Forum Scrittori e Lettori di Horror Giallo Fantastico

Skannatoio, Ottobre 2013, speciale XXIII, Ventiquattr'ore al calar del sole
* Campionato aut-inv 2013, 4 di 12

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 14/10/2013, 14:02
Avatar

Advanced Member

Group:
Member
Posts:
1,111

Status:


grazie signore, gentilissime!

:)
 
Top
Callagan
view post Posted on 14/10/2013, 18:47




Ho perso un po' il conto ma... entro quando dobbiamo consegnare i racconti? :wacko:
 
Top
kaipirissima
view post Posted on 14/10/2013, 19:22




Mah forse sarà domani a mezzanotte... Boh.
Non mi sento molto intraprendente... Potrebbe essere anche domani a mezzogiorno per fare 24 ore dalla chiusura votazioni... Boh.

Ciao Call bentornato.
 
Top
Callagan
view post Posted on 14/10/2013, 19:28




Grazie del bentornato, ma prima aspetterei il mio racconto :P
Perché se non sbaglio avevamo sempre 48ore di tempo... alla faccia delle 24h! :)
 
Top
kaipirissima
view post Posted on 14/10/2013, 20:07




Davvero? :blink: Non me ne sono mai accorta!

Io non ce la faccio, sono presa male per la macelleria, :(
 
Top
La Vic
view post Posted on 14/10/2013, 20:38




Scadenza domani a mezzanotte. ^_^ Colpa mia che sono rinetrata ora e non ho ancora postato la trafila ufficiale.
Finisco di mangiare l'equino e provvedo.
 
Top
La Vic
view post Posted on 14/10/2013, 20:55




Skannatoio, speciale XXIII
Ventiquattr'ore al calar del sole



  1. Gli autori dovranno scrivere un racconto tra i 1.000 e i 10.000 caratteri (spazi inclusi, estremi inclusi, tolleranza ZERO) di genere horror, giallo, fantastico (fantasy, fantascienza e tutti i relativi sottogeneri)

  2. Il tema è: "Succede solo dopo il tramonto". (specifica di Name not found) Libera interpretazione da parte degli autori.

  3. Nel racconto dovranno compaire una o più armi da taglio. (specifica di David G)

  4. I racconti dovranno essere pubblicati entro le 23.59 di Martedì 15 Ottobre 2013 come post in questo thread, specificando il titolo e l’autore (questi elementi non entrano a far parte del conteggio dei caratteri).

  5. Se un autore sforerà per eccesso o per difetto il numero di caratteri, non sarà considerato nella classifica finale della gara.

  6. La stessa penalizzazione è prevista se un autore modificherà il proprio racconto dopo le 23.59 del 15 Ottobre. In tal caso si procederà anche alla squalifica per una edizione speciale dello Skannatoio.

  7. Nel caso di un totale superiore a 15 opere, occorre attendere che il supervisore separi i racconti in gironi, prima di procedere con i passi successivi.

  8. Una volta che i racconti saranno stati pubblicati, gli autori dovranno stilare, la loro classifica di merito. Al racconto valutato come ultimo dovrà essere assegnato 1 punto, al penultimo 2, al terz’ultimo 3 e così via fino al primo, che otterrà così il massimo punteggio. Un autore non deve inserire in classifica il proprio racconto.

  9. Oltre alla classifica, ogni autore dovrà scrivere un commento, anche di poche righe, purché sufficientemente chiaro per rendere esplicita la propria opinione su ciascun racconto. Se non lo dovesse fare, il punteggio conseguito nella gara sarà dimezzato.

  10. Classifica e commento dovranno essere inviati tramite MP alla moderatrice (La Vic) le 23:59 di Martedì 22 Ottobre 2013.

  11. Se un autore, dopo aver pubblicato il racconto, non dovesse stilare la sua classifica, sarà escluso dalla classifica finale e squalificato per una edizione speciale dello Skannatoio.

  12. Al termine, la moderatrice provvederà a pubblicare i commenti, redigere la classifica di merito generale e proclamare il vincitore.

  13. Gli autori che, in caso di selezione, desiderano vedere il proprio racconto pubblicato sulla rivista si ricordino di aggiungere, in calce al testo, la liberatoria: Autorizzo Jackie de Ripper all'eventuale pubblicazione su Skan Magazine.
  14. [/color]

NOTA BENE:
Ho modificato il regolamento per provare l'esperimento da voi richiesto: i commenti dovranno quindi essere mandati a me tramite MP. Provvederò io a pubblicarli.
 
