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Skannatoio Giugno 2019, Io sono un mostro lampada

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Incantatore Incompleto
view post Posted on 30/6/2019, 22:45 by: Incantatore Incompleto
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Apprendista stregone

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Giugno 1986


L’acqua colpisce il mio viso come lo schiaffo di una mano gelida. Alzo lo sguardo e vedo riflesso nello specchio un volto, il mio, che mi fissa sconfitto. Alcune gocce d’acqua scivolano sulla fronte spaziosa, perdendosi nelle folte sopracciglia, oppure solcano il viso affilato, pendono per un secondo dal mento sfuggente prima di cadere sul petto, bagnando la camicia gialla. Molte di queste gocce sono in realtà lacrime, ma non voglio dare al bastardo la gioia di vedermi piangere.
Scosto dalla fronte una ciocca di ricci scuri e ribelli e infilo la mano nella tasca dei pantaloni di lino, tirandone fuori quelle stramaledette carte da gioco. Le estraggo dalla custodia in legno e le sfoglio per qualche secondo, osservando la squisita fattura del vestito del Bagatto , le corna ritorte del Diavolo, la folta barba argentea dell’Eremita. In un impeto di collera, scaglio scatola e carte fuori dalla finestra del bagno della scuola e lo osservo svolazzare nel vuoto: una piccola pioggia multicolore nell’aria immobile di questo inizio giugno.
Tanto so già che non servirà a nulla.
Inforco gli occhiali dalla sottile montatura nera e ritorno sui miei passi. Percorro il corridoio, stretto e dipinto di un grigio sbiadito, con animo mesto, come se mi stessi dirigendo al patibolo invece che verso la mia aula.
Dovrei essere contento: domani inizieranno le vacanze e so già di essere stato promosso, ma i miei pensieri sono tutt’altro che felici. Quel bastardo ha deciso di rovinarmi anche l’ultimo giorno di scuola.
“Sei proprio uno sciocco! Dovresti pensare a scegliere qualcuno invece che perdere tempo a sfogare la rabbia in modo infantile e scortese nei miei confronti.”
Maledetto bastardo, oggi non vuole proprio smetterla di punzecchiarmi. Quel suo tono mellifluo e falsamente amichevole, che mi risuona direttamente in testa, mi irrita oltremisura.
Percorro lentamente gli ultimi metri che mi separano dalla mia classe, giro la maniglia e mi ritrovo catapultato nel familiare mondo della quarta B.
Costa, il professore di storia, soprannominato da tutti “Il Pretoriano” per via del suo aspetto atletico e della sua passione per gli imperatori romani, vestito come sempre con pantaloni e camicia rigorosamente bianchi, sta interrogando Carlo, nel disperato tentativo di portarlo ad un sei stiracchiato, Gianluca, sta riflettendo sul soffitto, con il suo orologio da polso, la luce del sole che entra dalla finestra di fianco al banco, sorridendo come un ebete, Stefano e Giacomo stanno giocando a carte, Anna sta rompendo le scatole a Claudia elencandole, per l’ennesima volta, le doti di Sergio il suo ragazzo storico... tutto molto familiare e rassicurante. È molto meno rassicurante la sensazione che provo quando, sedendomi al banco, vedo la confezione con la scrittura “Tarot” poggiata sul mio libro di storia, come se non le avessi mai gettata dalla finestra. Che gigantesca rottura di palle!
Giro la testa di lato, per non essere costretto a fissarla, quando il mio sguardo viene attratto dalle gambe di Isabella, che fuoriescono dalla minigonna di jeans. Seguo il contorno di quelle “meraviglie” affusolate e mi ritrovo ad osservarle il culo, la vita sottile i seni che le gonfiano la maglietta rosa, i capelli castani che le profumano sempre di shampoo, quegli occhiali che le donano quel tocco da segretaria sexy. Quanto volte ho sognato di...
“Smettila di spogliarla con gli occhi, che poi ti vengono in testa tanti pensierini strani...” mi incalza il bastardo con voce ironica.
“Stammi a sentire, coglione: io guardo chi voglio, hai capito! E smettila di starmi appiccicato al culo! Non voglio più sentire la tua voce patetica. Ti ho gettato giù dalla finestra del cesso, meno di un minuto fa, per cui smettila di tormentarmi!”
