| Non pensavo proprio di farcela stavolta, ma alla fine qualcosa è venuto fuori...
Lo specchio insanguinato
Riflesse nel pesante specchio sul muro, le fiammelle delle candele nere sembravano trovarsi in un'altra dimensione. Volute di fumo acre serpeggiavano nell'aria, seguendo a tratti i contorni di una figura che appariva come poco più di un'ombra mentre cantilenava in una lingua incomprensibile ai più, tracciando simboli arcani nella notte con la punta delle dita. La lama di un coltello ricurvo tagliò l'oscurità per un istante, quindi guizzò lungo il palmo di chi la impugnava, lasciando che il sangue fluisse. Le dita, ora intinte nel rosso fluido vitale, ripresero la loro danza, ma questa volta a contatto con la superficie dello specchio, tracciandovi rune e lettere dai contorni incerti. I simboli ristettero sul vetro per non più di qualche istante prima di iniziare ad affievolirsi e divenire indistinti. Come assorbiti dalla fredda superficie sottostante, scomparvero in fretta senza lasciare altro di sé che un riflesso.
Piegato sulle ginocchia, sul molo del porticciolo proprio al di sotto del ponte est, il dottor Melkor osservava il cadavere insanguinato con l'occhio esperto di chi trascorre più tempo della sua vita con i morti che con i vivi. Sul grosso muso taurino, le sue narici fremevano come inquiete mentre inalavano l'aria, fragrante di pioggia trattenuta. «Scoperto qualcosa?», domandò una voce alle sue spalle. Il minotauro si voltò quanto gli era possibile senza mettere a rischio il suo già precario equilibrio. Nonostante la posizione, si ritrovò a fissare il suo interlocutore dall'alto in basso. «Sa,» esordì, «a questo punto il detective Delmenar avrebbe già fatto un commento acido sul mio annusare un cadavere.» «È un peccato che non sia qui, allora», commentò di rimando il nano. «Sono certo che avrei apprezzato la sua risposta». Melkor tornò a voltarsi. «È tutto molto simile ai due delitti precedenti...» «Mi perdoni,» lo interruppe il nano, «mi sono stati consegnati i fascicoli del caso solo poco prima di lasciare la centrale, e non ho ancora avuto modo di approfondire. Leggere in volo mi annoda lo stomaco. Mi farebbe un riassunto?» Il dottore si rimise in piedi, lisciandosi i pantaloni sopra gli zoccoli. «È presto detto: ferite superficiali al volto e gola squarciata, il tutto causato da artigli di qualche genere. Gli esami sui corpi precedenti hanno rilevato che i segni non coincidono con nulla che sia originario di questo piano dell'esistenza, e le tracce magiche residue sui corpi confermerebbero che si tratti di qualcosa evocato da altrove». «Che è il motivo per cui il caso è stato trasferito dalla omicidi al dipartimento di controllo della magia.» «Sì, lo immaginavo. A parte quello, finora non è stato possibile capire a cosa appartengano di preciso le tracce, e in tutti e tre i casi ho rilevato questo odore residuo, come di... di... argenteria appena lucidata.» «Immagino lo sappia che questa descrizione non mi è di molto aiuto.» Il minotauro sospirò, anche se il suo parve più uno sbuffo. «Lo so, descrivere un odore a chi ha un olfatto meno sviluppato è un po’ come cercare di spiegare un colore a un cieco». «Comunque cosa potrebbe voler dire? Che le vittime sono state uccise con una forchetta ben pulita?» «No, non credo, le ferite... ah, presumo fosse una battuta.» «Più o meno... Ma ha detto che è tutto molto simile, non uguale. Dov’è la differenza?» Melkor si guardò intorno. «Innanzitutto, nella scena. Non è il mio campo, certo, ma le altre vittime sono morte a casa loro, e dubito che questa donna abitasse qui in strada». «No, ma ci passava parecchio del suo tempo», asserì il detective con convinzione. Il medico legale sgranò gli occhi. «Come lo sa? La conosceva?» «No,» continuò il nano, passandosi una pietra bianca e liscia tra le mani, attivando così la protezione