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Skannatoio Settembre, Frammenti

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Mr. Banzai
view post Posted on 12/9/2019, 08:24




Salve, sono un utente appena iscritto. Mi presenterò nella sezione apposita appena staccato dal lavoro, in maniera da poterlo fare in maniera appropriata.
Nel mentre volevo chiedere se fosse possibile partecipare con il tema "iniziazione". Purtroppo ho scoperto il contest solo ora, spero di riuscire a scrivere in questi pochi giorni.
 
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view post Posted on 12/9/2019, 09:16
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CITAZIONE (Mr. Banzai @ 12/9/2019, 09:24) 
Salve, sono un utente appena iscritto. Mi presenterò nella sezione apposita appena staccato dal lavoro, in maniera da poterlo fare in maniera appropriata.
Nel mentre volevo chiedere se fosse possibile partecipare con il tema "iniziazione". Purtroppo ho scoperto il contest solo ora, spero di riuscire a scrivere in questi pochi giorni.

Uh cavolo. Solo tre giorni?

Chiediamo tutti insieme qualche giorno in più? :p092:

Non è assolutamente perché sto messo così male che non potrei mai consegnare entro la scadenza. Noooo :p092: :D
 
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view post Posted on 13/9/2019, 10:27
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CITAZIONE (Mr. Banzai @ 12/9/2019, 09:24) 
Salve, sono un utente appena iscritto. Mi presenterò nella sezione apposita appena staccato dal lavoro, in maniera da poterlo fare in maniera appropriata.
Nel mentre volevo chiedere se fosse possibile partecipare con il tema "iniziazione". Purtroppo ho scoperto il contest solo ora, spero di riuscire a scrivere in questi pochi giorni.

Benvenuto, Mr. Banzai. Attendo di leggerti con piacere. ^_^ ^_^

CITAZIONE (reiuky @ 12/9/2019, 10:16) 
CITAZIONE (Mr. Banzai @ 12/9/2019, 09:24) 
Salve, sono un utente appena iscritto. Mi presenterò nella sezione apposita appena staccato dal lavoro, in maniera da poterlo fare in maniera appropriata.
Nel mentre volevo chiedere se fosse possibile partecipare con il tema "iniziazione". Purtroppo ho scoperto il contest solo ora, spero di riuscire a scrivere in questi pochi giorni.

Uh cavolo. Solo tre giorni?

Chiediamo tutti insieme qualche giorno in più? :p092:

Non è assolutamente perché sto messo così male che non potrei mai consegnare entro la scadenza. Noooo :p092: :D

Solita regola: se tutti i partecipanti sono d'accordo a me sta bene, ma devono pronunciarsi tutti.
 
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view post Posted on 13/9/2019, 10:33
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CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 13/9/2019, 11:27) 
Solita regola: se tutti i partecipanti sono d'accordo a me sta bene, ma devono pronunciarsi tutti.

Il silenzio è sconfortante
 
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view post Posted on 13/9/2019, 17:53
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per me sempre niuno problemo

datelo per scontato.
 
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view post Posted on 14/9/2019, 09:31
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Okiiii.

Visto che nessuno si pronuncia contro, concedo una proroga di una settimana. Fatevela bastare!
 
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Beatrice S.
view post Posted on 14/9/2019, 23:24




CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 13/9/2019, 11:27) 
CITAZIONE (Mr. Banzai @ 12/9/2019, 09:24) 
Salve, sono un utente appena iscritto. Mi presenterò nella sezione apposita appena staccato dal lavoro, in maniera da poterlo fare in maniera appropriata.
Nel mentre volevo chiedere se fosse possibile partecipare con il tema "iniziazione". Purtroppo ho scoperto il contest solo ora, spero di riuscire a scrivere in questi pochi giorni.

Benvenuto, Mr. Banzai. Attendo di leggerti con piacere. ^_^ ^_^

CITAZIONE (reiuky @ 12/9/2019, 10:16) 
CITAZIONE (Mr. Banzai @ 12/9/2019, 09:24) 
Salve, sono un utente appena iscritto. Mi presenterò nella sezione apposita appena staccato dal lavoro, in maniera da poterlo fare in maniera appropriata.
Nel mentre volevo chiedere se fosse possibile partecipare con il tema "iniziazione". Purtroppo ho scoperto il contest solo ora, spero di riuscire a scrivere in questi pochi giorni.

