Se non postavo stasera, davvero non postavo più. Se trovate qualche strafalcione fate bene a segnalarmelo.
La stanza rossaAscoltami, sembrerà strano ma è andata così, in fondo questa storia è incredibile. Cosa darei per fumarmi una sigaretta!
Sarà stato, credo, Settembre, o giù di lì. Quanto tempo sarà passato? Boh!
Accadde tutto per via di un gioco, come molte cose. Ero andato a casa di Pilar Sanchez, un villino a due piani al quartiere Palermo. Gente strana i Sanchez, specie quei Sanchez, che più borghesi non si può, ingegnere lui, ingegnere lei. Insieme avevano fondato una società di costruzioni famosa in mezza Argentina.
Quella sera i genitori di Pilar erano in Uruguay per ignoti motivi, forse per lavoro. Casa libera, non ci sembrava vero avere un posto così per una delle nostre solite riunioni.
Lei, Pilar, mora e sui ventuno anni, gran fica, dovresti vederla, mi accolse con la puzza sotto il naso tipica dei borghesi, specie dei borghesi di sinistra, neanche fossi uno scarafaggio coprofago. Lui, Martin Hoeness, il suo ragazzo, belloccio sì, uno che piaceva alle donne, specie di un certo tipo di donne come Pilar, era un anarchico, ma dotato di un quoziente intellettivo a due cifre, e forse solo per questo mi pareva il meno antipatico tra i due.
Eppure entrambi facevano parte del Comitato, come noi, dunque amici e amici degli amici.
E poi c’erano altre quattro persone. Li catalogai con molta facilità anche perché di vista li avevo conosciuti un po’ tutti. Erano quelli del gruppo di Cordoba, in trasferta.
Hugo Sciss, un tizio patetico ma convinto di avere il diritto di gestire l’intera riserva degli aneddoti per la serata, Claudio De Vitis, un "brutto competitivo", amico intimo e zerbino acido di Manola Rodriguez, nota frequentatrice dei raduni “a imbuco”, specie se nella Baires bene.
Gabriela Spotini, una ragazza grassoccia e anonima, l’avevo vista sì, altre volte, ma non avevo capito amica di chi fosse e che ruolo avesse. Aveva sempre un’aria così rancorosa che sembrava le mancasse… Beh, insomma, mi hai capito.
Il mio interesse verso di loro e per la politica, più in generale, te lo confesso, amico mio, era praticamente nullo. Anche se mi piaceva farne parte perché mi sembrava essere preso in qualcosa, una specie di grande progetto.
E poi c’ero io, certo, anche se non ti ho detto ancora il mio nome. Ma soprattutto c'era Maria Bellotti. Per lei, ero lì. Inutile dire che in fatto di donne sono sempre stato un idiota.
Borges sarebbe venuto a nozze con uno come me, inserendomi come protagonista di una delle sue storie e non solo per le poche gocce di sangue gringo che scorrono nelle mie vene, quello gringo vero, dico, quello gallese. Maria mi aveva stregato. Era un fatto fisico, soprattutto, ma anche mentale. Il fatto che fosse anche un fatto mentale era una scusa con la quale cercavo di consolare il mio animo di disegnatore di fumetti fallito, con tutta la mia ammirazione per il grande Héctor Germàn. In poche parole, ero lì, non per via della politica e del Comitato, non per cambiare il Paese o il mondo, ma con la speranza neanche poi troppo segreta di scoparmela.
Molto triste come le cose si riconducano, a volte, ai minimi termini. Oh, ma tu avresti dovuto vederla com’era bella!
Ma andiamo con ordine, torniamo alla mia storia.
Dopo le solite discussioni relative alla gestione dei rapporti con la Juventud Guevarista, la questione di un paio di Montaneros infiltrati che non ci era parsa molto limpida, l’inquietudine sulle notizie sui compagni scomparsi, l’idea per sdrammatizzare e scaricare la tensione venne a Martin. Ne fui sorpreso.
Avvenne un minuto dopo che Gabriela Spotini si congedasse, per via di un impegno non meglio definito, lasciandoci chiusi nella grossa sala della villa.
