Forum Scrittori e Lettori di Horror Giallo Fantastico

Skannatoio, Ottobre 2013, edizione XXIII, Effetti collaterali
* Campionato aut-inv 2013, 3 di 12

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anark2000
view post Posted on 6/10/2013, 16:28




Addio Dottor Manhattan, e grazie di tutto. Ci si rivede in real...
 
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cristiano r.
view post Posted on 7/10/2013, 09:29




Ma quest'edizione è sempre valida, o possiamo già riporre la penna nell'astuccio? Nel mio caso mi riferisco alla preparazione dei commenti nel caso arrivassimo almeno a 5 partecipanti.
:huh: :alienff: :o:
 
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kaipirissima
view post Posted on 7/10/2013, 09:38




Io l'ho scritto ieri sera, paf, paf.
Perciò siamo in CINQUE!
Me lo tengo ancora al calduccio, lo posto stasera.
Ciao!
 
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La Vic
view post Posted on 7/10/2013, 09:45




L'edizione rimane valida, ovviamente.
Sarei felice se fosse Sol a commentare i vostri racconti ma, in caso contrario, me ne occupero' volentieri. ^_^
 
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kaipirissima
view post Posted on 7/10/2013, 20:35




Piccola premessa, di solito i ringraziamenti si fanno alla fine, al momento di ricevere il premio. Io lo faccio adesso e lo faccio ringraziando LeggEri. Senza di lei questo racconto non sarebbe così ben documentato e strutturato. Ha capito al volo quello che mi serviva, dandomi delle indicazioni, suggerimenti, fantastici!
Inoltre è stata velocissima nel rispondermi, dichiarandosi sempre disponibile per altre delucidazioni. Insomma un fenomeno. Grazie LeggEri. :wub:


LE RAGIONI DEL CORPO




“Signora Pellaz, mi sento di sconsigliarle questa pratica che ritengo del tutto non necessaria. Il corpo… ”.
“Dott. Frozen,” lo interrompe la donna seduta di fronte, “capiamoci. Ci sono forse degli impedimenti legali che non le permettono di esaudire i miei desideri?” domanda con un sorriso cinico.
“No, ma quello che lei chiede…”
“Dottore, non m’interessa quello che lei pensa. D’altra parte non mi è mai importato molto di quello che la gente dice. Sono venuta in questa clinica privata perché il Direttore amministrativo mi ha garantito che la mia richiesta sarebbe stata soddisfatta”.
I due si guardando, poi la donna continua “So chi è lei,” afferma con voce gelida, “e se continua con il suo atteggiamento, mi vedrò costretta a chiedere al Direttore di sostituirla”.
“Bene,” risponde il dottore allontanandosi impercettibilmente dalla donna, “sarà fatto come desidera. Ecco la liberatoria che ci permette di porla in coma farmacologico per la durata della sua convalescenza”.
“Ottimo dottore”, replica la donna con un sorriso soddisfatto mentre afferra la penna e firma il documento sulla scrivania.

Il dottor Frozen percorre il corridoio diretto all’ufficio del direttore della clinica. Il suo volto impassibile non mostra nulla del turbinio che si agita dentro di lui.
Due giorni prima, dopo l’intervento di rinoplastica e ricostruzione degli zigomi, la signora Pellaz era stata svegliata lentamente dal coma indotto.
Dopo qualche ora, trascorsa tra veglia e sonno, aveva chiesto uno specchio, controllato le cicatrici sul volto senza manifestare alcuna emozione, come se quel viso non le appartenesse, poi, improvvisamente, un dolore all’occhio l’aveva resa isterica. Le erano stati somministrati dei calmanti, ma la donna non accennava a smettere di lamentarsi e a inveire contro di lui, colpevole d’averla risvegliata prima che i dolori fossero del tutto scomparsi.
La signora Pellaz aveva chiamato i suoi avvocati, quando lui si era rifiutato di riportarla allo stato di coma e, adesso, il Direttore l’aveva convocato nel suo ufficio.