Top
view post Posted on 14/10/2013, 21:08

Member

Group:
Member
Posts:
993

Status:


Piazza Hunderya
Di Alexandra

Mezzanotte:
È appena scoccata. Come ieri, la segnala il rumore della forgia, simile al latrato di un grosso lupo d’acciaio.
Succede solo dopo il tramonto.
Quando quel vecchio bisbetico che ci affumica con i suoi raggi e ci fa credere al sicuro si degna di chiudere il suo unico occhio da bevitore su di noi.
Sono frasi di ieri.
Come questa.
Un piumone di rettangoli di ghiaccio riveste gli archi che delimitano piazza Hunderya dal resto della città addormentata nella notte di un inizio anno che sembra non dover finire mai.
E’ un bel modo di vedere la piazza, questo.
Chissà se Dridino lo condivide ancora.
Fino a ieri sì.
Del resto, alle due del pomeriggio la Bottega della Forgia è chiusa non impaurisce nessuno.

Faceva tanto il gradasso, lui:- Figurati se ho paura di passarci accanto dopo il tramonto.
Era il suo primo giorno come guardia notturna della piazza e andava su e giù sotto gli archi con il boccale di birra del suo ordine professionale ostentando l’uniforme nera con i rettangoli grigio metallizzati.
Gli ero corso incontro perché volevo sapere come fosse il lavoro, dopo aver sentito da mio zio che dopo la scuola avrei dovuto intraprenderlo anch’io.
Questo, dopo la disfatta di mio fratello Andreal.
- Davvero?- gli domandai –eppure, dovresti venire a trovare Andreal. Anche lui faceva come te e guarda qui, ti ha perfino lasciato la sua uniforme.

Era la verità, anche se le sarte non l’avrebbero mai ammesso.
Mio zio mi aveva detto che portava male tenere in casa la divisa di chi aveva assaggiato il Morso del Nono Cane Notturno.
Così, in sartoria la lavavano, la stiravano e ne adattavano le misure al candidato che veniva subito dopo.
Andreal, pur con tutto il suo coraggio, non avrebbe mai più lavorato come guardia notturna, per quanto, nelle sue condizioni, non gli rimanesse altro che un lavoro da svolgere dopo il tramonto.

- No, non ho tempo, ora. Ho appena cominciato a familiarizzare con questo mortorio.
Camminò impettito facendo roteare il bastone d’ordinanza che celava al suo interno una lama a scatto fabbricata dall’altra parte della città.
Nessuno, infatti, si serviva più alla Bottega della Forgia.
Non da quando il proprietario aveva deciso di interrompere l’attività per una grave malattia che gli impediva di mostrarsi di giorno.
- Dici così perché non sei mai stato da queste parti dopo il tramonto.
Dridino mi rise in faccia:- Tu sì, bambino? Allora dovrei dirlo a tuo padre e a tuo fratello. Vedresti, allora. Mi sa che ti farebbero passare le vacanze con il nonno.
- Sei male informato- ribattei –è morto l’anno scorso.
- Allora chi è il vecchio demente che biascica dalla finestra imitando l’ululato dei lupi e ogni tanto, dopo il tramonto, allunga bastonate all’aria spalancando la finestra con questo gelo?
A quel punto, mi rimangiai l’invito a casa.
Quello che lui aveva scambiato per il nonno, era mio fratello, diventato così dopo aver ricevuto il morso del Nono Cane Notturno.
Il fattaccio era accaduto proprio accanto alla porta verde salvia con l’insegna di tre lame incrociate incisa in un medaglione di legno.
In quel momento, quell’opera d’arte si trovava in corrispondenza della testa di Dridino, il quale aveva cominciato a percuotere la porta con il bastone:- Ehi, di bottega. Non c’è nessuno che viene a salutare la guardia di fiducia?
- Zitto, Petrus Zonderdag non ama essere svegliato in pieno giorno.
- È tuo fratello che ti ha insegnato tante cose? Mi sa che avrebbe fatto meglio a imparare a combattere, piuttosto.
Mi innervosii.
Strinsi i pugni, ma dovetti chinare la testa.
Avevo dieci anni meno di lui.
Non potevo nemmeno dargli un calcione negli stinchi e scappare, altrimenti avrei attirato l’attenzione dell’ordine professionale su Andreal e sarebbe stato peggio.
Me lo avrebbero portato via.
E avrei dovuto cominciare subito il dannato addestramento.
Invece, così, avevo ancora un po’ di libertà.
Andreal, qualcosa me lo stava insegnando, quando la smetteva con i farfugliamenti da vecchio.
Allora si legava la lunga chioma ricciuta un tempo nera e mi ordinava di sedere in sua compagnia e di ascoltarlo.
Avrei avuto tante cose da dire a Dridino, ma non lo feci.
Fu il mio calcione negli stinchi per lui, per come si era permesso di irridere Andreal.
- Forse- risposi –adesso vado. Buon lavoro.
Mi salutò, trincando la sua birra da festa.

