Piccola premessa, di solito i ringraziamenti si fanno alla fine, al momento di ricevere il premio. Io lo faccio adesso e lo faccio ringraziando LeggEri. Senza di lei questo racconto non sarebbe così ben documentato e strutturato. Ha capito al volo quello che mi serviva, dandomi delle indicazioni, suggerimenti, fantastici!
Inoltre è stata velocissima nel rispondermi, dichiarandosi sempre disponibile per altre delucidazioni. Insomma un fenomeno. Grazie LeggEri.
LE RAGIONI DEL CORPO
“Signora Pellaz, mi sento di sconsigliarle questa pratica che ritengo del tutto non necessaria. Il corpo… ”.
“Dott. Frozen,” lo interrompe la donna seduta di fronte, “capiamoci. Ci sono forse degli impedimenti legali che non le permettono di esaudire i miei desideri?” domanda con un sorriso cinico.
“No, ma quello che lei chiede…”
“Dottore, non m’interessa quello che lei pensa. D’altra parte non mi è mai importato molto di quello che la gente dice. Sono venuta in questa clinica privata perché il Direttore amministrativo mi ha garantito che la mia richiesta sarebbe stata soddisfatta”.
I due si guardando, poi la donna continua “So chi è lei,” afferma con voce gelida, “e se continua con il suo atteggiamento, mi vedrò costretta a chiedere al Direttore di sostituirla”.
“Bene,” risponde il dottore allontanandosi impercettibilmente dalla donna, “sarà fatto come desidera. Ecco la liberatoria che ci permette di porla in coma farmacologico per la durata della sua convalescenza”.
“Ottimo dottore”, replica la donna con un sorriso soddisfatto mentre afferra la penna e firma il documento sulla scrivania.
Il dottor Frozen percorre il corridoio diretto all’ufficio del direttore della clinica. Il suo volto impassibile non mostra nulla del turbinio che si agita dentro di lui.
Due giorni prima, dopo l’intervento di rinoplastica e ricostruzione degli zigomi, la signora Pellaz era stata svegliata lentamente dal coma indotto.
Dopo qualche ora, trascorsa tra veglia e sonno, aveva chiesto uno specchio, controllato le cicatrici sul volto senza manifestare alcuna emozione, come se quel viso non le appartenesse, poi, improvvisamente, un dolore all’occhio l’aveva resa isterica. Le erano stati somministrati dei calmanti, ma la donna non accennava a smettere di lamentarsi e a inveire contro di lui, colpevole d’averla risvegliata prima che i dolori fossero del tutto scomparsi.
La signora Pellaz aveva chiamato i suoi avvocati, quando lui si era rifiutato di riportarla allo stato di coma e, adesso, il Direttore l’aveva convocato nel suo ufficio.
“Dottor Frozen, si accomodi” lo invita il Direttore indicandogli la poltrona davanti alla sua scrivania. “Immagino sappia il motivo per cui l’ho voluta vedere. Abbiamo un problema, pare”. Senza dare modo al medico di replicare l’uomo continua. “Come lei sa, la signora Pellaz ha messo in azione i suoi avvocati affinché sia nuovamente posta in coma farmacologico. Inoltre vuole che sia lei, Dottor Frozen, a seguirla in questo percorso. C’è qualcosa che dovrei sapere sulla procedura che potrebbe seriamente compromettere la salute della paziente?”
“Il coma” inizia a spiegare il dottore “era stato indotto per evitare i dolori del naturale decorso operatorio, che, come lei sa, consisteva in una banale ricostruzione del setto nasale e degli zigomi che avrebbe richiesto tutt’al più la semplice assunzione di paracetamolo o ketorolac. Il dolore all’occhio che la signora Pellaz avverte non è riconducibile all’operazione, né ad alcun effetto collaterale del coma. Se induciamo nella paziente, dopo una pausa così breve, nuovamente il coma andremo certamente incontro a complicanze quali: la polmonite da ventilazione artificiale con la conseguente necessità di tracheotomia, sepsi, insufficienza circolatoria, solo per iniziare”.