Uh cavolo. Solo tre giorni?

Chiediamo tutti insieme qualche giorno in più? :p092:

Non è assolutamente perché sto messo così male che non potrei mai consegnare entro la scadenza. Noooo :p092: :D

Solita regola: se tutti i partecipanti sono d'accordo a me sta bene, ma devono pronunciarsi tutti.

Scusate se non ho risposto. Comunque anche per me nessun problema assolutamente :1392239620.gif: La proroga è ben vista quando permette di avere più racconti u.u

CITAZIONE
Soecifiche ricevute: Vicino al mio paese c'è un paesino che è stato abbandonato negli anni 70, adesso non ricordo nemmeno perché. Stando alla vox populi, negli anni 90 alcuni satanisti andavano a celebrarci messe nere.

Ora, partendo da questo presupposto (puoi ambientare la storia dove ti pare, basta che sia un villaggio abbandonato), sviluppa la storia che preferisci. Al tempo, avrei voluto fare una parodia dello slasher (per questo "quattro idioti") ma hai facoltà di gestire il tutto come meglio credi.



QUATTRO IDIOTI AL VILLAGGIO ABBANDONATO

“E se non mi piacerebbe?”
“Se non mi piacesse, Tiffany!”
La bionda incrocia le braccia e sbatte un piede contro il terreno fangoso appoggiandosi a un tronco con una mano dalle unghie laccate di rosa. “Che cosa non ti piace, scusa? Sei tu quello che ha voluto portarci a tutti i costi in questo posto di merda” si lamenta increspando le labbra lucide in una smorfia.
Il ragazzo si sistema sulle spalle i due zaini, quello militare sulla destra e quello rosa con i cuori sulla sinistra, solleva gli occhiali e si stropiccia il naso.“Tiffany, ti prego. Te l’ho detto. È la location perfetta”
“Potevi avvertirci che era così” si lamenta ancora la bionda, dà un urletto quando si accorge che un ramo le si è impigliato tra i capelli. “Due ore dal parrucchiere per niente!”
“Avresti potuto” mormora il ragazzo.
“Che cosa?”
“Lascia perdere, Alex” ridacchia una ragazza con i capelli rasati superandoli con un paio di balzi rapidi. “é un caso disperato.” Dà una pacca sulla schiena alla bionda che si piega su se stessa mugolando. “Chi arriva ultimo viene squartato per primo!” urla, inerpicandosi lungo il sentiero a poderose falcate, usando le grosse radici dei larici per garantirsi la presa in mezzo al fango, il tatuaggio di un drago risalta sul polpaccio definito, da sportiva. Raggiunge il ragazzo con le cuffie nelle orecchie che avanza rapido davanti a tutti, solitario, il petto nudo lucido di sudore, un grosso zaino con un rotolo di legna sulle spalle. La ragazza gli si avvicina, gli strappa una cuffia e ride quando lui si volta verso di lei e la fissa con uno sguardo truce.
“Asociale” ridacchia.
“Rompipalle”
La rasata si volta, indica i due rimasti indietro che continuano a litigare. “Dovevamo proprio portarcela dietro?”
Il palestrato alza le spalle. “Alex ha detto che era perfetta”
“Una perfetta cretina” dice, scuotendo la testa. “Dammi un solo motivo, avanti, uno solo perchè quella tizia debba essere la protagonista”
Il palestrato inclina la testa, esita, poi alza le spalle. “Tette.”
“Cretino” gli dà una gomitata, lo supera e si mette a correre sù per il sentiero. “Chi arriva ultimo viene decapitato!”
“Io me ne vado” annuncia la bionda alzando il mento.
“E dove vorresti andare, sentiamo?” la provoca Alex.
“Indietro, Spielberg”
“E il corto?”
“Me ne frego del tuo stupido film, è chiaro?”
“Andiamo, Tiffany. Sei l’attrice principale. Non posso farlo senza di te” la lusinga con voce implorante.
La bionda lo ignora, si volta, sempre aggrappata al tronco e comincia a scivolare malamente verso il basso.
“Come vuoi” le urla dietro Alex. “Ti ricordo solo che sono tre ore di strada per arrivare in paese e mezz’ora per arrivare a Heaven. Allora ciao. Spero che ti ricordi da che parte andare al bivio dopo la cascata. E stai attenta ai burroni” dice e riprende a salire mugugnando tra i denti un’imprecazione.
La bionda si blocca, guarda in basso, in mezzo al fango del sottobosco, al sentiero che si perde tra i larici nel buio dei rami che chiudono il passaggio al sole. Emette un gemito e preme i pugni contro le cosce prima di voltarsi e correre dietro ad Alex. “Però la battuta alla fine la sceglievo io, eh.”
Il ragazzo alza gli occhi. “Sarà una lunga notte”
Che branco di cretini.
Quattro idioti che se ne vanno allegramente per il sentiero verso il villaggio abbandonato. Il mio villaggio.
Esco dal nascondiglio tra i cespugli di mirtilli selvatici, rimango in mezzo al sentiero, stringo il mio machete, un classico in questi casi, e li guardo sparire oltre la curva. Non c’è niente di meglio di una bella lama affilata per assaporare quel delicato piacere che esala dalle urla dei ragazzini che implorano un’illusoria pietà. Sarò all’antica, ma in questi casi una bella lama è quello che ci vuole. Sono le regole del gioco.
Inspiro il profumo della sera che si avvicina. Oh sì, sarà una lunga notte.

