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I MOSTRI
La notte è popolata da mostri. Basta uscire fuori dalle sicura mura di casa per trovarne uno. Si nascondono dietro le facce falsamente perbene degli abitanti di questa città. Ti ingannano, ti blandiscono con i loro modi pacati, le loro parole melliflue e quando ti fidi di loro... zac! Anche quella ragazzina in piedi sotto il lampione, a pochi passi dalla inferriata della mia villetta potrebbe attirarne qualcuno. Così esile, così giovane, con le guance rese rosse dal freddo e intenta a soffiarsi sulle mani nel tentativo di scaldarle. Il berretto di lana rosa col pon-pon, che indossa per proteggersi dal freddo, la fa sembrare quasi una bambina. Lei non sa quanto appaia dannatamente indifesa, né che io la stia osservando da una decina di minuiti, dietro i vetri della finestra del salotto, seduto comodamente sulla mia poltrona preferita, le dita che tamburellano sul calcio della pistola che tengo in grembo. Ma perché si è fermata sotto quel lampione? Vuole farsi vedere da tutti? Non lo sa che la notte è popolata da mostri e che così facendo diventa una vittima perfetta? Beata ingenuità! Ma per sua fortuna io sono qui e sono all’erta, pronto a mettere in fuga il primo bastardo che cercherà di farle qualcosa. Mi inclino leggermente di lato, allungo il braccio e raccolgo da terra il bicchiere di whisky “on the rock” portandolo alle labbra. Non ricordo se è il quinto o il sesto della serata, ma non me ne importa e lo avvicino alle labbra con un sogghigno compiaciuto. Un solo sorso e la mia mente mi riporta a qualche anno fa, quando il whisky mi veniva servito da una moglie adorabile, mentre in lontananza sentivo la risata argentina di mia figlia Claudia. Sembravamo la classica famiglia del Mulino Bianco: chirurgo in carriera io, ricercatrice lei, benedetti dal dono di una figlia meravigliosa, nonostante la tempesta ormonale generata dall’adolescenza la rendesse a volte un po’ ribelle. Sono passati dieci anni da quei tempi sereni. Dieci anni che sono sembrati un secolo e si sono portati via tutto quel che di bello c’era nella mia vita. Ecco, lo sapevo! I miei pensieri nostalgici mi hanno fatto abbassare la guardia! Nascosto dalla penombra qualcuno si muove cautamente verso la ragazza, che guarda dall’altra parte e non si è accorta di nulla. L’aggressore, dopo un attimo di indecisione, entra nella bolla di luce generata dal lampione. È ragazzo barbuto, con un cappello di lana blu calato sugli occhi e ciuffi di riccioli neri che spuntano da dietro le orecchie. Indossa un giubbotto di pelle scura, le mani protese in avanti pronte ad aggredire, un sorriso maligno stampato sul volto. Mi alzo di scatto, lasciando cadere il bicchiere in terra ed impugnando con forza la pistola, ma quando provo a fare il primo passo mi sembra che il pavimento si muova sotto di me. Oscillo a destra e a sinistra, colto da un giramento di testa fortissimo. Impreco a denti stretti e, in attesa che quelle vertigini scompaiano, stringo gli occhi cercando di ritrovare l’equilibrio. Quando li riapro vedo con terrore che ormai il barbuto è a un passo dalla ragazza. Riprendo a muovermi arrancando verso la finestra, ma tutto il mio corpo sembra muoversi al rallentatore. Afferrò con urgenza la maniglia della finestra, ma è troppo tardi, il ragazzo balza sulla sua preda e le mette le mani... sugli occhi? A quel contatto la ragazza sorride, poi scosta con delicatezza le mani del ragazzo, si volta e una risata le accende il viso. Butta le braccia al collo del suo assalitore e lo bacia con trasporto, per poi allontanarsi con lui mano nella mano. La verità mi colpisce come una cascata di mattoni. Due fidanzati. Niente mostri, né vittime, né assalitori. Perché continuò a vedere pericoli anche dove non ce ne sono? Perché non ho ancora metabolizzato la morte di mia figlia, ecco perché! L’anno trovata seminuda, con il cranio