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Skannatoio Settembre, Frammenti

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Beatrice S.
view post Posted on 14/9/2019, 23:24 by: Beatrice S.




CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 13/9/2019, 11:27) 
CITAZIONE (Mr. Banzai @ 12/9/2019, 09:24) 
Salve, sono un utente appena iscritto. Mi presenterò nella sezione apposita appena staccato dal lavoro, in maniera da poterlo fare in maniera appropriata.
Nel mentre volevo chiedere se fosse possibile partecipare con il tema "iniziazione". Purtroppo ho scoperto il contest solo ora, spero di riuscire a scrivere in questi pochi giorni.

Benvenuto, Mr. Banzai. Attendo di leggerti con piacere. ^_^ ^_^

CITAZIONE (reiuky @ 12/9/2019, 10:16) 
CITAZIONE (Mr. Banzai @ 12/9/2019, 09:24) 
Salve, sono un utente appena iscritto. Mi presenterò nella sezione apposita appena staccato dal lavoro, in maniera da poterlo fare in maniera appropriata.
Nel mentre volevo chiedere se fosse possibile partecipare con il tema "iniziazione". Purtroppo ho scoperto il contest solo ora, spero di riuscire a scrivere in questi pochi giorni.

Uh cavolo. Solo tre giorni?

Chiediamo tutti insieme qualche giorno in più? :p092:

Non è assolutamente perché sto messo così male che non potrei mai consegnare entro la scadenza. Noooo :p092: :D

Solita regola: se tutti i partecipanti sono d'accordo a me sta bene, ma devono pronunciarsi tutti.

Scusate se non ho risposto. Comunque anche per me nessun problema assolutamente :1392239620.gif: La proroga è ben vista quando permette di avere più racconti u.u

CITAZIONE
Soecifiche ricevute: Vicino al mio paese c'è un paesino che è stato abbandonato negli anni 70, adesso non ricordo nemmeno perché. Stando alla vox populi, negli anni 90 alcuni satanisti andavano a celebrarci messe nere.

Ora, partendo da questo presupposto (puoi ambientare la storia dove ti pare, basta che sia un villaggio abbandonato), sviluppa la storia che preferisci. Al tempo, avrei voluto fare una parodia dello slasher (per questo "quattro idioti") ma hai facoltà di gestire il tutto come meglio credi.



QUATTRO IDIOTI AL VILLAGGIO ABBANDONATO

“E se non mi piacerebbe?”
“Se non mi piacesse, Tiffany!”
La bionda incrocia le braccia e sbatte un piede contro il terreno fangoso appoggiandosi a un tronco con una mano dalle unghie laccate di rosa. “Che cosa non ti piace, scusa? Sei tu quello che ha voluto portarci a tutti i costi in questo posto di merda” si lamenta increspando le labbra lucide in una smorfia.
Il ragazzo si sistema sulle spalle i due zaini, quello militare sulla destra e quello rosa con i cuori sulla sinistra, solleva gli occhiali e si stropiccia il naso.“Tiffany, ti prego. Te l’ho detto. È la location perfetta”
“Potevi avvertirci che era così” si lamenta ancora la bionda, dà un urletto quando si accorge che un ramo le si è impigliato tra i capelli. “Due ore dal parrucchiere per niente!”
“Avresti potuto” mormora il ragazzo.
“Che cosa?”
