AUTOBUS 51
Ore 09:47
Il commissario Moretti arrivò sul posto verso le dieci del mattino, era inizio giugno ma faceva più caldo che a luglio inoltrato.
Lo sbalzo di temperatura, dall’interno climatizzato della gazzella al clima africano che regnava sul fiume d’asfalto della tangenziale, lo fece vacillare. Si diresse con il passo più fermo di cui disponeva verso il luogo dell’incidente: la carcassa accartocciata dell’autobus 51 brillava sotto il sole violento come un’orrenda opera d’arte moderna. Lo spartitraffico di cemento sul quale si era schiantato era penetrato nelle lamiere contorte e non era più visibile. Tutt’attorno si espandeva una larga pozzanghera fatta di olio, diesel e un liquido rossastro che a Moretti sembrò del sangue. Diverse persone, per lo più poliziotti, si spostavano frenetici attorno al relitto. C’era chi scattava foto, chi prendeva appunti e chi invece teneva i giornalisti oltre le barriere che isolavano la zona del disastro.
Moretti vide poco lontano l’ultima ambulanza che era rimasta, al cui interno un infermiere stava medicando una ragazzina. L’ispettore Damato, davanti alla barella, terminò di scrivere le ultime annotazioni e si diresse con passo deciso verso di lui.
«È riuscito a capirci qualcosa?»
«Buongiorno signor commissario, abbastanza poco devo dire.» L’ispettore indicò l’ambulanza.
«Lei è l’unica indenne, salvo qualche ematoma ed escoriazione. Ho finito di interrogarla proprio ora.»
«Sono tutto orecchi.» disse Moretti mentre si accendeva una Philip Morris.
Ore 08:50
Leti si asciugò le mani sudate sui jeans mentre guardava con ansia l’autobus 51 che si avvicinava. Cercò di tranquillizzarsi pensando che non potevano più essere lì sopra, non a quell’ora. Quando si fermò davanti a lei cercò di intravedere dai finestrini se loro erano dentro ma non ci riuscì. Salì per ultima e fu terribilmente sollevata di vedere che Erika e le altre non c’erano. D’altronde era ormai abbastanza sicura che loro prendevano sempre quello delle 08:05, perché era l’unico che le portava a scuola in tempo. A Leti non fregava niente di arrivare in ritardo e delle note sul registro, l’unica cosa importante era stare il più lontano possibile da quelle puttane che in due anni di liceo avevano reso la sua vita un vero inferno. Era ancora in piedi quando l’autobus ripartì, passò vicino a un uomo con la mano ferita e a un altro che sbraitava qualcosa al telefono, poi si sedette in fondo al suo solito posto. Il sedile era rivolto nel senso opposto a quello di marcia e quasi mai c’era qualcuno seduto. A Leti piaceva, vedeva il mondo che scivolava via lontano da lei e le dava l’impressione che non potesse tornare più, purtroppo però ritornava sempre. Si era appena messa le cuffie quando si guardò di nuovo nello specchio portatile che aveva nello zaino. Si era fatta due docce: una appena alzata e una subito prima di partire, così quelle stronze non potevano dire che puzzava e aveva i capelli unti. Aveva scelto l’unico paio di jeans decenti che non la facevano sembrare una pezzente, come la chiamavano loro, e la maglietta di marca più bella che aveva. Doveva mimetizzarsi il più possibile in quella giungla, per tutti doveva essere invisibile, per tutti tranne che per lui. Forse oggi l’avrebbe salutata o l’avrebbe fatto addirittura lei se avesse trovato il coraggio, chissà. Sentì delle urla dietro di lei così alzò il volume dell’I-pad lasciando che i Green Day lenissero la paura e l’insicurezza che tormentavano la sua adolescenza. Ad un tratto sentì due spari, non fece in tempo a voltarsi che ne sentì un altro e l’autobus iniziò a zizzagare bruscamente senza controllo. Terrorizzata vide il mondo ondeggiare fuori dal finestrino come se fosse su una giostra. Guidata dall’istinto e dalla fortuna chiuse gli occhi mentre si aggrappava con tutte le sue forze alla maniglia vicino a lei. Sentì uno schianto e una forza violentissima che la spinse all’indietro e che per poco non le fece perdere la presa, poi più nulla.