“Dottor Frozen, si accomodi” lo invita il Direttore indicandogli la poltrona davanti alla sua scrivania. “Immagino sappia il motivo per cui l’ho voluta vedere. Abbiamo un problema, pare”. Senza dare modo al medico di replicare l’uomo continua. “Come lei sa, la signora Pellaz ha messo in azione i suoi avvocati affinché sia nuovamente posta in coma farmacologico. Inoltre vuole che sia lei, Dottor Frozen, a seguirla in questo percorso. C’è qualcosa che dovrei sapere sulla procedura che potrebbe seriamente compromettere la salute della paziente?”
“Il coma” inizia a spiegare il dottore “era stato indotto per evitare i dolori del naturale decorso operatorio, che, come lei sa, consisteva in una banale ricostruzione del setto nasale e degli zigomi che avrebbe richiesto tutt’al più la semplice assunzione di paracetamolo o ketorolac. Il dolore all’occhio che la signora Pellaz avverte non è riconducibile all’operazione, né ad alcun effetto collaterale del coma. Se induciamo nella paziente, dopo una pausa così breve, nuovamente il coma andremo certamente incontro a complicanze quali: la polmonite da ventilazione artificiale con la conseguente necessità di tracheotomia, sepsi, insufficienza circolatoria, solo per iniziare”.
“Mi pare che nessuna di queste si sia manifestata durante il trattamento, o sbaglio?”
“No, ma la cosa non è naturale”.
“E mi dica, tali complicazioni, che non si sono presentate, sono mortali?”
“Forse. È troppo rischioso”.
“Dottor Frozen,” esclama il Direttore accompagnando il nome del medico con un sospiro, “questa clinica come lei sa, ma pare che ci sia bisogno che glielo ricordi, non è una clinica normale. I nostri non sono pazienti ma clienti, e come tali vanno soddisfatti. Inoltre le ricordo che dopo lo scandalo che l’ha coinvolta qualche anno fa, mi riferisco alla morte dei suoi due pazienti, lei difficilmente sarebbe assunto in un ospedale regolare”.
“La paziente...”
“La signora Pellaz è una cliente, ricca, molto ricca”.
“Vuole il mio parere? È per questo che mi ha assunto, perché sono un dottore” incalza Frozen. “La signora Pellaz” spiega sempre più irritato “non ha bisogno del coma farmacologico, ma di uno psichiatra. La sua ossessione, volta ad evitare il dolore, è certamente una psicosi. La cartella clinica parla chiaro. Barbiturici, benzodiazepine, antidolorifici sono assunti dalla paziente al sopraggiungere del più piccolo malessere. Il dolore è il modo in cui il corpo ci parla, dialoga con noi. Come potremmo evitare il fuoco se non sentissimo il calore sulla pelle farsi incandescente? Se il corpo non parlasse attraverso i sensi, rendendo più forti gli odori, mostrando macchie e ulcere, provocando dolore, noi dottori saremmo come ciechi nel formulare le diagnosi. Sopprimere il dolore è come rifiutare il corpo. Ogni ferita ha bisogno di tempo per rimarginarsi, e attraverso il dolore c’induce a non abusare delle nostre forze a non compromettere la guarigione. Altre volte la sofferenza fisica è il sintomo stesso della ripresa, non solo della malattia. Essa fa parte del nostro percorso di crescita come uomini. È necessario imparare a conoscere il nostro corpo”.
“Dottor Frozen, non m’interessano queste cazzate new age”, asserisce il Direttore per nulla colpito dall’arringa appena ascoltata e, con un impercettibile movimento delle spalle, si avvicina al dottore, lo guarda negli occhi. “La signora Pellaz vuole il coma farmacologico e noi glielo daremo. Sono stato chiaro?”

Primo giorno
“Dottore, tra poco la paziente si risveglierà nella seconda finestra della procedura” avvisa l’infermiera.
Frozen annuisce, guarda il viso della signora Pellaz che lentamente prende vita.
Durante la mattina aveva sospeso la sedazione al fine aprire una “finestra” di quindici minuti per valutare lo stato della coscienza della paziente. Tutto si era svolto come da protocollo, eppure, aveva percepito qualcosa di strano.
“Signora Pellaz, mi sente?” domanda Frozen.
La paziente apre la bocca, la cannula che giunge fino alla trachea le impedisce di parlare. Emette un lamento poi le labbra si muovono, "acqua" chiede. L'infermiera si avvicina con una garza umida e le bagna le labbra. Appena la stoffa viene in contatto con la lingua della signora questa si ritrae schifata.
“È solo acqua” cerca di calmarla l’infermiera guardando stupita il dottore, che si è fatto più attento e la sta sollecitando a bagnare di nuovo le labbra della paziente.
Un lamento prorompe dalla gola della signora Pellaz, tossisce scossa dai conati.
L’infermiera si blocca scioccata con la garza in mano.
“Si calmi signora” s’inserisce il dottore. “Va tutto bene”.
“No... male... malee... Occhio!" sembra voler dire cercando di sollevare le palpebre.
Al terzo tentativo s’intravede l’iride. La pupilla è del tutto dilatata trasformando l'azzurro di ghiaccio in ossidiana incandescente.
La donna si guarda attorno. “Perchè.. così buio?” Formulano le labbra.
L'infermiera si volta verso il medico che con uno sguardo la azzittisce. Intanto la signora Pellaz ha ripreso a lamentarsi sempre di più.
"A-ahh... Occhio.. Ahh, dolore! Fac...cia ...qualcosa!” La bocca si muove attorno al tubo ripetendo la richiesta
Il dottor Frozen prende la pila e osserva gli occhi della donna che pur reagendo alla luce sono per la paziente ciechi.
“Dolore!" è l'ultime parola che la donna urla, ma è piu un rantolo carico di sofferenza che trabocca dal suo petto, prima di sprofondare nuovamente in coma.

Secondo giorno
“Dottore siamo pronti per la seconda finestra” comunica l’infermiera.
Il risveglio è lento.
“A-acqua" chiede la paziente ma appena l’infermiera le appoggia la garza sulle labbra distoglie il viso con una smorfia di disgusto.” È bbuio” continua la donna facendo girare gli occhi per la stanza. Scuote la testa nauseata. "Oodore acre” sembra voler dire poco dopo.
Il dottor Frozen procede a porre la paziente in modo che possa respirare da sola. Il ventilatore l'aiuterà fin tanto che le verrà tolto il tubo in gola.
È subito chiaro che la paziente non respira spontaneamente, il volto si fa blu, cianotico, mentre tutti gli allarmi collegati al corpo suonano.
Il dottor Frozen non perde la calma, si muove sicuro, veloce, impartendo ordini allo staff e riattivando il ventilatore meccanico. Pochi attimi e la paziente è fuori pericolo e nuovamente immersa nel coma.