“Lascia perdere, Alex” ridacchia una ragazza con i capelli rasati superandoli con un paio di balzi rapidi. “é un caso disperato.” Dà una pacca sulla schiena alla bionda che si piega su se stessa mugolando. “Chi arriva ultimo viene squartato per primo!” urla, inerpicandosi lungo il sentiero a poderose falcate, usando le grosse radici dei larici per garantirsi la presa in mezzo al fango, il tatuaggio di un drago risalta sul polpaccio definito, da sportiva. Raggiunge il ragazzo con le cuffie nelle orecchie che avanza rapido davanti a tutti, solitario, il petto nudo lucido di sudore, un grosso zaino con un rotolo di legna sulle spalle. La ragazza gli si avvicina, gli strappa una cuffia e ride quando lui si volta verso di lei e la fissa con uno sguardo truce.
“Asociale” ridacchia.
“Rompipalle”
La rasata si volta, indica i due rimasti indietro che continuano a litigare. “Dovevamo proprio portarcela dietro?”
Il palestrato alza le spalle. “Alex ha detto che era perfetta”
“Una perfetta cretina” dice, scuotendo la testa. “Dammi un solo motivo, avanti, uno solo perchè quella tizia debba essere la protagonista”
Il palestrato inclina la testa, esita, poi alza le spalle. “Tette.”
“Cretino” gli dà una gomitata, lo supera e si mette a correre sù per il sentiero. “Chi arriva ultimo viene decapitato!”
“Io me ne vado” annuncia la bionda alzando il mento.
“E dove vorresti andare, sentiamo?” la provoca Alex.
“Indietro, Spielberg”
“E il corto?”
“Me ne frego del tuo stupido film, è chiaro?”
“Andiamo, Tiffany. Sei l’attrice principale. Non posso farlo senza di te” la lusinga con voce implorante.
La bionda lo ignora, si volta, sempre aggrappata al tronco e comincia a scivolare malamente verso il basso.
“Come vuoi” le urla dietro Alex. “Ti ricordo solo che sono tre ore di strada per arrivare in paese e mezz’ora per arrivare a Heaven. Allora ciao. Spero che ti ricordi da che parte andare al bivio dopo la cascata. E stai attenta ai burroni” dice e riprende a salire mugugnando tra i denti un’imprecazione.
La bionda si blocca, guarda in basso, in mezzo al fango del sottobosco, al sentiero che si perde tra i larici nel buio dei rami che chiudono il passaggio al sole. Emette un gemito e preme i pugni contro le cosce prima di voltarsi e correre dietro ad Alex. “Però la battuta alla fine la sceglievo io, eh.”
Il ragazzo alza gli occhi. “Sarà una lunga notte”
Che branco di cretini.
Quattro idioti che se ne vanno allegramente per il sentiero verso il villaggio abbandonato. Il mio villaggio.
Esco dal nascondiglio tra i cespugli di mirtilli selvatici, rimango in mezzo al sentiero, stringo il mio machete, un classico in questi casi, e li guardo sparire oltre la curva. Non c’è niente di meglio di una bella lama affilata per assaporare quel delicato piacere che esala dalle urla dei ragazzini che implorano un’illusoria pietà. Sarò all’antica, ma in questi casi una bella lama è quello che ci vuole. Sono le regole del gioco.
Inspiro il profumo della sera che si avvicina. Oh sì, sarà una lunga notte.

