Forum Scrittori e Lettori di Horror Giallo Fantastico

Skannatoio, Settembre 2013, speciale XXII, Ventiquattr'ore nella giungla di cemento
* Campionato aut-inv 2013, 2 di 12

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view post Posted on 15/9/2013, 22:55
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Martin Sileno

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Mi sa tanto che da domani smetto!

Di Luigi Locatelli


In revisione

Edited by GDN76 - 24/9/2013, 10:00
 
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view post Posted on 15/9/2013, 22:57




La Città Vecchia
di Francesco Fabrocile

«Siamo in arrivo alla stazione di Columbus, capolinea della linea O. Si prega i cittadini di avviciniarsi alle uscite. Buona giornata. Il governo vi ama»
La voce calda dell'annunciatrice robotica strappò via Amy dai suoi pensieri, trascinandola di nuovo dentro la carrozza che stava riportando lei e gli altri cittadini a casa alla fine della giornata di lavoro. Amy posò nella borsa il videogiornale che le aveva rifilato un ragazzino all'ingresso della fermata di Central Plaza, strinse le cinghie del cappotto intorno alla vita e si diresse verso l'uscita dove già si stavano accalcando gli altri passeggeri. Si posizionò giusto di fronte all'uscita, e mentre la stazione di Columbus cominciava ad apparire nelle lamiere lucide del treno, le sue dita cominciarono a picchiettare ritmicamente sulle sbarre di ferro che spuntavano dal pavimento della carrozza. Il suo volto cominciò a distendersi mentre la sua mente evadeva ancora una volta dalla carrozza in cui si trovava. Amy cominciò anche a battere a terra col tacco delle sue eleganti scarpe nere, fino a quando un signore, che indossava la divisa grigia con cravatta, tipica dei bancari di Ultima, indispettito dall'insolita violazione della quiete sotterranea le rivolse un occhiata severa che la riportò ai suoi doveri di buona cittadina.
«Mi scusi» disse Amy con un filo di voce mentre abbassava lo sguardo.
Devo essere impazzita a fare certe cose davanti a tutti, pensò.
Scesa dal treno, Amy seguì il fiume di persone attraverso i grossi corridoi bianchi a sezione semicircolare della stazione, mentre ai lati, sulle pareti televisive che si snodavano lungo tutto il percorso, stavano trasmettendo un messaggio del governo in cui un uomo con un sorriso abbagliante e in uniforme nera da alto funzionario ricordava che quella domenica ci sarebbe stata la Giornata del Lavoro, con la cerimonia di premiazione dei cittadini che quell'anno più avevano contribuito alla prosperità della Repubblica.
Giunta a pochi metri da un grosso varco tinto a strisce nere e verdi, la ragazza si separò dalla folla di persone che procedeva ordinatamente verso il tunnel di uscita e entrò nei bagni. Dopo essersi guardata intorno, Amy notò di essere sola. Si lasciò andare contro la porta tirando un sospiro di sollievo.
Non era tagliata per quelle cose, l'illegalità sarebbe rimasta sempre una scomoda novità per lei. Il solo pensiero di stare per commettere un crimine la faceva sentire già colpevole, e forse, in un certo senso, in una società rigida come quella in cui viveva era veramente così. Amy ricordava ancora quell'intervista in cui il ministro della giustizia, Josh Dugas, aveva risposto a una domanda sull'imminente riforma che stava per varare, tirando in ballo un nuovo termine, lo "psicoreato", e subito quella sua bella faccia da carceriere si era illuminata mentre un ghigno gli sfuggiva sotto i folti baffi neri. In ogni caso, il ministro adesso poteva ghignare quanto voleva, tanto Amy il confine che separava il pensiero illecito dall'illecita azione lo aveva già attraversato, e anche molte volte. E nonostante ogni volta che si trovasse a varcarlo le gambe le tremavano, le mani le sudavano e il cuore le batteva all'impazzata, Amy non aveva intenzione di smettere. Perchè ogni volta che si trovava dall'altra parte lei si sentiva magnificamente bene; bene come non si era mai sentita e come non si sarebbe mai sentita nella sua grigia vita di funzionaria a Ultima.
Diede una rapida occhiata allo specchio, che rivelò un look impeccabile come sempre. Era una bella ragazza. Non aveva il fisico alto e sinuoso di una di quelle stangone che fa le pubblicità per la tredivisione, ma il suo viso era un incantevole connubio di delicatezza e determinazione e, prima di fidanzarsi con Mark, aveva fatto molte vittime fra i dirigenti del partito. Spostata la lunga treccia bionda sul petto, proprio dove un'unica striscia bianca attraversava il blu elettrico del vestito, Amy si avvio verso il fondo della stanza, chiudendosi a chiave dentro una delle cabine.
Ne usci due minuti dopo con un piccolo tubo metallico nella mano destra, i capelli sciolti e indossando vestiti completamente diversi. Il lungo cappotto nero con la spilla del partito aveva lasciato il posto a un anonimo cappottino bianco, mentre le scarpe con i tacchi e il vestito blu furono rimpiazzati da scarpe da ginnastica e da un semplice vestito nero con le spalline. Amy avvicinò la testa allo specchio, portò l'oggetto metallico all'altezza dei capelli e schiacciò un bottone che si trovava su di esso col pollice. Una piccola chiazza di luce verde comparve sulla sua testa, e ogni volta che il raggio illuminava una ciocca di capelli, questa diventava rosso fuoco. Completata l'operazione, la ragazza ripose il tubo nella borsa e gettò un'ultima occhiata allo specchio.
Questa è l'ultima volta.
Uscì dal bagno con la certezza che ancora una volta non sarebbe stato così.

Camminava a passo spedito sui nastri trasportatori lungo la strada e già la paura e l'ansia avevano cominciato a fare posto al piacere che le dava pregustare la serata che avrebbe passato nella Città Vecchia. Come avevano fatto i suoi antenati ad abbandonare quel posto magico per costruire quell'orribile oceano di cemento in cui adesso viveva?
Sì guardò intorno e sul suo viso apparve un sorriso sprezzante. I palazzi si stagliavano per decine e decine di metri nel cielo come giganteschi obelischi grigio palude, così alti che ormai la luce solare era diventata un antico ricordo a Ultima e nel novanta percento della città era stata sostituita dal bagliore di grossi neon. In ognuno di questi giganti di cemento vivevano migliaia e migliaia di persone, ognuna nell'appartamento che il governo gli aveva assegnato in base alla classe di cittadinanza di appartenenza, e quasi tutte immensamente grate a questo per come fosse felice la propria vita. Amy pensò con amarezza che avrebbe potuto essere ancora una di loro se quel giorno Carla non l'avesse trascinata con l'inganno al Cantaloupe Island. Avrebbe continuato a ringraziare il governo per i condomini che aveva costruito al posto degli inutili parchi, per le strade veloci e per i nastri trasportatori con cui aveva cancellato i viali alberati, per aver lasciato che i musei diventassero banche e i teatri sale conferenze. Lode e gloria al governo che ha rimosso anche questi ultimi ostacoli sulla strada per raggiungere la nostra felicità. "Progresso, Prosperità e Benessere. Il governo ti pensa, il governo ti ama" era il piccolo slogan che qualsiasi cosa avesse un altoparlante in quel Paese eruttava almeno una decina di volte al giorno. Ma ora lei a quel mantra non voleva crederci più, non dopo aver finalmente capito a cosa avevano (tutti!) dovuto rinunciare in nome dell'efficienza, quella strana divinità metà umana e metà demone che celava il segreto del benessere. Fanculo l'efficienza, pensò, e si accorse così di aver passato un altro limite.
Dopo pochi minuti giunse finalmente al confine sud della città. Per un attimo il suo sguardo incrociò quello di una delle guardie che pattugliava il terminal di confine al di là del quale si trovava l' iperstrada. Un lungo brivido gli percorse la schiena. L'uomo si girò dopo pochi secondi per controllare un veicolo in arrivo e Amy riprese a camminare col cuore leggero lungo il perimetro delimitato dalla base della cupola di metaglass che rivestiva tutta la città. Arrivata nei pressi di un piccolo edificio con le finestre rotte, un vecchio magazzino da tempo in disuso, la ragazza si fermò e cominciò a setacciare con lo sguardo ogni angolo della strada. Una volta stabilito che la strada fosse sicura, Amy entrò nell'edificio scavalcando da una finestra. Una forte puzza di muffa le saltò al naso, ma ormai quell'odoraccio non la infastidiva più poichè era il segnale che era quasi arrivata. Amy scese nella cantina dell'edificio e cominciò a cercare qualcosa lungo le pareti facendosi luce con una piccola torcia.
Ah, finalmente!
Le sue braccia spostarono un primo mattone dal muro, poi un secondo, e così via fino a quando davanti allo sguardo luccicante della ragazza non si aprì un cunicolo. Era l'inizio delle fognature della Città Vecchia. Un po' di strada a piedi e finalmente sarebbe stata a casa.

