Karnebog Lo Spendente
di F.T.Hoffmann (aka FabTaurus)
Lo studio era freddo, angusto e poco illuminato. Un antro opprimente, reso ancor peggiore dalle innumerevoli cataste di oggetti che si alzavano in precarie costruzioni geometriche per tutta la superficie della stanza. Così, assiepati senza alcun criterio razionale, stavano i tesori perduti di almeno mezza dozzina di mondi, tanto che nello stesso agglomerato potevano convivere i dodici volumi miniati del “De Vermis Mysteriis”, il Fiore di Vetro del Pianeta Croan’dhenni e la spada nera dell'eroe di Melniboné. In mezzo a tutto questo, abbarbicato sul suo scranno, stava un uomo, torvo come un drago in odor di furto.
“Un nome, un destino” recitava un antico detto degli uomini, e proprio per questo l'uomo sullo scranno aveva deciso di non limitarsi a un destino solo.
Karnebog lo Splendente, questo era stato il suo nome negli ultimi duecentoventi anni, ma di certo non l'unico con cui era conosciuto. Prima c'era stato Ulamoth il Saggio, Gothmark del Sole Rosso, Jess'na la Serpe, L'Urskmug, e molti altri. Presso i Cimbali della piana di Mu era Arkenno la Mano di Dio, mentre nelle litanie degli Hyxos era Gorg il Sacrilego. Le Aramostre lo appellavano Doderamo, e per i Demoni del Piano Di Sotto era Compagnone, Beccacarcasse e Arraffone. I Piani Alti non gli interessavano, per cui lì non aveva nome, ma quello datogli sul pianeta Govon era così vasto da riempire una biblioteca, e così lungo che per pronunciarlo serviva un'intera vita umana. Così, e in mille altri modi, egli era conosciuto, ricordato o maledetto.
Un destino solo, così come un nome solo, era troppo poco per uno come Karnebog, l'uomo che aveva trasceso l'umano tanto da rassomigliare a un Dio.
Tuttavia nonostante la sua vita immortale, le imprese, i tesori, il sapere e il potere, Karnebog si sentiva profondamente e dolorosamente insoddisfatto.
Nemmeno due settimane prima era riuscito a rubare gli infernali segreti sartoriali di Sir Bone, e prima ancora aveva studiato i segreti della Casa Assoluta.
Tuttavia sentiva un vuoto nell'anima, un vuoto che era sempre stato incapace di riempire, un vuoto che spasimava sempre più per essere colmato.
Furioso con il mondo e con sé stesso, Karnebog si alzò di scatto, abbandonando la Stanza delle Vittorie. Nel corridoio le torce cinetiche divamparono al suo passaggio e lo accompagnarono nell'intricato complesso di cunicoli del palazzo, mentre riflessi dorati danzavano attorno ai tatuaggi che aveva sul cranio glabro.
Giunto davanti alla Stanza di Confinamento accartocciò le massicce porte blindate in un attacco d'ira telecinetica e vi entrò senza rallentare. In preda a una febbrile intuizione cominciò a rovistare fra globi di cristallo, ed enigmi tridimensionali.
“Pan'delum!” ringhiò, “Pan'delum, dove sei? Rivelati Genio infingardo”, ma non ottenne risposta alcuna.
Sempre più impaziente Karnebog passò alle minacce. “Non ho tempo da perdere Pan'delum, palesati, o quando ti avrò trovato ti trasfigurerò in un parassita intestinale di suino.”
Ancora silenzio.
“Pan'delum, questa è la tua ultima opportunità!” e mentre diceva ciò, cominciava già a cantilenare un incantesimo che sapeva di lame affilate e segugi infernali.
“Sono qua sotto cialtrone di un cartomante. Non serve che scomodi l'Atroce Rabdomanzia di Darvilk” esclamò infine una voce stridula. Karnebog si abbassò faccia a terra e finalmente la vide. Al di sotto di una credenza, un globo poco più grande di una biglia era illuminato di un tenue bagliore.
Il Mago allungò una mano e l'afferrò.
“Com'è che sei finito là sotto? Credevi davvero che bastasse una caduta di mezzo metro per rompere la sfera? Sai, forse la tua saggezza è sopravvalutata.”
