Ciao amici!
Visto che, a quanto ho visto (grazie Rov!
) anche senza aver proposto
barra votato le specifiche si poteva partecipare, ho deciso di tentare anche io. Non so se sia stata una grande idea... temo di aver scritto un racconto dalla qualità imbarazzante... ma volevo vedere cosa avrei combinato scrivendo con l'acqua alla gola, e l'unico modo per scoprirlo era provare; quindi, scusate se vi uso come cavie personali... e massacrate, gente, massacrate!
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Rubenia«Non ci posso credere» disse Barry ammirando il bocciolo chiuso. «L'abbiamo trovata».
Stevenson allungò la mano, sfiorando i sepali con la punta delle dita.
«Attento!» esclamò Barry a bassa voce, quasi che le vibrazioni delle sue corde vocali potessero danneggiare l'equilibrio di quel singolare ecosistema. «Abbiamo fatto tanta strada per essere qui. Non voglio rischiare che quelle tue manacce mandino tutto all'aria».
«Tranquillo» disse Stevenson, «non sono così stupido. Piuttosto» aggiunse, sedendosi a terra e prendendo dallo zaino una bottiglietta d'acqua, «siamo sicuri di aver calcolato bene i tempi? Con tutti i chilometri che abbiamo fatto, non vorrei aver perso un giorno per strada come quel Willie Fogg. Non mi andrebbe di aspettare altri dieci anni solo perché siamo arrivati un po' in ritardo».
Trangugiò l'acqua, calda come tè, e rimase a fissare il fiore al centro della grotta.
«No, è tutto giusto» rispose Barry, e tirò fuori dal suo zaino il tablet. «Vedi, basta guardare le fasi lunari per essere tranquilli. Ecco, questo è...»
«Okay, ho capito. Tanto non ci capisco un tubo di quella roba. Quindi ora non ci resta che aspettare, no?».
«Esatto. Ma prima voglio preparare la videocamera. Ho intenzione di filmarla quando sboccia».
«Per fartene cosa? A noi basta prendere quello che c'è dentro».
Barry scosse il capo disgustato.
«Sei un bieco materialista» rispose mentre allungava i piedini di un treppiedi, «non sei almeno un po' emozionato da questa scoperta?»
Certo che lo era. Eccome.
Dieci anni prima, un esploratore dilettante bavarese era rientrato in patria sostenendo di aver trovato un fiore miracoloso che lo aveva guarito dal suo cancro. L'uomo aveva sentito parlare della pianta e delle sue caratteristiche da una tribù della foresta peruviana. L'aveva trovata e ne aveva ingerito il polline, portandone una piccola quantità in patria, in una minuscola ampolla. Gli esami avevano effettivamente confermato la recessione della malattia, ma un grave avvelenamento del sangue, probabilmente causato dalla stessa sostanza che aveva guarito il suo tumore, lo aveva ucciso pochi giorni dopo il rientro.
Jonathan Malcolm, proprietario e maggior azionista di un'importante azienda farmaceutica del Massachussets, la Farmtech, si era interessato alla notizia. Malcolm, un miliardario a detta di tutti piuttosto eccentrico, aveva perso la moglie ed entrambi i genitori per tre diverse tipologie di cancro e aveva deciso di tentare il tutto per tutto per debellare quella orrenda malattia dalla faccia della terra. Quando aveva informato il consiglio di amministrazione di voler studiare il polline della Rubenia (nome dato alla pianta dal defunto bavarese, per via del rosso rubino dei petali), questo era insorto con veemenza, salvo poi acconsentire quando Malcolm aveva specificato che avrebbe pagato tutto di tasca propria.
«Dio non mi avrebbe dato tanto denaro» aveva detto, le lacrime agli occhi al ricordo della recente cerimonia funebre per la fu signora Malcolm, «se non avesse voluto che io lo usassi per fare del bene» .
La Farmtech era riuscita a impossessarsi dell'ampolla e dopo anni di studi e ricerche era finalmente riuscita a sintetizzare il polline in maniera tale da eliminarne gli effetti collaterali. Ora si trattava di recarsi in Perù e portare il fiore prodigioso negli Stati Uniti.
Quando Stevenson era venuto a conoscenza dei progetti della Farmtech, aveva fatto carte false per farsi assumere come ricercatore. Con pratiche non del tutto etiche era poi riuscito a scavalcare altri candidati e a ottenere il permesso di affiancare il biologo John Barry e i due fratelli Forence e Angus Goddard, entrambi a capo di due diversi laboratori di sintesi dell'azienda, nella spedizione alla ricerca della Rubenia.
«Che peccato che Flo e Angus si perdano questo spettacolo» disse Barry asciugandosi il sudore dalla fronte con il braccio.
«Già» rispose Stevenson. «Una vera disdetta».
I due fratelli si erano dovuti fermare in un villaggio non molto distante a causa di un'improvvisa quanto debilitante gastroenterite. Quella mattina, quindi, i due esploratori rimasti erano partiti da soli, all'alba; avevano trovato l'entrata della grotta con il sole ormai alto in cielo, e dopo quasi tre ore di camminate all'interno di cunicoli e strettoie erano finalmente giunti nella camera della Rubenia.