Amanda camminava fra i vicoli con il viso rivolto verso il cielo e gli occhi socchiusi, cercando di catturare gli ultimi bagliori che il sole stava gettando sulla Citta Vecchia prima di tramontare. Pensò che ogni cosa in quel posto avesse una patina di magia, dai monumenti ricoperti di muffa alle villette cadenti, ed era grata di poter passeggiare per quelle strade. Ma la cosa che amava più di tutte in quella città fantasma era il Cantaloupe Island.
Il Cantaloupe era stato un club di successo quando la Città Vecchia era ancora una vitale metropoli, ma ai giorni di Amy era poco più di una catapecchia con un bancone e un palco, le cui mura puzzavano ancora di storia e alcol. Fortunatamente c'erano altre persone a Ultima(quelli che il governo avrebbe chiamato sprezzantemente con il neologismo di "retrogradisti") che apprezzavano la Città Vecchia e i bei tempi andati, e un gruppetto di queste persone aveva trovato il Cantaloupe e deciso di farne il proprio punto di ritrovo riportandolo ai suoi vecchi splendori. In realtà il locale era rimasto ben lontano dai quei tempi, ma era riuscito comunque a diventare un faro per tutti quelli che cercavano di evadere dalla fredda e opprimente morsa della città nuova, sopratutto per la sua attrazione principale: musica sovversiva.
Secondo un vecchio decreto del governo, era da considerare sovversivo qualsiasi tipo di musica non strettamente e immediatamente finalizzato al perseguimento del benessere comune, vale a dire qualsiasi melodia che non fosse stata creata dagli ingegneri musicali di Ultima a fini commerciali, produttivi o propagandistici. All'infuori di queste eccezioni, la musica, come prima di essa la scrittura creativa, la pittura e la scultura, venne considerata come un'attività che non solo non apportava alcun beneficio alla società ultimiana, ma che bensì poteva anche danneggiarla, essendo potenziale veicolo di diffusione di messaggi depotenzianti, critici o, ancora peggio, sovversivi. Per questo motivo, la musica era una libertà che non poteva essere concessa ai cittadini di Ultima, per il loro stesso bene, e fu così che venne messa fuorilegge. Ma non tutti accettarono questo ennesimo colpo di mano del governo. Molte persone continuarono a suonare in clandestinità sfidando la legge e preferendo affrontare il rischio di finire in un istituto rieducativo governativo, se non addirittura in carcere, piuttosto che buttare i propri strumenti e cd, e molti di questi scelsero proprio la Città Vecchia per continuare a spararsi qualche dose di buona musica ogni tanto. E ben presto divenne cosa conosciuta ai più che se volevi sentire buona musica, dovevi andare al Cantaloupe.
La prima volta che Amy c'era stata, per poco non se l'era data a gambe dalla finestra. Ci era andata con Carla una sua amica dai tempi della scuola. Amy già non aveva accettato di buon grado il fatto di doversi avventurare nella Città Vecchia (cosa che non era vietata ma che sarebbe dovuta sembrare sconveniente a qualsiasi ultimiano come si deve), ma quando si era accorta che in quel locale si praticavano diverse arti illegali, per poco non le era preso un colpo. Se ci fosse stata una retata della polizia per lei, giovane astro nascente del partito, a un passo dalla candidatura per il seggio nella Camera dei Comuni, sarebbe stata la fine non solo della libertà, ma anche della sua carriera e probabilmente della sua storia con Mark, visto che probabilmente anche lui, essendo un commissario della polizia, avrebbe potuto essere trascinato a fondo con lei. Il solo pensiero le aveva messo le ali ai piedi in un primo momento, ma poi quelle note avevano cominciato a entrarle in circolo come una droga. Erano così sensuali, dolci, calde, così diverse da qualsiasi insieme di note che avesse sentito fino a quel giorno. Come poteva resistere a quel suono ammaliante? Come poteva rinnegare le scariche che sentiva attraversarle il corpo? E quelle emozioni indescrivibili, quelle immagini che incomprensibilmente le attraversavano la mente? No, non poteva resistere. Capì di essere già dolcemente e irrimediabilmente perduta e lo accettò con un sorriso sulle labbra. E così rimase tutta la sera ad ascoltare il quartetto che si esibiva sul palco, sorprendendo ripetutamente il suo corpo a muoversi a ritmo di musica. E da quella sera era tornata al Cantaloupe ogni fine settimana, ogni volta che si faceva una doccia cantava e perfino in ufficio, quando nessuno poteva accorgersene, si metteva a battere ritmicamente le dita sulla coscia. Dal giorno in cui aveva scoperto la musica, quella vera (quella sovversiva!), aveva capito che avrebbe pagato qualsiasi prezzo pur di non vivere più senza.