Ore 10:10
«In sostanza non ha visto un cazzo.» disse Moretti.
«Beh visto visto, no. Però ha detto di aver sentito l’uomo che era al telefono gridare qualcosa. Sia lui che l’altro dalla mano fasciata, però, sono ancora in terapia intensiva e verranno operati d’urgenza. Dopo l’autista erano i più malmessi.»
«E il collega in borghese?»
«Non è messo molto meglio, non ha ancora ripreso coscienza a quanto ne so.»
«Merda...» Moretti si passò una mano sudata sulla faccia ancora più sudata e si mise in bocca un’altra sigaretta.
«Almeno si sa chi cazzo sono questi due?»
«L’uomo che la ragazzina ha sentito urlare si chiama Alfio Ferraresi, è un agente di vendita di spazi pubblicitari che lavora da molti anni per le pagine bianche, ma attendo ulteriori approfondimenti dalla centrale. Dell’altro tizio non si sa niente perché non aveva documenti con sé.»
«Ma almeno sappiamo a chi dei due appartiene la pistola?»
«Purtroppo no, aspettiamo le analisi delle impronte digitali dalla scientifica.»
«E a che punto sono i tecnici con il filmato della videosorveglianza dell’autobus? Dimmi che hanno potuto salvare qualcosa.»
«Dovrebbero aver quasi finito, l’accompagno.»
I due si diressero verso un furgone della polizia parcheggiato vicino a un guardrail. Gli sportelloni posteriori erano aperti e Moretti poteva vedere due uomini smanettare rapidissimi su delle tastiere, con lo sguardo fisso su dei mini monitor, mentre un terzo si voltava frenetico verso uno e verso l’altro.
«Ciao ragazzi, a che punto...»
«Spero per voi che abbiate trovato qualcosa che spieghi questo casino.» lo interruppe Moretti saltando dentro il furgone che iniziò a dondolare sotto le sue scarpe.
«Buongiorno signor commissario.» disse l’uomo in piedi.
«Sì, dieri proprio di sì. Abbiamo terminato ora di recuperare l’ultimo minuto di filmato dalla scatola nera, glielo mostro subito.»
Schiacciò un tasto e il video comparve sui monitor.
Ore 08:46
Si stava prospettando davvero una pessima giornata per Alfio. Era già stato da quattro clienti e non aveva venduto un bel niente. Eppure erano clienti sicuri che avevano sempre acquistato almeno un trafiletto pubblicitario o persino una mezza pagina. Invece non solo non avevano acquistato ma l’avevano mandato via senza neanche riceverlo, ma lui sapeva il perché. Quel serpente di Andreoli aveva sconfinato nella sua zona, ne era certo. Voleva rubargli tutti i clienti dal suo ormai ben scarno portafoglio, ma se pensava che Alfio non avrebbe lottato si sbagliava di grosso. Chi si credeva di essere quel pivello? Lui e la sua laurea in economia alla Bocconi, il centodieci, il master e i capelli sempre perfetti non contavano niente con l’esperienza pluritrentennale di Alfio. Soltanto perché è stato il più giovane a essere nominato dall’azienda “Miglior venditore del bimestre” non aveva il diritto di fare tutto come gli pareva.
Alfio guardò sul display dell’autobus 51 qual era la prossima fermata, c’era ancora tempo. Tirò fuori il telefono e lo chiamò deciso a dirgliene quattro. Rispose dopo due squilli.
«Carissimo buongiorno.»
«Ciao sono Alfio.»
«Ah sei tu, senti sono impegnato con un cli...»
«Non mi interessa, adesso mi ascolti. Sono già stato da quattro clienti, mi sono alzato alle cinque per riuscire a fare il giro da tutti e sai quanto ho venduto fino ad ora? Niente!»
«E perché mai la cosa mi dovrebbe riguardare?»