Terzo giorno
“Siamo pronti Dottore”.
Frozen guarda il volto arrossato della paziente, l’esame del sangue ha rilevato una riduzione delle piastrine, la temperatura corporea è salita a 38 gradi e il cuore ha aumentato la frequenza dei battiti. “Sepsi” commenta fra sé, benedicendo il fatto che questa è l’ultima finestra e la donna si risveglierà del tutto.
Per quanto i sintomi siano del tutto prevedibili, Frozen non riesce a togliersi dalla mente che vi sia, dietro quelle manifestazioni, un accanimento atipico. Il fatto che le complicanze avvengano sempre durante la seconda finestra, è di per sé strano. Come se alla paziente fosse dato del tempo per pensare tra una crisi e l’altra.
Lentamente la signora Pellaz apre gli occhi. Tenta di respirare ma la cannula in gola glielo impedisce. Tossisce convulsamente fino a quando con un movimento netto e preciso il dottore la libera dal tubo.
Il volto stravolto è mezzo nascosto dalla mascherina dell’ossigeno, che non riesce però a celare la smorfia di dolore sul suo viso. Non si lamenta, però, né parla. Dagli occhi lacrime silenziose scivolano lungo le guance calde.
Il dottore tace. L’osserva.
Passano alcuni minuti.
Lentamente la donna socchiude le labbra, un sussurro.
“Dottore?” ansima angosciata.
“Sono qui” risponde afferrandole la mano. Ha capito da tempo che la donna è del tutto cieca, e ora anche lei sembra averlo compreso.
“Dottore, mi aiuti! Cosa sta accedendo al mio corpo? Perché mi fa questo?” domanda con filo di voce.
“Perché?” ripete il dottore. “Perché si sta vendicando” risponde con voce incolore.
La donna tace, per la prima volta sembra ascoltare davvero, la sua voce, il suo corpo. Troppo tardi.
Improvvisamente la schiena le si inarca in modo innaturale. Il corpo è scosso da terribili convulsioni, gli occhi roteano verso l’alto, la saliva fuoriesce dalla bocca digrignata, i muscoli si contraggono.
Un grido straziante invade la stanza, percorre i corridoi della clinica, invade il giardino.
Un volo d’uccelli s’alza e come una nuvola nera copre il sole, poi il silenzio avvolge tutto.


Autorizzo Jackie de Ripper all'eventuale pubblicazione su Skan Magazine.

Edited by kaipirissima - 8/10/2013, 11:52
 
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La Vic
view post Posted on 8/10/2013, 15:55




URCA! Stasera a mezzanotte si chiude lo Skannatoio e io nemmeno me ne ero accorta.
Che moderatrice del piffero. :p095:

Ehm... signori, vi ricordo che stasera a mezzanotte si chiude lo Skannatoio!!!
:p103:
 
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view post Posted on 8/10/2013, 19:04

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Ciao Sol, è stato un piacere conoscerti. Spero di reincontrarti.

Salve, La Vic.
 
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White Pretorian
view post Posted on 8/10/2013, 19:08




Spero di farcela: ormai mi manca davvero poco!
 
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Slash1588
view post Posted on 8/10/2013, 22:59




Attraverso il Nero
di Francesco Fabrocile

L’ispettore Rozzi infilò le chiavi nella toppa della porta, fece scattare la serratura ed entrò in casa. L’orologio a pendolo sulla parete di fronte a lui segnava le otto meno dieci.
«Che giornata del cazzo» sbottò mentre si liberava dell’impermeabile. Poi urlò «Sono tornato!»
«Papà è tornato, Carlo » disse una voce allegra proveniente dalla cucina.
L’uomo percorse il corridoio ed entrò nella stanza da cui era venuta la voce. Una donna alta e graziosa, con un grembiule bianco che la copriva dai seni alle ginocchia, stava armeggiando ai fornelli. Inalò a pieni polmoni il profumo di funghi che aveva saturato la stanza e senti la salivazione impazzirgli. Sperò con tutto il cuore che le porzioni fossero abbondanti; quella sera avrebbe sbranato volentieri un agnello intero.
«Buonasera, Elena».
«’Sera, ispettore» rispose la donna girando la testa solo di qualche grado.
Lo sguardo del poliziotto si posò sul bambino che disegnava seduto al tavolo da cucina. Gli occhietti verdi sembravano incollati al foglio mentre la mano premeva forte i pastelli contro di esso, tracciando rapidamente scie colorate grossolane. Le dita della mano libera trotterellavano sul tavolo di vetro producendo uno scalpiccio senza soluzione di continuità.
«Carlo?»
Il bambino, come in trance, non spostò di un millimetro lo sguardo, né fermò i suoi arti per un attimo .
«Carlo!»
Stavolta la voce del padre sembrò raggiungerlo. Il bambino alzò la testa e rimase a fissare il padre per qualche secondo. «Ciao ,papi» disse finalmente.
L’uomo sospirò. «Metti via quel foglio. Elena sta per portare i piatti a tavola. Quante volte devo dirtelo che a tavola si mangia solamente?»
«Scusa , papi». Il bambino infilò il foglio a testa in giù, tra il sedere e la sedia.
Elena portò i piatti in tavola canticchiando “Another One Bites The Dust”, accompagnando le parole del ritornello con dei “du-du-du” che volevano imitare le note del basso. «Ecco qui. Buon appetito» disse sorridendo.
«Grazie ». L’ispettore rivolse lo sguardo severo verso il figlio«Ehi, come si dice?».
«Non si preoccupi, ispettore. Non c’è bisogno».
«E invece sì! Avanti, Carlo…»
«Grazie, Lena » disse il bambino senza alzare lo sguardo, perso nel piatto in cui stava mescolando penne e funghi con la forchetta, apparentemente senza la benché minima voglia di mangiare.
«Prego, tesoro».
L’ispettore si lasciò andare contro lo schienale della sedia e il suo viso si rasserenò.
«Bravo figliolo». Poi, rivolgendosi alla giovane governante disse «Puoi andare, Elena. Ci vediamo Venerdì».
«D’accordo. Buon appetito ». La ragazza sorrise e uscì dalla cucina avviandosi verso l’ingresso.
«Grazie » disse l’uomo mentre addentava il primo boccone. Carlo stava ancora mescolando il cibo con la forchetta quando Elena fece sbattere la porta di casa.


