieme diventammo dipendenti, e insieme ci davamo la forza. La notte del ventuno luglio lei morì, di overdose. Fine. Tutto qui. Niente di speciale, una storia come tante. La solita drogata che muore. Non riuscivo a spiegarmi perché anch'io, come lei, non morii. Sicuramente avevo più resistenza ma non mi bastò come spiegazione. Pensai che tutti quei tossici, tutte queste povere anime, sarebbero dovute morire, e io insieme a loro. Una purificazione parziale purtroppo. Ma a me bastava. Era un giorno d'inverno quando appiccai l'incendio, dovevo restare anch'io con loro, morire insieme a loro ma non ne ebbi le forze. Scappai dalle fiamme come un codardo. Morirono tutti.
PARTE V
Lei era lì, che lo aspettava. Quando la vide il cuore prese a battergli pazzamente. L'emozione del momento era troppo forte per resistergli e gli corse incontro. Sorrideva. Le ombre lo seguirono come la schiuma del mare dopo un'onda. Che gioia! Che meraviglia. L'abbracciò! Non si parlarono. Lui le strinse la mano e continuarono a camminare fino a quando non divennero una parte dell'orizzonte. Il buio l'inghiottì e si persero nel nero del lungo serpente, infinito, immenso.
Nella mente di Synias
1 Ma era tutto sbagliato. Loro mi mancavano. Erano l'unica cosa che avevo. Per quanto fosse fittizio quel sentimento, e di questo ne ero al corrente, ne avevo bisogno. Tutti loro facevano parte di me. Mi accorsi che per quanto li ripugnassi io non ero migliore di loro, anche se allora non me ne rendevo conto. Non ero il loro Diavolo e loro non erano i miei demoni; eravamo soltanto dei poveri ragazzi che non avevano più voglia di vivere. E quanto tutto questo sia sbagliato spetta ai posteri decidere. Io mi astengo.
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