***

“Chi va a prendere la legna?” chiede la rasata tirando fuori dallo zaino accendino e carta da giornale.
“Ne ho presa abbastanza lungo il sentiero” risponde il palestrato slegando la grossa fascina dalla cima dello zaino e facendola cadere in mezzo allo spiazzo di terra nel giardino incolto del vecchio hotel dalle pareti in legno scuro. Sul pino di fianco all’entrata sovrastata dalle grosse O e L in rosso, le uniche lettere dell’insegna sopravvissute, ci sono ancora le decorazioni natalizie di vent’anni fa.
“Sei un cretino efficiente” dice prendendogli la faccia tra le mani e schiacciandogli un bacio sulle labbra. Il palestrato le afferra il sedere con due mani e se la trascina addosso.
“Prendetevi una stanza, ragazzi” dice Alex emergendo dalla struttura crollata di un vecchio gazebo e sbattendo a terra gli zaini.“Anzi, meglio di no. O vi devo ricordare che cosa succede a chi fa sesso in questo genere di film?”
Lei gli mostra la lingua. “Meno male che conosco il regista e lo posso corrompere, allora. Fammi un bel primo piano quando il killer mi ammazza.”
Alex sorride estraendo una telecamera portatile grande quanto un pugno dalla tasca dello zaino. “Non ho mai visto nessuno così ansioso di essere fatto a pezzi, Eva. Pensa a ricordarti le battute, ok?”
“Le mie battute” lo motteggia lei. “non devo fare altro che urlare no, ti prego, non farlo” dice con una voce troppo acuta, le mani schiacciate contro le guance. “E poi morire.” dà uno schiaffo alle mani del palestrato, ancora artigliate intorno alle sue chiappe e si fa scivolare vicino a Alex. “Avrei dovuto farla io la final girl, lo sappiamo entrambi.”
“Ne abbiamo già parlato” sospira armeggiando con l’impugnatura della telecamera.
“Non abbastanza.”
Alex schiaccia il tasto di accensione e abbassa lo sguardo verso lo schermo. “Ok. Così dovrebbe andare. Abbiamo quasi tre ore prima del tramonto. Potremmo fare un giro di ispezione e poi cominciare subito con la scena dell’inseguimento nell’albergo, che dite? Poi domattina possiamo fare quelle nella vecchia chiesa.”
“Mi stai ascoltando?” ribatte Eva dandogli un pugno contro un braccio.
Alex sospira, schiocca le labbra, irritato. “Lo sai che la final girl deve avere quell’aria innocente, angelica... da vergine, no? Sono le regole.”
“Se quella è vergine io sono Giovanna D’Arco.”
“Deve sembrarlo, mica esserlo.”
“Un’asse di legno con una parrucca saprebbe recitare meglio.”
“Senti, Eva. Lo sai che per sperare di entrare nel concorso ci servono almeno un migliaio di visualizzazioni, no? E lo sai come si fanno le visual?”
“Dialoghi ben fatti e una trama innovativa?”
“Tette” urla il palestrato mettendosi due mani a coppa intorno alle labbra prima di tornare a soffiare sulle prime scintille del fuoco.
Alex alza le spalle a allarga le braccia.
“Andiamo” si lamenta Eva con un sospiro.
“Non possiamo permetterci di fare gli sperimentali. Non adesso. Magari fra qualche anno...” si giustifica Alex.
“Certo, fra qualche anno” sibila la rasata, dà un calcio a un grosso chiodo e si allontana, torna verso il palestrato e si mette a gettare rametti tra le prime fiamme.
“E dov’è finita la tua bella protagonista tettona, sentiamo?” gli fa con un’espressione di sfida. “Sì è persa lungo il sentiero?”
Alex chiude lo schermo della telecamera e si volta. Ruota gli occhi infilandosi la telecamera nella tasca della felpa. “Che palle” geme tra i denti tornando da dove è venuto.
Oltrepassa il gazebo crollato, salta oltre una recensione ricoperta d’edera e attraversa la piazza della fontana con la statua della capra in granito; su una delle corna è ancora incastrata una ghirlanda di plastica. Si mette a correre verso l’imbocco del sentiero, una volta superata la chiesa sulla cui facciata ondeggiano malamente delle vecchie luci natalizie, urla il nome della bionda, c’è una sfumatura di rabbia nella sua voce e, più sotto, qualcosa di molto simile alla paura.
La bionda emerge dal sentiero, in mano ha un cellulare che tiene in alto, le braccia tese. “Non c’è un cavolo di campo qui” si lamenta saltellando tra le grosse radici.
“Tiffany, ti prego. Rimaniamo insieme.”
La bionda abbassa le braccia e scoppia a ridere, lo guarda come si guarda un animaletto agonizzante che il gatto ti ha messo sul tappetino di fronte a casa. “Che c’è, regista? Hai paura, per caso?”
“Falla finita” sbotta lui. “Muoviti che ci rimangono poche ore di luce. Voglio girare un paio di scene prima di passare a quelle notturne.”
“Ma io non posso girare così, scusa! Ho bisogno di una piega. Ma li hai visti questi capelli?”
“Andranno benissimo, Tiffany. Davvero. È più un look naturale quello che cerchiamo. Spontaneo, ok?” sorride, tende una mano verso di lei. “Adesso raggiungiamo gli altri, va bene? Se c’è una regola da rispettare in questi casi è questa: rimanere insieme, no?” ridacchia cercando complicità.
“E perchè?” risponde con due occhi spalancati da cucciolo di lontra.
“Ma l’hai mai visto un film horror te?”
“Certo” esclama, offesa. “E mi ha fatto una paura pazzesca. Soprattutto quella scena dove lui viene fuori dalla chiesa a petto nudo e si mette a luccicare e lei deve correre per fermarlo in tempo prima che gli altri vampiri lo uccidano, no?”
“Ma di che diavolo stai parlando?”
“Ma sì, dai” geme lei agitando la testa. “Quello del vampiro e del lupo mannaro.”
“Oddio, abbi pietà” sussurra lui imprecando tra i denti.