***

“Chi va a prendere la legna?” chiede la rasata tirando fuori dallo zaino accendino e carta da giornale.
“Ne ho presa abbastanza lungo il sentiero” risponde il palestrato slegando la grossa fascina dalla cima dello zaino e facendola cadere in mezzo allo spiazzo di terra nel giardino incolto del vecchio hotel dalle pareti in legno scuro. Sul pino di fianco all’entrata sovrastata dalle grosse O e L in rosso, le uniche lettere dell’insegna sopravvissute, ci sono ancora le decorazioni natalizie di vent’anni fa.
“Sei un cretino efficiente” dice prendendogli la faccia tra le mani e schiacciandogli un bacio sulle labbra. Il palestrato le afferra il sedere con due mani e se la trascina addosso.
“Prendetevi una stanza, ragazzi” dice Alex emergendo dalla struttura crollata di un vecchio gazebo e sbattendo a terra gli zaini.“Anzi, meglio di no. O vi devo ricordare che cosa succede a chi fa sesso in questo genere di film?”
Lei gli mostra la lingua. “Meno male che conosco il regista e lo posso corrompere, allora. Fammi un bel primo piano quando il killer mi ammazza.”
Alex sorride estraendo una telecamera portatile grande quanto un pugno dalla tasca dello zaino. “Non ho mai visto nessuno così ansioso di essere fatto a pezzi, Eva. Pensa a ricordarti le battute, ok?”
“Le mie battute” lo motteggia lei. “non devo fare altro che urlare no, ti prego, non farlo” dice con una voce troppo acuta, le mani schiacciate contro le guance. “E poi morire.” dà uno schiaffo alle mani del palestrato, ancora artigliate intorno alle sue chiappe e si fa scivolare vicino a Alex. “Avrei dovuto farla io la final girl, lo sappiamo entrambi.”
“Ne abbiamo già parlato” sospira armeggiando con l’impugnatura della telecamera.
“Non abbastanza.”
Alex schiaccia il tasto di accensione e abbassa lo sguardo verso lo schermo. “Ok. Così dovrebbe andare. Abbiamo quasi tre ore prima del tramonto. Potremmo fare un giro di ispezione e poi cominciare subito con la scena dell’inseguimento nell’albergo, che dite? Poi domattina possiamo fare quelle nella vecchia chiesa.”
“Mi stai ascoltando?” ribatte Eva dandogli un pugno contro un braccio.
Alex sospira, schiocca le labbra, irritato. “Lo sai che la final girl deve avere quell’aria innocente, angelica... da vergine, no? Sono le regole.”
“Se quella è vergine io sono Giovanna D’Arco.”
“Deve sembrarlo, mica esserlo.”
“Un’asse di legno con una parrucca saprebbe recitare meglio.”
“Senti, Eva. Lo sai che per sperare di entrare nel concorso ci servono almeno un migliaio di visualizzazioni, no? E lo sai come si fanno le visual?”
“Dialoghi ben fatti e una trama innovativa?”
“Tette” urla il palestrato mettendosi due mani a coppa intorno alle labbra prima di tornare a soffiare sulle prime scintille del fuoco.
Alex alza le spalle a allarga le braccia.
“Andiamo” si lamenta Eva con un sospiro.
“Non possiamo permetterci di fare gli sperimentali. Non adesso. Magari fra qualche anno...” si giustifica Alex.
“Certo, fra qualche anno” sibila la rasata, dà un calcio a un grosso chiodo e si allontana, torna verso il palestrato e si mette a gettare rametti tra le prime fiamme.
“E dov’è finita la tua bella protagonista tettona, sentiamo?” gli fa con un’espressione di sfida. “Sì è persa lungo il sentiero?”
Alex chiude lo schermo della telecamera e si volta. Ruota gli occhi infilandosi la telecamera nella tasca della felpa. “Che palle” geme tra i denti tornando da dove è venuto.
Oltrepassa il gazebo crollato, salta oltre una recensione ricoperta d’edera e attraversa la piazza della fontana con la statua della capra in granito; su una delle corna è ancora incastrata una ghirlanda di plastica. Si mette a correre verso l’imbocco del sentiero, una volta superata la chiesa sulla cui facciata ondeggiano malamente delle vecchie luci natalizie, urla il nome della bionda, c’è una sfumatura di rabbia nella sua voce e, più sotto, qualcosa di molto simile alla paura.
La bionda emerge dal sentiero, in mano ha un cellulare che tiene in alto, le braccia tese. “Non c’è un cavolo di campo qui” si lamenta saltellando tra le grosse radici.
“Tiffany, ti prego. Rimaniamo insieme.”
La bionda abbassa le braccia e scoppia a ridere, lo guarda come si guarda un animaletto agonizzante che il gatto ti ha messo sul tappetino di fronte a casa. “Che c’è, regista? Hai paura, per caso?”
“Falla finita” sbotta lui. “Muoviti che ci rimangono poche ore di luce. Voglio girare un paio di scene prima di passare a quelle notturne.”
“Ma io non posso girare così, scusa! Ho bisogno di una piega. Ma li hai visti questi capelli?”
“Andranno benissimo, Tiffany. Davvero. È più un look naturale quello che cerchiamo. Spontaneo, ok?” sorride, tende una mano verso di lei. “Adesso raggiungiamo gli altri, va bene? Se c’è una regola da rispettare in questi casi è questa: rimanere insieme, no?” ridacchia cercando complicità.
“E perchè?” risponde con due occhi spalancati da cucciolo di lontra.
“Ma l’hai mai visto un film horror te?”
“Certo” esclama, offesa. “E mi ha fatto una paura pazzesca. Soprattutto quella scena dove lui viene fuori dalla chiesa a petto nudo e si mette a luccicare e lei deve correre per fermarlo in tempo prima che gli altri vampiri lo uccidano, no?”
“Ma di che diavolo stai parlando?”
“Ma sì, dai” geme lei agitando la testa. “Quello del vampiro e del lupo mannaro.”
“Oddio, abbi pietà” sussurra lui imprecando tra i denti.