La risposta sdegnata non tardò ad arrivare: “ Come osi, io che conosco i segreti della vita e della morte, il passato e il futuro di ogni creatura. Io che..."
“Eppure, nonostante la tua grandezza sei mio... ospite...” lo punzecchiò Karnebog.
“Sarò anche tuo prigioniero, al momento, ma non sono io ad aver bisogno dei tuoi consigli” fu la conclusione della voce dentro la biglia, prima di spegnersi e diventare fredda.
Il Mago avrebbe voluto frantumare la sfera e l'anima al suo interno fino a ricavarne farina, ma preferì concedere una vittoria allo spirito astioso, nella speranza di blandirlo.
“È vero. Hai ragione. Sono stato irrispettoso, Pan'delum. Io Karnebog lo Splendente, Mago dai mille Destini, ho bisogno dei tuoi consigli”.
Una scintilla si accese nuovamente nella sfera. Il demone voleva essere trattato con i guanti.
Nonostante il sangue roboante sulle tempie, Karnebog non perse la calma. “ Ti chiedo scusa Grande e Sommo, Pan'delum, Padre di tutti i Geni, Re dei Demoni della Mente, Principe...”
La sfera cominciò a irradiare sempre più luce, mentre una voce via via più cavernosa lo interrompeva:“Io sono Pan'delum, lo Spirito più Grande. Il mio nome è noto a tutti i più savi e non abbisogna di epiteti gloriosi né tenebrosi, e nemmeno di mille nomi e mille destini. Io sono quello che sono, e quello che sono è Pan'delum. Misero umano, tu conosci le mie condizioni.”
“L'ultima volta che ti ho liberato, mi ci sono voluti dieci anni per ritrovarti. Dieci anni e la sanità mentale del mio Apprendista.”
“Ti garantisco che la prossima volta te ne serviranno cento. E venti Apprendisti. La Libertà è il mio prezzo.”
“E sia” ringhiò esasperato Karnebog. Inginocchiato al suolo tracciò nella polvere intricati segni di potere e vi pose in mezzo la biglia. Infine vi sputò sopra.
La superficie di vetro cominciò subito a sfrigolare come un tizzone, e in breve una miriade di crepe comparvero sulla superficie. Consapevole che Pan'delum era mortalmente vulnerabile all'umano sguardo, Karnebog si affrettò a coprire i suoi occhi. Un crepitio statico e una zaffata di ozono indicarono che il Genio era libero.
Karnebog continuò: “ Ora sei libero, ascolta quello che ho da dirti. Per tanto tempo io mi sono sforzato di diventare il più Grande, il più Temuto. Sono stato, guerriero, stregone, re e Dio. Le epiche imprese di questa epoca derelitta non sono per me che granelli di sabbia in una clessidra: qualcosa che scorre in poco più di un istante. Posso spaventare la morte e imprigionare le anime, viaggiare fra le Stelle e fra i piani del Cosmo. Posso tutto ma non riesco più a trovare un senso alla mia esistenza. Dentro di me io vedo il nulla. Orsù dimmi, Genio, ove posso trovare ciò che ho perso.”
Il Genio stette in silenzio qualche istante. Karnebog riusciva a percepirne la presenza, ma rimase stupito quando sentì un freddo dito toccarlo sulla fonte. Un brivido elettrico gli attraversò la lingua, e solo allora Pan'delum parlò.
“Ah. Siamo infine giunti al nodo più profondo” esclamò il demone, e prima che Karnebog potesse dire altro, continuò : “La mia risposta è divisa in due parti. Una che conoscerai ora, L'altra invece l'ho seppellita nella tua mente molto, molto in profondità. È inutile che la cerchi, resterà inaccessibile fino a quando il comando ipnotico non sarà rotto. E l'unico modo per rompere il comando è seguire la prima parte della risposta: Esci. Esci dal tuo Palazzo della Mente, abbandona l'Iperuranio in cui ti sei barricato. Torna fra gli uomini, cammina fra loro, vivi fra loro. Per dieci anni non osare tornare nel tuo Palazzo. Questo è quanto ha da dirti Pan'delum. E ora Addio”
L'eco dei quelle parole non era ancora svanito che un movimento nell'aria si trasformò subito in un grande vento. Quando il fischiare dello zefiro svanì, l'aria si riempì di suoni. Strepiti, strilli, musica, voci arrivavano da tutte le parti. Quando Karnebog riaprì gli occhi, il Genio era svanito, e con esso la Stanza di Contenimento, il suo Palazzo della Mente e l'Iperuranio.