***

“Senti, ma... com’è che si chiama questo posto di merda?” domanda la bionda trotterellando dietro a Alex che supera con un salto una recinzione di legno.
“Heaven”
“Che nome di merda” commenta la bionda cercando a fatica di oltrepassare il recinto e atterrando goffamente dalla parte opposta, i piedi che affondano nel fango di quello che un tempo era stato un giardino e che ora è tornato a far parte della natura circostante.
“Ci abitavano un centinaio di persone” continua il ragazzo rispondendo a una domanda che non c’è stata mentre la bionda gli corre dietro. Attraversa il giardino e sbuca nella piazza della chiesa. “Contadini, allevatori... cose così. Poi ci hanno fatto un albergo negli anni ’80 quando hanno costruito la pista da sci. Ma hanno chiuso tutto dopo la valanga del capodanno del ‘98. Una quindicina di morti. Da allora hanno lasciato tutto così. Hanno chiuso la funivia e la gente ha smesso di venirci. Breve storia triste.”
“Furbi loro. Mica come noi” sibila la bionda.
“Dobbiamo girarci un film, Tiffany, mica passarci le vacanze.”
“Le vacanze. Appunto. Io dovevo essere al mare adesso.”
Alex la precede attraverso il relitto del gazebo e raggiunge gli altri nel giardino di fronte all’hotel.
“Hai recuperato la principessina o si è trasformata in una zucca?” domanda la rasata facendo cadere tra le fiamme la cicca di una sigaretta fumata fino al filtro.
Alex la ignora, si siede accanto al proprio zaino, estrae la telecamera di tasca e se la mette tra le gambe incrociate. “Vogliamo ripassare il copione?”
Eva si siede accanto al palestrato che poggia a terra un fumetto di Dylan Dog dopo aver fatto un’orecchia alla pagina.
“Ci dobbiamo proprio sedere per terra?” fa la bionda con un gemito di disgusto.
Alex le lancia lo zaino rosa. “Sieditici sopra” sbotta, nervoso. “Allora. Vogliamo cominciare o no?”
“Prego, Kubrick. Proceda” lo motteggia la rasata.
Alex prende un sospiro, unisce le mani e le preme contro la fronte. Gli altri lo fissano; nel silenzio si riesce a percepire il fischio lontano di una marmotta, lo scorrere del torrente e il rumore sottile del vento.
“Per prima cosa pensavo di girare la scena dell’inseguimento dentro l’albergo, quella che sarà verso la fine del corto, ok? Quando il killer insegue la ragazza, ma cade nella tromba dell’ascensore.”
“Forte” dice il palestrato.
“Potremmo provare anche quella con voi due” dice Alex girandosi verso di lui. “L’hai portato il sangue finto?”
“Yes, commander” risponde, frugando dentro il proprio zaino ed estraendo, nell’ordine: una stecca di sigarette, quattro fumetti, una scatola di biscotti e un flacone di plastica pieno di un liquido denso e vermiglio.
“Ottimo”
La rasata raccoglie la stecca di sigarette e ne stacca un pacchetto, comincia a scartarlo con lentezza. “Com’è che lo intitoliamo questo film, alla fine?”
Alex sorride, allarga le braccia come fanno i pescatori quando fingono di aver preso la trota più grande del fiume. “Quattro idioti al villaggio abbandonato” dice, guardandosi intorno per registrare la reazione degli altri. “Allora? Vi piace?”
La bionda dà un urletto.
“Insomma” dice la rasata. “Banale.”
“Ma come?” si lamenta Alex. “é perfetto. Immaginatevelo. Sarà un po’ come il classico degli slasher, no? Una roba alla venerdì 13, ma quello originale, sia chiaro. Solo che poi, plot twist, il killer...”
“Noioso” sbotta la rasata interrompendolo mentre si infila una sigaretta tra le labbra.
“Ma come? É la parte migliore.”
“Quale?” interviene la bionda, perplessa.
“E sì che l’abbiamo letto tre volte il copione.”
“Il killer è tutti quanti, Tiffany, ti ricordi?” le fa la rasata, scocciata.