- Ciao, mi raccomando, divertitevi! – Disse.
- Ciao! – Le risposi, non degnandola della minima attenzione.
Pensavo, sai, che Martin non fosse in grado di prendere iniziative individuali, neanche se queste fossero ludiche.
O non l’avevo valutato bene o la sangria cominciava a farmi effetto.
- La facciamo, allora, la seduta spiritica? – Disse il ragazzo con un sorriso da star del pallone. In effetti, notai che aveva una certa somiglianza con Mario Kempes.
- Dai! – Intervenne Manola, - lo sapete che la chiesa cattolica è contraria a queste stronzate!
Ridemmo tutti di gusto.
- Allora, se è così, non la facciamo! – Le rispose Hugo.
- E poi non ci credo. E ho paura! – Continuò, eccitata, ridendo, senza curarsi della contraddizione palese, peraltro sincera, suscitata dalle sue parole.
- Ma sai che questa è, invece, un’idea EC-CE-ZIO-NA-LE! – Le rispose Pilar, battendo le mani e sporgendosi in avanti per far ammirare a tutti, specie ai maschi, la scollatura, senz’altro notevole. Era davvero un po’ troppo civettuola per giocare alla rivoluzione. Ma si sa come vanno queste cose.
Claudio attese, cercando d’interpretare la posizione contraddittoria di Manola in materia, e parve restare per un po’ tra le spine. Hugo disse che la seduta spiritica l’aveva fatta poco prima al gabinetto e, proprio per questo, consigliava di non entrarvi.
- Scemo! – Gli fece eco Maria. - Però, sarebbe elettrizzante, dai! – E sorrise.
Come sapeva tirare su quell’angolo della bocca mentre parlava, amico mio, ecco, non ti puoi immaginare! Solo per quella smorfia, un po’ da puttana un po’ da vergine, me la sarei fatta lì, senza pensarci, su quel tappeto turco pregiato, con tutti che guardavano e magari intonavano l'Internazionale.
Per alcune cose, sai, sono sempre stato dissacrante, specie nelle cose cui comunque ho creduto. Potrà sembrarti curioso ma è così.
Mi guardarono sì, ma sempre per via della seduta spiritica quasi fossi diventato, stranamente, arbitro della decisione. Alzai le spalle e il mio gesto fu interpretato come un “sì”. A ruota, gli indecisi, Manola e Claudio, cedettero.
Martin tirò fuori, allora, la tavola
ouija in modo teatrale.
- Era di mia nonna, se l’è portata dietro dalla Polonia. - Disse. – Lei faceva la cartomante a Boca.
La fissammo un po’ interdetti. Era fatta bene con tutti gli arabeschi al posto giusto. Ci disponemmo in circolo attorno al tavolo tondo della sala, Pilar prese un bicchiere vuoto e lo capovolse fissandolo al centro esatto.
- Spegni le luci, Martin. - Ordinò poi la padrona di casa, - e prendi tre candele rosse, che le accendiamo. Sono in quel cassetto lì, quello della credenza.
- Tre candele? – Chiesi, senza accorgermene.
- Sì, perché? – Mi rispose Pilar in modo acido neanche le avessi chiesto se il suo seno fosse naturale. - Tre candele ci vogliono, no?
Boh, pensai.
Nel giro di un minuto stavamo già iniziando. Maria era bellissima alla luce soffusa delle candele. Era proprio di fronte a me. Mi chiesi come avrebbe reagito se le avessi sfiorato una coscia con il piede.
Ma quella fu l’ultima delle mie osservazioni veniali perché poi avvenne quello che avvenne.
Pilar voleva dare di se stessa un’immagine signorile in tutto quello che faceva. La signorilità è qualcosa che trasuda in un borghese, non la si può lavare nemmeno con anni di conversione alla causa dei poveri. Così era lei. Onde per cui, s’immerse nella parte di medium con estrema efficacia e un poco di teatralità, vaneggiandosi con quel suo lungo vestito invernale e scollato. Noi, intanto, tenevamo tutti le dita appoggiate al bicchiere, come avevamo visto fare nei film.