Era nella piazza del mercato di chissà quale città, circondato da una moltitudine di genti pallide e allampanate. Un freddo Sole vermiglio si stagliava nel cielo in posizione di mezzodì. Era grande quanto la ruota di un carro, ma i suoi raggi stanchi riuscivano a stento a separare la notte dal giorno.
Seguendo il consiglio di Pan'delum, Karnebog lo Spendente si immerse nella luce sanguigna di quel crepuscolo eterno, sparendo nella folla.
A lungo Karnebog vagò sulla Terra, in quell'era al tramonto. Per i primi cinque anni si mescolò alle genti più svariate, vivendo ora come un principe, ora come un mendicante. Fu servo, e fu padrone, sposò le fedi più svariate, e cercò di insegnare le scienze ormai perdute.
In quei primi cinque anni, Karnebog riscoprì i piaceri e le sofferenze dell'essere umano, e ricordò cosa lo aveva spinto a trascendere quella condizione. Dolore, morte, umiliazioni e piaceri effimeri, a questo si poteva ridurre la vita. E nel capire questo, fu ben felice dell'imminente Morte del Sole, giusto rimedio per quella anomalia che era l'uomo.
In quegli anni, una cieca rabbia riempì il vuoto nel suo petto, una rabbia che trovava radici nell'irrazionalità delle genti, nel loro folle agitarsi per tutta la vita senza un obbiettivo. A molti di loro regalò conoscenze inimmaginabili, sufficienti a salvare dieci volte gli abitanti della Terra, ma questi le dimenticarono o le usarono per elevarsi sugli altri.
Fu così più volte tentato di usare i propri poteri per vendetta e ripicca. Una volta, andò fino alle porte dell'Iperuranio, desideroso di liberare le terribili piaghe della dimensione infernale, catturate sei secoli prima, ma la voce di Pan'delum lo fulminò.
“Non oltre, Mago. Non oltre, o mai più troverai risposta alla tua insoddisfazione.”
“La risposta l'ho trovata, e si chiama Disprezzo. Il mio Ruolo nel mondo è quello di punire l'umanità!”
“Torna nel Mondo, hai ancora cinque anni per capire!”
Seppur furibondo Karnebog ubbidì, e fu così che durante il sesto anno conobbe infine Astarte e con ella l'amore e la passione carnale. Aveva già avuto altre compagnie: sia umane, che cibernetiche, che aliene; ma con lei fu diverso. Con lei anche osservare il languire del Sole era qualcosa di speciale. In quel periodo Karnebog si riempì d'amore, e dimenticò della rabbia.
Due anni visse con lei, e assieme concepirono un figlio, ma greve fu il dolore quando egli nacque morto. Privo dei suoi testi di magia, dei suoi demoni e dei suoi amuleti, Karnebog non poté far nulla per richiamare alla vita quel suo figlio. Raccogliendo il corpo fra le mani, abbracciò per la prima volta il significato di impotenza. Umano come mai si era sentito prima Karnebog, si recò di nuovo alle porte dell'IperUranio, ma la Voce del Genio era lì ad attenderlo.
“Non oltre, Mago. Non oltre, o mai più troverai la risposta che cerchi.”
“La risposta l'ho trovata e si chiama Amore. Il mio ruolo nel mondo è quello di essere amante e padre. Permettimi di salvare questo mio figlio.”
“Torna nel Mondo, hai ancora due anni per trovare il tuo posto”
Straziato dal dolore, Karnebog ubbidì, ma quando tornò da Astarte, scoprì che ella era caduta in una spaventosa melancolia. In capo a due mesi avvizzì come un fiore reciso. Una mattina Karnevog si accorse di essere rimasto solo: sulle lenzuola candide, rimaneva un'impalpabile traccia di cenere e nulla più. Così svanì Astarte, e assieme a lei svanì anche l'amore dal cuore di Karnebog.
