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Skannatoio, Dicembre 2013, edizione XXV, Dimenticare il futuro
* Campionato aut-inv 2013, 7 di 12

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view post Posted on 2/12/2013, 06:21
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Arrotolatrice di boa

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white, mi permetto, peró credo di andare sul sicuro, perchè é sempre una corda! :)
Anche se poi, mi sa che dopo un giro di chiglia, col personaggio ci farai ben poco!
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 2/12/2013, 14:40




CITAZIONE (White Pretorian @ 2/12/2013, 01:01) 
Eccoci a una nuova puntata di "Saghe Mentali di WP".

Jackie, "Appeso per una corda": è valido un personaggio sottoposto al giro di chiglia?

Mi pare che durante un giro di chiglia, a un
certo punto, si rimanga appesi a una corda,
perciò credo proprio che sia accettabile.
 
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NOR
view post Posted on 3/12/2013, 22:11




Eva non deve morire



Anno 2023 – Napoli
Quello che ne resta


Sono loro.
Sono quelli che camminano.
Gli occhi di vetro. Le facce senza espressione.
Il cuore che non batte.

Anche il cuore di Antonio aveva smesso di battere. Pensare gli aveva fatto un gran male. I pensieri erano malvagi di quei tempi. Aprivano le porte e permettevano ai ricordi di entrare. Dimentica, gli aveva gridato Piero. Ma i ricordi erano più forti e lui si era arreso quando aveva visto sua moglie camminare.
Gli occhi di vetro.
Il cuore che non batte.

E allora aveva deciso. Basta. Basta con le giornate che scorrevano nel terrore, basta con il mondo ridotto alla testa bruciacchiata di un fiammifero, basta con la vita.
I pensieri avevano preso a braccetto i ricordi. Lei che andava al mare. Lei e il loro primo bacio. Lei e il bambino che non smetteva mai di piangere.
Poi l’ aveva vista camminare.
Le facce senza espressione.
I pensieri gli erano esplosi nella testa. Non importava quanto Piero gridasse perché i ricordi facevano più rumore. Tutti in coro nella sua testa. La stessa testa sul collo stretto nella corda appesa al soffitto.
La sedia rovesciata. Gli occhi rovesciati, di vetro, e la faccia ridotta a una smorfia.

“Cosa ne facciamo?” Aveva chiesto Piero raddrizzando la sedia e sistemandosi la beretta calibro 22 nella fondina sotto l’ ascella. Si tirò indietro un ciuffo ribelle. Un vano tentativo di nascondere la calvizie in arrivo.
“Regola sette: I corpi vanno bruciati.” La risposta di Hans non si fece attendere. Il tedesco non aveva fatto una piega. La faccia pallida sembrava intagliata da un grosso blocco di marmo. Gli occhi azzurri gli spiccavano sotto le sopracciglia bionde. Grigi, più che azzurri.
Anche lui aveva visto i suoi cari camminare.
Glie lo si leggeva nell’ azzurro, nel grigio degli occhi chiari, ma bui. Un baratro.
Era stato Antonio a dirlo a Piero. Come fosse andata? Nessuno era riuscito a capirlo. L’ alcool non aveva scucito nient’ altro dalla bocca screpolata del nordico. Ormai non faceva nessuna differenza. Antonio era andato.
Penzolava appeso al soffitto e non avrebbe riso, né pianto, né parlato mai più del caratteraccio di Hans.
“Ok, ma non ora. Come vanno le cose lì sotto?” Piero ingoiò un grumo di saliva grosso quanto un’ arancia e si sporse in avanti. La vetrata era sfondata di netto per permettere al fucile Marklin di fare capolino dall’ ala est dell’ ospedale. Hans era accovacciato dietro al treppiedi. Un occhio chiuso, l’ altro aperto a seguire la canna orientata verso il basso.
“Camminano.” Gli rispose.

Il Cardarelli era stato un ospedale.
Ora era un rifugio. Ora era il loro rifugio.
Un tempo lì, molti anni fa, c’ era stato il reparto di Urologia. Un via vai continuo di peni da rattoppare e prepuzi da circoncidere. Adesso era diverso.
Era stato tutto diverso da quando i morti avevano iniziato a camminare.
Da quando avevano avuto fame.

“Ti dico che non possiamo rimpiazzarlo. Non abbiamo uomini addestrati a dovere. Non lascerò la difesa del progetto Eva a un dilettante qualunque.” Sindre veniva dalla Norvegia e si esprimeva in un inglese stentato.
“E come intendi riempire la falla? Perdere un cecchino è come aprire loro le porte. E io ho ancora bisogno di tempo. Tempo per completare il lavoro.” Will si asciugò le mani sudate sul camice bianco.
Poi si voltò e tornò alle sue provette e ai sieri da elaborare.
Controllava con cura il colore del liquido. Ne saggiava ogni particolare e stava attento che la temperatura non salisse oltre i quindici gradi centigradi.
A quel punto gli occhi gli scivolarono su Eva.
La bambina aveva gli occhi persi nel vuoto e dondolava le gambe restandosene seduta sulla brandina. Il vestitino celeste vibrava sotto le piccole gambe fondendosi, più su, al colore dorato delle due trecce che le scivolavano sulle spalle.
Will l’ aveva portata con se da Oxford.
Avevano viaggiato a lungo, lui, Sindre e Hans.
Un viaggio pericoloso. Un’ Odissea.
Perché lei era l’ unica speranza.