«Com’è andata dalla dottoressa Luce?»
Il bambino alzò le spalle.«Mi ha fatto tante domande. Non mi piacciono le domande»
«Lo fa per il tuo bene». Il padre bevve dal bicchiere l’ultimo sorso di vino rosso. «Che ti ha chiesto?»
Carlo alzò gli occhi al cielo e si mise a picchiettare con l’indice destro sugli sporgenti incisivi da latte.
«Non ricordo bene»
«Ti ha chiesto della scuola?»
«Sì ».
«E tu che le hai raccontato?»
«Che è una rottura» rispose senza esitazione Carlo.
«Ti sembra questo il modo di parlare?»
«Ma è vero! Non mi piace stare da solo. Gli altri bambini stanno insieme mentre la maestra Pia parla. Io devo stare da solo con la maestra Elisa». Il bambino incrociò le braccia.
«Ok, » sospirò il padre, «fa niente. Calmati. Ti ha chiesto delle medicine che stai prendendo? »
«Sì».
«E…»
«La dottoressa vuole parlare con te».
« Ah…» Maledetti medici, pensò l’ispettore, sempre così va a finire. Se ne cambi uno, il nuovo troverà sempre qualcosa che non ti ha prescritto lui su cui romperti i coglioni.
«Poi abbiamo parlato dell’uomo nero». La frase bloccò i pensieri e la masticazione dell’ispettore, facendolo sussultare.
«Te lo dico per l’ennesima volta. Non c’è nessun uomo nero » disse con un tono che rasentava la dolcezza, cosa che riusciva molto difficile all’ispettore.
«E invece sì! Viene la notte, quando tu dormi!Ha un mantello nero, un cappuccio nero, un serpente sulle spalle, ha gli occhi rossi… Ha-ha… Ha la faccia magra e sporca di rosso… come… come la mamma ». Carlo lasciò cadere la testa fra le mani, abbandonandosi a un pianto disperato. Il padre si alzò dalla sedia e corse a prenderlo in braccio. Lo strinse forte contro il petto, accarezzandogli i capelli lisci con la mano su cui ancora brillava la fede.
«Shhh…Shhh… Non piangere. La mamma diceva sempre che sei brutto quando piangi. Adesso ti do l’altra mezza pillolina, ci vediamo un po’ di televisione e poi ti porto a letto. Ok?»
Il bambino si asciugò le lacrime stropicciandosi le gote con la manica del maglioncino. «Vuoi fare i disegni con me?»
L’ispettore sospirò.«Papà è molto stanco e vorrebbe vedere proprio un bel film. Domani, quando torni dal dottore, disegneremo insieme. Che ne dici?»
Il bambino ci pensò per qualche secondo, poi decise di accettare l’offerta.«Ok».
«Bravissimo. Comincia ad accendere la televisione. Io sparecchio e ti raggiungo».
Appena i piedi toccarono terra, Carlo corse fuori dalla cucina, ma arrivato a pochi metri dal salone si fermò e fece bruscamente marcia indietro. Si diresse verso il suo posto a tavola, dove, sulla sedia, si trovava ancora il foglio su cui aveva disegnato. Lo guardò e sospirò al pensiero di non poterlo finire quella sera. Pazienza, tanto ormai era quasi finito. Nell’angolo in basso, c’era un piccolo bambino. Carlo lo aveva disegnato con cinque tratti sottili di nero con sopra una sfera rosa, al centro della quale si trovavano due puntini verdi. Il bambino guardava verso il centro del foglio, dove, in mezzo a una grossa macchia rossa, due figure si tenevano per mano. Quella a destra aveva capelli arancioni e ricci che scendevano fino alle gambe; quella a sinistra aveva una striscia verde che gli penzolava dalle spalle e, in mezzo alla grossa testa nera, scintillavano due pallini rossi.
Manca solo papà, pensò Carlo.