Dopo il tramonto, uscii per spiarlo.
Volevo vedere sia cosa avrebbe combinato lui sia come avrebbe reagito Petrus.
Non sapevo cosa c’era di vero nella storia della sua malattia della pelle, ma di una cosa ero certo: aveva sempre sofferto di insonnia.
Me lo diceva sempre il nonno: “Sai, Florian, vorrei potergli cedere un po’ del mio sonno, così almeno, si prenderebbe qualche ora di notte per dormire, invece di lavorare sempre alle sue lame.”
Quello che mi aveva colpito allora era che non aveva parlato di spade, quindi armi sì, ma con impugnatura e pomello.

Andreal, tornando dal suo primo giorno di ronda, mi aveva confermato la versione del nonno: ”Sono lame che vorticano fuori dalla porta come denti di grossi lupi da guardia e credo che il latrato provenga da esse. Ho sentito una voce chiamarle i Cani Notturni e numerarle. Ce ne sono nove e guai a chi riceve un taglio anche da una sola di esse”.
Quando gli chiesi se si era fatto male, lo negò, tenendo le braccia dietro la schiena, finché fu chiaro che di male ne aveva ricevuto parecchio.
Sì, dal Nono Cane Notturno.
Gli aveva portato via diversi anni di vita.
Fu allora che mi misi in testa di diventare una guardia notturna per entrare nella Bottega della Forgia e buttare nel crogiolo quelle lame maledette.
Quanto a Petrus, ci avrei pensato.
Doveva essere ancora abbastanza giovane e temprato al lavoro con i metalli, ma non era invulnerabile.

Era con questi pensieri in mente che seguii Dridino sotto gli archi che conducevano alla Bottega della Forgia.
C’erano porte chiuse di tutti i tipi, alcune di legno traforato, dalle quali esalavano essenze destinate a diventare profumi oppure birre della festa alla Salvia Menta, come quella che era tanto piaciuta al gradasso che stavo pedinando.
Su altre porte spiccavano maschere di vario tipo: indicavano le botteghe dei truccatori e degli acconciatori.
Una oltrepassate quelle con frutta di vetro e forme di pane in gesso, ci avvicinammo a quelle con i simboli delle scarpe e degli abiti.
C’eravamo quasi.
Il tramonto era passato da un bel po’, vista la stagione.
Mi strinsi nel mio cappotto di lana spessa e camminai in punta di piedi, sentendo un latrato lontano, che il passo pesante di Dridino non riusciva a coprire del tutto.
C’eravamo quasi.
Ecco la bottega con il simbolo delle forbici.
E dopo, ecco quella davvero interessante.
L’unica a non essere aperta di giorno.
Le altre, invece, lo erano, malgrado avessero visto ridursi i clienti dopo l’incidente di Andreal.
Colpa della superstizione della gente, eppure, è vero che non succede mai niente prima del tramonto.
La Bottega della Forgia era spalancata e un vortice di lame ne uscì non appena Dridino si avvicinò al cono di luce.
Io ero nei pressi e vidi tutta la scena.
Quelle lame si disposero a formare una gigantesca bocca spalancata e posso giurare di aver visto il fumo grigio che usciva dalla fornace condensarsi nella testa di un “grosso lupo degli abissi tartarici”, come direbbe Andreal, se fosse qui.
Immaginavo l’assalto e il corpo maciullato, ma non avvenne.
Dridino si comportò come mio fratello, assestando un colpo di bastone alla belva:- Indietro, cagnaccio. Sono qui per fare la guardia alla baracca, non per vuotarla.
Lo vidi vacillare, dopo la scena del coraggio.
Immaginai i suoi ricci biondi incanutiti, come era successo alla chioma nera di Andreal, ma non gli successe.
I colleghi di Dridino non mi permisero mai di vederlo.
Seppi da qualcuno che era diventato calvo di colpo, questo sì.
E anche pazzo.
Credo fu per quello che sentì dire da Petrus:- Scusate, è il Quinto Cane Notturno. Sono tutte armi da difesa molto efficaci, solo che ogni tanto mi sfuggono di mano. Dovrei rimetterle a punto, ma ci si affeziona, sa?
- Fate più attenzione, a momenti mi staccava la testa. Dovreste insegnare loro a distinguere fra chi viene a fare la ronda e fra chi si apposta vicino alla porta per rubare.
- Avete ragione, bravo giovane. Eh, cosa volete. Dovrei approfittare dell’insonnia che mi tormenta per farlo. Volete fare la conoscenza con me e il Primo Cane Notturno?
Prima che Dridino potesse ribattere, un vortice di lame si dispose a formare una nube di code festanti che tranciò l’aria intorno a lui e la sagoma contorta del gigante scheletrico che comparve subito dopo gli fecero perdere la ragione.
Petrus Zonderdag temeva il sole perché avrebbe rivelato alla città il suo inganno: era rinsecchito nel calore della fornace ma continuava a lavorare alle sue lame, per compiacere committenti che non vorrei mai conoscere e che di certo sbucano dopo che è passata la guardia notturna, sempre che abbia il buon senso di non essere troppo solerte e di dare un’occhiata dall’altra parte della strada.
Cosa che farò io una volta concluso il corso.
Intanto, una cosa l’ho imparata: Piazza Hunderya si chiama così perché apparteneva ai Fabbri che avevano stretto il Patto con i Cani dell’Abisso: poter lavorare da morti, ingannando tutti con un falso sonno diurno, pur di affilare sempre meglio le lame e renderle guizzanti in mano ai guerrieri migliori.

Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare il mio racconto su Skan Magazine
 
Top
view post Posted on 15/10/2013, 07:39
Avatar

Advanced Member

Group:
Member
Posts:
1,111

Status:


La notte del veterano


di Alessandro Renna


La battaglia è appena finita.
Abbiamo vinto. Ma non riesco a gioirne.
Invecchio.
Ho più di quaranta primavere, di cui almeno trenta passate sui campi di battaglia. Tante, troppe, al punto che ora i lamenti e le urla dei feriti al suolo mi sono indifferenti. Trovo persino inutile dar loro il colpo di grazia. In passato, però non era così. Glielo davo, quantomeno per farli tacere.
Adesso, però, sono altre le mie preoccupazioni.

Mi soffermo a guardare la mia immagine riflessa in una pozzanghera rossa: sono coperto di sangue non mio, incrostato sull’armatura che non lascia spazio al ventre ingrossato dal pane sottratto in anni di razzie e dal vino bevuto per annebbiare i ricordi.

Inutile cercare di riconoscermi in quel che vedo e come ho sempre fatto dopo una vittoria, meccanicamente, rovisto tra i cadaveri. Non cerco bottino, però, ormai bramo solo spade leggere: ne cerco una che non sia faticosa da sollevare. E pensare che alla mia prima battaglia ne impugnai una tre volte più pesante di quella che ora pende dal mio fianco.

Il sole è sceso oltre l’orizzonte e io non ho trovato una spada che valga la pena di essere raccolta.
Sono esausto. Dovrei andare a dormire, ma ho paura della notte, non voglio chiudere gli occhi: se mi addormento lei sarà lì ad aspettarmi.

Scuoto la testa a occhi chiusi per scacciare la sua immagine e mi trascino all’accampamento deciso a ubriacarmi. Mi attacco a un fiasco che forse l’uva non l’ha mai nemmeno conosciuta e in poche sorsate lo vuoto mentre un nauseante bruciore inizia a divorarmi lo stomaco. Poi, cerco rifugio nell’abbraccio consumato di una puttana che, come me, è al servizio di mille padroni e nel suo ventre sporco come la mia anima, do fondo alle mie ultime energie prima di abbandonarmi a un sonno pesante come il piombo che spero m’impedisca di incontrarla. Ma non c’è nulla da fare, lei è lì ad aspettarmi oltre la nebbia dell’incoscienza: una donna pulita, ma non pura, con il viso incorniciato da una selva di mossi capelli corvini; nel suo sguardo severo c’é l’esperienza di un veterano e la determinazione di chi è abituato a prendere senza chiedere, non per egoismo, ma per dovere di servizio: a modo suo un soldato che obbedisce a regole sempiterne contro cui non posso opporre resistenza. E di colpo mi sveglio terrorizzato con il cuore stretto in una morsa di paura come ormai provo tutte le notti.

Il sole non è ancora sorto e dormire è l’ultima cosa che voglio fare.
Mi allontano fino alle latrine e mentre svuoto la vescica, mi chiedo se domani ci sarà un nuovo scontro.
Ma conosco già la risposta.
Forse dovrei chiedermi se domani vinceremo, ma forse, nemmeno questa è la domanda giusta perché dopo una battaglia ce n’è sempre un’altra e l’unica gioia sarà l’arrivo dell’inverno che ci concederà una tregua. Ma sarà solo un’illusione perché in primavera inizierà un’altra guerra, con ancora meno certezza di poterne vedere la fine. E con il ventre ancor più grosso e l’armatura ancor più stretta, rovisterò tra i cadaveri alla ricerca di una lama ancor più leggera. Così leggera che il mio braccio non si accorgerà nemmeno di brandirla. Così sottile che il mio nemico la frantumerà al primo impatto contro la sua, dieci volte più pesante, mille volte più resistente
È in quel momento che riconosco a ovest il chiarore del giorno che ritorna.

D’improvviso un giovane esulta.
È sopravvissuto alla sua prima battaglia e per tutta la notte ha rovistato tra i cadaveri nemici. Ha trovato una spada con l’elsa dorata, roba da ufficiali, di più, da comandanti: una di quelle lame buone solo per andare in parata.