Stevenson alzò piano lo sguardo. Le pareti della camera si innalzavano per un'altezza di almeno sei metri per poi terminare bruscamente in una sorta di grande oculo attraverso cui la luce del sole filtrava, finendo dritta sulla pianta solitaria al centro del locale.
Guardò l'orologio che portava al polso. Ancora sei ore.
Barry stava armeggiando per trovare le impostazioni migliori per la ripresa. Bilanciamento del bianco, saturazione...
Quanto inutile impegno, pensò lui, e uno strano sorriso gli si disegnò sulle labbra.
La qualità della luce stava iniziando a mutare. Stevenson si rese conto di aver iniziato a mettere a fuoco gli oggetti con maggior difficoltà.
Il sole stava tramontando.
«É quasi ora» disse Barry, la voce tremula di emozione come un bimbo che sta per aprire un regalo tanto atteso. Accese la videocamera e due torce che aveva posizionato su altrettante rocce.
Stevenson si alzò e si avvicinò al fiore.
I sepali iniziarono a fremere. Lentamente, il bocciolo si piegò su un lato, delicato come una ballerina, e iniziò a schiudersi piano. Nella fredda luce artificiale delle torce, esplose un tripudio di scarlatto; i petali, lunghi e lucidi come velluto, si aprirono morbidi e scesero intorno allo stelo. Nel centro, un cuore pulsante giallo scuro e porpora, oro vivo e palpitante.
«È bellissima» sospirò Barry, rapito da quella immagine.
«Sì, lo è» si stupì Stevenson. Tutto si era aspettato, meno che rimanere colpito dalla bellezza di uno stupido fiore.
Ma la meraviglia durò poco. Riprese subito il controllo della situazione.
«Presto, Stevenson» disse Barry, risvegliandosi anch'egli da quella sorta di torpore. «Dobbiamo prendere il polline. Ci pensi? Rimarrà aperta qualche ora, poi nulla per altri dieci anni. Incredibile...»
«Già» disse Stevenson prendendo il coltello che per tutto il giorno aveva tenuto nascosto in una delle tante tasche dei suoi pantaloni. «Incredibile che abbia dovuto lavorare con un idiota come te».
In un attimo gli fu dietro. Strinse una manciata di capelli nella mano sinistra e lo obbligò ad alzare la testa contro la sua spalla.
«Sai, Barry. Non ho mai ucciso nessuno finora. Beh, non con un coltello almeno».
Appoggiò la lama sulla carne indifesa della gola glabra.
«Stevenson» disse Barry, «ma che diavolo stai facendo?»
«Il mio lavoro, amico. Mi prendo tutto il polline, sradico il bel fiorellino e lo porto ai miei capi».
«Ma... è per questo che siamo qui. Perché mi stai facendo questo? Siamo dalla stessa parte...»
«Qui ti sbagli, caro il mio Barry. Oh, e a proposito. Non mi chiamo Stevenson. Sono il figlio di Jeremy Bloch. Ti dice niente?».
«Bloch?... il proprietario della Bloch Farmaceuticals?...».
«Sì, caro mio. Mi spiace, ma sono della concorrenza. Però mi sono divertito a lavorare per voi. Il mio caro papà sarà felice; potrà brevettare il più rivoluzionario farmaco della storia, e tutto grazie al portafogli di quel pazzo di Jonathan Malcolm. Interessante come vanno le cose a volte, vero?»
«Ti prego» disse Barry, «non uccidermi. Non ce n'è bisogno. Ho moglie e figli a casa, ti prego...»
Bloch strinse più forte i capelli di Barry, che gridò.
«Sì, beh, potrei anche lasciarti andare. Ma ci sono un po' di cose che ti giocano contro. Per prima cosa, meglio non lasciare testimoni, non si sa mai. Faremo credere che la spedizione non abbia avuto successo e nessuno dirà nulla. Almeno finché non uscirà il farmaco a marca Bloch... ma ci penseremo quando sarà ora. Secondo, è stato divertente avvelenare quella zitella acida e il suo borioso fratello. Chissà se sono già schiattati o se stanno ancora vomitando le interiora... in ogni caso, ci ho preso gusto, sai? E terzo» aggiunse, voltandosi a favore della videocamera e fissando con sguardo bieco l'obiettivo, «ho sempre sognato girare una scena come questa».
Affondò con foga la lama del coltello nella carne e con un movimento secco recise la gola di Barry. Il sangue uscì a fiotti, spruzzando le rocce intorno di macchie cremisi, quasi nere nella poca luce.
Bloch lasciò scivolare a terra il corpo senza vita. Ripulì la lama su uno straccio e ripose il coltello nella tasca.
Meno di dieci minuti dopo, con polline e fiore al sicuro nello zaino e la videocamera distrutta, si accinse a lasciare la grotta miracolosa. Si voltò per un attimo verso il centro della sala. Dove fino a poco prima c'era la Rubenia, si era formata una piccola pozza di sangue dai bordi tondeggianti, a ricordare il disegno che un bambino potrebbe fare di un fiore. L'immagine fece rabbrividire per un istante il cuore di Bloch.
Ma fu solo un attimo.
Con passo veloce si incamminò verso l'uscita e non si voltò più indietro.
Autorizzo Jackie de Ripper all'eventuale pubblicazione su Skan Magazine