«Perché sei stato tu a fregarmeli! Quelli erano i MIEI clienti, li ho sempre seguiti io non avevi nessun diritto…»
«Senti Alfio cosa vuoi che ti dica? Fa parte del gioco è la legge della giungla, dovresti aver imparato ormai. Volevo espandere i miei orizzonti e ho fatto una piccola incursione nella tua zona. Non sapevo neanche che ci dovessi ancora passare da loro. Ho fatto delle visite informale, senza impegno, sono piaciuto e adesso li seguo io.»
«Sei uno stramaledetto bugiardo, lo sai benissimo che i contratti scadono in questo periodo e che loro dovevano rinnovare.»
«Alfio, Alfio, caaalma o ti verrà un coccolone alla tua età.»
«Ma come ti permetti! Chi ti credi di essere!? Sei soltanto un…» era talmente arrabbiato che non riusciva neanche a parlare. Il suo cellullare iniziò a vibrare, segno che aveva una telefonata in arrivo: un cliente. Chiuse subito la chiamata sulla risata di Andreoli e prese la chiamata.
«Sì buongiorno. Grazie per avermi richiamato. Certamente, a che ora? Perfetto, al solito indirizzo? Ah, avete cambiato… un attimo solo che prendo nota.» con il cellulare pizzicato tra la spalla e l’orecchio tirò fuori dalla valigetta un foglietto di carta e una biro. Si appoggiò al vetro per scrivere ma l’autobus fece una frenata e perdendo l’equilibrio andò a urtare il suo vicino.
«Oh, mi scu…» solo in quel momento si accorse che l’uomo vicino a lui aveva una mano fasciata con un lembo di t-shirt inzuppata di sangue. Inorridito fece un passo indietro quando l’occhio gli cadde sul calcio della pistola che spuntava dai pantaloni della tuta. Alfio lanciò un urlo e l’uomo di fronte a lui portò la mano sana verso la pistola. In quel momento un altro tizio seduto di fianco a loro scattò in piedi placcando l’uomo armato. Alfio rimase coinvolto nella colluttazione e cadde a terra. Mentre si riparava con le mani sentì sparare due colpi e pochi secondi dopo uno schianto terribile, poi più nulla.
Ore 10:25
Le immagini sui monitor sparirono nello stesso istante in cui l’autobus si schiantava. Restarono in silenzio per quasi un minuto, poi Moretti uscì fuori dal furgone e si accese un’altra sigaretta. Aveva gli occhi fissi sul rottame dell’autobus.
«Inviate subito il filmato alla centrale. Voglio che i tecnici facciano delle ricerche per capire il prima possibile chi cazzo è quell’uomo. Non possiamo permetterci di escludere nessuna pista, neanche il terrorismo.»
Quella parola sembrò risvegliare tutti dall’orrore in cui quelle immagini li avevano fatti piombare.
«Subito signor commissario.»
Moretti tornò alla gazzella con la quale era arrivato e si attaccò alla radio per fare rapporto. Poi parlò con il questore che gli diede specifiche istruzioni sulle dichiarazioni da rilasciare alla stampa. Moretti odiava parlare ai giornalisti ma quella volta lo fece volentieri così riuscì a posticipare ancora il rapporto che doveva fare al magistrato. Quando infine lo chiamò non fu per nulla contento di sapere che l’ipotesi terrorismo era ancora valida e sfogò la sua frustrazione, e la sua paura, su di lui. Dopo quella serie interminabile di colloqui formali, ormai fradicio di sudore, andò a sedersi all’ombra di un gazebo della scientifica che stava ancora svolgendo i rilievi. Si era appena seduto quando si avvicinò Damato con una pistola in un sacchetto di plastica.
«Finalmente l’abbiamo trovata.»
«Era ora.» disse Moretti mentre l’afferrava.
«Ma… questa...»
«Esatto è una scacciacani. Inoltre la cosa ancora più strana e che da una prima analisi ha sparato solo due volte.»
«Oh Cristo… più passa il tempo e più questa merda diventa complicata. Sei sicuro che la ragazzina fosse a posto con la testa?»