***

“Senti, ma... com’è che si chiama questo posto di merda?” domanda la bionda trotterellando dietro a Alex che supera con un salto una recinzione di legno.
“Heaven”
“Che nome di merda” commenta la bionda cercando a fatica di oltrepassare il recinto e atterrando goffamente dalla parte opposta, i piedi che affondano nel fango di quello che un tempo era stato un giardino e che ora è tornato a far parte della natura circostante.
“Ci abitavano un centinaio di persone” continua il ragazzo rispondendo a una domanda che non c’è stata mentre la bionda gli corre dietro. Attraversa il giardino e sbuca nella piazza della chiesa. “Contadini, allevatori... cose così. Poi ci hanno fatto un albergo negli anni ’80 quando hanno costruito la pista da sci. Ma hanno chiuso tutto dopo la valanga del capodanno del ‘98. Una quindicina di morti. Da allora hanno lasciato tutto così. Hanno chiuso la funivia e la gente ha smesso di venirci. Breve storia triste.”
“Furbi loro. Mica come noi” sibila la bionda.
“Dobbiamo girarci un film, Tiffany, mica passarci le vacanze.”
“Le vacanze. Appunto. Io dovevo essere al mare adesso.”
Alex la precede attraverso il relitto del gazebo e raggiunge gli altri nel giardino di fronte all’hotel.
“Hai recuperato la principessina o si è trasformata in una zucca?” domanda la rasata facendo cadere tra le fiamme la cicca di una sigaretta fumata fino al filtro.
Alex la ignora, si siede accanto al proprio zaino, estrae la telecamera di tasca e se la mette tra le gambe incrociate. “Vogliamo ripassare il copione?”
Eva si siede accanto al palestrato che poggia a terra un fumetto di Dylan Dog dopo aver fatto un’orecchia alla pagina.
“Ci dobbiamo proprio sedere per terra?” fa la bionda con un gemito di disgusto.
Alex le lancia lo zaino rosa. “Sieditici sopra” sbotta, nervoso. “Allora. Vogliamo cominciare o no?”
“Prego, Kubrick. Proceda” lo motteggia la rasata.
Alex prende un sospiro, unisce le mani e le preme contro la fronte. Gli altri lo fissano; nel silenzio si riesce a percepire il fischio lontano di una marmotta, lo scorrere del torrente e il rumore sottile del vento.
“Per prima cosa pensavo di girare la scena dell’inseguimento dentro l’albergo, quella che sarà verso la fine del corto, ok? Quando il killer insegue la ragazza, ma cade nella tromba dell’ascensore.”
“Forte” dice il palestrato.
“Potremmo provare anche quella con voi due” dice Alex girandosi verso di lui. “L’hai portato il sangue finto?”
“Yes, commander” risponde, frugando dentro il proprio zaino ed estraendo, nell’ordine: una stecca di sigarette, quattro fumetti, una scatola di biscotti e un flacone di plastica pieno di un liquido denso e vermiglio.
“Ottimo”
La rasata raccoglie la stecca di sigarette e ne stacca un pacchetto, comincia a scartarlo con lentezza. “Com’è che lo intitoliamo questo film, alla fine?”
Alex sorride, allarga le braccia come fanno i pescatori quando fingono di aver preso la trota più grande del fiume. “Quattro idioti al villaggio abbandonato” dice, guardandosi intorno per registrare la reazione degli altri. “Allora? Vi piace?”
La bionda dà un urletto.
“Insomma” dice la rasata. “Banale.”
“Ma come?” si lamenta Alex. “é perfetto. Immaginatevelo. Sarà un po’ come il classico degli slasher, no? Una roba alla venerdì 13, ma quello originale, sia chiaro. Solo che poi, plot twist, il killer...”
“Noioso” sbotta la rasata interrompendolo mentre si infila una sigaretta tra le labbra.
“Ma come? É la parte migliore.”
“Quale?” interviene la bionda, perplessa.
“E sì che l’abbiamo letto tre volte il copione.”
“Il killer è tutti quanti, Tiffany, ti ricordi?” le fa la rasata, scocciata.