Amy imboccò un vicoletto e vide due uomini che fumavano sotto una grossa insegna arancione. Il pallido bagliore che dai grossi neon di Ultima arrivava fino alla Città Vecchia rendeva a malapena leggibili le grosse lettere: Cantaloupe Island Club.
Il volto dell'uomo più vecchio si distese improvvisamente.«Guarda un po' chi c'è... Amanda! Vieni, vieni. Che si dice nella grande cloaca?»
«La solita musica». Il vecchio rise di gusto mentre l'uomo più giovane, limitandosi a un sorriso, aprì la porta del locale. Una malinconica amalgama di suoni investì Amy, che senza esitazioni entrò nel locale.
Di fronte all'ingresso un uomo nero e con un grosso naso schiacciato, un operaio di nome John, salutò Amy mentre versava dell'alcol di contrabbando dentro un piccolo bicchiere di vetro. Dietro di lui, come in un'esposizione, una lunga serie di quadri e foto raffiguranti musicisti e strumenti vari stava appesa pochi metri sopra le mensole vuote.
Amy avanzo fra i presenti, una ventina di persone completamente immersa nel flusso avvolgente delle note, e si mise a pochi metri dal palco dove stava suonando il quartetto che aveva suonato anche la prima sera che era entrata nel Cantaloupe. Alla batteria c'era un operaio edile di nome Sean, un tipo istrionico e piuttosto dedito al vizio della bottiglia; al contrabbasso c'era Wes, un impiegato del servizio funebre cittadino dalla battuta sempre pronta; alla tromba invece c'era Neil, un padre di famiglia molto in carne che faceva il dentista nel grande ospedale centrale di Ultima, e, per finire, Herb, il giovane pianista dai capelli arruffati che nella vita di tutti i giorni era un promettente genetista.
Il quartetto terminò il pezzo fra gli applausi convinti del pubblico. Il locale era immerso in una strana energia quasi palpabile, un'atmosfera strappata a un altro tempo e forse anche a un altro luogo. Herb levò le mani dai tasti del pianoforte e le usò per togliersi le lunghe ciocche dagli occhi, poi, schiaritosi la voce, disse, «Il prossimo brano è di un nostro grande antenato, Miles Davis, e anche se ai pezzi grossi del governo non piacerà, noi siamo qui per suonarvelo. Si chiama 'Round Midnight».
Batteria, basso e piano attaccarono insieme creando un accordo che sembrò catturare l'intera sala. Subito la tromba seguì con note malinconiche, quasi oscure, che vibrarono squarciando l'aria del locale. Amy ascoltava imbambolata di fronte al palco, gli occhi socchiusi e le labbra distese, il corpo che ciondolava sornione come se quelle note l'avessero stretta in un abbraccio e condotta al centro della sala per concederle un ballo. Ma mentre la sua mente veniva trasportato sempre più lontano da quelle note calde e inebrianti, qualcosa la riportò bruscamente alla realtà. Un grido sguaiato giunse dalla strada.
Le prime teste fra il pubblico non si erano ancora girate che qualcosa mandò in frantumi le vetrate del Cantaloupe e picchiò sordamente sul vecchio parquet. La musica cessò di botto, mentre i musicisti si scambiavano sguardi preoccupati, all'interno dei quali però si celava un'ombra di terrore. Con il rumore di un bottiglia di acqua frizzante che viene aperta, il fumo cominciò ad espandersi dal terreno fra le grida sguaiate di tutti i presenti, e ben presto coprì tutta la sala. Fu a quel punto che si senti il rumore della porta che saltava.
Oh merda, pensò Amy, la polizia. Siamo spacciati. Sono spacciata.
Gli agenti fecero irruzione nelle loro tute nere antisommossa procedendo come un piccolo sciame all'interno del locale, mentre i loro manganelli piombavano su qualsiasi cosa si muovesse, gemesse o urlasse. Il primo a cadere fu John che si era lanciato come una furia contro i poliziotti caricandoli armato di una grossa bottiglia di due litri, che finì infranta su uno dei resistenti caschi multifunzione in dotazione alla polizia di ultima. Il poliziotto che subì il colpo reagi in preda a una rabbia quasi ingiustificata, considerando quanto innocuo poteva essere stato quell'attacco, e prese a manganellare senza pietà la testa del povero operaio anche quando questi ormai giaceva esanime sul pavimento. Amy cercò di allontanarsi dall'epicentro di quella mattanza, procedendo con le mani in alto e bene in vista. Ma neanche lei era troppo convinta che le sarebbe servito a qualcosa, così , quando la manganellata la raggiunse sul collo, non fu molto sorpresa. Cadde pesantemente a terra pensando che era stata una stupida a credere di non poter rischiare anche la vita se fosse stata scoperta. Mentre sentiva la vista abbandonarla e i rumori sordi dei manganelli che colpivano e quelli più sottili e sinistri delle ossa che andavano in frantumi farsi sempre più soffusi, Amy sentì qualcosa cadere affianco a lei. Con le ultime forze che le restavano, girò la testa e vide il volto del giovane Herb coperto di ciocche insanguinate, poi perse i sensi.


«Perchè hai fatto questo?»
Amy si chiese di chi fosse quella voce che le stava per far scoppiare la testa.
«Perché ci hai fatto questo?»
Lentamente Amy riuscì a mettere a fuoco l'immagine. Davanti a lei, dall'altra parte di una solida fila di sbarre, Mark stava in piedi nella sua divisa nera da ufficiale col corto mantello su cui erano ricamati sopra i gradi chiazzato di sangue. Il suo volto era gonfio e rosso, i suoi lucidi.
«Avevamo un futuro, una carriera...una vita d'avanti e tu hai mandato tutto a puttane. E per cosa poi? Per uno stupido passatempo da sovversivi».
Amy scosse la testa.«Non puoi capire».
«Certo che non posso» ruggì il ragazzo,«non sono io quello che è impazzito»
«Il governo ci ha privato di alcune delle cose più belle, e io volevo riprendermele».
«Il governo ti ha dato una casa, un lavoro e una vita senza preoccupazioni. Il governo ti ama, piccola, stupida ingrata!»
«La casa, il lavoro e la vita che gli faceva comodo darmi. E per ognuna di queste cose me ne ha abilmente rubato tante altre senza che io me ne accorgessi... fino a ora».
«Tipo la musica?»
«Tipo la musica...»
Il volto di Mark venne attraversato da uno spasmo mentre i suoi pugni si abbattevano sulle inferriate. Quando finalmente si placò, guardò Amy negli occhi e con voce molto più flebile disse, «Tu non sai cosa ti faranno nei centri di rieducazione, povero amore mio»
E tu non sai cosa ti stanno facendo in questa maledetta città, amore mio, pensò Amy.
«Pensi veramente che ne valga la pena?»
Amy ripensò ai giorni che aveva trascorso dal giorno in cui era entrata nel Cantaloupe e non ebbe dubbi.
«Ne sono certa» disse sorridendo.
E stava ancora sorridendo quando Mark se ne andò. E stava ancora sorridendo quando le guardie vennero a prenderla.

Autorizzo Jackie de Ripper all'eventuale pubblicazione su Skan Magazine.
 
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kaipirissima
view post Posted on 15/9/2013, 23:01




L'ANTEPRIMA

Ore 5.15 5.30 sveglia
Ore 5.30 6.15 bagno
Ore 6.15 6.30 colazione
Ore 6.30 6.45 vestizione
Ore 6.45 7.00 trucco

Ogni mattina il risveglio di Felicia è organizzato secondo una tabella di marcia ferrea.
Tutto calcolato, non ci sono sorprese, imprevisti. Tutto è regolato, non ci sono contrattempi, intoppi. Tutto scorre via liscio.
Deve essere così per forza altrimenti impazzirebbe. È l'unico mezzo che conosce per mantenere saldo il controllo della propria esistenza.

6.10
Felicia si trova nella vasca, l'acqua calda crea volute di vapore rosso. Non si scompone la segreteria telefonica è inserita. Una voce maschile: Marco.
- Accidenti! Sono fuori casa da mezz'ora e già le cose si complicano. Volevo chiamarti prima. Sei ancora in vasca? Sì, devi esserlo. Mmmh vorrei essere lì con te a sfiorarti, sentire fra le dita sbocciare i tuoi capezzoli, pizzicarli fino a quando con un gemito la tua schiena si inarca sul mio petto e le gambe si schiudono... Ci sei amore, puoi sentirmi?
Felicia nella vasca struscia le cosce, dà uno sguardo all'orologio: meno di cinque minuti. Con un sospiro afferra la spugna e si passa il sapone sul collo, dietro le orecchie, lungo il braccio fino all'ascella depilata.
- mmmm mi sa che è tardi, continua la voce. Ci vediamo stasera davanti al cinema? farò l'impossibile per esserci, spero anche tu. Ciao amore.
Felicia sospira, buongiorno a te amore, risponde, anch'io farò l'impossibile.

6.40
Felicia si trova nella stanza da letto. La sera prima ha preparato i vestiti sulla sedia. Biancheria intima sexy, calze di seta auto reggenti, camicetta color pesca, tailleur blu per il lavoro, un vestito di jersey attillato per l'appuntamento serale dentro la borsa.
Uno sguardo allo specchio le rimanda l'immagine di una donna forte, ordinata, precisa, sicura di sè.

6.58
L'eyeliner è asciutto e segue perfettamente la palpebra esaltando il taglio orientale degli occhi. Felicia avvicina il viso allo specchio, e con la matita segue il contorno delle labbra, poi prende il rossetto e distende un velo imbronciando leggermente la bocca. Un bacio immaginario, uno schiocco e un sorriso. Pronta, make up completato.