«Certo.»
«Ok allora fammi chiamare la centrale, più il tempo passa e più il magistrato sta con il cazzo puntato verso il mio culo.»
Prima che Moretti potesse alzarsi però, ricevette una chiamata proprio dalla centrale.
«Moretti. Si, sono ancora qua. Ha fatto cosa?! Quando? Va bene, grazie.»
Il commissario rimise in tasca il cellullare, poi si alzò in piedi.
«Raduna tutti qua, abbiamo un nome.»
Ore 09:01
Per Ibrahim non era stata una buona idea fin dall’inizio. Quel vecchio del “compro oro” non gli piaceva, sembrava sempre troppo sospettoso, troppo attento. Non era la prima volta che veniva rapinato, forse per quello che con loro aveva reagito così. Doveva imparare a fidarsi di più del suo istinto.
La mano gli faceva una male cane, lo straccio che aveva usato per fasciarla si stava inzuppando sempre di più e delle piccole gocce di sangue avevano iniziato a cadere sul pavimento dell’autobus 51. Con la mente ancora in preda al panico, cercò di ripercorrere per l’ennesima volta gli eventi che lo avevano portato fin lì. Doveva essere sicuro che nessuno lo avesse seguito. Lui e Sadìr stavano aspettando in un vicolo che il vecchio aprisse il negozio. Joseph li aspettava con la macchina accesa dietro l’angolo, Ibrahim poteva vedere il fumo di scarico. Appena il vecchio fu dentro si guardarono un attimo dritti negli occhi, poi entrarono anche loro. Lui era già dietro al bancone quando Sadìr gli urlò di alzare le mani. Lui non si mosse. Li fissava con uno sguardo che a Ibrahim fece gelare il sangue, non era uno sguardo normale, di sicuro non quello di un vecchio spaventato. Sadìr urlò ancora puntandogli la scacciacani a venti centimetri dalla testa, voleva fare il duro ma Ibrahim sapeva che anche lui aveva paura. Ad un tratto il vecchio, con un’agilità che nessuno avrebbe mai immaginato potesse avere, tirò fuori da sotto il bancone una pistola e sparò in pieno petto a Sadìr. Ibrahim lanciò un urlo e fece per alzare le mai ma il vecchio gli sparò senza mirare e gli colpì la sinistra portandogliene via mezza. Poi premette un pulsante sulla parete dietro di lui e una saracinesca scese dal soffitto e calò fin sopra al bancone dividendo in due il locale. Un’altra invece stava scendendo più lenta davanti alla porta d’ingresso, nonostante il dolore lancinante Ibrahim si rese conto di essere in trappola. Con uno scatto disperato si buttò per terra e rotolò fuori dal “compro oro” prima che la saracinesca si chiudesse del tutto. Corse verso la macchina di Joseph ma svoltato l’angolo vide che non c’era più. Quel bastardo se l’era squagliata appena aveva sentito sparare dei veri colpi di pistola.
Terrorizzato iniziò a correre il più lontano possibile, premendosi al petto la mano ferita. Il sangue gli colava fino al gomito. Non riuscì a ricordare per quanto tempo corse o quanto lontano si fosse spostato, ma ad un certo punto si fermò in un parco pubblico. Lavò a una fontanella quello che restava della sua mano e l’avvolse in un lembo di maglietta che si strappò con i denti. Il mormorio dei passanti gli fece capire che aveva esaurito il tempo, forse qualcuno aveva già chiamato la polizia. Doveva raggiungere l’altro capo della città ed era senza un mezzo e non poteva neanche rubarne uno. Il panico lo travolse di nuovo. Non voleva tornare in prigione. Ad un tratto vide un autobus a una fermata, non sapeva dove andasse l’importante che lo portasse via da lì il più presto possibile. Si mescolò in mezzo alla gente che saliva guardandosi dietro le spalle per capire se qualcuno lo aveva visto. No, era abbastanza sicuro di avercela fatta. Allora perché il tizio seduto di fianco a lui lo stava fissando? Non gli piaceva la sua faccia, forse era uno sbirro in borghese. Ibrahim poteva vederlo con la coda dell’occhio, era rivolto verso di lui, cazzo stava guardando proprio lui ne era ceto. Il panico tornò ad impossessarsi di lui, man mano che il tempo passava era sempre più agitato. Provò a voltarsi verso il finestrino ma vedeva il rilesso di quell’uomo che lo guardava e il suo sguardo implacabile era come un acido che gli bruciava la pelle.