“Ah” dice la bionda, annuendo. Poi si blocca. “Non ho capito.”
“Tutti i ragazzi sono il killer. Tutti hanno pensato di uccidere gli altri. Ma nessuno di loro lo sa” esulta Alex.“Geniale, no?”
“A me mi sembra solo difficile.”
“Tu non devi pensare, Tiffany. Pensa solo a urlare, chiaro? E abbassa l’orlo di quella canotta che non si vedono abbastanza... ecco, così.”
La rasata nasconde la faccia tra le mani. “Siamo a questo livello, davvero?”
Alex rovista nello zaino, si volta verso gli altri con le braccia infilate dentro fino ai gomiti. “Allora, siete pronti a conoscere il nostro killer?”
“più alla Freddy o più alla Jason?” chiede la rasata alzandosi in piedi per sbirciare mentre si ficca in tasca l’accendino.
“Chi?” geme la bionda armeggiando con il telefono.
Alex estrae una grossa cosa marrone con le corna, se la infila in testa e si volta verso gli altri facendo un verso rauco.
“Dimmi che stai scherzando”
“non vi piace?” geme Alex da dietro la maschera da cervo.
“A me sembra una stronzata.”
“é originale.”
“é stupido.”
“Trash” dice la rasata.
Alex sospira, si toglie la maschera e la mette sotto un braccio. “Ok. Allora, statemi a sentire. La facciamo così: domattina giriamo la scena del ritrovamento. Direi che la chiesa all’inizio del villaggio è perfetta, no?”
“E che ci fa una maschera da cervo in una chiesa, scusa?”
“Fa atmosfera la chiesa, lo sanno tutti.”
“Questo stronzo vuole diventare il nuovo David Linch” ridacchia la rasata. “E meno male che non dovevamo fare gli sperimentali.”
“David chi?” stride la bionda.
“é solo una maschera originale” ribatte Alex con una scrollata di spalle. “Non siete stanchi di tutte quelle brutte copie di maschere sportive? E poi fa tanto montagna, no? É perfetta” fa un colpo di tosse e riprende dove si era interrotto. “Ok, allora, ritrovano la maschera e tu, Eva sei la prima a esserne affascinata, ok? Te lo ricordi?”
“Favoloso” geme la rasata roteando gli occhi.
“poi sapete come va avanti, no? Prima tu cerchi di uccidere Annie, ma non ci riesci, ok?”
“Chi è Annie?” fa la bionda, lo sguardo perso verso il fuoco.
Alex si stropiccia il naso. “é il tuo personaggio, Tiffany, cerca di concentrarti.
“E poi?”
“E poi Tiffany prende la maschera e uccide Candy e Tom mentre sono in stanza a... beh, lo sapete a far cosa, ok?”
“Che siamo noi” dice il palestrato, dando una gomitata nel fianco alla rasata che per tutta risposta gli dà un pugno contro una spalla.
“Esatto” continua Alex, concentrato. “Nella scena successiva sarà Tom a inseguire Annie, invece. Tom che in realtà non era morto quando Annie ha creduto di ucciderlo. Tom cade nella tromba dell’ascensore, la maschera scivola via e Annie impazzisce. É tutto chiaro?”
“Cristallino”
“Trasparente”
“Io continuo a non capire una cosa” interviene la rasata accendendosi un’altra sigaretta.
Alex sospira. “Sarebbe?”
“Perchè tutti questi ragazzi dovrebbero volersi morti? Non ha senso. Insomma, qual è il loro background? Si odiano per un motivo particolare? Non sappiamo neanche come diavolo facciano a conoscersi.”
“Ti fai troppe domande, tesoro” dice il palestrato rubandole la sigaretta dalle dita. “Alla gente mica interessa la trama. Vuole solo vedere il sangue.”
“E le tette” continua Alex con tono professionale.
“E le tette” ripete il palestrato accennando verso Alex uno sguardo d’intesa.
“Vi odio” sospira la rasata.
“ottimo” dice Alex sfilandosi la maschera e lanciandola verso Eva. Ha un sorriso di trionfo sul volto. “Si va in scena”
Il palestrato strappa la maschera dalle mani di Eva, se la infila e inizia a muggire, la voce ovattata da quell’orrore di pelo marrone con le corna storte.
Mi piace questo ragazzo.
Sarà il primo a morire.