Il telefono squillò e il tenente si alzò dal divano imprecando a bassa voce per non farsi sentire dal figlio. Mentre raggiungeva il telefono, controllò l’orologio e vide che erano le nove passate. Quando lo chiamavano a quell’ora erano quasi sempre guai, qualche emergenza che lo avrebbe costretto a rientrare in centrale e a chiamare zia Rachele per venire a dormire con Carlo.
«Pronto? » rispose senza nessun minimo tentativo di mascherare il suo fastidio.
«Casa Rozzi?»
«Sì»
«Buonasera. Mi scusi per l’ora ma dovevo parlarle urgentemente, ispettore. Sono la dottoressa Luce».
«Ah»rispose Rozzi frastornato. «Buonasera»
«Può parlare?»
L’ispettore uscì dal salone col cordless in mano e si fermò in mezzo al corridoio.«Ora sì».
«Lei deve sospendere il trattamento farmacologico a cui è sottoposto suo figlio».
«Come, scusi? »
«L’atomoxetina sta ulteriormente aggravando il quadro psicologico di suo figlio. Il bambino non deve affrontare solo l’ADHD, ma anche i traumi che si trascina dalla morte della madre… e che chi sa per quanto tempo dovrà ancora portare con sé . Temo che la mente di suo figlio stia cominciando a cedere. Credo abbia cominciato ad avere delle allucinazioni»
«Impossibile. Se parla dell’uomo nero, è una fobia che tutti i bambini affrontano , dovrebbe saperlo. Probabilmente anche lei ne avrà avuto paura, ma mica da piccola assumeva atomoxetina ?»
«No, mi ascolti. Con suo figlio è diverso. Quelle di sue figlio non sono fantasie, sono troppo dettagliate. Sono… »
«Sono le fobie di un bambino che nonostante abbia solo sei anni ne ha già passate tante, troppe. Potrebbe prescrivergli qualche calmante, se lo ritiene opportuno».
«Ma non capisce che i farmaci sono parte del problema? Ci sono studi che dimostrano che l’atomo…»
«Ecco qua. L’ennesimo studio che smonta un medicinale che il giorno prima gli stessi medici suggerivano. Sai che novità... No, mi ascolti lei adesso. Carlo sembra essersi un po’ calmato ultimamente. Insomma, sembra aver fatto qualche progresso. Io non posso permettermi che regredisca di nuovo. Non sarei più tranquillo a lasciarlo con nessuno».
«Ma… »
«Senta, facciamo così. Se tra un paio di sedute continuerà a credere che mio figlio sia in preda ad allucinazioni, allora vedremo cosa fare. Ma per adesso non se ne parla. La saluto».
L’ispettore sentì la donna sospirare dall’altra parte del telefono. «D’accordo. Buonanotte ispettore».
Rozzi riagganciò e si diresse verso l’armadietto dei liquori. Anche se non credeva che suo figlio stesse andando fuori di testa, quella telefonata gli aveva inspiegabilmente messo addosso un forte senso di inquietudine, come affusolate dita ghiacciate che gli scivolavano lungo la spina dorsale.

Quella notte Luigi Rozzi dormì male come non gli accadeva da tempo. Nei suoi sogni - forse sarebbe più corretto chiamarli incubi - tornò a vivere l’incidente che due anni prima aveva distrutto la sua vita, salvo vedere alcuni particolari nuovi.
Guidava spedito sulla corsia di sorpasso, diretto verso la casa al mare, a Gaeta. Anche quella notte Lucia sedeva sul sedile affianco al guidatore ed era impegnata in una gara di smorfie con Carlo. Ma il piccolo non aveva l’espressione beata che l’ispettore ricordava, e dal pacchetto che teneva in mano non tirava fuori deliziosi biscotti, ma grosse pillole bianche e gialle.
L’ispettore tornò a fissare la strada e vide che nella corsia opposta era rimasta una sola macchina. E puntava dritta verso di loro. Da dietro il parabrezza, due grossi occhi rossi lo fissavano. Sentì una risata spettrale che gli gelò il sangue.
Nello specchietto retrovisore vide che dagli occhi e dai timpani di Lucia stavano sgorgando rivoli color porpora che in pochi secondi tinsero il viso come fosse una macabra tela. La donna cominciò a urlare,subito imitata dal bambino, e più le loro grida diventavano forti più la risata dell’uomo nero si faceva sguaiata.
Luigi sterzò per allontanarsi dalla traiettoria dell’altra macchina, ma sembrava che per quanto si sforzasse di evitarlo, l’impatto con quell’essere maligno fosse ormai inevitabile. L’auto rossa fiammante saltò la carreggiata e si avvicinò sempre di più, quasi a rallentatore, fino a quando entrò dentro il parabrezza della macchina su cui viaggiava la famiglia, cancellando in un sol colpo le urla in uno schianto di lamiere e vetri. Lo stesso identico rumore di due anni prima.
L’ispettore sgranò gli occhi e si ritrovò ad ansimare nel buio. La sua mano corse in cerca dell’interruttore della lampada, trovandolo dopo alcuni secondi di panico. La luce fece emergere la sua camera dalle tenebre e l’uomo si lasciò cadere di nuovo sul letto.