7.00
Il portone di casa di Felicia si chiude alle sue spalle.
Uno sguardo distratto al muro della casa di fronte mentre si dirige alla fermata del bus. C'è una scritta nuova, ma non è questo a incuriosirla quanto ciò che è stato scritto: Countdown.
Senza sapere perchè inizia a camminare più in fretta. Alla fermata ci sono due uomini e una vecchia mai visti prima. La signora vedendola arrivare trafelata si gira per controllare se l'autobus stia arrivando poi la guarda con curiosità.
- perché corre? Le chiede.
-Non lo so. Improvvisamente ho sentito che dovevo farlo. È da tanto che aspetta?
-Non saprei, da un po' certamente le mie gambe sono stanche di stare in piedi. Ma quei due uomini erano già qui quando sono arrivata.
Felicia si volta a guardarli ma nessuno dei due la considera, stanno guardando il semaforo.
- è rosso da quando sono arrivata le dice la signora.
Felicia annuisce preoccupata, non è un buon segno, considera, ma appena il pensiero si fa strada l'autobus compare dal nulla.

Il tragitto fino alla stazione varia di solito dalle tredici alle venti fermate. Dipende da quanta gente sale o scende alle fermate, dai semafori, dal traffico.
Da quando lavora nell'Agenzia sette, ha smesso di usare la macchina per recarsi in ufficio. La ricerca del parcheggio era troppo stressante. Ogni giorno i sensi unici delle strade cambiavano, e con essi anche le zone blu. I tachimetri registravano una variazione delle tariffe così da non poter aver quasi mai gli spiccioli giusti. I vigili pattugliavano le strade alla ricerca della minima infrazione.
Felicia non ricordava più le volte in cui aveva dovuto recarsi al deposito a cercare la sua macchina in quella specie di cimitero motorizzato.. Un giorno aveva rischiato di passarci l'intera notte.
Una brusca frenata la scaraventa addosso ad un signore distinto. Ecco ci risiamo.
-scendete tutti! Urla l'autista, Questa corsa è sospesa, annuncia.
Felicia e gli altri pendolari scendono silenziosamente dall'autobus. Un'occhiata alla strada li avvisa che c'è in corso una manifestazione studentesca.
Ragazzini urlanti con striscioni si allargano sul viale intasando completamente il traffico.
- vogliamo l'orario definitivo! Basta orari arbitrali! Gridano in coro.
Felicia li guarda ricordando quando anche lei era giovane e sperava di cambiare le cose. Ora il suo desiderio più grande è raggiungere l'Agenzia sette, cercare il suo ufficio, e smaltire le pratiche sperando che, almeno per una volta, tutto fili liscio e lei possa lasciare l'ufficio in tempo per arrivare da Marco.

Finalmente Felicia ha smaltito le pratiche della giornata, è corsa in bagno a cambiarsi d'abito mentre gli altri impiegati se ne sono andati da un po' . Sente l'impresa delle pulizie muoversi fuori della sua porta. Lo specchio le rimanda l'immagine di una donna sexy dallo sguardo inquieto. Ce la farà a raggiungere Marco? Afferra la borsa e si affretta fuori dall'ufficio.

Mentre cammina verso il cinema Felicia ricorda di non aver mangiato nulla dalla colazione.
Affamata e di fretta apre la porta del ristorante arabo e senza volere colpisce sul volto un giovane.
Il proprietario le si affianca ringraziandola per aver catturato il ladro, ma inflessibile le impedisce di andarsene prima dell'arrivo della polizia.
Felicia sospira e guarda l'orologio al muro. L'ultimo spettacolo ormai è iniziato. Chissà se Marco è riuscito a farcela pensa, addentando il kebab offerto dal gestore



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mother95A
view post Posted on 15/9/2013, 23:05




Il creatore di Demoni

di

Mother95A




PARTE I




Quanto era difficile resistere, resistergli. La bustina era lì sul tavolino, accanto al letto, veniva irradiata da una luce livida che donava a tutta la stanza un colorito bluastro.
Synias sedeva sul bordo del letto, dando fugaci sguardi alla bustina; dentro c'era l'equivalente di 500 dollari in eroina.
La decisione era stata presa, niente ripensamenti perciò.
Presto un tipo di nome Grey, che era anche l'addetto alle camere, lo avrebbe trovato disteso a terra, smerdato e con una viscosa e bavosa barba di vomito intorno alla bocca.
Prese un profondo respiro; aveva ragionato a lungo su come andarsene definitivamente e alla fine aveva optato per un lungo, lunghissimo viaggio. Era il modo migliore e soprattutto il più coerente.
Allungò la mano verso il tavolino, essa tremava come fosse indemoniata, non riusciva a controllarla e anche se non lo avrebbe mai ammesso, in quel momento era nel panico più totale.
Tre pere. Un viaggio intorno al mondo e nella sua coscienza, chissà cosa avrebbe visto, chissà se sarebbe solamente morto, poteva succedere. La sua conoscenza in materia finiva col farsi e in questo era diventato bravo, un esperto. Poteva eseguire la procedura ad occhi chiusi e anche se aveva talmente tanti buchi nel braccio da rassomigliare un formaggio svizzero, bastava un po' di concentrazione per assicurarsi il paradiso.
Aveva tutto l'occorrente: cucchiaio, laccio, cotone, siringa, accendino... non aveva portato il limone o l'aceto deliberatamente.
Secondo il Mattone, cioè lo spacciatore abituale di Synias, la ero che gli aveva rifilato era un vera merda, tagliata con la stricnina o altri veleni. Ma a lui non importava, anzi. Dopotutto nelle sue intenzioni lo sballo era l'ultima cosa a cui pensava.
Bisogna considerare che Synias non era sempre stato un eroinomane. Nel corso della sua breve vita aveva avuto diverse soddisfazioni personali: si era aggiudicato una borsa di studio nel disegno; era riuscito a destreggiarsi tra lavoro e scuola e alla fine era stato anche un ragazzo normale prima di diventare a tutti gli effetti un cadavere ambulante. Aveva avuto una famiglia che gli voleva bene, degli amici e dentro quella spelonca arredata con suppellettili fatiscenti ripensò a quella vita che, in effetti, adesso rimpiangeva: era nato, cresciuto ed era morto. Ma si può morire in tanti modi diversi, e alcuni, pensò, sono peggiori della morte stessa.
Armeggiò un po' con gli attrezzi del mestiere, riscaldò il preparato con il bic arancione che aveva comprato proprio per questo motivo e succhiò il tutto con la siringa. Ripeté il passaggio altre due volte. Prese un bel respiro, allineò con cura le tre siringhe, strinse con forza il laccio e sospirò la parola addio.
Vide i suoi occhi nell'oscuro rettangolo della televisione spenta e quelli erano gli occhi di un folle.



Nella mente di Synias

5

Ero disteso sul prato. Vicino a casa mia c'era un grande parco con gente che di solito va a correre e altre stronzate. Io quel giorno, prima che tutto iniziasse, prima che creassi il mio inferno in terra, ero calmo. Forse perché la giornata era particolarmente bella, forse perché ero già eccitato per quello che sarebbe successo. Non lo so, mi sentivo bene. E non mi ero fatto neanche una pera che fosse una!
Avevo una gran voglia di sigarette ma mi ero ripromesso di smettere. Brutto vizio mi dissi, e con quello che costa l'ero di questi tempi era meglio pensarci su prima di fare cazzate.
Non potevo togliere dei soldi destinati all'ero per spenderli in sigarette, andava contro tutti i miei principi morali e quindi mi decisi che in realtà non ne avevo bisogno ed ero riuscito a smettere. In tasca avevo una pallina di stagnola con dentro un quartino. Volevo farmelo io ma avevo dei piani ben precisi. Quella droga era destinata a qualcosa di più grande, qualcosa che comprendeva me e tutti quelli che mi aleggiavano intorno. C'era da scommetterci la testa che qualche tossico sarei riuscito a raccattarlo, erano come delle puttane: pronti a svendersi per una dose e una dose era quello che offrivo.