***

Sarebbe stato troppo rischioso mettermi a inseguirli dentro l’albergo. Avrei rischiato che mi vedessero. Non è che mi faccia paura, sia chiaro. Non ho nessun motivo di avere paura di un vecchio albergo. É solo che ho preferito aspettare. Mi sono nascosto dentro la vecchia struttura in plastica dello scivolo nel giardinetto di fronte all’albergo. E ho cominciato ad aspettare.
Sono passate le dieci, mi sollevo sulle ginocchia per rimuovere la sensazione di formicolio dalle chiappe e dalle dita dei piedi. Accendo e spengo la torcia, osservo l’alone di luce che proietta contro il legno umido, mi metto a fare le ombre con le dita, come faceva mia madre quando ero piccolo. Il topo, il coniglio, l’impiccato... o forse questo non c’era.
Il machete è appoggiato alla parete. Ha sete, lo sento. Potrei anche entrare adesso. Ucciderli tutti insieme e farla finita una volta per tutte. No, non funzionerebbe.
Devo aspettare, procedere con calma. Assaporare ogni secondo.
Ma quanto diavolo ci mettono quei quattro idioti?
Mi sporgo dal piccolo arco sopra lo scivolo. Finalmente li vedo: stanno uscendo dalla porta girevole senza più vetro. Emergono dalla hall del vecchio albergo come fantasmi dimenticati, ridendo tra loro, Alex davanti a tutti, con la telecamera stretta al petto. Lo seguono Eva e il palestrato, la bionda chiude la fila, la maschera da cervo sotto l’ascella.
“Fantastico. Dovremmo farlo più spesso” grida il palestrato dando una pacca sulle spalle ad Alex. Lui e la rasata sono sporchi di sangue sulle braccia, sul petto e su tutta la faccia.
Il palestrato si passa un dito sulla guancia e se lo mette in bocca.
“Che schifo fai? Non lo sai che è tutta roba chimica?” interviene la rasata, disgustata.
“Volevo sapere che sapore ha.”
La rasata si mette a ridere, gli dà una gomitata e va verso il proprio zaino, estrae un asciugamano e si pulisce la faccia. “Devi ravvivare il fuoco. Qui si è spento tutto.”
Alex, una torcia frontale legata intorno al collo, si mette ad armeggiare con l’accendino.
“Lascia fare, ci penso io” interviene il palestrato.
“Ma no. Ci riesco. Tranquillo. Tira fuori i panini che ho fame.”
“Come vuoi.” Scrolla le spalle e va verso il proprio zaino, raddrizza la torcia che porta legata alla vita e si mette a cercare. “Ma quello al salame me lo mangio io.”
La bionda butta a terra la maschera e si siede sul proprio zaino. “Non vi ha messo i brividi quel posto? Non so come fate a scherzare. Se avrei saputo che era così...”
“Avessi, Tiffany” sbotta Alex.
“Che cosa?”
“Niente, lascia perdere.”
Alex soffia tra i piccoli rami accatastati sul fondo del mucchio, il fuoco comincia a scoppiettare. Il palestrato estrae il sacchetto dei panini e si mette a distribuirli. Alex si lascia cadere accanto alla bionda, prende il proprio panino e inspira piano, fissando le fiamme. Si mettono a mangiare, senza dire niente, intorno c’è solo il riverbero silenzioso delle stelle, il palpito abissale della notte.
“Scherziamo perchè se dovessimo metterci a pensare a quello che è successo non credo riusciremmo a stare tranquilli” dice Alex dando il primo morso al panino. “Ma dai, lo sai che non mi piace il formaggio” sbotta facendo una smorfia.
Il palestrato sorride, dando un vigoroso morso al proprio panino.
“Che cosa vuoi dire?” dice la bionda.
“Dai Alex, non parliamone, ti prego” dice la rasata togliendo con cura il tovagliolo dal panino.
“Perchè no?” chiede la bionda.
“é qui l’ultima volta che è stato visto.”
“Chi?”
“Alex, ti prego...”
“Adam. Ve lo ricordate anche voi, vero?”
“L’ultima volta che l’ho visto avrà avuto dodici anni”
“Già. E questo posto non vi ricorda nulla?”
“Cosa dovesse ricordarci, scusa?”
“Dovrebbe. E non a te, Tiffany. Tu non eri ancora arrivata.”
“é qui che è morto, no?”
“Non è proprio morto”
“Certo che è morto.”
“Ma nessuno ha trovato il corpo.”
“Era venuto qui a nascondersi. Ci veniva spesso. C’era morta sua madre nella valanga del ’98. Da allora suo padre era diventato violento. E lui passava spesso la notte fuori perchè aveva paura di rientrare a casa la sera. Comunque quella notte è venuto qui. Si è nascosto nell’albergo. E poi nessuno l’ha più visto. Puf. Scomparso nel nulla.”
“Nel nulla?”
“Nel nulla.”
“E questa cosa non vi mette i brividi?” dice la rasata gettando il tovagliolo nel fuoco. “Preferirei non parlarle. Dimentichiamo il passato, ok?”
“Stronzate” dice la bionda.
“Che cosa?”
“Questa storia del fantasma che aleggia sul villaggio abbandonato. Sà di già visto.”
“Non ho mica parlato di un fantasma, io””
“Beh più o meno.”
“Mi hai messo i brividi, ti giuro” dice la rasata. “Non è una storia che mi fa piacere ricordare” commenta, scavando per terra con la punta dello stivale. “Noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo per lui.”
“Certo, tutto quanto” dice il palestrato. “Eravamo noi a proteggerlo, vi ricordate? Io uscivo sempre quando lui aveva paura.”
“E io c’ero quando aveva bisogno di staccare da tutto” dice la rasata.
“Con me parlava un sacco di cinema” dice Alex. “Un po’ mi manca”
“Basta, Alex. Adesso basta. Siamo rimasti noi e lui non c’è più. Questa è la verità.”
Rimangono in silenzio, la rasata apre il panino e si mette a togliere il filo di grasso dal prosciutto. Si sente il richiamo di un animale lontano.
“Smettetela. Siamo professionisti. Giriamo un film dell’orrore, mica ci siamo dentro”
“é proprio quello che spero”
Si guardano per un lungo istante di silenzio sospeso, poi si mettono a ridere. Le fiamme illuminano i loro visi, scoppiettano con un suono rassicurante nel placido chiarore del fuoco.
Non vedo l’ora di ammazzarli tutti.