- Spirito! Spiritoooo! – Cominciò la ragazza.
- E dacci un taglio, Pilar! Sembri la strega cattiva di Biancaneve. - Le fece Hugo, ridendo, tra il biasimo di tutti e degli “Ssssh!” d’indignazione. Inarcai un sopracciglio. Mi chiesi perché mai mi stessi umiliando in quel modo per stare dietro a una donna.
"É il suo sorriso", mi sentii rispondere. "Quella smorfia che conosci bene. Per quello stai qui."
Già, mi risposi, fissando la mia musa, e il sopracciglio tornò al suo posto.
- Spirito, ci sei? – Ora Pilar sembrava meno teatrale e un po’ più pragmatica.
Hugo le diede una botta con la spalla e le disse:
- Ma non dovevi dire “batti un colpo”, prima?
Pensai che, se fossimo stati dentro un film dell’orrore, Hugo sarebbe stato il primo a crepare, con la gioia di tutti i telespettatori.
Invece accadde una cosa strana. Il bicchiere si mosse verso la lettera “S” e poi verso la lettera “I”. Mi guardarono tutti con un po’ di sospetto. La “S” si trovava dalla parte di Maria, ovvero proprio di fronte a me. Dovevo essere stato io quello che di più aveva contribuito alla spinta. Invece, sai, non era vero. Era successo tutto da solo, non so dirti come.
Non ci credi?
Sorrisi, quella cosa stava diventando davvero curiosa. Mi chiesi dove saremmo andati a finire.
- Spirito, hai qualcosa da dirci? - Chiese ancora Pilar, in tono un po’ meno baldanzoso. Forse, così facendo, ponendo una domanda articolata, pensava che sarebbe stato più difficile per me o per altri fare i furbi.
Ma il bicchiere, in tutta risposta, fece una strana traiettoria. Leggemmo le lettere che indicava, una a una.
M-O-R-I-E-N-T-E-S-T-O-D-O-S-V-E-D-R-E-M-O-S-E-N-T-R-E-U-N-A-H-O-R-A
- Morirete tutti. Verrete entro un’ora… - Mormorò Pilar. - Cosa?
E poi accadde. Ebbi una visione.
Noi, e forse altri, come dei demoni, coinvolti in una specie di orgia indefinibile, tra sesso e sangue. Una stanza rossa. Corpi nudi, con qualcosa sulla testa, e ferite, sfregi sulla pelle, urla. Le nostre urla.
Urlammo tutti insieme. Perché quella visione, amico mio, l’avevamo vissuta tutti.
Dopo esserci confrontati, cercammo di razionalizzare. Io prima degli altri.
- Sentite, - feci con un bicchiere di sangria in mano. - Non è successo niente, è stata solo suggestione. Questo, in genere, accade quando si fanno queste cose. É un classico.
- E come ti spieghi - mi attaccò Claudio, il "brutto competitivo" - che abbiamo avuto tutti, tutti, la stessa visione? Come te lo spieghi?
Mai razionalizzare, specie quando la razionalizzazione nega l’evidenza e il razionalizzatore diventa il fulcro catartico dove sfogare la tensione di un "brutto competitivo". Mi guardai attorno. Il tavolo
ouija ancora rovesciato, le ragazze in preda a una crisi isterica, abbracciate l’una all’altra, Martin che fumava una canna e giocava, nel frattempo, con la maniglia della porta.
- Non lo so, non me lo spiego. - Ammisi.
Con la coda dell’occhio ero distratto dai movimenti di Martin.
- É chiusa. - Diceva.
- Cosa non ti spieghi? - Incalzò Claudio come se fossi stato io il colpevole di quello che era successo. Trassi spunto, in quel momento, per imparare una lezione morale. “A volte tacere è importante perché se parli, indipendentemente da quello che dici, catalizzi l’odio verso di te.”
- É chiusa, cazzo. – Ripeteva intanto Martin.
- Non mi spiego niente, dicevo solo che…
- Ti ha detto che non se lo spiega! - Intervenne Hugo. Per lui quell’intervento doveva essere un assist per una battuta, che non ebbe però il tempo di pronunciare. Si girò anche lui verso Martin.