Non parlava. Non parlava più da quando loro avevano iniziato a camminare.
In realtà aveva detto qualcosa tanti anni fa. Era ancora il 2020, pensò Will.
Tra un anno la nonna mangerà la mamma.
E poi, tra un anno. Tra un anno verrà la gente che cammina e il mondo finirà.
Will continuò a guardare sua figlia. Le gambe che dondolavano e le scarpette rosse come quelle di una principessa in una favola Disney. Rosse.
Rosse come la gola di sua moglie quando la nonna l’ aveva presa a morsi.
Rosse come i piedi di Eva trafitti dagli artigli della mamma.
Rosse come la lama del coltello che aveva impugnato per salvare la sua bambina.
Ma Eva non si era ammalata. Lei era speciale. Lei era la risposta.
Eppure per quanto si impegnasse, per quanto ci provasse, non riusciva a isolare la fonte di quel miracolo.
Quel miracolo che aveva tolto le parole a sua figlia, ma che l’ aveva resa immune.
“E quindi, cosa devo fare?” La voce di Sindre spazzò via ogni pensiero.
“Hans è impegnato sull’ ala est. Non possiamo spostarlo. Piero?”
“Piero controlla i turni e analizza le entrate ogni ora. Non può coprire anche il perimetro ovest.”
Will scosse la testa appuntando dei dati su un foglio tutto accartocciato. “ Chi ci resta?”
A quella domanda seguì un silenzio quasi irreale. Sindre si ritrovò a fissarsi le scarpe e sussurrò “A parte i civili? Nessuno. Gli altri o sono morti o camminano.”

“Mmm. . Hans vieni qui.” Piero tornò a torturare la fondina della pistola e questa volta si ritrovò a tastare un’ ascella completamente sudata. Il suo era stato un sussurro a denti stretti. Era rimasto affacciato e non sapeva nemmeno se l’ altro lo avesse sentito.
Il tedesco sollevò la lattina di birra rovesciandosene l’ intero contenuto in bocca.
Un po’ di spuma gli colò ai lati della bocca raggiungendo gli angoli spigolosi della mandibola. “Parla.”
“Ne vedo uno vicino all’ entrata due. Batte la testa contro i portoni d’ ingresso.”
Hans esitò per un istante godendosi il senso di calore che iniziava a diffondersi sulle guance ben rasate. “Finché è uno soltanto non c’ è da preoccuparsi. Non spreco le cartucce del Marklin per un singolo bersaglio.”
Piero si voltò a fissarlo.
La faccia era pallida e un’ ombra gli scorreva, macabra, dalla fronte sino al mento.
Terrore.
“Hans. Si stanno accalcando!”
“Cosa?” Si alzò in piedi e corse a impugnare il fucile.
Antonio penzolava ancora dal soffitto. Ogni sparo faceva vibrare la corda che gli stringeva il collo e la sua smorfia ben presto divenne simile, in tutto e per tutto, a quella dipinta sulle facce di Hans e di Piero.
“Stanno entrando!”

“E’ come una fune. Una fune che tiene legati i nostri destini fondendo la vita dell’ uno a quella dell’ altro.” Spiegò Will. “La fune è intricata. E’ una matassa difficile da sbrogliare ed Eva è la chiave per sciogliere l’ enigma. Questa bambina non è soltanto mia figlia. Lei è il principio di un nodo che si sta sciogliendo. Dalla sua esistenza dipende la vita di tutti noi.”
Sindre annuì cercando il viso di Eva che continuava a fissare il soffito.
Una bimba bionda come tante altre.
Una bimba che sorrideva.
Eva abbassò lo sguardo e incontrò gli occhi del norvegese. Sorrise ancora, ma questa volta Sindre avvertì come un senso di disagio. Provò a dirle qualcosa. Le parole gli si spezzarono in gola.
Restò zitto. Eva se ne stava zitta da tre anni.
E all’ improvviso fu lei a sciogliere il silenzio.
“Camminano qui dentro.” Disse.
Poco più di un sussurro rotto dal rumore degli spari. Un rumore assordante seguito dal ticchettio dei bossoli del Marklin. Hans stava sparando senza tregua e ben presto le urla di Piero si fusero al caos che aveva afferrato l’ edificio.
“Stanno entrando!”
Le mani di Sindre corsero alla pistola e i suoi occhi avvolti da un fitto strato di sudore incontrarono quelli di Will. Spalancò la porta e fece per uscire.
“Sindre!” Gli gridò Will. “Sbarra la porta.”
Il norvegese se la richiuse alle spalle. Tolse la sicura dall’ arma da fuoco e sussurrò. “Eva non deve morire.”


Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare questo mio racconto su 'Skan Magazine'
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 4/12/2013, 09:39




E con NOR siamo a due!
Ancora quattro giorni!
 
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mark it zero
view post Posted on 4/12/2013, 18:09




Dovrei farcela. Dopo molte masturbazioni cerebrali l'idea m'è venuta mentre sentivo Mimmo Ferretti a Tele Radio Stereo. Le dinamiche dell'ispirazione sono curiose. Qualcosa posterò.
 