PARTE II

Finite le tre siringhe la prima cosa che provò furono delle fortissime fitte al cuore, come se un paio di operai stessero scavando da quelle parti, con picconi e bulldozer. Pensò che non sarebbe riuscito a superare la serata ma poi chiuse gli occhi, si distese sul letto e tutto passò.
Si sentì leggero, vuoto e allo stesso tempo pieno; non sapeva descrivere di cosa ma era comunque una bellissima sensazione. Pace e tranquillità.
Cominciò a percepire vari odori, odori vibranti che si accomunarono con dei colori sfavillanti, lucenti, vivi.
Tre pere non se l'è mai fatte nessuno, pensò, e se qualcuno avesse provato sarebbe morto, ma io no. Io sono ancora qui; ed era felice di constatare questo.
Tutto penetrava dentro di lui e fluiva a una rapidità magica. I sensi erano solo fittizi perché in quel momento tutto il suo corpo era un ricettore, che assorbiva emozioni e sensazioni come fosse la punta di quelle tre siringhe. Sì, mi sento come la capocchia di quelle siringhe, pensò. E tutto questo era normale, ogni cosa lo era.
Ebbe degli sbalzi di temperatura da far spavento. Questione di attimi e tremava dal freddo per poi sentire un caldo asfissiante. Quindi si alzò; gli sembrò di camminare qualche centimetro dal suolo e il tempo di prendere coscienza di questa cosa che si ritrovò fuori casa.
Il venticello lo accarezzava ed era piacevole. La strada davanti a sé sembrava come un lungo serpente nero che si snodava all'infinito. Ai lati c'erano i lampioni che sfrigolavano e sembravano emettere un loro suono, come se fra loro parlassero un linguaggio segreto; il linguaggio segreto dei lampioni.
Gli sembrava plausibile.
Tutti i centotto muscoli delle gambe lavoravano in perfetta sincronia, così in sincronia da non accorgersi di utilizzarli.
Era come se il corpo e la mente si fossero scissi, come se il suo spirito vegliasse dall'alto quel corpo vuoto che avanzava strascicando i piedi nel nero dell'asfalto.
Guardò l'orizzonte e non gli era mai sembrato così lontano.
E notò un'altra cosa, che si sviluppò dentro di lui in crisi di panico veloci e pungenti: in ogni angolo della strada, tra i cassonetti della spazzatura e le lattine di birra, c'erano delle ombre. Queste ombre si muovevano lentamente ma era già assodato che avessero un corpo, che avessero preso possesso della terza dimensione.
Da un muro (decorato con un murale colorato che riportava una scritta non dissimile a questa: Gli unici morti sono quelli che dimentichiamo), un ombra si staccò, e si avvicinò di corsa a Synias. In pochi secondi riconobbe la camminata sbilenca, i lunghi capelli neri che sbatacchiavano da una parte all'altra, la solita maglietta larga dei SOAD di Philip.
Il cuore gli si riempì di gioia. Era da tempo che non lo vedeva; era da tempo che aveva dimenticato il suo volto.
Lo avvinghiò per le spalle e il momento si ripeté venti, trenta volte prima che Philip effettivamente gli parlasse e si mettesse di fianco a lui.
<<amico, stai sognando pecore elettriche?>>
Non rispose. Era ben evidente.
<<ci sono degli amici a Frolix 8 che vorrebbero conoscerti.>>
Era strano, pensò, tutte quei termini li ricordava: erano titoli di libri di Philip K. Dick che loro utilizzavano per parlare in codice. E pensò: in tutti i libri di Dick c'è un doppio senso che può essere percepito solo da una mente malata, fatta, riempita di psicofarmaci, fottuta, andata, persa per sempre. Solo noi possiamo comprendere Dick. E rise, c'era da ridere a quell'affermazione e continuò a ridere. La città prese a ridere con lui, come se si aprisse, si riempisse e poi si afflosciasse.
<<quindi lo fai sul serio?>> Chiese Philip.
<<amico, l'ho già fatto.>>
<<non dovevi, non da solo.>>
<<le cose sono andate così...>>
Philip non parlò più. Lo seguì in silenzio per il lungo serpentone, verso l'ignoto, dove qualcuno lo aspettava (o almeno così sperava).
<<amico,>> parlò Philip. <<c'è una possibilità concreta che questa merda ti mandi fuori, ma veramente fuori, che ti spari dritto in orbita verso pianeti e stelle... non so se mi capisci.>>
<<e' un mio diritto.>> rispose più acido di quanto avrebbe voluto. <<posso ancora scegliere e non per forza le cose devono essere sempre una tragedia. Si può vivere, sapendo di essere già morti, abbastanza tranquillamente.>>
<<ma per quanto riguarda il bad trip, l'Ubik? Ci hai pensato?>>
<<amico,>> disse stoicamente <<sono talmente fatto che il bad trip è andato a farsi fottere. Non posso dire con certezza neanche se tu sia reale o meno. Mi capisci?>>
<<ti capisco, cioè, un po'. Ma se non sei in trip in cosa sei?>>
<<non ne ho idea.>>
<<quante pere ti sei fatto?.>>
<<tre.>>
<<cazzo!>>
Philip dopo un tempo indefinito passato in silenzio a seguire Synias pedissequamente prese il telefono e compose un solo numero: <<oh, ciao bello!>> Disse. <<senti, c'è qui Syoh che l'ha fatto! Sì, l'ha fatto davvero, non pensavo lo facesse e invece...
<<sì, proprio lì. No, non so se ci sarà. Forse, lo spero per lui.>> Ci fu un lungo silenzio nella quale Philip annuiva di continuo. <<vieni anche tu?... Bene!>>
Le ombre si fecero più numerose, e fissavano tutte dalla sua parte.
Synios guardò la sua, e vide che era lunga e stretta ma ancora salda al terreno. Di fianco, quella di Philip, non c'era.
<<amico, non hai più l'ombra.>> Disse Synias farfugliando.
<<non è che non ho più l'ombra,>> rispose Philip. <<è una questione di prospettiva.>>
Synias annuì, se l'era bevuta. Più che altro per non ragionare, non gli andava di adoperare il cervello.
<<la prospettiva è tutto.>> Disse infine Philip. <<come una cosa ti colpisce...>>
<<chi sta arrivando?>>
<<manny.>>
Lo conosceva? Poteva anche darsi ma per il momento non sapeva chi diavolo fosse questo Manny.



Nella mente di Synias

4

Tutto era pronto già da tempo. Li avevo scelti con cura. In verità ne avevo scelta una sola, il suo nome era Beth ma contavo che a lei si aggregassero degli altri tizi, più strafatti, più morti e più fragili di lei.
I fattoni, i Simulacri, come amavo chiamarli, erano più docili di una mosca. Il loro aspetto scialbo, da cadavere è soltanto una maschera che serve ad allontanare tutti e tutto. Pensavo fosse un modo per allontanare le persone che si vogliono bene e morire in santa pace.
Nella stazione di Kora, vicino al B&B della signora Wilson, di solito si radunavano un pugnetto di tossici. Quelli erano i più disperati perché avevano perso ogni cognizione di sé, ogni dignità, ogni pudore. Si nascondevano là sotto, nella semioscurità, per non farsi più vedere.
Erano quelli all'ultimo stadio; quelli che si sarebbero strappati un rene a morsi pur di farsi una dose.
Vidi Beth seduta in un angolo. Tremava. Aveva la scimmia, una delle più terribili. Pensai che fossero già due giorni che non si faceva. L'avevo vista battere per la via principale ma nessuno sembrava volerla possedere. Per me, possederla, era la cosa che più desideravo.
Dopo due giorni passati ad osservarla, il 20 ottobre decisi che era arrivato il momento di agire.
Mi avvicinai, le presi la mano e la tirai a me. Lei non protestò, cadde docile docile fra le mie braccia. La portai fuori dal Kora e lì le dissi che volevo regalarle una dose.
Dissi: <<ora ci facciamo una pera.>> I suoi occhi si illuminarono, presero vita. Il demone Eroina s'impossessò del suo corpo. <<tu però dovrai fare tutto quello che ti dirò, ok?>>
Lei muoveva la testa con decisione senza mai smettere di sorridere.
Come pescare un pesce in un barile, pensai.