“Ah” dice la bionda, annuendo. Poi si blocca. “Non ho capito.”
“Tutti i ragazzi sono il killer. Tutti hanno pensato di uccidere gli altri. Ma nessuno di loro lo sa” esulta Alex.“Geniale, no?”
“A me mi sembra solo difficile.”
“Tu non devi pensare, Tiffany. Pensa solo a urlare, chiaro? E abbassa l’orlo di quella canotta che non si vedono abbastanza... ecco, così.”
La rasata nasconde la faccia tra le mani. “Siamo a questo livello, davvero?”
Alex rovista nello zaino, si volta verso gli altri con le braccia infilate dentro fino ai gomiti. “Allora, siete pronti a conoscere il nostro killer?”
“più alla Freddy o più alla Jason?” chiede la rasata alzandosi in piedi per sbirciare mentre si ficca in tasca l’accendino.
“Chi?” geme la bionda armeggiando con il telefono.
Alex estrae una grossa cosa marrone con le corna, se la infila in testa e si volta verso gli altri facendo un verso rauco.
“Dimmi che stai scherzando”
“non vi piace?” geme Alex da dietro la maschera da cervo.
“A me sembra una stronzata.”
“é originale.”
“é stupido.”
“Trash” dice la rasata.
Alex sospira, si toglie la maschera e la mette sotto un braccio. “Ok. Allora, statemi a sentire. La facciamo così: domattina giriamo la scena del ritrovamento. Direi che la chiesa all’inizio del villaggio è perfetta, no?”
“E che ci fa una maschera da cervo in una chiesa, scusa?”
“Fa atmosfera la chiesa, lo sanno tutti.”
“Questo stronzo vuole diventare il nuovo David Linch” ridacchia la rasata. “E meno male che non dovevamo fare gli sperimentali.”
“David chi?” stride la bionda.
“é solo una maschera originale” ribatte Alex con una scrollata di spalle. “Non siete stanchi di tutte quelle brutte copie di maschere sportive? E poi fa tanto montagna, no? É perfetta” fa un colpo di tosse e riprende dove si era interrotto. “Ok, allora, ritrovano la maschera e tu, Eva sei la prima a esserne affascinata, ok? Te lo ricordi?”
“Favoloso” geme la rasata roteando gli occhi.
“poi sapete come va avanti, no? Prima tu cerchi di uccidere Annie, ma non ci riesci, ok?”
“Chi è Annie?” fa la bionda, lo sguardo perso verso il fuoco.
Alex si stropiccia il naso. “é il tuo personaggio, Tiffany, cerca di concentrarti.
“E poi?”
“E poi Tiffany prende la maschera e uccide Candy e Tom mentre sono in stanza a... beh, lo sapete a far cosa, ok?”
“Che siamo noi” dice il palestrato, dando una gomitata nel fianco alla rasata che per tutta risposta gli dà un pugno contro una spalla.
“Esatto” continua Alex, concentrato. “Nella scena successiva sarà Tom a inseguire Annie, invece. Tom che in realtà non era morto quando Annie ha creduto di ucciderlo. Tom cade nella tromba dell’ascensore, la maschera scivola via e Annie impazzisce. É tutto chiaro?”
“Cristallino”
“Trasparente”
“Io continuo a non capire una cosa” interviene la rasata accendendosi un’altra sigaretta.
Alex sospira. “Sarebbe?”
“Perchè tutti questi ragazzi dovrebbero volersi morti? Non ha senso. Insomma, qual è il loro background? Si odiano per un motivo particolare? Non sappiamo neanche come diavolo facciano a conoscersi.”
“Ti fai troppe domande, tesoro” dice il palestrato rubandole la sigaretta dalle dita. “Alla gente mica interessa la trama. Vuole solo vedere il sangue.”
“E le tette” continua Alex con tono professionale.
“E le tette” ripete il palestrato accennando verso Alex uno sguardo d’intesa.
“Vi odio” sospira la rasata.
“ottimo” dice Alex sfilandosi la maschera e lanciandola verso Eva. Ha un sorriso di trionfo sul volto. “Si va in scena”
Il palestrato strappa la maschera dalle mani di Eva, se la infila e inizia a muggire, la voce ovattata da quell’orrore di pelo marrone con le corna storte.
Mi piace questo ragazzo.
Sarà il primo a morire.