“Ma caro il mio Paolino, quante volte devo ripeterti che scatola e carte devono essere rubate da qualcuno per liberarti di me? Sfortunatamente, sembra che nessuno sia intenzionato a volere i tuoi tarocchi. Ci faremo compagnia ancora a lungo, mi sa...”
Maledetto! Quando avrà fine questo dannatissimo incubo? Anche se faccio finta di dimenticarle in giro, a nessuno viene in mente di infilarsele in tasca.
Maledico ancora oggi il giorno in cui ho deciso di rubarle dallo zaino di quel ragazzo in biblioteca. Non potevo immaginare che un gesto così egoista avrebbe reso la mia vita un inferno! Ma è stato impossibile opporsi al loro richiamo. Mi hanno incantato, come fanno le sirene con gli incauti marinai. Che deficiente che son stato.
“Benissimo, ragazzo mio. Vuoi che ti dia una mano a scegliere? Vediamo un po’: Claudia? Che nonostante sapesse che le morivi dietro, ha preferito uscire con quel “bietolone” della quinta A? Oppure il Pretoriano? Che nonostante la sua aria da professore integerrimo, tradisce sua moglie con quella zoccolona della prof. di Inglese? O Andrea, che non ti fa mai copiare i compiti in classe, o Matteo, che... con quello non devo neanche sforzarmi di trovare un valido motivo, ti è stato sul cazzo sin dal primo giorno. Forza! Chi vuoi che punisca?”
Afferro la custodia, versando velocemente le carte sul banco. Ne afferro due a caso e cerco di strapparle, ma non si piegano neppure: sembrano scolpite nella pietra. Cerco di riprendere il controllo inspirando forte, poi con un gran sospiro le appoggio con cautela sul banco, chiudendo gli occhi.
“Senti, non posso scegliere domani? Oggi è l’ultimo giorno di scuola e...”
“Non me ne frega un cazzo se oggi è il tuo ultimo, fottutissimo giorno di scuola!”
La sua voce si è fatta stridula, segno che sta perdendo la pazienza.
“Sono io che decido quando e sopratutto chi devi scegliere e oggi ho deciso! Dimmi chi devo punire tra tutte le persone presenti in questa classe e fallo subito! Mi hai capito?”
“Ascoltami bene, figlio di puttana! Io non scelgo proprio nessuno, chiaro? Mi sono stancato di fare la tua marionetta. Quindi vattene a...”
Le parole mi muoiono in gola, mentre un dolore lancinante mi esplode nelle braccia. Sembra che centinaia di piccoli esseri si stiano cibando all’interno della mia carne. Lancio un disperato grugnito di dolore, mentre la pelle dell’avambraccio destro si lacera, accompagnata da schizzi di sangue color cremisi. I lembi di carne iniziano a muoversi, mentre dall’interno della ferita spuntano fuori due zampette pelose e inzuppate di sangue che si muovono freneticamente. I peli della nuca mi si drizzano quando dalla lacerazione spunta fuori un ragno ributtante, completamente intriso di sangue, che rotola sull’avambraccio e atterra con un delicato tonfo liquido sul banco.
Scariche di terrore mi assalgono mentre osservo quel grumo vermiglio che si agita spasmodicamente per raddrizzarsi. Dopo un breve istante di assoluta immobilità, l’aracnide inizia ad avanzare verso di me. Posso vedere le tracce rosse che le sue zampe lasciano sul legno.
Un improvviso dolore alla mano sinistra mi fa voltare e noto, con sgomento, che un’altro squarcio sanguinolento mi si sta aprendo sul dorso. Altre due zampette pelose fanno la loro comparsa dai lembi della nuova ferita.
Il bastardo ha previsto tutto: i ragni mi hanno sempre fatto paura.
Mi guardo intorno in cerca di aiuto, ma sembra che nessuno si stia accorgendo di niente.
Nicola, il mio compagno di banco, sta ascoltando musica con il walkman e batte gli indici sulle ginocchia mimando la batteria, Claudia e Anna stanno chiacchierando tranquillamente, Mancarella, l’unico tra noi ad essere chiamato per cognome per via della sua spiccata antipatia, sta leggendo un fumetto. Persino Francesca, pur guardando nella mia direzione, sembra non notare nulla di strano.