PARTE III


Camminavano da qualche ora. Il cielo era ricoperto di stelle, tante, tantissime piccole lucciole che brillavano nell'oscurità.
Adesso Synias si trascinava con fatica, mentre Philip si aggirava un po' più avanti con passo tranquillo.
Manny non era arrivato.
Non sapeva il perché ma la presenza di Manny era importante, voleva che arrivasse. Lo aspettava con trepidazione.
E ne mancavano altri.
Chi fossero costoro non lo sapeva ma dovevano esserci tutti.
La strada si fece sempre più stretta via via che avanzavano; quando partirono la corsia era grande come un palcoscenico ma adesso, complici i grandi palazzi ai lati, tutto era più claustrofobico, mancava il respiro e cosa ben peggiore, le ombre si erano fatte più vicine. Synias cominciò ad aver paura di tutte quelle ombre e cercava di non guardarle. Quando ne vedeva una subito distoglieva lo sguardo e questa spariva.
Se solo si fosse guardato dietro.
Da una di quelle ombre sbucò Manny. Quando vide il suo volto ricordò ogni cosa di lui. Gli veniva da piangere. Era come un fratello, un fratello di ero. Raramente le amicizie nate da una dipendenza comune diventano forti come la loro.
Era piccolino, con dei lunghi capelli biondi. Il viso era tondo e sorridente, ma gli occhi, come quelli di Philip d'altronde, erano spenti.
<<non so se essere contento o meno,>> disse Manny rifilandogli due pacche sulle spalle. <<però so che mi fa tanto piacere rivederti.>>
<<bisogna che lo faccia. Il creatore deve prendersi cura dei propri demoni.>>
Manny guardò dritto e non parlò.
Intanto Philip aveva fatto qualche passo indietro e si era unito a loro. Philip chiese a Manny se avesse chiamato Blubell. Manny disse che sì, lo aveva chiamata e che stava arrivando.
Blubell... non sapeva chi fosse. Per quanto ne sapeva poteva essere anche suo fratello.


Nella mente di Synias

3

Portai Beth ad abitare con me, nel mio buco. Lì le dissi che adesso non doveva più preoccuparsi della roba, che ci avrei pensato io, fino a quando Dio lo vorrà. Trattenni le risate perché sarebbero state estranianti ma non potevo credere al mare di cazzate che stavo dicendo. Ma d'altronde parlare con Beth era come parlare con un muro. Capiva solo eroina, eroina, buco, scimmia, quartino, pera, ago, siringa. Il suo vocabolario era molto limitato.
Ma col tempo riuscì a sorprendermi la ragazza. Quando si faceva, quando ci andava giù pesante, riusciva a interloquire con me in maniera molto profonda.
Aveva una concezione di sé molto originale. Mi disse che aveva cominciato a farsi perché un tipo non la desiderava, non l'amava. Pensai che fosse una cosa idiota rovinarsi la vita per qualcuno; quando lei espose la sua situazione paragonandola a quella di Eco, la ninfea greca.
Mi disse che si sentiva come una novella Eco, innamorata perdutamente di un novello Narciso, quest'ultimo, appunto, innamorato solo di se stesso. Questo la consumò a tal punto che dovette rinchiudersi nel sottosuolo della città, come Eco nella grotta, per non mostrarsi come appariva: scheletrica e brutta. In quella galleria continuò a consumarsi, queste sono state le sue esatte parole, e di lei rimase solo la sua voce, che lamentava l'amore non corrisposto. Lo trovai molto arguto. Lei sorrise imbarazzata e io la strinsi a me. Gli dissi che speravo che questo novello Narciso si fosse affogato abbracciando la sua immagine nel lago per quello che gli aveva fatto. E lei sorrise ancora.
Come mi aspettavo, la presenza di Beth mia portò a una invasione di eroinomani a casa mia. Tanti, tantissimi.
In breve tempo la mia casa divenne un punto d'incontro per tutte quelle anime perse, e insieme a loro cominciai ad andarci pesante anch'io.
Il mio buco si trasformò: era molto piccolo, con un solo tramezzo per il bagno. Il salone faceva da camera da letto, da cucina e tante altre cose.
Era quello che volevo. Intorno vennero a crearsi delle vere e proprie isole di immondizia; la mochette, che pulivo ogni settima con l'aspirapolvere, si insudiciò di sangue venefico, sperma, sporcizia, brodo, sughi e talmente tante altre schifezze che non sto qui a raccontare; i muri vennero interamente coperti da scritte blasfeme, naziste, razziste... tutto questo mi andava bene, tutto questo mi era utile.
Avevo il mio inferno, avevo la mia schiera di demoni e quindi divenni io stesso il Diavolo.
Loro erano tutto ciò che avevo, la mia punizione per quello che feci, e stava bene che insozzassero tutto. Stava proprio bene.


PARTE IV

A Manny e Philip si aggiunsero Bluebell e Orson. Li conosceva tutti e rivederli era un vero piacere. Vide che tra loro c'era anche Beth. Era bellissima. Non aveva più quell'aria da cadavere e stranamente, pensò Synias un po' cinico, quando in realtà lo era.
Cominciò a ricordare tutto man mano che quei demoni venivano al suo cospetto. E ricordò anche la meta, la meta di quel lungo viaggio. Non era facile da realizzare ma quella era la realtà dei fatti, l'unica cosa che poteva fare era accettarlo e dirigersi dirimpetto verso il suo destino, con coraggio.
Adesso, in lontananza, riusciva a scorgere la luce. Lì, tra fari al neon e frizzanti sibili dei cavi ad alta tensione, c'era la causa di tutto questo. Ma si accorse brevemente che la causa era lui e che i propri demoni sono propri per l'eternità. E la schiera di ombre alle sue spalle erano un greve memento.
Si girò e li vide tutti. Li riconobbe a uno a uno.
Ma notò anche un'altra cosa, la sua ombra era scomparsa, era divenuto lui stesso un ombra, e per quanto lui pensasse di essere il Diavolo, per l'appunto, era soltanto un umile servo che aveva provato a volare troppo in alto.