- No! Devi spiegarmi! Come mai! – Claudio era fomentato dal mio modo mite di affrontare i contraddittori. Tutti, amico mio, scambiano spesso la mia gentilezza per debolezza.
- Piantatela, ragazzi! – Intervennero le ragazze. Manola, in particolare, sembrava la più sconvolta di tutte.
- Mi volete stare a sentire? - Urlò Martin - Questa porta, la porta della sala, è chiusa a chiave! Com’è possibile? Non possiamo uscire.
Ci fiondammo tutti a vedere. In effetti, era proprio chiusa. Era strano. Pilar sosteneva che quella porta non avesse chiavi. E poi da lì era uscita Gabriela, solo un’ora prima.
- Oddio, il Demonio! – Fece Pilar, accasciandosi al suolo.
- E questo, adesso, come te lo spieghi, eh? Come te lo spieghi, genio! – M’incalzò di nuovo Claudio.
Per tutta risposta, gli diedi una sberla e lo feci volare come uno straccio. Sai, amico mio. Ti ricordi della gentilezza di cui prima? Bene, ha un limite, pure quella.
C’era qualcosa di strano, però. La porta, che si apriva verso l’esterno, unica via di fuga dal salotto e di conseguenza dalla casa, era come sigillata. Provammo a buttarla giù a calci e spallate, senza risultato. Non era una di quelle porte massicce ma non era meno così resistente. Era molto strano. Era come se ci fosse dietro qualcosa. Come una leva. Ovviamente, il telefono si trovava nell’altra stanza. E lo udimmo squillare.
- Il telefono! - Fece Pilar, irrequieta. - Chi sarà a quest’ora? I miei hanno chiamato nel primo pomeriggio.
Il telefono continuava a squillare.
- La porta è chiusa per farci restare qui e morire tutti, come nella nostra visione! Avete capito? Questa stanza diventerà rossa con il nostro sangue e poi, e poi ….- Detto questo Pilar urlò, in preda all’isteria.
Il telefono smise di squillare.
Manola e Maria si avvinghiarono attorno a Pilar per cercare di consolarla e di placarla, ma cominciarono anch’esse a piangere. Fissai Maria. Era bella anche quando piangeva, ma vederla piangere sfilava via l’anima. Noi ragazzi contemplammo le ragazze con un certo imbarazzo, convinti della nostra carenza d'iniziativa. Eravamo il sesso forte ma non eravamo ancora venuti a capo della situazione. Certe convinzioni non le può sradicare nemmeno il più profondo materialismo dialettico. Noi maschi, loro femmine.
- Ragazze - fece Hugo, quasi leggendomi nel pensiero. - Ma che razza di materialiste siete! Vi fate suggestionare dai fantasmi? Il comunismo è più forte di qualsiasi demonio. Prenderemo il Diavolo e lo deporteremo in Siberia!
- Piantala, Hugo. - Disse Pilar, ed era strano vederla così determinata. Prima giocava a fare la signora, ora lo era diventata, una signora. Era anche lei, davvero, una bellissima ragazza. - La visione, l’avete vista tutti? Pensiamoci! Che cos’era? Cosa ci facevamo là? Era l’Inferno, quello? Ci torturavano? Ci… o mio Dio!
Tutti tacquero, immersi in se stessi. Compreso me. Cercai di ricordare, ma qualcosa me lo impediva. L’orrore non confortava il ricordo. Presi una decisione improvvisa.
- Sentite. Il telefono è di là. Davanti alla finestra, abbiamo il giardino. Anche se urlassimo, non ci sentirebbe nessuno. Ma siamo solo al secondo piano. Giù, saranno sì e no dieci metri. Sono magro. Se facciamo dei nodi a qualche tovaglia, mi calerò in giardino, farò il giro, risalirò e troverò il modo di liberarvi tutti.
- Ma sei matto? - Mi fece Maria, avvicinandosi, con gli occhi ancora lucidi dal gran piangere e sfiorandomi il braccio. - É pericoloso, non puoi!