E a un tratto tutto mi è chiaro.
Estraggo la mia spada dal fodero e gliela porgo.
– Butta via l’immondizia che hai raccolto e prendi questa. Non ne troverai un’altra più leggera e resistente. – Poi, solo per me, a bassa voce aggiungo: – Nemmeno tra trent’anni!

Slaccio i cinghiaggi dell’armatura che ho da poco indossato e lascio che mi scivoli via. Il senso d’oppressione che mi pesava sul cuore cade al suolo assieme al bronzo e all’acciaio.
Capisco che la mia strada non è più verso il nemico, ma nemmeno verso le retrovie dell’esercito.
La mia strada devia di lato, verso un campo di grano. Verso un orto coltivato per sfamare me e la famiglia che ancora non ho.
Le mie guerre sono finite.
Non c’è nessun’altra considerazione da fare.
Adesso tocca ad altri combattere.

Dopo una vittoria non esistono traditori.
Nessuno si accorgerà del mio abbandono. Nessuno rimpiangerà l’assenza del mio braccio armato.

Quando i miei occhi vedono il sole apparire all’orizzonte una strana gioia m’invade e mi scalda il cuore come non mi succedeva da quand’ero bambino e verso la sua luce m’incammino.

Fatti pochi passi il giovane cui ho donato la spada prova a trattenermi.
– Quando avremo vinto la guerra, ci sarà un gran bottino per tutti. Se te ne vai adesso, non avrai niente.
– Credo di aver scoperto un tesoro più grande e più prezioso di quello che potrò ricevere alla fine di questa guerra. Ma per ottenerlo dovrò percorrere un’altra strada.
– Tesoro? Che tesoro? Dimmi, che tesoro hai scoperto?
Non gli rispondo e mi allontano.
Se avrà fortuna, lo scoprirà da solo.
Se è intelligente, lo scoprirà anche prima di me.
Il ragazzo comincia a urlare, ma non capisco le sue parole. Sono troppo lontane e si perdono nel vento.

D’improvviso mi ritrovo abbracciato alla donna soldato, la sua criniera nera mi avvolge in una notte senza stelle. La sua voce s’insinua nei miei pensieri senza sfiorarmi le orecchie.
– Perché non ti sei fermato? Perché non hai dato spiegazioni a quel giovane? Perché hai lasciato che ti colpisse alla schiena con la lancia urlando che sei un traditore, un egoista che non vuole dividere il bottino?
Anziché rispondere l’abbraccio e la bacio sulle labbra fredde.
Non sono il primo a farlo e non sarò nemmeno l’ultimo, ma non importa.
E mentre mi addormento di un sonno pesantissimo, che so essere definitivo, mi rammarico, ma nemmeno troppo, perché non sto baciando la moglie che avrei desiderato. E a quella donna con non ho nemmeno conosciuto dico: – Addio… è solo colpa mia se non hai potuto darmi alcun figlio, alcuna serenità… alcuna gioia.

E nella morte intuisco il senso della vita che non ho vissuto.



Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare il mio racconto su Skan Magazine
 
Top
view post Posted on 15/10/2013, 12:47
Avatar

Milena Vallero

Group:
Moderatori
Posts:
482
Location:
Santhià (VC)

Status:


Ciao amici! :wub:
Visto che, a quanto ho visto (grazie Rov! :D ) anche senza aver proposto barra votato le specifiche si poteva partecipare, ho deciso di tentare anche io. Non so se sia stata una grande idea... temo di aver scritto un racconto dalla qualità imbarazzante... ma volevo vedere cosa avrei combinato scrivendo con l'acqua alla gola, e l'unico modo per scoprirlo era provare; quindi, scusate se vi uso come cavie personali... e massacrate, gente, massacrate!

-------

Rubenia

«Non ci posso credere» disse Barry ammirando il bocciolo chiuso. «L'abbiamo trovata».
Stevenson allungò la mano, sfiorando i sepali con la punta delle dita.
«Attento!» esclamò Barry a bassa voce, quasi che le vibrazioni delle sue corde vocali potessero danneggiare l'equilibrio di quel singolare ecosistema. «Abbiamo fatto tanta strada per essere qui. Non voglio rischiare che quelle tue manacce mandino tutto all'aria».
«Tranquillo» disse Stevenson, «non sono così stupido. Piuttosto» aggiunse, sedendosi a terra e prendendo dallo zaino una bottiglietta d'acqua, «siamo sicuri di aver calcolato bene i tempi? Con tutti i chilometri che abbiamo fatto, non vorrei aver perso un giorno per strada come quel Willie Fogg. Non mi andrebbe di aspettare altri dieci anni solo perché siamo arrivati un po' in ritardo».
Trangugiò l'acqua, calda come tè, e rimase a fissare il fiore al centro della grotta.
«No, è tutto giusto» rispose Barry, e tirò fuori dal suo zaino il tablet. «Vedi, basta guardare le fasi lunari per essere tranquilli. Ecco, questo è...»
«Okay, ho capito. Tanto non ci capisco un tubo di quella roba. Quindi ora non ci resta che aspettare, no?».
«Esatto. Ma prima voglio preparare la videocamera. Ho intenzione di filmarla quando sboccia».
«Per fartene cosa? A noi basta prendere quello che c'è dentro».
Barry scosse il capo disgustato.
«Sei un bieco materialista» rispose mentre allungava i piedini di un treppiedi, «non sei almeno un po' emozionato da questa scoperta?»
Certo che lo era. Eccome.