La fronte mi si sta ricoprendo di sudore gelido e le braccia sembrano siano state immerse nell’acqua bollente, da quanto mi fanno male. Decido di scuotere Nicola, di strattonarlo per un braccio per attirare la sua attenzione, ma non riesco a muovere un muscolo. Tento di alzarmi in piedi, ma il mio corpo sembra essere solo un involucro privo di energia. Mentre altre decine di squarci si aprono sulle braccia, percepisco ragni che zampettano allegramente sul mio corpo.
Il cuore mi batte così forte che potrebbe esplodermi da un momento all’altro.
“Ti prego...basta”
“Fai la tua decisione. È tutto quello che ho da dirti”
“Ma non puoi dire seriamente... sono i miei amici...”
“Vedrai quando i tuoi nuovi amici a otto zampe cercheranno di entrarti nelle orecchie...”
Sento delle zampe sottili solleticarmi il collo.
Non posso resistere oltre.
“Matteo! Scelgo Matteo!”
Un gridolino di gioia infantile esplode nella mia testa.
“Ottima scelta, Paolino. Lo sapevo che eri un ragazzino ragionevole”
Il dolore cessa di colpo e non mi sento più bloccato. Rabbrividisco, mentre agito le mani, come a scacciare ragni invisibili dal mio corpo.
Nicola si blocca di colpo e si gira verso di me. Mi fissa con stupore e spostando una cuffietta dietro l’orecchio mi chiede
«Che cacchio fai? Stai bene?»
«Sì, stai tranquillo», mi affretto a rispondere. «C’era un ragno che mi camminava addosso, ma l’ho cacciato via.”
Sorride e mi tira un buffetto sulla guancia. Un secondo più tardi rimette a posto la cuffietta e si immerge nuovamente nel mondo dei Motley Crue. Beato lui.
«E adesso, il momento tanto atteso: quello della punizione! Scegli una carta”, grida festosamente il bastardo. Se fosse visibile lo vedrei ballare dalla gioia.
“No senti, ti prego: non...”
“Dopo i ragnetti vogliamo continuare con scarafaggi? O preferisci gli scorpioni?”
La mia mano tremante si avvicina al mazzetto e pesca una carta a caso. La giro e un brivido mi percorre la schiena.
La carta rappresenta un fulmine che colpisce un edificio, ai lati del quale due persone cadono nel vuoto. I loro visi sono trasfigurati dal terrore.
Nella simbologia dei tarocchi il significato di questa carta è fortemente negativo.
“Benone, è uscita la torre! Scelta coraggiosa e intelligente la tua, non c’è che dire!”
Il tono della sua voce è acuto e gongolante. Il bastardo ha avuto quello che voleva ed è ebbro di gioia.
“Vediamo... un fulmine? No, troppo banale. Dunque gente che cade, calcinacci in ogni dove... ecco ho trovato! Vedrai come ci divertiremo!”
“Mi costringi a fare scelte non volute, per fare cose orribili: mi spieghi come cazzo faccio a divertirmi?”
Devo calmarmi, a momenti mi mettevo a gridare. Ci manca solo che i miei compagni e il prof. Mi considerino un pazzo.
“Però l’anno scorso, quando hai barattato la tua promozione per il tuo vicino di casa... non mi sembravi particolarmente dispiaciuto”, risponde prontamente il maledetto, accentando la parola “dispiaciuto” con un punta di perfido cinismo.
“Il vicino di casa era un pezzo di merda. Era sempre ubriaco, rompeva i coglioni a mia madre per il posto macchina, picchiava sempre sua moglie e i bambini. Si è meritato tutto quello che gli è capitato, ma ora è diverso... sono i miei compagni di scuola, cazzo!”
Nella mia testa risuona un debole sogghigno sprezzante. Non è possibile ragionare con lui, sono impotente di fronte ai suoi capricci e alla sua malignità.
“Bene, ora devi esprimere il tuo desiderio. Questa è la parte che mi piace di meno, ma le regole son regole. Non posso far nulla se prima non esaudisco i desideri del mio padroncino.”
Dopo un attimo di silenzio lo sento nuovamente. Questa volta il suono della sua voce mi giunge più distante, come se si trovasse di fronte a me.
“Che vita di merda quella del genio.”
“Desidero che tu sparisca inghiottito dalle fiamme dell’inferno. Ti piace come desiderio?”
“Ragazzo mio, non posso comparire in nessun tuo desiderio. Mi dispiace. Forza, riprovaci ancora...”