***

“Direi che è tempo di provare la nostra scena” dice il palestrato alzandosi di scatto, inghiottendo con foga l’ultimo morso dell’ultimo panino.
Ci sono una dozzina di bottiglie di birre vuote sparse nella terra smossa, le fiamme si sono assottigliate, fanno sempre meno luce.
“Che cosa?” dice Alex, la voce impastata.
Il palestrato prende la mano della rasata. “La nostra scena, no?” dice con uno sguardo d’intesa. “Quando il nostro killer con la testa da cervo ci trova mentre... lo sai, no? Ci sono un paio di dettagli che non credo di aver capito”
“Cretino” mugugna lei, ma sta ridendo mentre gli dà una spallata. “Ti spiego io, tranquillo.” Sfila la mano dalla sua presa e lo spinge verso il cancello del giardino. Il palestrato accende la torcia frontale e i due si allontanano.
“Ragazzi, dai” urla Alex alle loro spalle. “Avevamo detto di stare insieme!” Ma è già troppo tardi.
Stringo il machete, chiudo gli occhi e inspiro il profumo della notte. Un clichè perfetto. Che meraviglioso regalo. Niente maschera, però. Sono un tipo alla Jack Torrance più che alla Jason. Voglio che guardino la mia faccia mentre muoiono. Voglio che ricordino i miei occhi. Voglio che ricordino il mio volto.
Tengo la torcia spenta mentre scendo le scale dello scivolo. Conosco a memoria la strada. Ogni centimetro di questo posto è mio, solo mio. Li seguo. Attraversano il giardino, la piazza, vanno verso il sentiero... si inoltrano nel bosco.
Un classico anche questo.
Un classico che diventerà un cult. Una cosa in grande. Un sequel di venerdì tredici. Ma uno fatto bene.
Forse mi sto gasando troppo. Peccato non ci sia nessun’altro a vedermi.
Non faccio quasi rumore mentre mi inoltro alle loro spalle seguendo la scia della luce delle loro torce.
Mi faccio largo tra i cespugli selvatici, c’è solo il rumore del torrente in lontananza, il cielo è una coperta nera bucata dalle stelle.
Eccoli. Lei ha la schiena appoggiata contro la radice spezzata di un pino, lui le sta di fronte, le braccia appoggiate a un tronco. É lei ad avvicinarglisi, gli avvolge un braccio intorno alle spalle e se lo trascina addosso. Ora sono uno sull’altro.
Cosa ci troveranno nel bosco poi? Non è mica romantico. Ma, dopotutto, è una scena che non può mancare. Chissà perchè sono sempre i primi a morire? Inutili prouderie da anni ’80.
Beh, tempo scaduto.
É persino più rapido di quanto pensassi. Il primo colpo lo dirigo alla coscia del palestrato. Lui caccia un urlo, si volta di scatto nel tentativo di fronteggiare il proprio assalitore mentre il sangue erompe a getto dalla ferita, il secondo colpo gli finisce sulle mani protese. La rasata ha gli occhi spalancati, tanto sconvolta da non riuscire nemmeno a urlare. É il grido di lui che la fa scattare. Si fionda contro di me, si aggrappa al mio braccio, tenta di strapparmi via la lama. La colpisco con un pugno e la faccio crollare a terra.
“Perchè ci stai facendo questo?” la sua bocca è piena di terra e di sangue, la voce raschiata.
Un braccio mi si avvolge intorno alla gola. È il palestrato. Sta cercando di farmi cadere con un tallone premuto contro l’incavo del ginocchio. Ma conosco i suoi trucchi. Li conosco tutti. Mi piego in avanti e lo sbilancio, lui finisce per tuffarsi contro la mia lama. La testa della rasata finisce schiacciata sotto al mio stivale.
Non parlo, come da copione. Neanche una parola. Li ignoro, proprio quello che loro hanno fatto con me per tutti questi anni.
Il volto di un cadavere è vuoto come le stanze di una casa che nessuno abita da troppo tempo.
Gli occhi di quella ragazza sono ancora aperti, curiosi quasi. Ma non vedono nulla. Com’è che si chiamava? Ah, certo. Eva.
E quel ragazzo che ha cercato di proteggere? Il palestrato? No, non credo di aver capito il suo nome. Non credo l’abbia mai avuto. Era solo un ruolo, dopotutto. Un ruolo. Come quello di tutti gli altri; una maschera da indossare per evitare di guardare in faccia la realtà. Una maschera per non vedere le brutture del mondo, per fuggire dal dolore...
Ma non sarà più così. No, mai più. Da oggi giù le maschere! Basta nascondersi.
Stringo il machete, faccio passare le dita contro il liscio della lama, schiaccio il palmo contro le labbra. Ho sempre pensato che il sangue avesse un sapore particolare, quasi nostalgico.
Sorrido. Adesso tocca agli altri.
***