Folle di dolore, colui che un tempo era stato il Mago dai mille Nomi e dai mille Destini si spogliò della propria identità e scappo nel deserto cercando la Morte.
Per quasi due anni vagò fra le sabbie gelide e le rocce spazzate dal vento, vagò così a lungo da giungere alle porte dell'Iperuranio, ma questa volta non ci fu più nessuna voce a intimargli di fermarsi. Camminò sulle strade del sogno, fino ad arrivare al suo Palazzo della Mente, ma non trovò altro che rovine. L'unico elemento ancora riconoscibile era la Sala delle Vittorie, grazie allo scranno che ancora svettava alto e maestoso, e sullo scranno sedeva un Nano deforme.
“Oh, Karnebog,” lo salutò, ma la sua voce sapeva di scherno “Oh Karnebog, tu pietra filosofale, granello di Dio! Tu lasciasti in alto te stesso, più in alto di tutti — ma ogni pietra lanciata deve ricadere! Ed eccoti qua, meteora e cataclisma. Tu ti condannasti alla tua stessa lapidazione”.
Karnebog rimase interdetto. Ma subito una risposta gli salì alla gola, quasi non fosse la sua voce a pronunciarle.
“Zitto, mezzuomo!” disse la voce di Karnebog “Tu non sei che il vuoto dentro di me, tu non sei che il parassita della mia anima! Ma io sono il più forte: — tu sei un abisso di nulla, un omuncolo privo di scopo, sei il vuoto di un ditale! Basterebbe un secondo dei miei ultimi anni a colmarti fino a distruggerti.”
E nel mentre che diceva ciò il Nano si allungava e si trasformava urlando come un demonio.
Vendendo cosa stava accadendo Karnabog ricarò la dose e cominciò a raccontare tutto quello che aveva vissuto in quegli anni, e mentre faceva questo un sapore di sangue gli invase la bocca. Infine del nano non rimase nulla e al suo posto, molle e floscio restava un corpo di serpe privo della testa.
Proprio allora Karnebog capì di aver trovato una risposta al vuoto che per tutta la vita lo aveva assillato. In quell'istante, con un rumore di vetri infranti, la seconda risposta di Pan'delum gli risuonò nelle orecchie.
Erano le parole di un incantesimo , il più lungo mai concepito a memoria d'uomo, così complesso che Karnebog per un attimo ebbe il timore di non riuscire a ricordarlo, lui che fra tutti i Maghi era poteva ricordare più incantesimi di tutti.
Ma a sorprenderlo ancor di più fu la natura dell'incantesimo. Era per lo più un trasfigurazione, ma aveva il ritmo di un patto, i ricorsivi di una trasmigrazione. Era una forza grezza e mostruosa, capace di strizzare lo spazio-tempo e i rapporti di causalità.
“Questa è una magia che non può essere fermata, questo è un incantesimo inestricabile!”
Nell'ultimo anfratto di memoria libera, risuonò l'ultima postilla di Pan'delum “Non sei obbligato a pronunciarlo, ma questo è il destino che io ho visto per te. Qualsiasi cosa succeda, addio Mago dai Mille destini”
Ma Kernabog non aveva bisogno di quell'ultima provocazione. Ormai sapeva cosa fare. Aprì le braccia, così come per tutti i più grandi incantesimi, e le parole inesplicabili, capaci di far tremare le stesse fondamenta dell'Universo presero forma.
Ai suoi tempi era stato lupo, topo, orso e falco, ma questo incantesimo era diverso.
Sto diventando immenso, pensò.
Proteso verso il cielo, ascese nello spazio al di fuori della Terra. Karnebog lo Splendente era stato il suo ultimo nome, e davvero egli adesso splendeva.
Un nome un destino, dicevano gli antichi.
Il suo ultimo pensiero fu una risata, una risata che sapeva di vita e di speranza, una risata che aveva il suono di un nuovo Sole che nasce.
Un nuovo Sole per la Terra.