| L’IMPRESA DELL’EROE Di Alexandra Fischer
Entrando nella stanza, il giovane basso e occhialuto si era aspettato di vedere la tappezzeria ocra squarciata in più punti e le assi del pavimento di parquet sollevate dall’umidità e coperte di impronte nere e pesanti. Niente di tutto ciò: la carta era in ottimo stato tanto da mostrare i medaglioni con motivi di rose d’oro e il parquet, lucidissimo, profumava di cera. Della presunta creatura assassina non c’era la minima impronta e l’uomo aveva cominciato a chiedersi se la chiamata che lo aveva svegliato durante il sonnellino pomeridiano fosse soltanto un’esagerazione. E poi c’era la faccenda dell’attesa. Doveva aspettare che il padrone di casa rientrasse in compagnia della cameriera. La donna, prima di accompagnare il padrone nel solito giro di commissioni, era passata da lui, sostenendo di essere scampata per poco allo stesso destino toccato alla governante finita a morire proprio nella stessa anticamera nella quale si trovava lui, con l’unica colpa di avergli descritto le abitudini del defunto padre del proprietario. Mettendosi le mani dietro alla schiena, ricominciò a camminare, preoccupandosi per la perdita di tempo. Era andato lì per fare un favore a suo fratello, ma lui non era un investigatore e dubitava che il fatto di essere il suo gemello potesse ingannare il padrone di casa per molto. Per rincuorarsi, si mise a pensare: «Tutto scorre e non ci si bagna due volte nello stesso fiume, dunque, dopo aver ricevuto le istruzioni di mio fratello sono diventato un altro da ciò che ero. Pur non essendo lui, gli somiglio un po’ di più». Diede un’occhiata all’orologio e tornò a sentirsi più nervoso di prima, perché non si fidava del tutto dei lavoranti lasciati in sartoria. Il suo aspettare, divenuto ormai esasperante, finì quando il padrone di casa entrò nella saletta dell’anticamera insieme alla cameriera. Si era aspettato di vedere un distinto gentiluomo con il bastone seguito da una fanciulla in cappello e abito scuri. L’uomo che aveva davanti era giovane e con fisico da culturista, mentre la cameriera era una donna di mezz’età dall’aspetto esangue, le mani coperte di guanti di pelle nera e con un grosso oggetto sferico coperto da un velo fra le braccia. «Immagino sia venuto per le indagini sulla signora Loetsch» gli disse «che fine assurda, poveretta. E destinata a ripetersi, purtroppo. Proprio come la sua attesa» «Sia pure. L’ho trovata molto costruttiva per le mie indagini» replicò il sarto divenuto investigatore «intanto ho appurato che la scena del delitto è stata manomessa, le prove inquinate». Le sue parole fecero sul padrone di casa l’effetto che si era ripromesso: «Come si permette? Non mentirei mai alle autorità, neppure se l’assassino fosse mio padre in persona». Il padrone di casa tutto muscoli fece segno alla cameriera. «Avanti, gli mostri tutto quello che c’è in questa stanza. Non abbiamo nulla da nascondere» La cameriera tolse il velo che ricopriva una boccia di vetro dentro alla quale una scintilla luminosa si espanse di colpo in una fiamma che andava dall’arancio al grigio. «Ero più giovane del padrone prima di riuscire a rimetterla nella boccia» disse al sarto investigatore «e anche le mie mani erano messe molto meglio». «Allora lei ha catturato l’elementale che ha assassinato la governante» si sorprese lui. «No, semmai ho messo in salvo una parte del Fuoco Sacro dalla follia di quella donna» «Allora l’ha uccisa lei con la complicità di questo signore» l’accusò l’investigatore sarto «questo spiega l’ordine che ho trovato qui dentro, ma perché dare l’allarme subito dopo?» Con un tono pieno di rimpianto, il padrone di casa gli disse: «Non potevamo più continuare così». Anziché spiegargliene il motivo, dopo aver chiuso la porta dell’anticamera ed essersi lasciato dietro la cameriera e la boccia di vetro, gli