***

Sarebbe stato troppo rischioso mettermi a inseguirli dentro l’albergo. Avrei rischiato che mi vedessero. Non è che mi faccia paura, sia chiaro. Non ho nessun motivo di avere paura di un vecchio albergo. É solo che ho preferito aspettare. Mi sono nascosto dentro la vecchia struttura in plastica dello scivolo nel giardinetto di fronte all’albergo. E ho cominciato ad aspettare.
Sono passate le dieci, mi sollevo sulle ginocchia per rimuovere la sensazione di formicolio dalle chiappe e dalle dita dei piedi. Accendo e spengo la torcia, osservo l’alone di luce che proietta contro il legno umido, mi metto a fare le ombre con le dita, come faceva mia madre quando ero piccolo. Il topo, il coniglio, l’impiccato... o forse questo non c’era.
Il machete è appoggiato alla parete. Ha sete, lo sento. Potrei anche entrare adesso. Ucciderli tutti insieme e farla finita una volta per tutte. No, non funzionerebbe.
Devo aspettare, procedere con calma. Assaporare ogni secondo.
Ma quanto diavolo ci mettono quei quattro idioti?
Mi sporgo dal piccolo arco sopra lo scivolo. Finalmente li vedo: stanno uscendo dalla porta girevole senza più vetro. Emergono dalla hall del vecchio albergo come fantasmi dimenticati, ridendo tra loro, Alex davanti a tutti, con la telecamera stretta al petto. Lo seguono Eva e il palestrato, la bionda chiude la fila, la maschera da cervo sotto l’ascella.
“Fantastico. Dovremmo farlo più spesso” grida il palestrato dando una pacca sulle spalle ad Alex. Lui e la rasata sono sporchi di sangue sulle braccia, sul petto e su tutta la faccia.
Il palestrato si passa un dito sulla guancia e se lo mette in bocca.
“Che schifo fai? Non lo sai che è tutta roba chimica?” interviene la rasata, disgustata.
“Volevo sapere che sapore ha.”
La rasata si mette a ridere, gli dà una gomitata e va verso il proprio zaino, estrae un asciugamano e si pulisce la faccia. “Devi ravvivare il fuoco. Qui si è spento tutto.”
Alex, una torcia frontale legata intorno al collo, si mette ad armeggiare con l’accendino.
“Lascia fare, ci penso io” interviene il palestrato.
“Ma no. Ci riesco. Tranquillo. Tira fuori i panini che ho fame.”
“Come vuoi.” Scrolla le spalle e va verso il proprio zaino, raddrizza la torcia che porta legata alla vita e si mette a cercare. “Ma quello al salame me lo mangio io.”
La bionda butta a terra la maschera e si siede sul proprio zaino. “Non vi ha messo i brividi quel posto? Non so come fate a scherzare. Se avrei saputo che era così...”
“Avessi, Tiffany” sbotta Alex.
“Che cosa?”
“Niente, lascia perdere.”
Alex soffia tra i piccoli rami accatastati sul fondo del mucchio, il fuoco comincia a scoppiettare. Il palestrato estrae il sacchetto dei panini e si mette a distribuirli. Alex si lascia cadere accanto alla bionda, prende il proprio panino e inspira piano, fissando le fiamme. Si mettono a mangiare, senza dire niente, intorno c’è solo il riverbero silenzioso delle stelle, il palpito abissale della notte.