sfondato, gettata come un sacco d’immondizia in un canale di scarico d’acqua piovana, poco lontano da qui. L’assassino? Gianluca Torbani, suo compagno di classe. Il bastardo voleva violentarla e di fronte alla reazione di mia figlia, ha perso il controllo e l’ha colpita ripetutamente al capo con una pietra. Non ho mai provato tanto dolore e rabbia impotente in vita mia: i primi giorni dopo la scoperta del cadavere di Claudia, mi sembrava di impazzire. Mia moglie non ha retto al colpo. Cinque mesi dopo il funerale, se n’è andata via di casa, lasciando dietro di sé il ricordo di una donna sconvolta dal dolore e un biglietto di addio pieno di accuse farneticanti. Non l’ho più rivista e non mi interessa sapere dove sia andata a finire. Spero solo che sia riuscita a ritrovare un po’ di serenità e un punto fermo nella sua vita. Come è successo a me. Getto uno sguardo a terra e vedo il disastro che ho combinato prima. Il pavimento è cosparso di pezzi di vetro e cubetti di ghiaccio. Dovrei pulire, ma non ne ho la minima voglia. Al diavolo, lo farò domani. Guardo il mio orologio da polso: le ventidue e trentacinque. È ora di prepararsi per la notte. Raggiungo il bagno barcollando, mi avvicino al lavandino e apro il rubinetto. Mi lavo il viso, lasciando che l’acqua fredda mi restituisca parte della lucidità che il whisky mi ha tolto. A poco a poco i pensieri si fanno più nitidi, i movimenti meno impacciati. Bevo avidamente l’acqua gelida del rubinetto, poi mi asciugo il viso e mi dirigo in camera da letto. La luce è spenta, ma quella del lampione vicino che filtra attraverso le persiane chiuse, illumina, in maniera spettrale, la figura sdraiata sul letto. Mi soffermo a guardare il suo corpo giovane e scattante, le ciocche di capelli biondi sparse sul cuscino, il petto che si alza e si abbassa durante ogni respiro. Accendo la luce sperando che si svegli. Gongolando come un bambino, giro intorno al letto e mi siedo vicino al suo corpo nudo: voglio che la prima cosa che veda, quando aprirà gli occhi, sia il mio viso. Finalmente, dopo un tempo che sembra infinito, apre gli occhi e lo sguardo passa da semicosciente a impaurito quando si accorge che sono seduto al suo fianco. «Buonasera, Gianluca. Dormito bene?» Il corpo sussulta, il ragazzo tende i muscoli, ma le manette con le quali è legato alla testata del letto non cedono di un centimetro. Mi guarda inviperito, ma quel che dice è soffocato dal bavaglio che gli tappa la bocca. Meglio così. Sono sicuro mi stia rivolgendo solo insulti. Dopo il processo farsa e la condanna a soli dieci anni di reclusione mi è sembrato di vivere in un incubo. Mi sono sentito privato di tutto, come se mi avessero ammazzato la figlia una seconda volta. Volevo farla finita. Poi ho trovato un punto fermo nel caos vorticante della mia testa. Dieci anni non erano poi tanti... potevo aspettare. Adesso mi rendo conto che ne è valsa la pena. Dopotutto la vendetta è un piatto che va consumato freddo. Afferro dal comodino una siringa colma di liquido ambrato e la mostro a Gianluca. “Sai cosa c’è qui dentro, grandissimo idiota? Adrenalina. Non voglio che tu svenga e ti sottragga al divertimento come hai fatto stamattina” Lo sguardo del bastardo biondo passa da incuriosito a terrorizzato. Si dimena, si agita, mugola come un disperato, mentre calde lacrime gli rigano il viso. Vederlo impotente e disperato alla mia mercé mi riempie di una gioia selvaggia. Con un colpo secco gli pianto la siringa nella coscia, assaporando il suo dolore come si assapora un delizioso liquore. «Forza, Gianluca: la notte è ancora giovane. Ci divertiremo vedrai!» Allungo la mano e afferro il bisturi che è poggiato sul comodino. Capezzoli? Occhi? Genitali? Non so da dove cominciare... La notte è popolata da mostri. Questa notte ci sono anch’io!
Edited by Incantatore Incompleto - 29/1/2019, 20:10
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