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White Pretorian
view post Posted on 4/12/2013, 18:19




Anch'io sono a buon punto... cioé, l'idea del racconto che avevo è totalmente cambiata, ma dovrebbe bastare una buona revisione per andare nella direzione giusta.
 
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mark it zero
view post Posted on 4/12/2013, 21:54




Se non postavo stasera, davvero non postavo più. Se trovate qualche strafalcione fate bene a segnalarmelo.



La stanza rossa

Ascoltami, sembrerà strano ma è andata così, in fondo questa storia è incredibile. Cosa darei per fumarmi una sigaretta!
Sarà stato, credo, Settembre, o giù di lì. Quanto tempo sarà passato? Boh!
Accadde tutto per via di un gioco, come molte cose. Ero andato a casa di Pilar Sanchez, un villino a due piani al quartiere Palermo. Gente strana i Sanchez, specie quei Sanchez, che più borghesi non si può, ingegnere lui, ingegnere lei. Insieme avevano fondato una società di costruzioni famosa in mezza Argentina.
Quella sera i genitori di Pilar erano in Uruguay per ignoti motivi, forse per lavoro. Casa libera, non ci sembrava vero avere un posto così per una delle nostre solite riunioni.
Lei, Pilar, mora e sui ventuno anni, gran fica, dovresti vederla, mi accolse con la puzza sotto il naso tipica dei borghesi, specie dei borghesi di sinistra, neanche fossi uno scarafaggio coprofago. Lui, Martin Hoeness, il suo ragazzo, belloccio sì, uno che piaceva alle donne, specie di un certo tipo di donne come Pilar, era un anarchico, ma dotato di un quoziente intellettivo a due cifre, e forse solo per questo mi pareva il meno antipatico tra i due.
Eppure entrambi facevano parte del Comitato, come noi, dunque amici e amici degli amici.
E poi c’erano altre quattro persone. Li catalogai con molta facilità anche perché di vista li avevo conosciuti un po’ tutti. Erano quelli del gruppo di Cordoba, in trasferta.
Hugo Sciss, un tizio patetico ma convinto di avere il diritto di gestire l’intera riserva degli aneddoti per la serata, Claudio De Vitis, un "brutto competitivo", amico intimo e zerbino acido di Manola Rodriguez, nota frequentatrice dei raduni “a imbuco”, specie se nella Baires bene.
Gabriela Spotini, una ragazza grassoccia e anonima, l’avevo vista sì, altre volte, ma non avevo capito amica di chi fosse e che ruolo avesse. Aveva sempre un’aria così rancorosa che sembrava le mancasse… Beh, insomma, mi hai capito.
Il mio interesse verso di loro e per la politica, più in generale, te lo confesso, amico mio, era praticamente nullo. Anche se mi piaceva farne parte perché mi sembrava essere preso in qualcosa, una specie di grande progetto.
E poi c’ero io, certo, anche se non ti ho detto ancora il mio nome. Ma soprattutto c'era Maria Bellotti. Per lei, ero lì. Inutile dire che in fatto di donne sono sempre stato un idiota.
Borges sarebbe venuto a nozze con uno come me, inserendomi come protagonista di una delle sue storie e non solo per le poche gocce di sangue gringo che scorrono nelle mie vene, quello gringo vero, dico, quello gallese. Maria mi aveva stregato. Era un fatto fisico, soprattutto, ma anche mentale. Il fatto che fosse anche un fatto mentale era una scusa con la quale cercavo di consolare il mio animo di disegnatore di fumetti fallito, con tutta la mia ammirazione per il grande Héctor Germàn. In poche parole, ero lì, non per via della politica e del Comitato, non per cambiare il Paese o il mondo, ma con la speranza neanche poi troppo segreta di scoparmela.
Molto triste come le cose si riconducano, a volte, ai minimi termini. Oh, ma tu avresti dovuto vederla com’era bella!
Ma andiamo con ordine, torniamo alla mia storia.
Dopo le solite discussioni relative alla gestione dei rapporti con la Juventud Guevarista, la questione di un paio di Montaneros infiltrati che non ci era parsa molto limpida, l’inquietudine sulle notizie sui compagni scomparsi, l’idea per sdrammatizzare e scaricare la tensione venne a Martin. Ne fui sorpreso.
Avvenne un minuto dopo che Gabriela Spotini si congedasse, per via di un impegno non meglio definito, lasciandoci chiusi nella grossa sala della villa.
- Ciao, mi raccomando, divertitevi! – Disse.
- Ciao! – Le risposi, non degnandola della minima attenzione.
Pensavo, sai, che Martin non fosse in grado di prendere iniziative individuali, neanche se queste fossero ludiche.
O non l’avevo valutato bene o la sangria cominciava a farmi effetto.
- La facciamo, allora, la seduta spiritica? – Disse il ragazzo con un sorriso da star del pallone. In effetti, notai che aveva una certa somiglianza con Mario Kempes.
- Dai! – Intervenne Manola, - lo sapete che la chiesa cattolica è contraria a queste stronzate!
Ridemmo tutti di gusto.
- Allora, se è così, non la facciamo! – Le rispose Hugo.
- E poi non ci credo. E ho paura! – Continuò, eccitata, ridendo, senza curarsi della contraddizione palese, peraltro sincera, suscitata dalle sue parole.
- Ma sai che questa è, invece, un’idea EC-CE-ZIO-NA-LE! – Le rispose Pilar, battendo le mani e sporgendosi in avanti per far ammirare a tutti, specie ai maschi, la scollatura, senz’altro notevole. Era davvero un po’ troppo civettuola per giocare alla rivoluzione. Ma si sa come vanno queste cose.
Claudio attese, cercando d’interpretare la posizione contraddittoria di Manola in materia, e parve restare per un po’ tra le spine. Hugo disse che la seduta spiritica l’aveva fatta poco prima al gabinetto e, proprio per questo, consigliava di non entrarvi.
- Scemo! – Gli fece eco Maria. - Però, sarebbe elettrizzante, dai! – E sorrise.
Come sapeva tirare su quell’angolo della bocca mentre parlava, amico mio, ecco, non ti puoi immaginare! Solo per quella smorfia, un po’ da puttana un po’ da vergine, me la sarei fatta lì, senza pensarci, su quel tappeto turco pregiato, con tutti che guardavano e magari intonavano l'Internazionale.
Per alcune cose, sai, sono sempre stato dissacrante, specie nelle cose cui comunque ho creduto. Potrà sembrarti curioso ma è così.
Mi guardarono sì, ma sempre per via della seduta spiritica quasi fossi diventato, stranamente, arbitro della decisione. Alzai le spalle e il mio gesto fu interpretato come un “sì”. A ruota, gli indecisi, Manola e Claudio, cedettero.
Martin tirò fuori, allora, la tavola ouija in modo teatrale.
- Era di mia nonna, se l’è portata dietro dalla Polonia. - Disse. – Lei faceva la cartomante a Boca.
La fissammo un po’ interdetti. Era fatta bene con tutti gli arabeschi al posto giusto. Ci disponemmo in circolo attorno al tavolo tondo della sala, Pilar prese un bicchiere vuoto e lo capovolse fissandolo al centro esatto.
- Spegni le luci, Martin. - Ordinò poi la padrona di casa, - e prendi tre candele rosse, che le accendiamo. Sono in quel cassetto lì, quello della credenza.
- Tre candele? – Chiesi, senza accorgermene.
- Sì, perché? – Mi rispose Pilar in modo acido neanche le avessi chiesto se il suo seno fosse naturale. - Tre candele ci vogliono, no?
Boh, pensai.
Nel giro di un minuto stavamo già iniziando. Maria era bellissima alla luce soffusa delle candele. Era proprio di fronte a me. Mi chiesi come avrebbe reagito se le avessi sfiorato una coscia con il piede.
Ma quella fu l’ultima delle mie osservazioni veniali perché poi avvenne quello che avvenne.