che gli avrebbe impedito di contaminare le prove, «ma ognuno ha le sue cose da esaminare». Si piegò e indicò all’altro una borsetta il cui contenuto era sparso tutto intorno. Ignorò i vari oggetti da toeletta e raccolse con due dita un rettangolino rigido delle dimensioni di una carta da gioco, sollevandolo perché il dottore potesse vederlo bene. «Una dama di Fashia», commentò questi, chinandosi per osservare meglio il documento di identità. «Ha senso, del resto chi altri si aggirerebbe di notte in quest’area se non spacciatori e prostitute?» «E dovunque ci siano prostitute, le dame di Fashia non mancano mai», concluse il nano. «Peccato che questo non ci aiuti a capire come e perché sia morta. Forse però potrebbe aiutarci a trovare un collegamento con le altre vittime». Melkor mugghiò sommessamente. «Ho visto dove vivevano le altre vittime. Non credo fossero tipi da frequentare dame di Fashia». «Forse però erano tipi da frequentare prostitute», obiettò il nano. «Ne saprò di più appena avrò letto gli incartamenti, lei mi tenga informato su qualunque...» «Un secondo, detective Stonehand, non ho finito. C’è qualcos’altro di diverso rispetto ai primi due casi». Il nano gli rivolse uno sguardo interrogativo. «Le altre vittime presentavano ferite da difesa alle braccia e alle mani, che in questa sono assenti. Quelle al volto e alla gola sono dello stesso tipo, ma in scala molto ridotta». «Quindi abbiamo due creature simili ma di taglia diversa?» «O, gli dei non vogliano, ne abbiamo una che si sta riproducendo.»
Shim Stonehand varcò l’entrata della centrale di polizia con la testa invasa dai pensieri e il volto immerso nei fascicoli del caso che gli era stato assegnato. Aveva tentato di iniziare a studiarli sul tappeto volante col quale era rientrato ma, nonostante ci fosse un agente a pensare alla guida, il fatto stesso di essere per aria gli impediva di concentrarsi, e ogni parola sembrava scendergli giù per le viscere anziché salirgli al cervello. Salutò l’agente di guardia all’ingresso con una specie di grugnito, ed era già quasi a metà strada verso il suo ufficio quando si rese conto che questi stava tentando di dirgli qualcosa. Si voltò, senza tornare indietro, e alzò lo sguardo in silenzio. «Detective, la stanno attendendo in sala riunioni», spiegò il giovane, avvicinandosi come se lo credesse sordo. «Chi e perché?» domando lui in tono asciutto, ricacciando dentro di sé la sensazione che avrebbe dovuto saperlo. «Tutti i capi sezione, per l’incontro preliminare con l’esperto di tecniche di interrogatorio», sciorinò l’agente come se avesse imparato la lezione a memoria. Shim inarcò un sopracciglio. Sì, avrebbe dovuto saperlo, ma l’aveva del tutto dimenticato. Altrimenti avrebbe evitato di tornare in ufficio ancora per qualche un po’. C’erano panchine comodissime al parco dove mettersi a leggere un fascicolo o due. Alzò lo sguardo verso la camicia dell’agente. «Dorn. Nuovo?» chiese. «Fresco di accademia.» «E se ti dicessi che non sono qui?» azzardò. «In che senso?» chiese l’altro con aria confusa. «Nel senso che non ci sono, non mi hai visto». «Ma le sto parlando, quindi deve esserci». Il nano sospirò. «Giusto. Ottimo spirito d’osservazione, farai carriera». Il volto del poliziotto si illuminò. «Davvero?» «Certo», confermò il detective, voltandosi e riprendendo il cammino, «resta solo da capire dove», aggiunse tra sé. «Detective?» Shim si voltò nuovamente. «La sala riunioni è dall’altro lato». Il nano si batté il palmo di una mano sulla fronte con aria teatrale. «Giusto, l’avevo dimenticato!» esclamò con più enfasi di quanta fosse nanescamente possibile, e, grugnendo, invertì il senso di marcia. Quando entrò nella sala riunioni scoprì, senza troppa sorpresa, di essere buon ultimo. Tutti i capi sezione erano già seduti in giro per la sala ad ascoltare un uomo dalla faccia tonda e dai