“Scherziamo perchè se dovessimo metterci a pensare a quello che è successo non credo riusciremmo a stare tranquilli” dice Alex dando il primo morso al panino. “Ma dai, lo sai che non mi piace il formaggio” sbotta facendo una smorfia.
Il palestrato sorride, dando un vigoroso morso al proprio panino.
“Che cosa vuoi dire?” dice la bionda.
“Dai Alex, non parliamone, ti prego” dice la rasata togliendo con cura il tovagliolo dal panino.
“Perchè no?” chiede la bionda.
“é qui l’ultima volta che è stato visto.”
“Chi?”
“Alex, ti prego...”
“Adam. Ve lo ricordate anche voi, vero?”
“L’ultima volta che l’ho visto avrà avuto dodici anni”
“Già. E questo posto non vi ricorda nulla?”
“Cosa dovesse ricordarci, scusa?”
“Dovrebbe. E non a te, Tiffany. Tu non eri ancora arrivata.”
“é qui che è morto, no?”
“Non è proprio morto”
“Certo che è morto.”
“Ma nessuno ha trovato il corpo.”
“Era venuto qui a nascondersi. Ci veniva spesso. C’era morta sua madre nella valanga del ’98. Da allora suo padre era diventato violento. E lui passava spesso la notte fuori perchè aveva paura di rientrare a casa la sera. Comunque quella notte è venuto qui. Si è nascosto nell’albergo. E poi nessuno l’ha più visto. Puf. Scomparso nel nulla.”
“Nel nulla?”
“Nel nulla.”
“E questa cosa non vi mette i brividi?” dice la rasata gettando il tovagliolo nel fuoco. “Preferirei non parlarle. Dimentichiamo il passato, ok?”
“Stronzate” dice la bionda.
“Che cosa?”
“Questa storia del fantasma che aleggia sul villaggio abbandonato. Sà di già visto.”
“Non ho mica parlato di un fantasma, io””
“Beh più o meno.”
“Mi hai messo i brividi, ti giuro” dice la rasata. “Non è una storia che mi fa piacere ricordare” commenta, scavando per terra con la punta dello stivale. “Noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo per lui.”
“Certo, tutto quanto” dice il palestrato. “Eravamo noi a proteggerlo, vi ricordate? Io uscivo sempre quando lui aveva paura.”
“E io c’ero quando aveva bisogno di staccare da tutto” dice la rasata.
“Con me parlava un sacco di cinema” dice Alex. “Un po’ mi manca”
“Basta, Alex. Adesso basta. Siamo rimasti noi e lui non c’è più. Questa è la verità.”
Rimangono in silenzio, la rasata apre il panino e si mette a togliere il filo di grasso dal prosciutto. Si sente il richiamo di un animale lontano.
“Smettetela. Siamo professionisti. Giriamo un film dell’orrore, mica ci siamo dentro”
“é proprio quello che spero”
Si guardano per un lungo istante di silenzio sospeso, poi si mettono a ridere. Le fiamme illuminano i loro visi, scoppiettano con un suono rassicurante nel placido chiarore del fuoco.
Non vedo l’ora di ammazzarli tutti.