Pilar voleva dare di se stessa un’immagine signorile in tutto quello che faceva. La signorilità è qualcosa che trasuda in un borghese, non la si può lavare nemmeno con anni di conversione alla causa dei poveri. Così era lei. Onde per cui, s’immerse nella parte di medium con estrema efficacia e un poco di teatralità, vaneggiandosi con quel suo lungo vestito invernale e scollato. Noi, intanto, tenevamo tutti le dita appoggiate al bicchiere, come avevamo visto fare nei film.
- Spirito! Spiritoooo! – Cominciò la ragazza.
- E dacci un taglio, Pilar! Sembri la strega cattiva di Biancaneve. - Le fece Hugo, ridendo, tra il biasimo di tutti e degli “Ssssh!” d’indignazione. Inarcai un sopracciglio. Mi chiesi perché mai mi stessi umiliando in quel modo per stare dietro a una donna.
"É il suo sorriso", mi sentii rispondere. "Quella smorfia che conosci bene. Per quello stai qui."
Già, mi risposi, fissando la mia musa, e il sopracciglio tornò al suo posto.
- Spirito, ci sei? – Ora Pilar sembrava meno teatrale e un po’ più pragmatica.
Hugo le diede una botta con la spalla e le disse:
- Ma non dovevi dire “batti un colpo”, prima?
Pensai che, se fossimo stati dentro un film dell’orrore, Hugo sarebbe stato il primo a crepare, con la gioia di tutti i telespettatori.
Invece accadde una cosa strana. Il bicchiere si mosse verso la lettera “S” e poi verso la lettera “I”. Mi guardarono tutti con un po’ di sospetto. La “S” si trovava dalla parte di Maria, ovvero proprio di fronte a me. Dovevo essere stato io quello che di più aveva contribuito alla spinta. Invece, sai, non era vero. Era successo tutto da solo, non so dirti come.
Non ci credi?
Sorrisi, quella cosa stava diventando davvero curiosa. Mi chiesi dove saremmo andati a finire.
- Spirito, hai qualcosa da dirci? - Chiese ancora Pilar, in tono un po’ meno baldanzoso. Forse, così facendo, ponendo una domanda articolata, pensava che sarebbe stato più difficile per me o per altri fare i furbi.
Ma il bicchiere, in tutta risposta, fece una strana traiettoria. Leggemmo le lettere che indicava, una a una.
M-O-R-I-E-N-T-E-S-T-O-D-O-S-V-E-D-R-E-M-O-S-E-N-T-R-E-U-N-A-H-O-R-A
- Morirete tutti. Verrete entro un’ora… - Mormorò Pilar. - Cosa?
E poi accadde. Ebbi una visione.
Noi, e forse altri, come dei demoni, coinvolti in una specie di orgia indefinibile, tra sesso e sangue. Una stanza rossa. Corpi nudi, con qualcosa sulla testa, e ferite, sfregi sulla pelle, urla. Le nostre urla.
Urlammo tutti insieme. Perché quella visione, amico mio, l’avevamo vissuta tutti.