Nella mente di Synias

2

Il piano era semplice: ucciderli tutti, uccidere tutti quei mostri, divenendo un mostro a mia volta.
Non era perché ero cattivo; in verità stavo liberando tutti loro dal loro guscio di carne, quindi per quando riguarda la coscienza ero a posto. Niente di tutto questo.
Loro, come me, avevano fatto delle scelte sbagliate, ma la mia, la mia era stata devastante.
Un giorno Beth mi chiese perché avessi cominciato a farmi.
Lei aveva raccontato la sua storia e io le raccontai la mia: non c'è molto da dire, solo che sono stato un idiota, un idiota, un idiota.
Mi facevo da ben prima, con la mia ragazza, Yola. Era perfetta, era tutto ciò che potessi desiderare.
Stavo passando un periodo nero della mia vita: i miei genitori erano morti in un incidente d'auto, la scuola, dopo la borsa di studio e tutto il resto, andava uno schifo. Yola era la mia ancora di salvataggio, il mio appiglio per rimanere ancorato a questa terra.
Ma ben presto capii che Yola non bastava, avevo bisogno di qualcosa che... qualcosa che mi portasse a livelli che non saprei spiegare.
Cominciai a drogarmi, all'Accademia delle Belle Arti c'è sempre il tipo che ha la roba giusta al momento giusto. Cominciai a farmi con cose leggere, marijuana soprattutto. Poi passai alla LSD e da lì il passo è facile.
L'eroina fu la mia condanna e quella di Yola. Lei non volle mai lasciarmi solo, non voleva che io l'abbandonassi ma io mi facevo sempre più distante, sempre più assente. E lei, proprio per non abbandonarmi, per no lasciarmi solo, cominciò anche lei a bucarsi.
Insieme diventammo dipendenti, e insieme ci davamo la forza.
La notte del ventuno luglio lei morì, di overdose. Fine. Tutto qui. Niente di speciale, una storia come tante. La solita drogata che muore.
Non riuscivo a spiegarmi perché anch'io, come lei, non morii. Sicuramente avevo più resistenza ma non mi bastò come spiegazione.
Pensai che tutti quei tossici, tutte queste povere anime, sarebbero dovute morire, e io insieme a loro. Una purificazione parziale purtroppo. Ma a me bastava.
Era un giorno d'inverno quando appiccai l'incendio, dovevo restare anch'io con loro, morire insieme a loro ma non ne ebbi le forze. Scappai dalle fiamme come un codardo.
Morirono tutti.

PARTE V

Lei era lì, che lo aspettava. Quando la vide il cuore prese a battergli pazzamente. L'emozione del momento era troppo forte per resistergli e gli corse incontro. Sorrideva.
Le ombre lo seguirono come la schiuma del mare dopo un'onda.
Che gioia! Che meraviglia. L'abbracciò! Non si parlarono. Lui le strinse la mano e continuarono a camminare fino a quando non divennero una parte dell'orizzonte.
Il buio l'inghiottì e si persero nel nero del lungo serpente, infinito, immenso.

Nella mente di Synias

1
Ma era tutto sbagliato.
Loro mi mancavano. Erano l'unica cosa che avevo. Per quanto fosse fittizio quel sentimento, e di questo ne ero al corrente, ne avevo bisogno.
Tutti loro facevano parte di me.
Mi accorsi che per quanto li ripugnassi io non ero migliore di loro, anche se allora non me ne rendevo conto.
Non ero il loro Diavolo e loro non erano i miei demoni; eravamo soltanto dei poveri ragazzi che non avevano più voglia di vivere. E quanto tutto questo sia sbagliato spetta ai posteri decidere.
Io mi astengo.
 
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Albertine
view post Posted on 15/9/2013, 23:09




quanti racconti, che bello!!!!! :wub:
ora nanna. :lol:
 
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Slash1588
view post Posted on 15/9/2013, 23:17




Mamma mia, che macello... ho perso tutto il pomeriggio di ieri e metà giornata di oggi. Morale della favola, ho dovuto correre come non ho mai corso in vita mia. Mi scuso anticipatamente per i molti refusi che sicuramente troverete, ma ho finito la prima stesura venti minuti prima del termine... ci tenevo troppo a farcela a sto giro. Spero che il racconto sia uscito almeno leggibile :rolleyes:
 
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mother95A
view post Posted on 15/9/2013, 23:28




@Slash
Cavolo, cavolo, cavolo, non voglio pensare al mio. Davvero, spero che a qualcuno non venga una crisi epilettica leggendo il mio racconto.
 
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Sol Weintraub
view post Posted on 15/9/2013, 23:34




Bravi tutti, mi fa piacere vedere così tanti partecipanti e i ritorni, a sorpresa, di Cristiano e GDN sono per me un regalo. Domani controllerò ma posso già dichiarare la gara validissima.
 
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cristiano r.
view post Posted on 15/9/2013, 23:59




@Sol e tutti gli altri

Ho già letto tutti i racconti...un'edizione stupefacente! ^_^ :alienff: ^_^
E la stavo quasi per saltare.
 
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kaipirissima
view post Posted on 16/9/2013, 06:51




CITAZIONE (Slash1588 @ 16/9/2013, 00:17) 
Mamma mia, che macello... ho perso tutto il pomeriggio di ieri e metà giornata di oggi. Morale della favola, ho dovuto correre come non ho mai corso in vita mia. Mi scuso anticipatamente per i molti refusi che sicuramente troverete, ma ho finito la prima stesura venti minuti prima del termine... ci tenevo troppo a farcela a sto giro. Spero che il racconto sia uscito almeno leggibile :rolleyes:

Non ti preoccupare, lo stesso vale per me. Ho fatto tutto così di fretta, refusi, maiuscole, trattini, sviluppare certi passaggi solo accentati, ecc di solito li curo in un secondo tempo che non ho avuto, un po' come la mia protagonista una lotta contro il tempo... Anche il titolo l'ho scelto un po' a caso... Comunque ho deciso che sarò velocissima nel leggerli e commentarli.

Ciao! E buon Natale a tutti :)

Manca Callagan? Ahi ahi ahi!
 
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Callagan
view post Posted on 16/9/2013, 07:31




CITAZIONE (kaipirissima @ 16/9/2013, 07:51) 
Manca Callagan? Ahi ahi ahi!

E io che pensavo di farla franca <_<
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 16/9/2013, 14:04




Ma bravi! Mi avete stupita
in modo... stupefacente ;)
 
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Sol Weintraub
view post Posted on 16/9/2013, 16:39




Una settimana di tempo per legere e commentare i racconti, scadenza alle 23.59 di Domenica 22 Settembre.

Callagan e Insonnya il mese prossimo non potranno proporre i temi per lo Skannatoio Speciale ma, se vorranno, potranno comunque partecipare.
 
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view post Posted on 16/9/2013, 17:49

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Grazie Anark, sei sempre molto gentile.
 
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view post Posted on 16/9/2013, 20:05