radi capelli rossicci. Celendlinis Delmenar, della omicidi, era come sempre in prima fila, probabilmente a domandarsi perché non fosse ancora più avanti, a parlare lui stesso ai presenti, mentre Miwar, capo della sezione furti e rapine, si era accomodato sul tavolo e si stava leccando ostentatamente una zampa, riservando al relatore la stessa attenzione che riservava al muro della stanza. O forse meno. «Oh, abbiamo un ritardatario!» esclamò di botto l’ometto, come se la cosa, oltre che eccezionale, fosse motivo di giubilo. «Lei è?» «Shim Stonehand, dipartimento di controllo della magia». «Bene, bene. Stavo giusto chiedendo ai suoi colleghi se ci fosse un volontario per una dimostrazione, penso di averlo trovato.» «Sì? E chi è?» domandò il nano, impassibile. «Lei, naturalmente, visto che è già in piedi. Non abbia timore, si avvicini.» «Non abbia timore, mi avvicino», commentò Shim, con l’aria di intendere l’esatto opposto, almeno per quanto riguardava la prima parte dell’affermazione. L’uomo lo guardò con un’espressione confusa sul volto, ma non reagì in alcun modo. «Ora,» proseguì dopo essersi schiarito la gola, «le farò alcune domande. Si senta libero di mentire quando vuole». Il nano si strinse nelle spalle. Il relatore iniziò. «Come si chiama?» «Shim Stonehand.» «Quanti anni ha?» «Duecentotre.» «Che lavoro fa?» «Trapezista in un circo.» L’uomo inarcò un sopracciglio. «È sposato?» «No. Ma se è una proposta non mi interessa.» «Ha figli?» «Otto.» Qualcuno in fondo alla sala tossì. L’esperto si voltò nella direzione del suono, scosse la testa, tornò a guardare il nano. «Ha mai ucciso qualcuno?» «Ci sto pensando.» L’uomo si terse la fronte con la manica della camicia. «Ma... lei sta bene?» domandò, sbattendo nervosamente le palpebre. «Ha, non so... una paresi?» «Sto benissimo, glielo garantisco. Lei, piuttosto?» «Io? Io cosa?» «È sicuro di star bene? Ha una faccia. Dovrebbe guar... cavolo!» «Cosa? Che succede?» domandò l’uomo, preoccupato. «Niente, devo andare», ribatté Shim facendo un rapido dietrofront. «Grazie della dimostrazione, molto istruttiva, addio», e scomparve oltre la porta.
Il cadavere del porto era stato trasferito all’obitorio della centrale, e il dottor Melkor si stava apprestando a compiere l’autopsia, anche se era convinto che non avrebbe aggiunto molto a ciò che già sapeva. Aveva già esaminato il corpo in quanto tale sulla scena del crimine e ora, prima di iniziare gli esami più approfonditi, lo stava osservando in quanto essere vivente, o che tale un tempo era stato. Era un’umana di mezza età, così gli pareva si definissero intorno ai cinquant’anni, e di bell’aspetto, per i loro canoni. Lunghi capelli castani, occhi scuri, aspetto curato. Anche nella morte aveva la tipica aria di alterigia delle dame di Fashia, paladine delle prostitute che esse lo volessero o meno. Al minotauro non era mai stato troppo chiaro se volessero portare via le ragazze dalla strada o insegnar loro a starci meglio. Prima che potesse tentare di darsi una risposta, la porta si spalancò di botto e Shim Stonehand irruppe nella stanza, tenendo entrambe le mani dietro la schiena. «Chiuda gli occhi e si chini!» gli intimò il nano. Melkor lo guardò incuriosito. «Detective, non siamo così intimi». «Mi accontenti, le spiegherò dopo, promesso», insistette il nano. «È importante». Il minotauro si strinse nelle spalle e abbassò le palpebre. Fare a meno della vista per un po’ non era un grosso sforzo per lui, non si trattava comunque del senso principale con cui affrontava il mondo, contrariamente agli umani e, per quel che ne sapeva, ai nani. «Annusi», si sentì dire, e dallo spostamento d’aria capì che il detective gli stava mettendo qualcosa davanti al muso. In quanto all’odore, però, sentiva solo quello di Stonehand stesso, oltre al normale odore di fondo dell’obitorio. «Cosa dovrei