Dieci anni prima, un esploratore dilettante bavarese era rientrato in patria sostenendo di aver trovato un fiore miracoloso che lo aveva guarito dal suo cancro. L'uomo aveva sentito parlare della pianta e delle sue caratteristiche da una tribù della foresta peruviana. L'aveva trovata e ne aveva ingerito il polline, portandone una piccola quantità in patria, in una minuscola ampolla. Gli esami avevano effettivamente confermato la recessione della malattia, ma un grave avvelenamento del sangue, probabilmente causato dalla stessa sostanza che aveva guarito il suo tumore, lo aveva ucciso pochi giorni dopo il rientro.
Jonathan Malcolm, proprietario e maggior azionista di un'importante azienda farmaceutica del Massachussets, la Farmtech, si era interessato alla notizia. Malcolm, un miliardario a detta di tutti piuttosto eccentrico, aveva perso la moglie ed entrambi i genitori per tre diverse tipologie di cancro e aveva deciso di tentare il tutto per tutto per debellare quella orrenda malattia dalla faccia della terra. Quando aveva informato il consiglio di amministrazione di voler studiare il polline della Rubenia (nome dato alla pianta dal defunto bavarese, per via del rosso rubino dei petali), questo era insorto con veemenza, salvo poi acconsentire quando Malcolm aveva specificato che avrebbe pagato tutto di tasca propria.
«Dio non mi avrebbe dato tanto denaro» aveva detto, le lacrime agli occhi al ricordo della recente cerimonia funebre per la fu signora Malcolm, «se non avesse voluto che io lo usassi per fare del bene» .
La Farmtech era riuscita a impossessarsi dell'ampolla e dopo anni di studi e ricerche era finalmente riuscita a sintetizzare il polline in maniera tale da eliminarne gli effetti collaterali. Ora si trattava di recarsi in Perù e portare il fiore prodigioso negli Stati Uniti.
Quando Stevenson era venuto a conoscenza dei progetti della Farmtech, aveva fatto carte false per farsi assumere come ricercatore. Con pratiche non del tutto etiche era poi riuscito a scavalcare altri candidati e a ottenere il permesso di affiancare il biologo John Barry e i due fratelli Forence e Angus Goddard, entrambi a capo di due diversi laboratori di sintesi dell'azienda, nella spedizione alla ricerca della Rubenia.

«Che peccato che Flo e Angus si perdano questo spettacolo» disse Barry asciugandosi il sudore dalla fronte con il braccio.
«Già» rispose Stevenson. «Una vera disdetta».
I due fratelli si erano dovuti fermare in un villaggio non molto distante a causa di un'improvvisa quanto debilitante gastroenterite. Quella mattina, quindi, i due esploratori rimasti erano partiti da soli, all'alba; avevano trovato l'entrata della grotta con il sole ormai alto in cielo, e dopo quasi tre ore di camminate all'interno di cunicoli e strettoie erano finalmente giunti nella camera della Rubenia.
Stevenson alzò piano lo sguardo. Le pareti della camera si innalzavano per un'altezza di almeno sei metri per poi terminare bruscamente in una sorta di grande oculo attraverso cui la luce del sole filtrava, finendo dritta sulla pianta solitaria al centro del locale.
Guardò l'orologio che portava al polso. Ancora sei ore.
Barry stava armeggiando per trovare le impostazioni migliori per la ripresa. Bilanciamento del bianco, saturazione... Quanto inutile impegno, pensò lui, e uno strano sorriso gli si disegnò sulle labbra.