Dopo esserci confrontati, cercammo di razionalizzare. Io prima degli altri.
- Sentite, - feci con un bicchiere di sangria in mano. - Non è successo niente, è stata solo suggestione. Questo, in genere, accade quando si fanno queste cose. É un classico.
- E come ti spieghi - mi attaccò Claudio, il "brutto competitivo" - che abbiamo avuto tutti, tutti, la stessa visione? Come te lo spieghi?
Mai razionalizzare, specie quando la razionalizzazione nega l’evidenza e il razionalizzatore diventa il fulcro catartico dove sfogare la tensione di un "brutto competitivo". Mi guardai attorno. Il tavolo ouija ancora rovesciato, le ragazze in preda a una crisi isterica, abbracciate l’una all’altra, Martin che fumava una canna e giocava, nel frattempo, con la maniglia della porta.
- Non lo so, non me lo spiego. - Ammisi.
Con la coda dell’occhio ero distratto dai movimenti di Martin.
- É chiusa. - Diceva.
- Cosa non ti spieghi? - Incalzò Claudio come se fossi stato io il colpevole di quello che era successo. Trassi spunto, in quel momento, per imparare una lezione morale. “A volte tacere è importante perché se parli, indipendentemente da quello che dici, catalizzi l’odio verso di te.”
- É chiusa, cazzo. – Ripeteva intanto Martin.
- Non mi spiego niente, dicevo solo che…
- Ti ha detto che non se lo spiega! - Intervenne Hugo. Per lui quell’intervento doveva essere un assist per una battuta, che non ebbe però il tempo di pronunciare. Si girò anche lui verso Martin.
- No! Devi spiegarmi! Come mai! – Claudio era fomentato dal mio modo mite di affrontare i contraddittori. Tutti, amico mio, scambiano spesso la mia gentilezza per debolezza.
- Piantatela, ragazzi! – Intervennero le ragazze. Manola, in particolare, sembrava la più sconvolta di tutte.
- Mi volete stare a sentire? - Urlò Martin - Questa porta, la porta della sala, è chiusa a chiave! Com’è possibile? Non possiamo uscire.
Ci fiondammo tutti a vedere. In effetti, era proprio chiusa. Era strano. Pilar sosteneva che quella porta non avesse chiavi. E poi da lì era uscita Gabriela, solo un’ora prima.
- Oddio, il Demonio! – Fece Pilar, accasciandosi al suolo.
- E questo, adesso, come te lo spieghi, eh? Come te lo spieghi, genio! – M’incalzò di nuovo Claudio.
Per tutta risposta, gli diedi una sberla e lo feci volare come uno straccio. Sai, amico mio. Ti ricordi della gentilezza di cui prima? Bene, ha un limite, pure quella.

C’era qualcosa di strano, però. La porta, che si apriva verso l’esterno, unica via di fuga dal salotto e di conseguenza dalla casa, era come sigillata. Provammo a buttarla giù a calci e spallate, senza risultato. Non era una di quelle porte massicce ma non era meno così resistente. Era molto strano. Era come se ci fosse dietro qualcosa. Come una leva. Ovviamente, il telefono si trovava nell’altra stanza. E lo udimmo squillare.
- Il telefono! - Fece Pilar, irrequieta. - Chi sarà a quest’ora? I miei hanno chiamato nel primo pomeriggio.
Il telefono continuava a squillare.
- La porta è chiusa per farci restare qui e morire tutti, come nella nostra visione! Avete capito? Questa stanza diventerà rossa con il nostro sangue e poi, e poi ….- Detto questo Pilar urlò, in preda all’isteria.
Il telefono smise di squillare.
Manola e Maria si avvinghiarono attorno a Pilar per cercare di consolarla e di placarla, ma cominciarono anch’esse a piangere. Fissai Maria. Era bella anche quando piangeva, ma vederla piangere sfilava via l’anima. Noi ragazzi contemplammo le ragazze con un certo imbarazzo, convinti della nostra carenza d'iniziativa. Eravamo il sesso forte ma non eravamo ancora venuti a capo della situazione. Certe convinzioni non le può sradicare nemmeno il più profondo materialismo dialettico. Noi maschi, loro femmine.
- Ragazze - fece Hugo, quasi leggendomi nel pensiero. - Ma che razza di materialiste siete! Vi fate suggestionare dai fantasmi? Il comunismo è più forte di qualsiasi demonio. Prenderemo il Diavolo e lo deporteremo in Siberia!
- Piantala, Hugo. - Disse Pilar, ed era strano vederla così determinata. Prima giocava a fare la signora, ora lo era diventata, una signora. Era anche lei, davvero, una bellissima ragazza. - La visione, l’avete vista tutti? Pensiamoci! Che cos’era? Cosa ci facevamo là? Era l’Inferno, quello? Ci torturavano? Ci… o mio Dio!
Tutti tacquero, immersi in se stessi. Compreso me. Cercai di ricordare, ma qualcosa me lo impediva. L’orrore non confortava il ricordo. Presi una decisione improvvisa.
- Sentite. Il telefono è di là. Davanti alla finestra, abbiamo il giardino. Anche se urlassimo, non ci sentirebbe nessuno. Ma siamo solo al secondo piano. Giù, saranno sì e no dieci metri. Sono magro. Se facciamo dei nodi a qualche tovaglia, mi calerò in giardino, farò il giro, risalirò e troverò il modo di liberarvi tutti.
- Ma sei matto? - Mi fece Maria, avvicinandosi, con gli occhi ancora lucidi dal gran piangere e sfiorandomi il braccio. - É pericoloso, non puoi!
Stava in pensiero per me? Era proprio così, amico mio. Qualcosa si mosse nel mio basso ventre. Certo, capisci bene perché qualcuno ha detto che le donne sono il motore del mondo? Per lei avrei fatto anche le capriole col triplo salto mortale all’inferno e sarei anche tornato indietro.
Mi esaltai.
- Compagni! Datemi una mano, per favore. Vediamo di risolvere questo problema in fretta che, oltre tutto, devo anche andare in bagno a pisciare.