sentire?» domandò. «Niente, ora annusi di nuovo.» Un altro spostamento d’aria e qualcosa gli colpì le narici, metaforicamente parlando. «Somiglia all’odore sulle scene del crimine!» esclamò. «Non è proprio identico, ma è molto simile». «Può anche riaprire gli occhi, ora.» «Giusto», commentò il minotauro eseguendo. Il detective aveva un rettangolo piatto in una mano e un pezzo di vetro nell’altra. «Cosa mi ha fatto annusare?» Il nano sollevò i due oggetti in successione, enunciando: «Uno specchio, e uno specchio rotto». «Uno specchio?» Melkor rifletté un istante. «Ma certo! La base riflettente contiene argento, ma non ricordo specchi rotti sulle scene del crimine». «Perché non c’erano, ma forse la creatura si è portata dietro l’odore venendo fuori da uno integro.» «Questo spiegherebbe parecchie cose, in effetti», assentì il dottore. «La creatura che ha assalito la terza vittima era più piccola...» «... perché è uscita da uno specchio da borsetta, probabilmente mentre la donna si stava pettinando o sistemando il trucco», finì Shim per lui. «Per cui non ha potuto usare le mani per difendersi. Ma quindi... con cosa avremmo a che fare?» «Bella domanda», sospirò Shim. «La magia degli specchi è prerogativa delle streghe, ma questo è un genere di stregoneria che non ho mai visto». «Almeno sa qualcosa in più rispetto a prima», osservò il medico legale. «Già. Immagino sia meglio che ricevere un calcio nei denti», commentò Shim, lasciando la stanza.
Shim mise da parte il fascicolo relativo alla prima vittima, dal quale non aveva ricavato nessuna informazione utile, e aprì quello della seconda. Si trattava di una donna, che dimostrava sui quarant’anni sebbene la scheda dicesse che ne aveva cinquantasei. Il detective diede una scorsa al resto dei dati anagrafici, poi si bloccò quando lesse la professione. Saltò giù dalla sedia, si lanciò fuori dall’ufficio e nella sala comune. «Rayman!» Un agente alto e massiccio dai corti capelli biondi lo raggiunse un attimo dopo. «Detective?» «Prendi un tappeto e raggiungimi sul tetto», gli ordinò il nano mentre già si avviava verso l’ingresso, «andiamo al Piaceri Per Tutti». «Ma, detective!» obiettò Dorn dal bancone della reception. «Durante il servizio?»
Nonostante il nome, che troneggiava in caratteri rosa e svolazzanti sul vetro satinato della porta, la sede del Piaceri Per Tutti si sarebbe potuta tranquillamente scambiare per quella di un’azienda che vendeva artefatti magici o qualcos’altro di non meno serio e morigerato. Shim aveva l’impressione che le cose sarebbero cambiate se avesse superato l’ingresso e si fosse inoltrato nel resto dell’edificio, ma non aveva alcuna intenzione di farlo. «Detective Stonehand», si presentò all’impiegata dietro il bancone, mostrandole il distintivo, «devo parlare con il direttore». «Ma... abbiamo passato l’ispezione di legge la scorsa settimana...» «Non sono qui per un’ispezione, sono del DCM, sto indagando sull’omicidio di Viena Mar». «Di nuovo?» si stupì la donna. «Di nuovo?» le fece eco il nano. «Volevo dire... mi scusi, le chiamo il direttore», farfugliò lei, sfiorando una semisfera di cristallo incastonata nel piano che aveva davanti. Shim avrebbe davvero voluto poter ascoltare la conversazione, ma dovette accontentarsi di attendere che fosse terminata. «Perché di nuovo?» chiese infine. «È già stato qui un suo collega la scorsa settimana, il detective Dem... Dlen... Dlendlon?» «Celendlinis Delmenar?» «Può essere.» «Già, può essere», constatò Shim, che non aveva trovato traccia di un simile interrogatorio nel fascicolo. Inutile protestare col collega, poteva già immaginarsi la risposta: «Il caso mi è stato tolto senza preavviso, non ho avuto tempo di compilare il rapporto», o qualcosa di molto simile. Le sue riflessioni furono interrotte dall’arrivo di un uomo in completo elegante. Umano almeno in apparenza, molto giovane, capelli