Dopo un tempo che per Ibrahim sembrò un’eternità, la voce registrata annunciò che di lì a breve ci sarebbe stata la prossima fermata. Non poteva resistere un minuto di più sotto quello sguardo. Ad un certo punto però l’autobus frenò e il tizio vicino gli cadde addosso. Farfugliò qualche parola di scusa per poi rimanere impietrito quando vide la scacciacani. Per Ibrahim era troppo. Allungò la mano sana verso la finta arma ma prima che potesse estrarla venne placcato dall’uomo che lo aveva osservato fino a quel momento. Tentava di immobilizzarlo così Ibrahim per spaventarlo sparò due colpi ma lui strinse ancora di più la presa. Si stava ancora divincolando quando venne scaraventato in avanti contro il parabrezza e tutto divenne buio.
Ore 17:37
Il commissario Moretti gettò a terra il mozzicone. In quelle ore aveva scoperto un sacco di informazioni a tempo di record. Sapeva chi c’era su quell’autobus, sapeva perché c’era stata una colluttazione, sapeva chi e perché aveva sparato, ma non sapeva la cosa più importante: come si era verificato l’incidente. Il magistrato avrebbe presto richiamato e lui era al punto di partenza. Il numero dei giornalisti era ancora aumentato, si erano strutturati meglio, con più telecamere e più inviati ai quali la regia affidava periodicamente la linea obbligandoli a ripetere sempre le solite cose ma sempre con la stessa veemenza. Quelli della scientifica stavano sbaraccando e presto il relitto sarebbe stato rimosso, cancellando ogni altra eventuale prova. Facevano un casino infernale e Moretti aveva bisogno di concentrazione. Camminò fino alla carcassa dell’autobus 51 e ripassò nella mente tutti gli eventi che aveva avuto modo di ricostruire. Gli passò davanti agli occhi la registrazione della video sorveglianza, il rapporto sul furto al compro-oro e la testimonianza della ragazzina… L’intuizione travolse Moretti come una scarica elettrica. La ragazzina! Aveva sentito tre spari, ma il rapinatore aveva sparato soltanto due volte: solo una ragazzina avrebbe potuto scambiare quello che pensava Moretti per uno sparo di pistola. Si voltò di scatto e corse verso il fondo accartocciato dell’autobus mentre richiamava i tecnici della scientifica. Esaminò entrambe le ruote e, come aveva immaginato, una era più squarciata rispetto all’altra. Ci volle un’altra mezz’ora buona ma finalmente i tecnici stabilirono quello Moretti aveva capito prima di tutti: a causa dell’usura e della pressione insufficiente il pneumatico era scoppiato causando l’incidente che aveva distrutto l’autobus 51. Il magistrato quasi faticava a credere che la ragione di quel disastro fosse una coincidenza così banale dopo tutto quello che era emerso.
«Ottimo lavoro signor commissario.» disse Damato con uno dei pochi sorrisi che era in grado di fare.
«Ho sempre odiato i leccaculo Damato.»
«Ma io ero sincero.»
«Va bene allora potresti dimostrarmi la tua stima offrendomi cena. Sono mesi che voglio provare quel nuovo ristorante di pesce in Corso Duca…»
I due si avviarono verso la gazzella che li aspettava con il motore acceso, nel frattempo un carroattrezzi rimorchiava i resti dell’autobus 51.
Come al solito, all'ultimo, arrivo pure io. Purtroppo ho potuto rileggerlo solo due volte quindi ci saranno un bordello di errori (luglio al lavoro è il mese più caldo, in tutti i sensi). Sono contento comunque perché ho stabilito un nuovo record personale di lunghezza
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