La testa della bionda rimbalza a terra allo stesso modo di quella della Barbie di mia sorella che avevo decapitato da bambino. Eccetto lo spruzzo di sangue, naturalmente.
La lama non ha indugiato neanche contro l’osso del collo. Burro. Come in un sogno.
Alex si alza, guarda la testa della bionda rotolare accanto al fuoco, poi mi guarda, negli occhi ha un lampo di consapevolezza. Scatta verso il vecchio albergo, oltrepassa la porta scorrevole distrutta e si volta verso di me; sulle sue labbra il guizzo di un sorriso di trionfo.
“Non puoi entrare, vero? Lo so, lo so che è qui che sei scomparso.”
Di colpo non mi importa più di niente. Della paura, dell’indecisione, persino della colpa.
Faccio un passo, supero la porta scorrevole senza vetro. Ed entro.
Alex lancia un urlo, spalanca gli occhi e la bocca, sconvolto e inizia ad arretrare, lento, goffo, come in un film comico.
Ho il machete tra le mani, la faccia calda che gocciola ancora. Deve essere il sangue di Tiffany. Dalle arterie ne spruzza sempre un sacco.
Alex continua a camminare all’indietro, implorando. Lo seguo, piano, senza fretta. Mi gusto il momento senza parlare. Ci sono momenti in cui le parole sono superflue: l’istante che precede il momento in cui stai per uccidere i tuoi fantasmi è uno di quelli.
“Sono io che ti ho fatto uscire da qui, ti ricordi? Io. Senza di me saresti rimasto qui a morire” urla, in lacrime. “Senza di me non avresti avuto neanche il coraggio di continuare a vivere!”
Continuo ad avanzare, il pollice che sfiora la lama.
“Non saresti nessuno senza di noi. Nessuno!”
Patetico.
“Ingrato. Non sei altro che un ingrato!Tutti noi non abbiamo fatto altro che aiutarti. Dove saresti senza di noi? Chi saresti, eh?”
“Me” dico, e chissene se i killer non possono parlare. Le regole le sto scrivendo io qui.
“Non sopravvivresti da solo. Lo sai anche tu, Adam. Hai bisogno di me.”
“Lo vedremo” dico. Faccio un altro passo, allungo una mano e lo spingo con violenza.
Alex fa una strana espressione stupita mentre cade.
Lo sento urlare, poi la voce si ovatta.
Mi sporgo oltre la tromba dell’ascensore. Un paio di piani più sotto quello che rimane di Alex ha il collo e le gambe piegate al rovescio, come un pupazzo ricucito male.
Chiudo gli occhi. Prendo un respiro. Sono libero. Libero.

***

“Adam?”
La voce viene fuori dal buio come il suono di un diapason in mezzo a un teatro vuoto. È un rumore affilato che risuona nel silenzio. Un nome.
“Adam?”
Apro gli occhi. Davanti alle palpebre mi esplode un fuoco d’artificio senza suono. Il mio nome.
O forse è solo la luce del lampadario incassato nel soffitto.
Adam. Sì, sono io.
Mi tiro a sedere, faccio scivolare le gambe dal lettino, i piedi dondolano oltre il lenzuolo inamidato.
“Stai bene, Adam?” mi chiede il Dottor Dippler.
“Sto bene”
Lui spalanca gli occhi, preme l’asta degli occhiali su un sorriso compiaciuto. “Ha funzionato, dunque. Sei tu, Adam”
Mi tocco una guancia, muovo la mandibola con cautela. “Sono io.”
Dietro alla scrivania del Dottor Dippler c’è un orribile quadro di un gruppo di bambini che fanno il girotondo. Una di quelle stronzate naife da mercatino dell’usato.
“Vai a guardarti allo specchio, Adam”
Mi alzo, gli dò le spalle e barcollo verso il grosso specchio a figura intera sul fondo dell’ufficio. Nello specchio si riflette il dottore, la sua scrivania di legno scuro, le sue lauree, il suo quadro di merda. E io.
Ho le occhiaie scavate, i capelli lunghi sulle spalle, una maglietta con un cuore di palliete e due grossi orecchini dorati.
Tiffany. Deve essere stata lei l’ultima.
Ora non più. Ora ci sono solo io.
“Sono molto orgoglioso di te, Adam. I miei pazienti di solito faticano a eliminare i propri... chiamiamoli alter ego, in una sola seduta. Tu sei riuscito addirittura a cancellarne quattro. E a ritrovare te stesso. É un progresso inaudito, credimi. Inaudito” dice, sfiorandosi il colletto della giacca con le dita, come a complimentare se stesso.
“Erano solo quattro idioti.” Sorrido. Mi premo una mano sulla faccia, la barba recente mi pizzica sotto le dita.
Poi qualcosa attira la mia attenzione. Un riflesso distorto nello specchio.
Socchiudo gli occhi. No, non è possibile. Quel quadro... si sta muovendo?
I bambini sembrano sorridere, si voltano a fissarmi.
Una bambina bionda si stacca dal cerchio, mi saluta con la mano, un’altra con la testa rasata mi fa la linguaccia e mi rivolge un gestaccio, un bambino stranamente muscoloso inclina la testa e un altro tira fuori una telecamera dalla tasca della felpa. “Non lo sai, Adam? Eppure dovresti saperlo cosa succede dopo i titoli di coda: chi credi di aver ucciso torna sempre.”
“Come faresti a fare il sequel altrimenti?” ridacchia la rasata.
“Non sapevo che ci facevamo il sequel.”
“Facessimo, Tiffany, facessimo” dice Alex, scuotendo la testa. Poi alza la telecamera, la punta verso di me, sorride. “Si va in scena.”
 
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