corti e tirati all’indietro, sembrava il prototipo del manager in carriera. «Aram Wain», si presentò il nuovo arrivato, tendendogli una mano che Shim finse di non notare, «come posso aiutarla?» «La signora Viena Mar lavorava qui?» «Certo», rispose l’uomo senza esitazione, «era una delle nostre selezionatrici». «Ovvero?» «Selezionava il personale femminile che aspirava al ruolo di intrattenitrice. Era una delle migliori». «Quindi non era una... intrattenitrice.» «Non più, ma lo era stata in passato. Prima del mio arrivo qui, in effetti.» «Aveva dei nemici che lei sapesse?» «Forse qualche ragazza che aveva scartato, ma non saprei come indicargliele, non ne teniamo traccia.» «Capita spesso che vengano scartate delle ragazze?» «Più di quanto possa immaginare.» Il nano lo guardò, accigliandosi. In effetti non riusciva proprio a immaginarsi delle ragazze che facessero la fila per diventare prostitute di classe, a prescindere da come si facessero chiamare, e potessero anche risentirsi per non essere state accettate. Con una scrollata di spalle, estrasse due immagini dal taschino della giacca. «Conosce queste persone?» Il direttore le osservò attentamente. «No, non mi dicono nulla». «Non le ha mai viste prima? Neppure la signora?» «Non che io ricordi, dovrei?» «Era una dama di Fashia.» «Ah, non ne vediamo spesso da queste parti. Si occupano più delle ragazze di strada che delle professioniste.»
Eppure un legame doveva esserci, pensava Shim mentre vuotava tasche e cintura d’ordinanza sul tavolino dell’ingresso di casa sua. Aveva fatto tardi in ufficio studiando ogni minima sfumatura del caso, senza trovare nulla, ma sapeva che doveva esserci qualcosa. Attacchi del genere non erano casuali, qualcuno doveva averli scatenati di proposito. Il problema era capire chi e perché. Si tolse la giacca, poi andò in bagno, si lavò le mani e si sciacquò il viso. Alzò lo sguardo verso lo specchio giusto in tempo per notare una smorfia inattesa sul suo volto riflesso, e vedere due mani artigliate afferrare la cornice dal lato opposto. Scattò all’indietro mentre la creatura emergeva dall’altra parte. Sembrava una versione distorta di Shim stesso, con la pelle secca e squamata e gli occhi iniettati di sangue. Prima che potesse saltargli addosso, lui era già in corridoio, diretto verso la porta. Non si voltò prima di aver estratto la bacchetta dalla cintura, e quando lo fece era già pronto al fuoco. Tre dardi luminosi partirono in rapida successione verso il bersaglio. Uno lo mancò; i due che lo colpirono vennero riflessi come da uno specchio e si dispersero nel soffitto. La creatura non se ne diede peso e continuò ad avanzare, fendendo l’aria con gli artigli. Il nano valutò la situazione. Non avrebbe fatto in tempo a prendere le chiavi e aprire la porta, doveva trovare il modo di proteggersi intanto che pensava a una linea d’azione. In mancanza di alternative migliori, scartò di lato e si lanciò oltre lo schienale del divano, atterrando sui cuscini e da lì rotolando sul pavimento giusto in tempo per vedere il suo povero sofà lacerato da un unico colpo del mostro, che sparse imbottitura e frammenti di tessuto tutto intorno. Probabilmente la sua non era stata una grande idea. Da lì poteva dirigersi solo in cucina, indifendibile. Tra lui e il resto della casa c’era il suo doppio malvagio e non aveva modo di evitarlo, salvo tornare verso l’ingresso, ma a che scopo? Salvo riuscire a cacciarlo nello specchio di fianco alla porta, non vedeva che utilità avrebbe avuto tornare sui suoi passi. A meno che... L’idea era azzardata, ma avrebbe potuto funzionare. Mentre il mostro continuava a farsi strada tra molle e piume, il nano si mosse di lato, un passo alla volta, tenendo sempre il divano tra sé e lui. Solo all’ultimo secondo si lanciò in una capriola che lo riportò al punto di partenza, spalle alla porta. La