Così, ti racconto la fine della storia.
- L’avete legata bene? Non vorrei si staccasse. – Dissi. Pilar aveva tirato fuori il suo corredo di nozze. Era di lino, molto pregiato.
- É legata bene! - Fece Claudio, un po’ invidioso del mio ruolo di eroe e un po’ rancoroso del ceffone che gli avevo dato.
Mi voltai.
Fuori era notte fonda ormai, il freddo era intenso.
Buenos Aires, le luci oltre il giardino, i ricordi del Mundial appena vinto.
Povera mia amata città. Povero mio Paese calpestato, davanti alle onde di un oceano testimone e ruggente.
- Vado.
Mi sporsi dal davanzale mentre tutti gli altri tenevano l’altro capo delle lenzuola annodate.
- Accidenti, al cinema sembra più facile.
Ma ero già sceso di qualche metro.
- Stai attento, ti prego! - Fece Maria.
Alzai gli occhi per guardarla. Com’era bella. Il suo viso sembrava una luna, il suo sorriso scintillava in bianco rifrangendosi di luci pur in una notte senza stelle.
Ce l’ho ancora davanti quel viso.
Perché fu l’ultima volta che lo vidi.
Appena giunto a terra, degli uomini senza uniforme mi afferrarono, coprendomi di colpi e insulti, infilandomi un cappuccio sulla testa e trascinandomi via.

Per concludere, amico mio. Ormai sai tutto. Tutto è chiaro davanti ai nostri occhi.
Gabriela Spitoni era la spia. Da quello che ho intuito ci seguiva da tempo. Uscendo, aveva messo qualcosa dietro la porta. Forse una sedia o un mobile o qualche gancio di quelli che ha la Polizia. Per non farci uscire, certo. Poi, una telefonata silenziosa e via.
Forse l'ha fatto per trattenerci. O per vendetta. O forse la polizia era troppo indaffarata nelle retate, quella notte, e aveva bisogno di un po’ di tempo in più per arrivare anche da noi e catturarci tutti insieme.
Il tempo di una seduta spiritica. Non lo trovi buffo?
Quanto alla visione. Ora è chiara. Ci hanno portati tutti dentro una stanza rossa. Ci hanno denudati, torturati, tutti insieme, poi una alla volta, hanno violentato le ragazze. Ho sentito le loro urla disperate, quelle di Maria, senza poter mai rivedere il suo viso, nemmeno una volta.
Ho sentito poi anche le urla degli altri. E le mie. Le mie le hai imparate a riconoscere bene anche tu. Specie quando mi infilato gli elettrodi della batteria sui testicoli e chiudono il circuito.
Sì, in un certo senso questo è davvero l’inferno. Qualcuno, uno spirito, voleva avvertirci. Si sa, i morti conoscono il futuro.
Chissà dove sono gli altri... Sono ancora vivi? Non lo so.
Ora però sono qui, non so da quando, probabilmente in quella stessa stanza rossa. Credo che non mi abbiano mai spostato da lì. ma non ne sono sicuro.
Racconto com’è andata a te, vicino di stanza. So che mi ascolti, oltre la parte di cartongesso, anche se non puoi parlare per via del bavaglio che hai alla bocca.
Io morirò, me l’ha detto lo spirito. Ma se tu dovessi farcela, lo spero, ti prego, racconta questa storia. Qualcuno deve sapere. Non importa che tu sappia o meno il mio nome, il mio nome non è importante. Voglio che ricordi almeno il suo nome, Maria Bellotti.

Dedicato a Hector German Oesterheld


Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare questo racconto su Skan Magazine

Edited by mark it zero - 26/12/2013, 09:56
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 4/12/2013, 22:45




E tre!
 