fece visitare il resto della casa, in ottimo stato come l’anticamera. Il sarto divenuto investigatore si stupì dell’assenza della polvere e ne sentì quasi la mancanza. Il padrone di casa, invece, divenne vigoroso a ogni passo nei locali traslucidi dalla pulizia. Quando entrò nel salotto privato dietro di lui, il sarto divenuto investigatore si soffermò davanti al ritratto dell’uomo muscoloso che occupava mezza parete. Un fuoco gigantesco ardeva alle sue spalle. «Mio padre» spiegò il padrone di casa «così com’era ai tempi del suo rapporto privilegiato con il fuoco del tempio» «Ora non è più così?» volle sapere il sarto divenuto investigatore. «Non proprio. Vede, per quel che riguarda la scintilla rimasta in questa casa sto facendo quel che posso, dandole lo stesso nutrimento che aveva lì, ma non sono capace di controllarla come faceva mio padre, altrimenti non sarebbe successo il guaio con la signora Loetsch». Il padrone di casa sfiorò la parete accanto al quadro e comparve una nicchia con dentro una ciotola di rame brunito coperta di disegni raffiguranti la conflagrazione del mondo durante il Grande Anno e la sua ricostituzione. Per mostrarglieli meglio, il padrone di casa la tirò fuori dalla nicchia con uno sforzo visibile della sua possente muscolatura. «La scintilla era qui dentro quando mio padre la portò a casa dopo averla vista cadere qui dentro e da allora continua a rigenerarsi. Lei sa chi è l’autore di questo recipiente?» « Sì, Henno Schleimann, lo scultore giunto all’atarassia» «Bravo. E la scintilla è diventata lo strumento preferito da mio padre e da me per distinguere coloro che sono dominati dalle pulsioni irrazionali dai veri saggi. I sacerdoti lo paragonarono al grande Eracle vincitore di mostri per la sua capacità di autocontrollo, per questo gli donarono questa piccola parte del fuoco sacro riconoscendo in lui grandi virtù guerriere» Il padrone di casa fletté i muscoli: «Invece, nel suo caso si sbagliarono. E io credo che anche la menzogna sia una forma di pazzia da debellare, non trova anche lei?» Sentendosi scoperto, il sarto investigatore fece appello a tutta la sua capacità di controllarsi, ma il padrone di casa non ce l’aveva con lui. «Devo dire che la colpa non è stata tutta della signora Loetsch. Mio padre ha avuto un ultimo impulso irrazionale prima di trovare il suo equilibrio. Venga, le mostro il resto». Un paio di porte dopo, il sarto investigatore si trovò nella zona notte. Il padrone di casa gli spalancò la porta di una stanza con tanto di letto a baldacchino dalla stoffa ornata di comete sullo sfondo di un cielo blu notte e ne aprì le cortine mostrandogli un comodino sul quale era posata la fotografia di una donna di circa settant’anni. «Ecco chi era Renate Loetsch». Il sarto investigatore si soffermò sui grandi occhi verde smeraldo della governante dall’espressione tenera, sul volto dall’ossatura magnifica e sulla capigliatura ondulata raccolta in un nodo morbido alla sommità del capo. Le rughe e i capelli bianchi non avevano cancellato del tutto la dolce bellezza della donna e il sarto divenuto investigatore iniziò a capire l’accaduto: il padre del proprietario della casa doveva essersi innamorato di lei e il figlio, per obbedire alle leggi che vietavano matrimoni fra individui di classi sociali diverse si era servito della scintilla per uccidere la governante. Maledisse la propria impossibilità ad agire, ma rispose all’uomo: «Questa volta la legge è stata applicata in modo troppo severo. Avrebbe fatto prima a far ragionare suo padre e a congedare la donna». Chiudendo le coltri del baldacchino padrone di casa gli rispose: «Ho agito così perché ci sono stato costretto. Mi dispiace che sia venuto a perdere tempo, ma intanto che si trova qui, venga a vedere i benefici del controllo totale su se stessi». Il sarto investigatore lo