creatura si voltò immediatamente. Ora si trattava di fare bene i conti. Puntò la bacchetta e sparò una raffica di colpi, variando di pochissimo l’angolazione tra uno e l’altro. I dardi di luce colpirono la superficie dello specchio e rimbalzarono verso il salotto, per lo più finendo contro mobili e pareti senza causare danno alcuno. Un paio però presero la giusta traiettoria, e quando impattarono con la creatura non vennero respinti, questa volta. L’essere aprì la bocca come per dire qualcosa, mostrando una chiostra di denti aguzzi, ma non emise alcun suono. Si abbatté in silenzio sul pavimento e prese a mutare. Dapprima scomparvero zanne e artigli, rendendolo una copia quasi perfetta di Shim. Poi cambiò del tutto, assumendo le fattezze di una ragazza sconosciuta. Il nano si chinò su di lei giusto in tempo per vederla svanire nel nulla, e rimase a lungo a fissare il punto in cui era stato il suo viso. Sapeva di non averlo mai visto prima, eppure gli ricordava qualcuno. Tornò all’ingresso e prese il suo cristallo di comunicazione. “Dottor Melkor, mi sente?” trasmise. Dovette attendere un po’, ma poi i pensieri del minotauro si udirono chiari nella sua mente: “Mi dica detective, la ascolto”. “Bene, dovrebbe farmi un favore. Le invio un’immagine...”
Il mattino dopo, entrando alla centrale, Shim ammirò l’espressione del tutto neutra sul volto dell’agente all’ingresso. «Sorpreso di vedermi, Dorn?» chiese. «Io? No, perché dovrei esserlo, detective?» «Forse perché hai mandato lo spirito di tua sorella, o dovrei dire sorellastra?, a uccidermi.» L’agente impallidì. Peccato, proprio ora che stava per consigliargli una carriera come attore. «Come l’ha capito? Non c’era arrivato nessuno finora.» «Non avevano scavato abbastanza a fondo, ma l’indagine era ancora aperta, prima o poi sarebbe venuto fuori. Ora vorresti spiegarmi perché?» «Vendetta, detective, che altro? È stato quell’uomo a ucciderla. Era un pervertito fuori controllo. Lo sa che è riuscita a contattarmi poco prima di morire? Ma era troppo tardi.» «E le altre vittime? Che c’entravano loro?» «Non erano da meno. Avrebbe almeno lavorato in sicurezza se non l’avessero scartata da quell’agenzia, e quella donna, la dama di Fashia... era lei a metterla in contatto coi clienti facoltosi. Lei mi raccontava tutto.» «Capisco... ma non capisco perché fare questo. Sei un poliziotto, avresti potuto seguire i canali ufficiali invece di impelagarti nella negromanzia.» «Non è negromanzia, le streghe sono brave a imitare le altre forme di magia, non lo sapeva?» «Fa differenza?» «Immagino di no, ho comunque avuto quello che volevo. Se avessi tentato di denunciarlo, quell’uomo sarebbe stato libero in pochi giorni, e le altre due poi...» «Se è questo che credi... temo avrai molto tempo per rifletterci su, scusa il gioco di parole. Ti dichiaro in arresto.» «Non credo proprio!» esclamò l’agente afferrando qualcosa da sotto il bancone. «Non so come sia sopravvissuto ieri, ma non devo necessariamente aspettare la notte per evocare la vendetta». Shim rimase impassibile. «Forse no, ma ti sei reso conto di dove sei?» rispose, abbracciando con lo sguardo il locale. Diversi agenti erano accorsi e stavano in piedi attorno al bancone, alcuni già con le bacchette spianate. E pensare che per un po’ aveva pensato che, dopo tutto, Dorn fosse parecchio più intelligente di come appariva. Se non altro, dimostrò di non esserlo molto meno quando poggiò davanti a sé l’oggetto che aveva in mano. Shim scoprì senza alcuna sorpresa che si trattava di uno specchio. Mentre ammanettava l’agente, dopo averlo fatto voltare, casualmente si ritrovò a guardarne la superficie, e per un istante gli parve di vedervi comparire il volto della ragazza che aveva visto la notte prima. In quella fugace visione, credette di vederla sorridere.
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