«Carlo, Carletto, scendi dal letto. »
Carlo affondò la testa nel cuscino sperando che quella voce gelida andasse via, ma non accadde.
«Carletto, Carlino, non fare il bricchino». Una sghignazzata roca, frusciante come il suono di un charleston, graffiò i timpani del bambino.
«Sei di nuovo qui? Vattene via».
«Oh, Carluccio. Me ne andrò, ma prima devo dirti una cosa importantissima. Non vuoi saperla? Riguarda la tua mamma…»
«No. Lo dici sempre. Tu vuoi solo catturarmi ».
Ancora una volta, l’uomo rise. «E cosa dovrei farmene di te? No, io voglio farti un regalo. Però devi girarti. Se vuoi vedere la tua mamma devi guardarmi negli occhi».
Il bambino staccò di qualche centimetro il viso dal cuscino. Preso coraggio, girò lentamente la testa verso l’uomo seduto di fronte a lui che lo fissava. Una tunica nera con un grosso cappuccio, che a malapena lasciava intravedere il viso pallido e tirato, lo copriva da capo a piedi. Dalla spalla destra, la testa di un lungo serpente verde guardava negli occhi del bambino, sibilando con la lingua biforcuta fra i denti appuntiti. In mezzo al volto, ardevano due grandi occhi color vermiglio.
«Bravo Carlino, bravo bambino. Ma dormi ancora col lumino acceso? Non sei un po’ grande per avere paura dell’uomo nero »disse sghignazzando.
Il bambino si ritrasse contro la spalliera del letto, mentre il labbro superiore veniva percorso da tremiti.
«Vattene! »
«Su, stavo scherzando», accarezzò la testa del serpente. «Dimmi, ti piacerebbe rivedere la tua mammina?»
Il bambino per un attimo parve esitare, ma poi rispose convinto «Certo!»
«E se ti dicessi che potrei fartela rivedere? »
«Bugiardo! ». Il viso, che un attimo prima era diventato rosso e contratto, si sciolse in una maschera di dolore e solitudine. Carlo abbassò lo sguardo. «Lei non c’è più. Ne sono sicuro, c’ero quando è successo…»
«Oh, piccolino. Ma lo so bene.Eppure ti dico che potrei farti questo bel regalo. Osserva un po’…»
All’inizio Carlo non vide niente, ma poi, sospesi nel buio sopra l’uomo nero, cominciarono a delinearsi i delicati contorni di un viso femminile, e allora capì subito che quello era il volto di sua madre. Ma prima che potesse gridare per lo stupore e la gioia, i lineamenti si sfilacciarono come la vecchia tela di un ragno.
«Su, non rimanerci male. Sai cosa ti dico? Se fai il bravo, tu, papà e la mamma tornerete a vivere insieme per sempre». L’uomo nero sorrise, «sai cosa vuol dire “per sempre”?»
Carlo lo fissò imbambolato.
«Vuol dire che non dovrete lasciarvi, mai più. Ti piacerebbe?»
Il bambino esitò di nuovo. Nonostante fosse ancora piccolo, sentiva che in quell’uomo ci fosse qualcosa che non andava, qualcosa di agghiacciante. Sapeva che non avrebbe dovuto fidarsi di lui, ma il premio che gli stava prospettando era troppo ghiotto per non provare a vedere cosa si celasse sotto la carta da regalo.
La testolina fece su e giù due volte in un lento cenno d’assenso.
«Molto bene». I due punti rossi che brillavano nel buio si incendiarono diventando due tizzoni mentre l’uomo si alzava di scatto in piedi. « Fai quello che dico io e sarà una sciocchezza. Domani a quest’ora sarete di nuovo tutti insieme». L’angolo sinistro della bocca si ritrasse in una smorfia che lasciò scoperti i canini e che l’uomo non riuscì a evitare. «Hai presente la pistola che usa il tuo papà al lavoro, Carlo?»
Il bambino annuì.
«Bene. Sai cosa dove si trova?»
Carlo rifletté per qualche secondo, poi rispose «Sì».
«Bene. Adesso ti spiego le regole del gioco. Fai come ti dico e riabbraccerai tua madre». Sul volto cinereo dell’uomo apparve un agghiacciante sorriso da clown.