Un momento! Ha detto che se non esaudisce il mio desiderio non può fare nulla. Adesso ti fotto io maledetto mangiamerda.
“Mi dispiace, ma... non desidero null’altro di quello che già possiedo. Non puoi esaudire un desiderio che non ho, per cui... niente festa, bastardo!”
Sono fiero di me. L’ho battuto sfruttando le sue leggi del cazzo, proprio come nelle favole. Le mani sotto il banco stanno facendo entrambe il gesto del dito medio alla faciazza sua.
“Paolino, mi hai mentito.”
Di nuovo il tono mellifluo. Brutto segno.
“Ho cercato nel tuo cuoricino e ho trovato qualcosa che desideri sopra ogni cosa. Non posso lasciarti con questo desiderio irrealizzato, quindi lo esaudirò senza che tu neanche lo chieda. Dovresti ringraziarmi!”
“No, un momento! Non desidero nulla, hai capito? Non voglio...”
Non ho nemmeno finito di pensare che una pallottola di carta atterra sul mio banco. La apro con cautela e il mio cuore manca un colpo. È la calligrafia della Isabella. Sul biglietto c’è scritto
“Ciao Paolo, volevo chiederti se ti andava di andare a mangiare un gelato insieme oggi pomeriggio. Mi farebbe piacere festeggiare la fine dell’anno scolastico con un tipo simpatico come te. Non dirmi di no, ok? ISA.”
Quel bastardo mi ha fregato! Diventare il ragazzo di Isabella è uno dei miei desideri più grandi e irrealizzabili. O meglio, lo era fino a pochi secondi fa.
Mi volto verso di lei e la vedo sorridere e farmi l’occhiolino.
Mi ha fregato, maledetto genio del cazzo.
Improvvisamente sento un rumore come di un tuono in lontananza. Un secondo dopo una pioggia di detriti provenienti dall’alto piomba direttamente sulla parte del banco dove è seduto Matteo. Alzo istintivamente lo sguardo e noto che un pezzo del soffitto si è staccato, mettendo a nudo mattoni e putrelle.
In classe si scatena il caos: gente che urla, che si alza in piedi, che cerca di togliere da sopra Il povero Matteo pezzi di calcinaccio e di cemento.
Io rimango seduto, impassibile. So per esperienza che quando il bastardo ci si mette, sa essere efficientissimo. Infatti sto già incominciando a vedere numerose gocce di sangue scuro che colano giù dal banco.
“Bene, ragazzo mio. Ti ho liberato da uno stronzo e ti ho procurato una pupa da sballo sulla quale sfogare i tuoi pensieri più sconci. Direi che un’estate più bella non ti poteva capitare, vero? Ora ti concederò sei mesi di pausa e di tranquillità. Ci vediamo il prossimo anno, anzi, magari ti mando un biglietto di auguri per Natale. A proposito: buone vacanze!”
Il caos continua continua ad amplificarsi intorno a me, finché il Pretoriano non ci intima di uscire, indicando con la mano la porta dell’aula.
Dopo qualche minuto siamo tutti giù nell’atrio, guardati a vista dai bidelli. Ognuno cerca di metabolizzare l’accaduto come può: chi piangendo, chi consolando, chi cercando informazioni ponendo domande a qualche professore.
Io me ne sto in disparte. Un ragazzino magro, con la camicia gialla e i pantaloni neri, con le mani in tasca e lo sguardo basso che si sente in colpa.
Terribilmente in colpa.
Vista la situazione in cui mi trovo è facile per me fare il raffronto con la favola di Aladino.
Quel genio abitava in una lampada. Il mio in una confezione di carte.
Quel genio era uno schiavo. Il mio è un padrone.
Quel genio poteva esaudire solo tre desideri e basta. Il mio ne esaudisce, dietro il pagamento di una vita, uno l’anno. Peccato che il momento in cui tutto debba succedere lo sceglie lui e non c’è modo di fargli cambiare idea.
Quel genio aveva un punto debole: doveva obbedire a chiunque fregasse la lampada. Il mio... non lo so, ma intendo scoprirlo e fargliela pagare.
Mi stai usando per soddisfare le tue voglie insane, ma nessuno usa Paolo Spoto senza pagarne le conseguenze.
Hai capito, genio di merda?
 
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