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Il Cacciatore (una storia infernale) di Cristiano Complimenti per i gruppi, Sneaker Pimps, Little Dragon e Placebo, li sentivo suonare nella mia mente mentre leggevo la tua storia. Rendi molto realisticamente la dipendenza dalla roba pesante. Molto ben riuscita dal punto di vista dell’orrore l’immagine del padre cacciatore che mette teste mozzate sul tavolo, molto cruda l’immagine della morte del povero Fido ucciso dal cinghiale che tentava di salvarsi. Scioccante l’immagine di Haziz (in effetti, molti spacciatori usano quel mezzo lì, gli ovuli, spesso con risultati letali, quando si rompono). Inquietante il rapporto con la terapeuta della comunità, che lui vede come una vamp e una preda, questo amore malato fa conoscere meglio al lettore il protagonista, disturbato dall’infanzia cruenta, tanto da rifugiarsi negli stupefacenti, perché tanto la scrittura non gli serve per curarsi (brutta cosa, perché è a quello che dovrebbe servire, agli artisti, peccato che lui veda sangue anche se pensa ai Puffi). Attento a: beautifully people io metterei beautiful people (sempre che non sia un errore voluto, per rendere meglio la mente disturbata del protagonista.
Nella Notte di Anark 2000 Bellissimo racconto e molto ben scritto. Mi è piaciuta la tua scelta della dipendenza da videogiochi, visto che è un argomento molto attuale. Nel corso della lettura, poi ne mostri un’altra: quella per le meretrici da usare come cibo. Il protagonista (Pierre) è quindi un vampiro fissato con i videogiochi e i social network dove può incontrare gente che condivide il suo stesso interesse. Beatrice gli fa quindi da amante (in ribasso)-spacciatrice (molto intraprendente). Mi è piaciuta la vanità del vampiro che vuole farsi fare un ritratto a olio per meglio comparire nel profilo (mi fa pensare al tipico condottiero rinascimentale con la mania di grandezza. Forse il vampiro era un tipo così, prima di finire a casa davanti a un computer). Bella la rivincita finale di Beatrice che si dà al sollazzo con il pittore, il quale non ha fatto altro che ritrarre il maniaco al lavoro. Dalla frase di Beatrice : “il mio creatore”, intuisco che in un lontano passato lui l’abbia resa un vampiro per avere compagnia e ora la tecnologia li ha allontanati. Quanta originalità.
Attento a: sta roba per ‘sta roba.
E’ spiritosa l’espressione : bimbominchia.
Il gatto bianco e il gatto nero di Albertine Sono felice di ritrovarti. Bella l’immagine dei fiori sognanti cose che non riguardano gli umani e anche quella del saluto fra i due gatti (Nre ‘fa-o, fratello). Terrificante l’immagine strada-ragnatele zeppe di ragni. Mi è piaciuta l’immagine di Rebecca, sola e abbandonata che odia se stessa (e un ragno nero le conficca i cheliceri negli occhi. E’ un’immagine profonda. Il ragno è la dipendenza dall’approvazione altrui per stare bene con se stessi. Forse ha qualcosa di Leo). Bella anche l’immagine della bambina che sogna (introdotta dall’immagine porta rossa – odore di marmellata di lamponi) e si vede come una principessa invitata al Ballo della Pesca insieme a Poldo, il suo buffo e grassoccio accompagnatore. Mi è piaciuta la scelta dei gatti. Secondo un mito egizio, sono i guardiani dell’al di là e tengono lontani i demoni (e nel tuo racconto cercano di tenere a bada gli incubi, anche se è dura e sono stanchi). Confortante l’epilogo ottimista e profumato al lampone.
Mi sa tanto che domani Smetto di GDN76 che inizio travolgente, ci mostri subito il protagonista in azione, con la sua consegna di roba pesante da portare a termine per conto del fratello-spacciatore. Peccato che non vada a buon fine, per colpa del traffico. Nel tuo racconto c’è una sorpresa. Non solo il protagonista brama la bamba, ma è anche fissato con il biliardo, infatti gli automobilisti che gli danno fastidio lo fanno pensare, con le loro zucche pelate, alle palle da biliardo (la 3, la 4). Notevole l’uso del gergo (bamba, cappei), rende molto credibile il protagonista.
Attento a: lo schianto e tremendo per lo schianto è tremendo.
La Città Vecchia di Slash 1588 Molto bella, come storia di fantascienza. La introduci bene, parlando di un’annunciatrice robotica all’uscita della stazione e anche mostrando come siano fuori posto nel tuo mondo gesti innocenti come tamburellare le dita e battere il tempo con le scarpe. Bellissima l’idea del travestimento di Amy tramite tubo. I palazzoni mi fanno pensare a una società orwelliana o anche a una città dell’ex-blocco sovietico, ma in versione tutt’altro che lusinghiera nei riguardi del potere. Bella la dipendenza da musica, con il club Cantaloupe. Un vizio che rischia di costare caro alla bella e bionda Amy, sul punto di fare carriera in politica e di sposare Mark. Mi piacciono di musicisti del club (serata Jazz, con Miles Davis, o sbaglio?), dal bevitore Sean, operaio edile, all’impiegato di pompe funebri Wes, a Neil padre di famiglia e dentista a Herb il genetista promettente. Simpatico anche il giovane di nome Amanda. Molto riuscita la rissa con i poliziotti manganellatori e bello il finale: Amy non rinnega il suo amore per la musica, pur perdendo tutto.
Attento a Amy avanzo per Amy avanzò a mente trasportato per mente trasportata

L’Anteprima di Kaipirissima: ciao, piacere di leggerti. Mi è piaciuta la tabella di marcia di Felicia (una manciata di minuti per tutto, anche per ascoltare il fidanzato al telefono: unico neo, ha saltato il pranzo), addirittura il cambio di vestiti in borsa per non sfigurare all’ultimo momento e la scelta dell’autobus per non avere noie con il traffico e il parcheggio, bellissima idea, dovrebbero usare il tuo racconto per promuovere il trasporto pubblico) Ho trovato spassosa la gag di Felicia, involontaria eroina che sbatte la porta in faccia al ladro al Kebab (povero Marco, dovrà aspettare al cinema). Hai fatto intuire la sua dipendenza: dal tempo (con l’uso di sapienti metonimie: la scritta sul muro Countdown, la protesta dei ragazzi sull’orario). (attenta a un dettaglio: dovresti usare le maiuscole quando cominci una frase con il trattino: da mmm, mi sa che è tardi…Mmm, mi sa che è tardi a perché corre? Per Perché corre, è rosso da quando sono arrivata per E’ rosso da quando sono arrivata; scendete tutti per Scendete tutti ; vogliamo l’orario definitivo per Vogliamo l’orario definitivo.
Il Creatore di Demoni di Mother 95A Crisi epilettica? Semmai, brivido d’orrore per Synias (dipende da un mostro che lo divorerà come una tarma il legno). Che spacciatore, il Mattone, a rifilargli roba tagliata con la stricnina (non si fa una bella fine neppure con la stricnina da sola, dicono che prima di andarsene si balli la rumba). Che paradosso la tua storia (il protagonista artista promettente con familiari e amici che si brucia con la robaccia e il suo scrupolo verso la dipendenza dalle sigarette, meglio farne a meno visto il costo, ma è un vizio altrettanto subdolo e pericoloso). Molto ben riuscita la descrizione dello stato allucinatorio di Synias con citazioni da Philip Dick; noto parecchie minuscole a inizio dialogo, ma forse la tua è una licenza poetica per dare l’idea dello sballo. Che amore malato, con Beth (si unisce a lui per non farsi schiantare dalla dipendenza e anche il sentimento diventa una dipendenza nella dipendenza e particolare orrido, si vede in lei una persona dall’intelletto bruciato, vedi citazioni di Eco e di Narciso). Manny, Bluebell e Orson sono altri fantasmi della tua galleria dell’orrore, bianca come talco ma letale. La nemesi di Synias è Yola, lei lo avvia verso il cammino dell’autodistruzione, finendo quello che le tragedie della vita (l’incidente dei genitori) hanno cominciato. Inutile l’incendio purificatore di Synias, al quale sfugge, ma nel finale, c’è Yola, molto probabilmente, la ragazza morta di overdose che lo porta nell’aldilà (lungo serpente nero)
Attento a ninfea per ninfa (a meno che Beth non parli di sé così per dare l’idea di un’intelligenza sfatta dalla droga). Cruda e bellissima storia. Complimenti davvero.

La mia classifica è:
Nella Notte di Anark2000 7 punti
Il gatto nero e il gatto bianco di Albertine 6 punti
L’Anteprima di Kaipirissima 5 punti
Il Cacciatore di Cristiano 4 punti
Mi sa tanto che domani smetto di GDN76 3 punti
La Città Vecchia di Slash 1588 2 punti
Il Creatore di Demoni di Mother 95° 1 punto

Ecco i commenti e relativa classifica. Siete stati tutti da podio. Mi scuso per Mother 95A. Il computer mi mette il cerchiolino quando voglio mettere la A maiuscola. Nonostante la crudeltà dei numeri, ribadisco che il suo è un ottimo racconto horror, estremamente crudo, quasi baroccheggiante nelle sue vanitas (sentimenti e ricordi accanto al veleno bianco).
 
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119 replies since 11/9/2013, 20:27   2062 views
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