“Mi pare che nessuna di queste si sia manifestata durante il trattamento, o sbaglio?”
“No, ma la cosa non è naturale”.
“E mi dica, tali complicazioni, che non si sono presentate, sono mortali?”
“Forse. È troppo rischioso”.
“Dottor Frozen,” esclama il Direttore accompagnando il nome del medico con un sospiro, “questa clinica come lei sa, ma pare che ci sia bisogno che glielo ricordi, non è una clinica normale. I nostri non sono pazienti ma clienti, e come tali vanno soddisfatti. Inoltre le ricordo che dopo lo scandalo che l’ha coinvolta qualche anno fa, mi riferisco alla morte dei suoi due pazienti, lei difficilmente sarebbe assunto in un ospedale regolare”.
“La paziente...”
“La signora Pellaz è una cliente, ricca, molto ricca”.
“Vuole il mio parere? È per questo che mi ha assunto, perché sono un dottore” incalza Frozen. “La signora Pellaz” spiega sempre più irritato “non ha bisogno del coma farmacologico, ma di uno psichiatra. La sua ossessione, volta ad evitare il dolore, è certamente una psicosi. La cartella clinica parla chiaro. Barbiturici, benzodiazepine, antidolorifici sono assunti dalla paziente al sopraggiungere del più piccolo malessere. Il dolore è il modo in cui il corpo ci parla, dialoga con noi. Come potremmo evitare il fuoco se non sentissimo il calore sulla pelle farsi incandescente? Se il corpo non parlasse attraverso i sensi, rendendo più forti gli odori, mostrando macchie e ulcere, provocando dolore, noi dottori saremmo come ciechi nel formulare le diagnosi. Sopprimere il dolore è come rifiutare il corpo. Ogni ferita ha bisogno di tempo per rimarginarsi, e attraverso il dolore c’induce a non abusare delle nostre forze a non compromettere la guarigione. Altre volte la sofferenza fisica è il sintomo stesso della ripresa, non solo della malattia. Essa fa parte del nostro percorso di crescita come uomini. È necessario imparare a conoscere il nostro corpo”.
“Dottor Frozen, non m’interessano queste cazzate new age”, asserisce il Direttore per nulla colpito dall’arringa appena ascoltata e, con un impercettibile movimento delle spalle, si avvicina al dottore, lo guarda negli occhi. “La signora Pellaz vuole il coma farmacologico e noi glielo daremo. Sono stato chiaro?”
Primo giorno“Dottore, tra poco la paziente si risveglierà nella seconda finestra della procedura” avvisa l’infermiera.
Frozen annuisce, guarda il viso della signora Pellaz che lentamente prende vita.
Durante la mattina aveva sospeso la sedazione al fine aprire una “finestra” di quindici minuti per valutare lo stato della coscienza della paziente. Tutto si era svolto come da protocollo, eppure, aveva percepito qualcosa di strano.
“Signora Pellaz, mi sente?” domanda Frozen.
La paziente apre la bocca, la cannula che giunge fino alla trachea le impedisce di parlare. Emette un lamento poi le labbra si muovono, "acqua" chiede. L'infermiera si avvicina con una garza umida e le bagna le labbra. Appena la stoffa viene in contatto con la lingua della signora questa si ritrae schifata.
“È solo acqua” cerca di calmarla l’infermiera guardando stupita il dottore, che si è fatto più attento e la sta sollecitando a bagnare di nuovo le labbra della paziente.
Un lamento prorompe dalla gola della signora Pellaz, tossisce scossa dai conati.
L’infermiera si blocca scioccata con la garza in mano.
“Si calmi signora” s’inserisce il dottore. “Va tutto bene”.
“No... male... malee... Occhio!" sembra voler dire cercando di sollevare le palpebre.
Al terzo tentativo s’intravede l’iride. La pupilla è del tutto dilatata trasformando l'azzurro di ghiaccio in ossidiana incandescente.
La donna si guarda attorno. “Perchè.. così buio?” Formulano le labbra.
