La portaLa porta era un rettangolo di oscurità ritagliato nel bianco asettico di una parete sconfinata.
Impossibile sapere cosa vi fosse al di là; l’ultimo essere umano l’aveva attraversata poco prima del Grande Cambiamento, ai tempi in cui i viaggi interstellari erano ancora un’utopia, e il cosmo un territorio sconosciuto. Tutti sapevano dove fosse e come raggiungerla, ma nessuno l’aveva più cercata da allora.
Da pochi passi di distanza, l’uomo la osservava, con lo sguardo perso nelle sue profondità, come tentando di penetrarne i segreti, ma non c’era nulla che potesse vedere o percepire, salvo un vago senso di attesa, come un respiro trattenuto.
«Sei sicuro di volerlo fare?»
La voce, femminile e dal timbro leggero, sembrava provenire da un punto alla sua destra. Lui non si voltò per cercare di individuarne la fonte. Rimase per qualche istante in silenzio, passandosi con lentezza una mano tra i capelli scuri, come a voler accalappiare dei pensieri in fuga.
«Sì», disse infine. Quell’unica sillaba riverberò nello spazio circostante, espandendosi all’infinito.
«Perché?» chiese ancora la voce.
«Sai perché. È l’ultima frontiera, l’ultima incognita, la conoscenza perduta.»
«Non è questa la ragione», disse la voce in un tono difficile da decifrare, un misto di rassegnazione e timore, di rabbia trattenuta e paura.
L’uomo sospirò, continuando a guardare il passaggio dinnanzi a sé. «Ho visitato ogni angolo della Terra,» disse in tono malinconico, «ho viaggiato attraverso le galassie ed esplorato l’universo, perché credi che io abbia altri motivi?»
«L’universo è infinito, dovunque siamo stati ci sarà sempre altro da vedere, da scoprire, non serve che tu debba farlo qui.»
«Forse è questo il problema, ci siamo spinti così lontano da dimenticare ciò che abbiamo sempre avuto a portata di mano.»
«Non l’abbiamo dimenticato, abbiamo scelto di lasciarcelo indietro.»
«Allora sai dirmi cosa c’è dall’altra parte?» domandò lui in tono conciliante.
Trascorse qualche istante prima che la risposta giungesse e, quando lo fece, fu poco più che un sussurro: «Sai che non posso, nessuno può».
«Nessuno che sia ancora in vita», precisò lui.
«È passato così tanto tempo...» La frase si spense in un lento strascico di silenzio, come se avesse dovuto proseguire ma le fosse mancata la forza di farlo.
«Troppo», assentì lui.
«Ma a me non pensi?» Il sussurro di poco prima era diventato un tono acuto, implorante. «Vuoi davvero lasciarmi indietro così, senza pensarci due volte?»
«Due? Ci ho pensato mille, un milione di volte. E tu? Hai mai pensato che potresti venire con me?»
A rispondergli fu solo il silenzio.
«Hai ancora paura», riprese lui senza nascondere un moto di delusione. «Temi il giudizio della gente, le convenzioni di un mondo che ha perso ogni stimolo».
«Io...» balbettò lei. «Cosa penseranno gli altri, la nostra famiglia, quando lo sapranno?»
All’uomo parve di scorgere in quelle parole un accenno di dubbio, l’idea che lei potesse decidere di accompagnarlo. «Cosa ti importa?» le domandò. «Non saresti qui ad ascoltarlo». Ma, pur senza vedere la sua reazione, solo dall’assenza di risposta, comprese di essersi sbagliato, che ciò a cui lei stava pensando era a come spiegare la sua decisione, non a cosa sarebbe successo se l’avesse imitato.
«Non importa», le disse con un velo di tristezza nella voce.
«Nessuno va al di là della porta», gli ricordò lei come se ve ne fosse stato bisogno, «nessuno l’ha più fatto».
«Eppure sai che un tempo non era così, che un tempo veniva considerato normale farlo. Anzi, che allora la porta neppure esisteva, l’abbiamo creata noi solo per dare un senso a tutto, per avere qualcosa da non attraversare. Ma perché ora è diverso? Cosa è cambiato?»
«Noi siamo cambiati», disse lei, sicura. «Il mondo è cambiato».
«Forse non avremmo dovuto, forse non sarebbe mai dovuto succedere», reiterò lui.
«Il Grande Cambiamento è stato per il meglio.»
«Forse, non voglio dire il contrario». Fece un passo in avanti, tendendo un braccio come se vi fosse stato qualcosa da poter sfiorare. Lei non reagì in alcun modo. «Ma se è così, perché ci è stato imposto?»
«Ma cosa dici? Non ci è stato imposto, abbiamo avuto facoltà di scegliere.»
Lui sorrise a quelle parole, rendendosi conto di come lei non riuscisse a cogliere la contraddizione tra esse e quanto aveva continuato a fare e dire fino a quel momento.
«Sì», rispose. «Ci è stata data facoltà di scegliere, ci è stata mostrata la porta, e poi è stato demonizzato chiunque volesse attraversarla. E anche ora che io sto facendo la mia scelta, tu pensi che io stia sbagliando perché vado contro i dettami della nostra società. Ma che scelta è, se farla significa essere guardati come dei reietti? Siamo liberi di scegliere a condizione di non farlo mai davvero?»
Lei non rispose, forse aveva iniziato a comprendere.
«Devo andare», le disse lui con dolcezza.
«Non devi», replicò lei, di nuovo a voce bassa.
«No, hai ragione. Non devo, voglio. E se un giorno sarai pronta a seguirmi, ti aspetterò». Così dicendo, percorse i pochi passi che lo separavano dalla porta, e senza ulteriori esitazioni la attraversò, immergendosi nel mistero al di là.
Nel mondo materiale, sua moglie guardò i lineamenti del suo volto distendersi e poi le labbra incresparsi in quello che le parve un sorriso.
Con una lacrima che le scorreva sulla guancia, allungò la mano e delicatamente gli abbassò le palpebre, chiudendo i suoi occhi per l’ultima volta.
Spero sinceramente che non serva questa nota per capirlo, ma il tabù che il protagonista infrange è morire, in un mondo in cui ormai la morte è stata bandita