La qualità della luce stava iniziando a mutare. Stevenson si rese conto di aver iniziato a mettere a fuoco gli oggetti con maggior difficoltà.
Il sole stava tramontando.
«É quasi ora» disse Barry, la voce tremula di emozione come un bimbo che sta per aprire un regalo tanto atteso. Accese la videocamera e due torce che aveva posizionato su altrettante rocce.
Stevenson si alzò e si avvicinò al fiore.
I sepali iniziarono a fremere. Lentamente, il bocciolo si piegò su un lato, delicato come una ballerina, e iniziò a schiudersi piano. Nella fredda luce artificiale delle torce, esplose un tripudio di scarlatto; i petali, lunghi e lucidi come velluto, si aprirono morbidi e scesero intorno allo stelo. Nel centro, un cuore pulsante giallo scuro e porpora, oro vivo e palpitante.
«È bellissima» sospirò Barry, rapito da quella immagine.
«Sì, lo è» si stupì Stevenson. Tutto si era aspettato, meno che rimanere colpito dalla bellezza di uno stupido fiore.
Ma la meraviglia durò poco. Riprese subito il controllo della situazione.
«Presto, Stevenson» disse Barry, risvegliandosi anch'egli da quella sorta di torpore. «Dobbiamo prendere il polline. Ci pensi? Rimarrà aperta qualche ora, poi nulla per altri dieci anni. Incredibile...»
«Già» disse Stevenson prendendo il coltello che per tutto il giorno aveva tenuto nascosto in una delle tante tasche dei suoi pantaloni. «Incredibile che abbia dovuto lavorare con un idiota come te».
In un attimo gli fu dietro. Strinse una manciata di capelli nella mano sinistra e lo obbligò ad alzare la testa contro la sua spalla.
«Sai, Barry. Non ho mai ucciso nessuno finora. Beh, non con un coltello almeno».
Appoggiò la lama sulla carne indifesa della gola glabra.
«Stevenson» disse Barry, «ma che diavolo stai facendo?»
«Il mio lavoro, amico. Mi prendo tutto il polline, sradico il bel fiorellino e lo porto ai miei capi».
«Ma... è per questo che siamo qui. Perché mi stai facendo questo? Siamo dalla stessa parte...»
«Qui ti sbagli, caro il mio Barry. Oh, e a proposito. Non mi chiamo Stevenson. Sono il figlio di Jeremy Bloch. Ti dice niente?».
«Bloch?... il proprietario della Bloch Farmaceuticals?...».
«Sì, caro mio. Mi spiace, ma sono della concorrenza. Però mi sono divertito a lavorare per voi. Il mio caro papà sarà felice; potrà brevettare il più rivoluzionario farmaco della storia, e tutto grazie al portafogli di quel pazzo di Jonathan Malcolm. Interessante come vanno le cose a volte, vero?»
«Ti prego» disse Barry, «non uccidermi. Non ce n'è bisogno. Ho moglie e figli a casa, ti prego...»
Bloch strinse più forte i capelli di Barry, che gridò.
«Sì, beh, potrei anche lasciarti andare. Ma ci sono un po' di cose che ti giocano contro. Per prima cosa, meglio non lasciare testimoni, non si sa mai. Faremo credere che la spedizione non abbia avuto successo e nessuno dirà nulla. Almeno finché non uscirà il farmaco a marca Bloch... ma ci penseremo quando sarà ora. Secondo, è stato divertente avvelenare quella zitella acida e il suo borioso fratello. Chissà se sono già schiattati o se stanno ancora vomitando le interiora... in ogni caso, ci ho preso gusto, sai? E terzo» aggiunse, voltandosi a favore della videocamera e fissando con sguardo bieco l'obiettivo, «ho sempre sognato girare una scena come questa».
Affondò con foga la lama del coltello nella carne e con un movimento secco recise la gola di Barry. Il sangue uscì a fiotti, spruzzando le rocce intorno di macchie cremisi, quasi nere nella poca luce.
Bloch lasciò scivolare a terra il corpo senza vita. Ripulì la lama su uno straccio e ripose il coltello nella tasca.
Meno di dieci minuti dopo, con polline e fiore al sicuro nello zaino e la videocamera distrutta, si accinse a lasciare la grotta miracolosa. Si voltò per un attimo verso il centro della sala. Dove fino a poco prima c'era la Rubenia, si era formata una piccola pozza di sangue dai bordi tondeggianti, a ricordare il disegno che un bambino potrebbe fare di un fiore. L'immagine fece rabbrividire per un istante il cuore di Bloch.
Ma fu solo un attimo.
Con passo veloce si incamminò verso l'uscita e non si voltò più indietro.

Autorizzo Jackie de Ripper all'eventuale pubblicazione su Skan Magazine
 
Web  Top
view post Posted on 15/10/2013, 13:29
Avatar

Advanced Member

Group:
Member
Posts:
1,111

Status:


@Willow

prego prego :P
 
Top
view post Posted on 15/10/2013, 14:46
Avatar

Milena Vallero

Group:
Moderatori
Posts:
482
Location:
Santhià (VC)

Status:


CITAZIONE (Rovignon @ 15/10/2013, 14:29) 
@Willow

prego prego :P

:wub: :D
 
Web  Top
anark2000
view post Posted on 15/10/2013, 15:44




L'eredità nel sangue

Ombre sinistre grattavano la parete d'ebano al ritmo della vecchia lampada a olio.
Il profumo dell'autunno entrava dalle finestre sbarrate e rinfrescava l'ambiente altrimenti secco.
Mastro Catena poggiava il peso degli anni sul ginocchio destro dinanzi alla figlia Drusilla e si accingeva a terminare i preparativi cerimoniali.
Le grandi sopracciglia dell'uomo, unite alla grigia barba incolta, rendevano il viso inespressivo e inquietante.
- Un anno è passato dall'iniziazione alla purificazione – cantò l'uomo alla quindicenne. - Hai onorato il nome di questa famiglia cacciando i demoni della foresta, mai ti sei fatta indietro.
Drusilla gli lasciava scorrere le mani usurate dal tempo sui suoi abiti, mostrando resistenza solo per favorire l'allaccio delle lunghe stringhe reggenti: anfibi, bracciali, spallacci e corpetto.
- La pelle di cuoio sopra quella dell'anima - continuò ancora il vecchio. - Che tu possa riuscire dove altri han fallito. È l'ora della grande verità.
Uno sguardo profondo all'abisso celato negli occhi di lei, verde nel verde, prima di concludere: - Sei pronta, figlia adorata?
- Sì.
Drusilla congiunse le mani a quelle del padre e lo invitò ad alzarsi, incurante della mole che l'avrebbe eclissata. Poi sussurrò: - Giunge il tramonto e il serpente striscia ansimante. Il sangue del mio sangue per lavare la morte.
Mastro Catena annuì.

Solo il fruscio dell'erba era testimone del loro passaggio: centinaia di piccole e viscide creature infernali correvano nella radura su agili zampe, gli artigli arrancavano il terreno.
Il capobranco li avrebbe condotti a caccia di umani nel villaggio vicino, se non fossero stati assaliti da predatori inattesi.
La luna piena aprì il sipario di nuvole. Maestro e discepola piombarono sui demoni, dal cielo, con la furia del drago.
I mantelli volarono via e le armi ruggirono.
I demoni ascoltarono l'istinto famelico e gli si lanciarono contro con occhi iniettati di sangue.
- Ricorda Drusilla! Seicentosessantasei e non uno di più!
Mastro Catena impugnò i cobra d'avorio e estrasse le catene uncinate: lunghi serpenti d'acciaio squarciarono la grigia carne demoniaca, l'energia vitale del padrone li guidava ovunque lo desiderasse.
La ragazza non si preoccupò di rispondere, ma lasciò che fossero le spade sguainate a farlo per lei, attraverso il sentiero vivente, mentre i folti capelli corvini cantavano al vento. Per lei due else dorate.
Artigli e lame incrociavano il filo, ma la supremazia del duo umano era evidente.
Il vecchio contrapponeva la brutalità degli attacchi alla grazia della figlia danzante.
Cento, duecento, trecento.
La ragazza lasciò fuggire una lacrima che il maestro notò con pronta destrezza.
- Non ti fermare adesso! Non commettere lo stesso errore di tuo fratello! - tuonò vigoroso.
Drusilla si fece coraggio, cosciente che il cuore del padre non avrebbe retto ad altri scontri; non si direbbe dalle apparenze.
Quattrocento, cinquecento, seicento.
Mancava poco ormai.
Mastro Catena sorrise compiaciuto, ormai il suo tempo si era fatto. Anni gloriosi sono passati da quando suo padre gli passò l'anima del cacciatore e non ha mai rimpianto la scelta fatta.
Drusilla posizionò le spade e sorrise: - Grazie di tutto.
Le creature che la separavano dal rito di passaggio superavano di gran lunga le sessantasei unità, doveva prestare attenzione.
Si tuffò nell'orda in un turbine di morte e pezzi di carne volarono lontano.
Non un artiglio scalfì la candida pelle.
L'attacco si concluse con le armi conficcate nel virile petto del padre., per nulla sorpreso.
- Brava, seicentosessantasei. Ora tocca a te. - Queste furono le ultime parole pronunciate da Mastro Catena prima che il suo corpo esplodesse in un'onda di luce.
Quando le tenebre riconquistarono il territorio solo Drusilla si presentò alla luna.
I suoi occhi vedevano oltre gli alberi della foresta, l'olfatto percepiva i profumi di terre lontane e l'udito era armonizzato alla melodia delle foglie baciate dalla rugiada.
Non le restava che raccogliere le armi del padre e mettere da parte le spade per il futuro successore.
In un mondo dove la notte spalancava le porte dell'Inferno, fu così che Drusilla concluse il rito di passaggio e divenne il nuovo Mastro Catena.
 
Top
mother95A
view post Posted on 15/10/2013, 17:24




Domanda a bruciapelo: io che ho postato il tema e l'elemento ma non ho votato per cause inconfessabili ai più, posso partecipare?
 
Top
view post Posted on 15/10/2013, 17:48
Avatar

Advanced Member

Group:
Member
Posts:
1,111

Status:


Credo di sì visto che io non ho nemmeno proposto i temi! :D
 
Top
89 replies since 11/10/2013, 06:07   1523 views
  Share