L'infermiera si volta verso il medico che con uno sguardo la azzittisce. Intanto la signora Pellaz ha ripreso a lamentarsi sempre di più.
"A-ahh... Occhio.. Ahh, dolore! Fac...cia ...qualcosa!” La bocca si muove attorno al tubo ripetendo la richiesta
Il dottor Frozen prende la pila e osserva gli occhi della donna che pur reagendo alla luce sono per la paziente ciechi.
“Dolore!" è l'ultime parola che la donna urla, ma è piu un rantolo carico di sofferenza che trabocca dal suo petto, prima di sprofondare nuovamente in coma.
Secondo giorno“Dottore siamo pronti per la seconda finestra” comunica l’infermiera.
Il risveglio è lento.
“A-acqua" chiede la paziente ma appena l’infermiera le appoggia la garza sulle labbra distoglie il viso con una smorfia di disgusto.” È bbuio” continua la donna facendo girare gli occhi per la stanza. Scuote la testa nauseata. "Oodore acre” sembra voler dire poco dopo.
Il dottor Frozen procede a porre la paziente in modo che possa respirare da sola. Il ventilatore l'aiuterà fin tanto che le verrà tolto il tubo in gola.
È subito chiaro che la paziente non respira spontaneamente, il volto si fa blu, cianotico, mentre tutti gli allarmi collegati al corpo suonano.
Il dottor Frozen non perde la calma, si muove sicuro, veloce, impartendo ordini allo staff e riattivando il ventilatore meccanico. Pochi attimi e la paziente è fuori pericolo e nuovamente immersa nel coma.
Terzo giorno“Siamo pronti Dottore”.
Frozen guarda il volto arrossato della paziente, l’esame del sangue ha rilevato una riduzione delle piastrine, la temperatura corporea è salita a 38 gradi e il cuore ha aumentato la frequenza dei battiti. “Sepsi” commenta fra sé, benedicendo il fatto che questa è l’ultima finestra e la donna si risveglierà del tutto.
Per quanto i sintomi siano del tutto prevedibili, Frozen non riesce a togliersi dalla mente che vi sia, dietro quelle manifestazioni, un accanimento atipico. Il fatto che le complicanze avvengano sempre durante la seconda finestra, è di per sé strano. Come se alla paziente fosse dato del tempo per pensare tra una crisi e l’altra.
Lentamente la signora Pellaz apre gli occhi. Tenta di respirare ma la cannula in gola glielo impedisce. Tossisce convulsamente fino a quando con un movimento netto e preciso il dottore la libera dal tubo.
Il volto stravolto è mezzo nascosto dalla mascherina dell’ossigeno, che non riesce però a celare la smorfia di dolore sul suo viso. Non si lamenta, però, né parla. Dagli occhi lacrime silenziose scivolano lungo le guance calde.
Il dottore tace. L’osserva.
Passano alcuni minuti.
Lentamente la donna socchiude le labbra, un sussurro.
“Dottore?” ansima angosciata.
“Sono qui” risponde afferrandole la mano. Ha capito da tempo che la donna è del tutto cieca, e ora anche lei sembra averlo compreso.
“Dottore, mi aiuti! Cosa sta accedendo al mio corpo? Perché mi fa questo?” domanda con filo di voce.
“Perché?” ripete il dottore. “Perché si sta vendicando” risponde con voce incolore.
La donna tace, per la prima volta sembra ascoltare davvero, la sua voce, il suo corpo. Troppo tardi.
Improvvisamente la schiena le si inarca in modo innaturale. Il corpo è scosso da terribili convulsioni, gli occhi roteano verso l’alto, la saliva fuoriesce dalla bocca digrignata, i muscoli si contraggono.
Un grido straziante invade la stanza, percorre i corridoi della clinica, invade il giardino.
Un volo d’uccelli s’alza e come una nuvola nera copre il sole, poi il silenzio avvolge tutto.
Autorizzo Jackie de Ripper all'eventuale pubblicazione su Skan Magazine.
Edited by kaipirissima - 8/10/2013, 11:52