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White Pretorian
view post Posted on 5/12/2013, 21:14




Stavolta non lo posto all'ultimo minuto ^_^

Promessa da marinaio

Il comandante si volta a sputare un grumo di tabacco da masticare in acqua, poi torna a sorridere verso gli uomini legati davanti a lui.
Ad un suo cenno, uno dei marinai apre un sacchetto di cuoio e ne versa parte del contenuto su un barile.
-Dieci libbre e mezzo di noce moscata: non ho idea di quali siano i prezzi attuali sul mercato nero, ma credo che sarebbero più che sufficienti per garantire a ognuno voi un bel gruzzolo- dice, muovendo con la mano i semi scuri. –Come avete potuto pensare che non me ne sarei accorto?-
I suoi occhi passano lentamente in rassegna i quattro contrabbandieri: tre di loro sono veterani dai volti bruciati dal sole e dalla salsedine, vecchi lupi di mare che sopportano a testa alta le sue accuse con l’espressione stolida di chi deve dimostrare di non aver paura di morire. Il quarto, invece, ha il capo chino e il terrore traspare limpido dai suoi occhi grigi.
-Il commercio della noce moscata è tassativo monopolio della Compagnia delle Indie e costituisce uno degli introiti principali della nostra Corona: non avete alcun rispetto la nostra nazione?- Dice, scendendo dal cassero e passando lentamente davanti ai quattro uomini: scosta con disprezzo i tre veterani, cuori fin troppo duri perché le sue parole possano far breccia, e si ferma davanti allo sbarbatello. –E lei, signor De Biers? Il suo primo viaggio e già diventa un contrabbandiere? Non prova alcuna vergogna nell’aver ingannato la nostra amata compagnia?-
De Biers trema, geme, farfuglia qualcosa: sembra troppo spaventato persino per poter articolare una difesa. Il capitano scuote il capo e si volta con disprezzo, sputando in mare un altro grumo scuro.
-Non c’è giustificazione possibile per una simile colpa: nessuno di voi sfuggirà alla condanna- si volta e osserva l’uditorio: è la buona occasione per dare un segnale all’equipaggio. –Chi sottrae alla Compagnia i frutti che le spettano, verrà appeso al vento come un frutto troppo acerbo.-
Il braccio si distende lentamente, la mano che indica con la violenza del Giudizio di Dio, i marinai che trattengono il respiro in attesa del responso.
-Impiccateli al pennone.-
Il silenzio risponde alla sua condanna, il muto timore che traspare dagli occhi dell’equipaggio e che scuote la falsa tranquillità dei veterani condannati.
L’urlo che lo squarcia dopo pochi istanti non è che l’apice del trionfo del comandante, che gusta lo spettacolo di De Biers che crolla in ginocchio.
-Pietà capitano, pieta! Sono pentito!- Urla. –Per Carità di Dio, ho moglie e figli!-
L’altro passa la mano sul pizzetto e osserva il biondino dimenarsi come una un animale al macello.
Lo sguardo indugia sul volto paonazzo e sul corpo ancora quasi integro del giovane fiammingo, poi un sorriso obliquo compare sul suo volto.
-Come ho già detto, non c’è giustificazione possibile per la vostra colpa. Tuttavia, sarebbe ingiusto attribuire la stessa pena di fronte a responsabilità diverse- torna indietro e appoggia le mani sulle spalle del giovane con l’aria benevola del padre del Figliol Prodigo. –In fondo, la tua unica colpa è stata quella di nascondere la noce moscata nei tuoi bagagli, non l’hai acquistata di nascosto dagli indigeni di Run… forse per te c’è ancora la possibilità di redimerti, con la giusta correzione.-
Le sue mani salgono a coronare quel volto ancora combattuto tra speranza e orrore, poi il comandante si alza e torna a rivolgersi all’equipaggio.
-Il marinaio Pieter De Biers non verrà impiccato. Sconterà la sua colpa in modo da dimostrare a tutti noi la forza del suo pentimento.-
Vociare confuso dalla massa di marinai: forse qualcuno ha intuito cosa vuol dire con le sue parole, ma le ipotesi sono ancora ben lontane dalla realtà.
Frustate? Pena del gelo? Ceppi? I suoi uomini hanno decisamente poca fantasia.
-Il marinaio Pieter De Biers verrà sottoposto al giro di chiglia: la sua espiazione consisterà nell’essere legato mani e piedi a una corda e trascinato lungo la chiglia della nave da babordo a tribordo, in modo da passare sotto la linea di galleggiamento- proclama, per poi voltarsi nuovamente verso il disgraziato. –Se il tuo pentimento è sincero, sono sicuro che non avrai difficoltà a trattenere il respiro per tutto il tempo necessario. In caso contrario, puoi sempre morire e porre fine a tutto.-
Da uomo esperto, il capitano sceglie con accuratezza il punto dove praticare la pena, quello che possa garantire un giro quanto più lungo possibile e in cui i denti di cane sono riusciti a salire più in alto sulle fiancate.
-Trattieni il respiro- mormora a De Biers uno dei marinai che lo cala lungo il babordo della nave.–Anche se sentirai i brandelli di carne che ti vengono strappati via, cerca di non aprire la bocca e di non dimenarti. È l’unica possibilità che hai.-
Il giovane comprende a malapena cosa gli sia stato detto, poi il primo strattone sulle assi di legno gli strappa un grido.
Il dolore attraversa il corpo, esplodendo lungo tutta la schiena: dopo lo strappo iniziale, la pena prosegue con un lento trascinamento, in cui la pelle viene raschiata poco alla volta, ma con costanza.
Pieter si sforza di respirare regolarmente e si prepara all’immersione, ma quando l’acqua raggiunge le ginocchia i primi mitili gli lacerano le carni con le loro punte affilate, strappandogli un secondo urlo, poi un terzo e un quarto, fino a quando la sua testa non scompare sotto il pelo dell’acqua.
Con la forza della disperazione, Pieter sigilla la bocca e chiude gli occhi, cercando di non prestare attenzione ai tagli sempre più profondi che scavano il suo corpo fino alle ossa.
Bastano pochi istanti per spostare il fulcro delle sue percezioni dalla schiena martoriata ai polmoni, in cui le urla di dolore hanno fatto immagazzinare troppa poca aria.
La mandibola comincia a tremare: il corpo impazzito vorrebbe spalancarla per obbedire ai suoi impulsi primari, la mente lotta per mantenerla sigillata e sopravvivere.
Infine il corpo ha il sopravvento e le fauci si spalancano, riempiendo d’acqua salata gli spazi vuoti nel petto. È l’annegamento, l’istinto di sputar fuori il liquido è inutile e le fitte di soffocamento nel petto segnano il collasso degli istinti naturali.
La coscienza si dirada, il dolore sfuma, le ultime percezioni scivolano su una mente vuota.