L’odioso e familiare suono della sveglia strappà l’ispettore Rozzi dal suo breve sonno. Si gettò giù dal letto e andò a posizionarsi difronte al grosso specchio vicino alla finestra. L’uomo con la barba incolta, le occhiaie bluastre e i capelli sempre più radi che vide riflesso, portava tutti i segni della terribile nottata appena trascorsa, ma anche dei tanti mesi difficili che aveva dovuto affrontare. Scosse la testa. Aveva appena cominciato ad abituarsi alla vita da genitore quando Lucia era morta. In lui l’istinto paterno non era mai stato particolarmente sviluppato, ma amava la sua donna e di riflesso aveva finito con l’amare anche quel piccolo, adorabile rompiscatole che avevano generato. Ma ora lei non c’era più; se n’era andata e proprio davanti ai suoi occhi e a quelli del figlio. Da quando era rimasto solo, Luigi aveva cercato di essere il miglio padre possibile, ma c’erano momenti in cui tutto sembrava pesargli terribilmente. Quel giorno si sentiva proprio così. E se era vero che non poteva darlo a vedere al bambino, che già aveva i suoi bei problemi, non poteva però fare a meno di chiedersi a lui chi diavolo ci avrebbe pensato.
Uscì dalla camera e passò davanti alla camera di Carlo, notando che la porta era aperta. I lembi delle lenzuola giacevano ai piedi del letto, vuoto. Si stava chiedendo cosa avesse suo figlio per svegliarsi così presto, quando il suono del campanello di casa lo raggiunse.
E adesso chi cazzo è?
Scese rapidamente le scale e andò ad aprire la porta. Dopo aver tolto le tre mandate date la sera prima, girò la maniglia e la tirò a se, trovandosi di fronte una donna che lo osservava come se avesse appena dimenticato il motivo per cui era lì. Il suo viso era abbastana in carne, non grasso ma decisamente rotondo. I capelli, ricci e scuri, cadevano folti sulle spalle. Sotto il braccio portava una cartellina marrone, di quelle rigide usate per conservare i documenti.
«Mi scusi se mi presento a quest’ora» disse con un filo di voce. Dietro di lei la strada era deserta.« Sono…»
«Mi lasci indovinare. La dottoressa Luce».
La donna sgranò gli occhi.«Come fa a saperlo?»
«Diavolo, sono pur sempre un poliziotto» rispose Rozzi, quasi risentito.
«Ah, già. Senta, ieri sera non ho voluto insistere, non mi sembrava il caso per telefono. Ma adesso devo farle vedere assolutamente una cosa»
La donna prese la cartellina e ,spostando l’elastico, la aprì. «Dopo che avrà visto questi, temo che condividerà le mie preoccupazioni». Tirò fuori una manciata di fogli che porse all’ispettore. L’espressione dell’uomo passò in pochi secondi dalla preoccupazione all’orrore.
«Oh mio Dio. Li ha fatti mio figlio?»
La donna annuì senza alzare lo sguardo. «Faccio sempre disegnare i bambini che seguo. Questi sono i disegni delle sedute che abbiamo fatto da quando me lo ha portato. I disegni sono stati fatti con un tratto forte, frenetico. La scelta dei colori suggerisce una personalità profondamente disturbata e aggressiva. Ma quello che mi preoccupa davvero sono gli elementi ricorrenti. La donna con i capelli arancioni e l’uomo dagli occhi rossi. Nei primi disegni erano collocati in punti diversi del foglio, ma negli ultimi sono sempre mano nella mano. La donna presumo sia vostra moglie, l’altro presumo sia il famoso uomo nero. Mi ascolti, signor Rozzi. Non so ancora cosa rappresenti per Carlo, ma una cosa posso garantirgliela. Un bambino non si comporta così per un frutto della sua immaginazione. Per suo figlio questo mostro è assolutamente reale».
L’ispettore fissò la donna a bocca aperta. Il cuore gli batteva all’impazzata e sentiva gocce di sudore scivolargli lungo la schiena. Non sapeva cosa dire e non aveva idea di cosa fare.
La psicologa gli poggiò la mano sul braccio.«È sveglio?»
Rozzi fece cenno di sì. O almeno così credeva.
«Lo chiami».
L’uomo giro la testa verso l’ingresso . «Carlo?»
«Papino?». La voce del bambino spaventò i due adulti. Non solo perché era arrivata inaspettatamente presto e vicina, ma per il tono che aveva. Sembrava priva di qualsiasi emozione, vuota come un guscio bucato.
Carlo girò l’angolo fra il corridoio e l’ingresso e si fermo di fronte alla porta, a un paio di metri abbondanti di distanza. Lo sguardo del padre indugiò sugli occhi, vitrei e assenti, come se il bambino in realtà stesse ancora dormendo. Nonostante il dolore che gli dava quella vista, l’ispettore riuscì a spostare lo sguardo solo dopo l’urlo della dottoressa. I suoi occhi scesero lungo il braccio del bambino, scorgendo una pistola. La sua pistola, una Beretta Parabellum. Carica. E senza sicura.
«Come ti sei permesso? Carlo, posala immediatamente». L’ispettore si accorse che l’usuale tono autoritario che di solito gli usciva così facile, in quel momento era vistosamente incrinato da un terribile mix di paura e orrore.
«Carlo, fai come dice papà».
Il bambino osservò per un istante l’arma, poi rialzò lo sguardo. «No. Voglio andare da mamma».
«Ti prego Carlo,»disse il padre, con gli occhi lucidi, «mamma non c’è più. Non fare scemenze bambino mio, posa la pistola.»
«Non ti preoccupare, papi. Ci porta l’uomo nero da lei. Tutti e due»
«Non c’è nessun uomo nero Carlo. Ti prego!». L’ispettore ormai urlava senza più alcun riguardo, con le mani giunte e con le ginocchia piegate fin quasi al terreno, nella speranza che così la sua voce raggiungesse il suo bambino e non quell’irriconoscibile copia che aveva davanti. Ma Carlo si limitò a ripetere di nuovo «Non ti preoccupare. Ci porta l’uomo nero da lei. Tutti e due» e allora sul viso arrossato dell’ispettore cominciarono a scendere copiose lacrime amare. Quello non poteva essere suo figlio; quel bambino voleva ucciderlo e, pur non sapendo esattamente per quale motivo, sentiva che ne fosse perfettamente in grado. Com’era diventato così? Come aveva fatto a non accorgersi di quello che stava succedendo a suo figlio.
In un ultimo disperato tentativo, l’ispettore scattò verso il bambino. Ma Carlo sembrava posseduto da un potente spirito assassino, e la mano che impugnava la pistola si protrasse nell’aria senza esitazioni. Il primo proiettile esploso mancò di poco l’ispettore, finendo nella coscia della dottoressa. Ma i tre successivi lo raggiunsero in pieno petto mandandolo a gambe all’aria.
Atterrò malamente sul parquet dell’ingresso, lasciando una scia di sangue sul pavimento. Sentì le grida d’aiuto della dottoressa, che si contorceva con le spalle contro lo stipite della porta.
Poi vide Carlo avvicinarsi. Disse qualcosa, ma il padre non riuscì a capire.
Il bambino si puntò la pistola contro la tempia. Sorrise.
«Torneremo insieme, finalmente. Per sempre».
L’ispettore urlò, o almeno provò a urlare, ma dalla sua bocca uscì solo un sordo gorgoglio. Uno dei proiettili aveva perforato un polmone
Il suono dello sparo gli arrivò lontano mentre la parte sinistra del cranio di Carlo saltava via in una nuvola rossastra. Il mondo prese a scivolargli via da sotto i piedi, mentre lui si disperava in quella prigione malandata che era ormai il suo corpo. Ma prima che tutto si dissolvesse, che il mondo diventasse un ‘unica ombra, Luigi Rozzi vide distintamente un ultima cosa: due occhi rossi che lo fissavano.