Stava in pensiero per me? Era proprio così, amico mio. Qualcosa si mosse nel mio basso ventre. Certo, capisci bene perché qualcuno ha detto che le donne sono il motore del mondo? Per lei avrei fatto anche le capriole col triplo salto mortale all’inferno e sarei anche tornato indietro.
Mi esaltai.
- Compagni! Datemi una mano, per favore. Vediamo di risolvere questo problema in fretta che, oltre tutto, devo anche andare in bagno a pisciare.
Così, ti racconto la fine della storia.
- L’avete legata bene? Non vorrei si staccasse. – Dissi. Pilar aveva tirato fuori il suo corredo di nozze. Era di lino, molto pregiato.
- É legata bene! - Fece Claudio, un po’ invidioso del mio ruolo di eroe e un po’ rancoroso del ceffone che gli avevo dato.
Mi voltai.
Fuori era notte fonda ormai, il freddo era intenso.
Buenos Aires, le luci oltre il giardino, i ricordi del Mundial appena vinto.
Povera mia amata città. Povero mio Paese calpestato, davanti alle onde di un oceano testimone e ruggente.
- Vado.
Mi sporsi dal davanzale mentre tutti gli altri tenevano l’altro capo delle lenzuola annodate.
- Accidenti, al cinema sembra più facile.
Ma ero già sceso di qualche metro.
- Stai attento, ti prego! - Fece Maria.
Alzai gli occhi per guardarla. Com’era bella. Il suo viso sembrava una luna, il suo sorriso scintillava in bianco rifrangendosi di luci pur in una notte senza stelle.
Ce l’ho ancora davanti quel viso.
Perché fu l’ultima volta che lo vidi.
Appena giunto a terra, degli uomini senza uniforme mi afferrarono, coprendomi di colpi e insulti, infilandomi un cappuccio sulla testa e trascinandomi via.
Per concludere, amico mio. Ormai sai tutto. Tutto è chiaro davanti ai nostri occhi.
Gabriela Spitoni era la spia. Da quello che ho intuito ci seguiva da tempo. Uscendo, aveva messo qualcosa dietro la porta. Forse una sedia o un mobile o qualche gancio di quelli che ha la Polizia. Per non farci uscire, certo. Poi, una telefonata silenziosa e via.
Forse l'ha fatto per trattenerci. O per vendetta. O forse la polizia era troppo indaffarata nelle retate, quella notte, e aveva bisogno di un po’ di tempo in più per arrivare anche da noi e catturarci tutti insieme.
Il tempo di una seduta spiritica. Non lo trovi buffo?
Quanto alla visione. Ora è chiara. Ci hanno portati tutti dentro una stanza rossa. Ci hanno denudati, torturati, tutti insieme, poi una alla volta, hanno violentato le ragazze. Ho sentito le loro urla disperate, quelle di Maria, senza poter mai rivedere il suo viso, nemmeno una volta.
Ho sentito poi anche le urla degli altri. E le mie. Le mie le hai imparate a riconoscere bene anche tu. Specie quando mi infilato gli elettrodi della batteria sui testicoli e chiudono il circuito.
Sì, in un certo senso questo è davvero l’inferno. Qualcuno, uno spirito, voleva avvertirci. Si sa, i morti conoscono il futuro.
Chissà dove sono gli altri... Sono ancora vivi? Non lo so.
Ora però sono qui, non so da quando, probabilmente in quella stessa stanza rossa. Credo che non mi abbiano mai spostato da lì. ma non ne sono sicuro.
Racconto com’è andata a te, vicino di stanza. So che mi ascolti, oltre la parte di cartongesso, anche se non puoi parlare per via del bavaglio che hai alla bocca.
Io morirò, me l’ha detto lo spirito. Ma se tu dovessi farcela, lo spero, ti prego, racconta questa storia. Qualcuno deve sapere. Non importa che tu sappia o meno il mio nome, il mio nome non è importante. Voglio che ricordi almeno il suo nome, Maria Bellotti.
Dedicato a Hector German Oesterheld
Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare questo racconto su Skan Magazine
Edited by mark it zero - 26/12/2013, 09:56