Spalanca gli occhi e inarca la schiena, aspirando disperatamente l’aria con un rumore strozzato. Impiega qualche istante per rendersi conto di poter respirare tranquillamente e poco più per capire di trovarsi nell’intimità della sua casa.
Sua moglie e sua figlia dormono profondamente accanto a lui e sembrano non essersi accorte del suo brusco risveglio: lui sfiora leggermente la guancia e sorride, lasciando che il battito del cuore torni poco a poco alla normalità.
Deve aver avuto un incubo, ma, per quanto si sforzi, non riesce a ricordare cosa ha effettivamente sognato: in realtà, l’unica cosa che gli è rimasta è la sensazione di soffocamento e di terrore con cui si è svegliato, sensazioni tanto realistiche che gli basta pensarci anche solo un istante per sentirgli mancare il fiato.
Scuote il capo per allontanare i cattivi pensieri, poi sospira e si alza dal letto: è ancora presto, ma sa che non riuscirà ad addormentarsi di nuovo e ne approfitta per fare le cose con maggiore calma.
Rabbrividisce quando comincia a vestirsi e maledice gli spifferi che filtrano da ogni angolo di quella casa disastrata: il pigione che pagano per quel tugurio è basso, ma anche così è difficile elencare qualche beneficio che vada oltre il mero tetto sulla testa.
No, non è vita quella che stanno facendo da quando è stato costretto a chiudere la sua bottega e se non fosse stato per quei due angeli addormentati non avrebbe esitato nemmeno un istante ad affidare la sua fine a uno scorsoio.
È vestito, è pronto: raccoglie la borsa con le sue cose e si avvicina di nuovo al letto. Con tutta la delicatezza di cui è capace, deposita un bacio sulla fronte delle due donne della sua vita per avere un bel ricordo da portare con sé sull’oceano.
Farebbe qualunque cosa per loro, qualunque cosa pur di farle uscire dall’inferno in cui sono precipitati.
-Aspettami, amore mio- sussurra. –Quando sarò di nuovo qui, ti prometto che vi regalerò una vita migliore. Costi quello che costi, metterò fine a tutto questo.-
La accarezza ancora, poi mette in spalla la borsa ed apre la porta di casa.
-Pieter!-
La voce di lei risuona all’improvviso dalla stanza semibuia.
-Pieter, promettimi anche che tornerai.-
Pieter si volta e vede sua moglie in ginocchio sul loro giaciglio, con una mano appoggiata sulla bambina ancora addormentata.
Sorride.
-Tornerò da voi- dice.-Questa è una promessa di Pieter De Biers.-

Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare questo racconto su Skan Magazine
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 6/12/2013, 09:28




E quattro! Ne manca solo uno!
 
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view post Posted on 6/12/2013, 18:38
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Milena Vallero

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Spero di farcela, sono un po' in ritardo... mi servono giornate da 36 ore! help!
 
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kaipirissima
view post Posted on 6/12/2013, 18:42




Forza Willow!

Io passo, nessuna idea si è affacciata.
In bocca al lupo a tutti.

:D
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 6/12/2013, 18:59




Caspita! Non potete far esordire master_runta alla moderazione
senza uno Skannatoio da moderare. Ne basterebbe uno,
ma altri dieci partecipanti non guasterebbero ;)
 
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view post Posted on 6/12/2013, 19:27

Alto Sacerdote di Grumbar

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Ci sono ancora più di 24 ore, confidiamo in willow e in altri volenterosi... ;)
 
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view post Posted on 6/12/2013, 20:28
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Milena Vallero

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CITAZIONE (Jackie de Ripper @ 6/12/2013, 18:59) 
Caspita! Non potete far esordire master_runta alla moderazione
senza uno Skannatoio da moderare. Ne basterebbe uno,
ma altri dieci partecipanti non guasterebbero ;)

Eh no, in un modo o nell'altro... Ce...La...Devo...Fareee! (esclamazione stile Frankenstein Jr.)

:lol: :lol: :lol:
 
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134 replies since 30/11/2013, 12:10   2420 views
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