Autorizzo Jackie de Ripper all'eventuale pubblicazione su Skan Magazine
 
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cristiano r.
view post Posted on 8/10/2013, 23:41




E wp dov'è finito? :o: :alienff: :blink:
 
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White Pretorian
view post Posted on 8/10/2013, 23:56




CITAZIONE
E wp dov'è finito? :o: :alienff: :blink:

Dorme con la testa sulla tastiera del computer, con un racconto che all'ultimo non si finire vuole scrivere. Sono costretto a passare: domani posto tutto sotto la lente.
Spero di rifarmi con le 24 h, altrimenti mi autobanno.
 
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cristiano r.
view post Posted on 9/10/2013, 00:02




CITAZIONE (White Pretorian @ 9/10/2013, 00:56) 
CITAZIONE
E wp dov'è finito? :o: :alienff: :blink:

Spero di rifarmi con le 24 h, altrimenti mi autobanno.

Allora metti la sveglia per il 15!
Notte nottina. :alienff:
 
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La Vic
view post Posted on 9/10/2013, 06:00




Tiriamo le somme.
Mi risultano in gara:
- shanda06
- anark2000
- willow78
- cristiano r.
- kaipirissima
- Slash 1588

Sei concorrenti = Skannatoio valido! :woot:

Ora, se non sbaglio, avete due settimane per commentare. Consegna entro il 23.
Correggetemi se sbaglio.
 
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kaipirissima
view post Posted on 9/10/2013, 09:45




CITAZIONE (White Pretorian @ 9/10/2013, 00:56) 
CITAZIONE
E wp dov'è finito? :o: :alienff: :blink:

Dorme con la testa sulla tastiera del computer, con un racconto che all'ultimo non si finire vuole scrivere. Sono costretto a passare: domani posto tutto sotto la lente.
Spero di rifarmi con le 24 h, altrimenti mi autobanno.

l'avevo detto io che era meglio l'altro avatar! ah ah.
per me è stato il contrario, siccome mi hanno spostato il giorno dell'unico telefilm che guardo ero convinta che lunedì fosse martedì e così mi sono data una mossa!
 
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cristiano r.
view post Posted on 9/10/2013, 12:11




@La Vic e gli altri

Mentre, ieri, come uno stupido, sono uscito dall'Ottuplice Sentiero facendo allusioni sull'identità della nuova moderatrice, un evento tragico ha colpito la comunità Buddista di cui faccio parte.
Agonko Tulku Rinpoche, la persona che mi ha iniziato al buddismo tibetano, ieri è stata uccisa in Cina, insieme al nipote e all'autista. Forse un tentatito di rapina ma non si sa ancora molto.
La notizia è anche apparsa sulle tv dello U.K., in quanto fu il primo a fondare un monastero tibetano in occidente, proprio qui in Scozia.
Credo abbia fondato anche l'Orgaanizzazione Rokpa, un organizzazione che si occupa di volontariato e di cui faccio parte.

In questo momento sono combattuto tra il dolore e la stupidità dei miei pensieri e non credo che avrò voglia di contiunuare a partecipare a questa edizione.
Mi scuso nuovamente con la nuova moderatrice per i problemi causati, quelli di ieri e quelli di oggi.
Adesso vado ala centro tibetano, stasera, quando torno, tolgo la storia e la posto sotto la lente.
Potete comunque già considerarmi fuori.
E pensare che venerdì scorso, per sbaglio, l'avevo cancellata tutta e poi l'ho riscritta sabato, cercando di ricordarne ogni sigola parola...
Mi dispiacedavvero, avrei voluto iniziare il nuovo rapporto con La Vic in modo migliore...
:cry: :alienff: :cry: :p091:
 
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100 replies since 30/9/2013, 17:56   1954 views
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