| LA SIGNORA DEI BISCOTTI
Di Alexandra Fischer
La nebbia mostrava a malapena qualche acero dalle foglie rosse. - È prestissimo. Non potremmo aspettare ancora? - Vorrai scherzare. Se non ci sbrighiamo, la signorina venderà tutti i dolci. Il ragazzino sospirò rassegnato davanti alla testardaggine della sorella maggiore. - E va bene. Avvicinandosi alla casa, la stanchezza gli passò di colpo. La casa di mattoni grigi dal tetto spiovente, contava sette abbaini, e lui si divertiva ogni volta a osservarli, per via della buffa creatura che vedeva comparire ogni volta a una delle finestrelle. Gli sembrava un buffo cane bianco dal muso allungato, forse un levriero. Lo disse alla sorella. - Non ho visto niente – rispose lei – ricordati che siamo qui per i biscotti glassati e dobbiamo finirli prima di arrivare a scuola. Altrimenti, il maestro ci prenderà a bacchettate. Sai cosa ne pensa dei golosi. Ricordando cos’era successo alla vicina di banco della sorella, il fratello si massaggiò le mani e annuì. La signorina Sarey li stava aspettando e diede loro il pacchetto con dentro i biscotti caldi di forno. Da come si guardava intorno, la fanciulla capì che la signorina aveva fretta. Pagò e la ringraziò uscendo subito dal negozio con il fratello. La signorina voltò la testa in direzione delle scale, presagendo il grido che arrivò. - Sarey, vieni subito, è tornato. Mi porterà via. - Sì, Meg, eccomi. Nonostante avesse più di sessant’anni, la signorina fece le scale di corsa e aprì la porta della stanza, notando la lampada a olio accesa sul mobile portabiancheria. La spense girando la chiavetta e la prese in mano. - Credevo di averla buttata via ieri – si giustificò con la sorella, confinata a letto da un anno. - Quando hai aperto il negozio l’ho vista di nuovo lì, accesa. Quel demonio bianco vuole la mia fine. Ha già preso i nostri genitori e Mattie. Ora vuole me. - Ti sbagli – disse la sorella – ora butterò via questa lampada. Chiamami, se ti serve qualcosa. - Sto bene. Tu pensa al negozio – le rispose Meg sorridendo dolcemente. La sorella decise di frantumare la lampada e di seppellirla nell’immondezzaio. Non le piaceva il modo in cui la fiammella si agitava all’interno, così simile al respiro strozzato di Meg. La lampada cedette subito ai colpi della vanga, ma Sarey non si lasciò ingannare, sotterrandola più in profondità che poté e sforzandosi di non ripensare alle volte in cui era comparsa nella stanza dei genitori prima e di Mattie poi. Il ricordo del fratello morto giovanissimo di tubercolosi, la turbò, facendole salire le lacrime agli occhi.
Approfittando di un istante di solitudine, Mattie l’aveva chiamata al capezzale. - Ho visto il demone bianco, accucciato sul mio torace, si nutre delle vite di chi vive qui per custodire meglio la casa. Vattene, Sarey.
Lei non c’era mai riuscita. Dopo la morte dei genitori si era occupata della fragile Meg e aveva aperto il negozio di dolciumi per provvedere a entrambe. La sua salute aveva retto, ma il suo spirito si era paralizzato. Non osava lasciare la casa, neppure per gli acquisti. Una volta alla settimana, il gestore dell’emporio le mandava il commesso a ritirare la lista delle commissioni e lo faceva tornare qualche ora dopo con tutto quello che lei aveva chiesto. Sarey lo pagava all’istante, congedandolo subito dopo, per un senso di riservatezza, lo stesso che la fece tornare in negozio immediatamente, colta dal presentimento che potesse esserci qualcuno. Così fu, ma si trattava di clienti abituali che servì con la consueta gentilezza.
A scuola, il ragazzino dalla sorella golosa di biscotti, intinse la piuma nel calamaio per copiare le addizioni dalla lavagna, ma la sua mente decise diversamente, facendogli tracciare il disegno della casa con il negozio di dolciumi con le porte e le finestre chiuse da assi di legno e un cartello scritto in rosso che proibiva di avvicinarsi all’edificio. Subito dopo aver eseguito il disegno, il ragazzino voltò la pagina del quaderno, recuperando in tutta fretta le addizioni che si era perso. La sua grafia, di solito ordinata e lineare, divenne frenetica, così come il suo stato d’animo. Sapeva che la sorella non avrebbe approvato, ma decise di tornare alla casa della signorina Sarey e non per i dolci. Al contrario, il sapore dei biscotti ancora presente nella sua bocca divenne gessoso e metallico allo stesso tempo. Quando la scuola terminò, il ragazzino indossò la giacca e il cappello e avvolse i libri nella cinghia con una fretta incredibile. La sorella lo rincorse. - Gideon, dove vai? Lui non la sentì neppure e corse lungo il sentiero. Non appena fu vicino alla casa, Gideon alzò lo sguardo verso gli abbaini e vide una crepa in quello che aveva ospitato il presunto cane bianco. Abbassando lo sguardo in una delle stanze sempre buie, vide dietro al vetro un suo coetaneo molto somigliante alla signorina Sarey. Non appena questi si accorse di lui, gli fece segno di salire girandosi indietro più volte, finché qualcosa di bianco non lo aggredì. Gideon lasciò cadere la cinghia con i libri e corse in negozio per avvertire la signorina Sarey, trovandola sola in negozio. La donna lo ascoltò con terrore crescente. - Vostro fratello...dobbiamo salvarlo da quella belva. Sarey avrebbe voluto mandare via quel ragazzino. Mattie riposava da molti anni sotto una lapide ormai verde di muschio, ma l’avvertimento che lui le aveva lanciato prima di andarsene la fece pensare a Meg. Incurante del ragazzino, salì di sopra e vide la lampada spenta sul mobile portabiancheria e la sorella a letto, immobile. Sulla coperta di lana bianco panna spiccavano impronte rosse simili a quelle di un grosso ratto. Sarey sentì uno zampettio sotto il letto e rimase immobile. Gideon le comparve alle spalle. - Ci penso io, signorina. Sarey si voltò e lo vide brandire la lampada, riconoscendo negli occhi di lui la stessa luce che aveva animato quelli di Mattie. Gideon si chinò sotto il letto e subito dopo ne seguì un rumore di lotta seguito da ossa che si spezzavano. Il ragazzino si rialzò tenendo da una parte la lampada e dall’altra una forma biancastra tutta insanguinata. - Ha preso Meg e tornerà ancora. Stavolta dovrai andartene sul serio, Sarey. Con la ragione ormai vacillante, la donna annuì. Gideon lasciò cadere la creatura bianca sul bancone del negozio e vi posò accanto la lampada, mentre la signorina Sarey cominciava a ridere senza posa. Quando uscì fuori, vide la sorella con in mano anche la sua cinghia dei libri. - Cosa sei andato a fare, dalla signorina Sarey? - Non lo so – le rispose lui. Ed era vero. Gideon non recuperò mai quel lasso di tempo della sua vita, e fu più fortunato della signorina Sarey, che fu confinata al manicomio di Bedlam.
Gli incaricati del sindaco chiusero le porte e le finestre con assi di legno inchiodati e nessuno di loro osò portare via l’antica lampada a olio e la creatura bianca simile a un ratto albino e deforme. Qualche anno dopo, il nuovo sindaco fece apporre cartello dissuasorio nei pressi della proprietà dopo aver saputo che alcuni monelli si divertivano a tirare sassi contro qualcosa che faceva rumore dietro le assi di legno.
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