accompagnò nella stanza al fondo del corridoio vedendo una grande profusione di attrezzi ginnici. Il padrone di casa afferrò una sbarra d’acciaio e con aria imperturbabile cominciò a piegarla dicendogli: «Se vuole posso insegnarle». Il sarto divenuto investigatore inorridì davanti alla freddezza di quell’uomo. A differenza del fratello, era ancora in grado di provare dei sentimenti e quanto stava vedendo gli era insopportabile. «Preferirei di no» gli rispose «devo andare» «Capisco, la famiglia della Loetsch l’ha mandata qui e lei sta facendo il suo dovere» «Sicuro, ma avrei anche un’altra curiosità. Com’è morto suo padre?». Il sarto divenuto investigatore glielo aveva chiesto in tono indifferente e il padrone di casa, dopo aver piegato in due la sbarra d’acciaio, sbottò: «D’infarto e se vuole saperlo, diverso tempo prima della governante». Il padrone di casa gettò la sbarra piegata in un angolo e gli fece strada nell’anticamera, nella quale si trovava la cameriera con la boccia di vetro sul tavolo. A un cenno di lui, la donna la rivolse verso il sarto divenuto investigatore il quale si soffermò sulla scintilla vedendola trasformarsi in una lingua di fuoco fra le cui fiamme sfilavano immagini di alberi, animali, edifici, individui e nubi di polvere in rapidissima successione. Il padrone di casa gli disse: «Il fuoco possiede una memoria infallibile e sta raccogliendo poco a poco l’intero universo per il Grande Anno. Anche noi ne facciamo parte». Fra le fiamme comparvero i volti del padre del proprietario della casa e della governante, entrambi colti nel terrore della morte. Per il sarto divenuto investigatore, il particolare più terrificante fu lo sfondo in cui erano avvenute: la stanza da letto e l’anticamera appena visitate. Il padrone di casa si accorse del suo terrore e ne rise: «Lei non è chi dice di essere, la polizia non arruolerebbe mai una persona così emotiva. E io odio gli intrusi». Dopo avergli rivolto uno sguardo tagliente come un vetro rotto, afferrò la boccia puntandogliela contro come un’arma. La lingua di fuoco si alzò e il sarto divenuto investigatore vide particelle di polvere venirne risucchiate mentre l’arsura lo divorava, indebolendolo. «Deve nutrirsi» disse il padrone di casa «e oltre alla polvere, tritura anche le emozioni, dando in cambio una grande forza». La porta dell’anticamera si spalancò nel mentre, e vi entrarono di corsa gli agenti di polizia e il fratello del sarto divenuto investigatore. «Basta» disse il gemello rivolto al padrone di casa «ora ho le prove che mi servono per arrestarla». Gli agenti circondarono l’uomo e uno di loro gli tolse la boccia di mano posandola sul tavolo, mentre la lingua infuocata ritornava allo stato di scintilla. Poi fece un cenno alla cameriera: «Prenda la boccia e la riporti al tempio. La ringrazio per il suo coraggio». Il padrone di casa gridò: «Ho solo ubbidito alle leggi» «Divenendone schiavo, ma il vero mostro in questa casa è stato suo padre. Nella sua infinita presunzione credeva di poterlo controllare. La vera vittima è lei, ma i giudici ne terranno conto».
La sera stessa, a casa, l’investigatore si occupò del fratello indebolito dal fuoco e lo ringraziò per il suo aiuto. «Non ho fatto nulla. Sentendo il fuoco risucchiarmi ho dominato la paura e da allora, riesco a controllarmi meglio. Posso dirti di aver sentito anche quella del proprietario della casa. Morendo, il terrore di perdere la donna che amava gli ha fatto scoppiare il cuore». L’investigatore vide la vera morte di quell’eroe, sapendo che l’avrebbe rivissuta di continuo, ma almeno, i sacerdoti del tempio avrebbero intensificato la sorveglianza sulle fiamme sacre, diffidando anche degli eroi più freddi. «Sei un eroe» disse al fratello, chiudendo la porta della stanza prima di andare a dormire.
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