***

“Direi che è tempo di provare la nostra scena” dice il palestrato alzandosi di scatto, inghiottendo con foga l’ultimo morso dell’ultimo panino.
Ci sono una dozzina di bottiglie di birre vuote sparse nella terra smossa, le fiamme si sono assottigliate, fanno sempre meno luce.
“Che cosa?” dice Alex, la voce impastata.
Il palestrato prende la mano della rasata. “La nostra scena, no?” dice con uno sguardo d’intesa. “Quando il nostro killer con la testa da cervo ci trova mentre... lo sai, no? Ci sono un paio di dettagli che non credo di aver capito”
“Cretino” mugugna lei, ma sta ridendo mentre gli dà una spallata. “Ti spiego io, tranquillo.” Sfila la mano dalla sua presa e lo spinge verso il cancello del giardino. Il palestrato accende la torcia frontale e i due si allontanano.
“Ragazzi, dai” urla Alex alle loro spalle. “Avevamo detto di stare insieme!” Ma è già troppo tardi.
Stringo il machete, chiudo gli occhi e inspiro il profumo della notte. Un clichè perfetto. Che meraviglioso regalo. Niente maschera, però. Sono un tipo alla Jack Torrance più che alla Jason. Voglio che guardino la mia faccia mentre muoiono. Voglio che ricordino i miei occhi. Voglio che ricordino il mio volto.
Tengo la torcia spenta mentre scendo le scale dello scivolo. Conosco a memoria la strada. Ogni centimetro di questo posto è mio, solo mio. Li seguo. Attraversano il giardino, la piazza, vanno verso il sentiero... si inoltrano nel bosco.
Un classico anche questo.
Un classico che diventerà un cult. Una cosa in grande. Un sequel di venerdì tredici. Ma uno fatto bene.
Forse mi sto gasando troppo. Peccato non ci sia nessun’altro a vedermi.
Non faccio quasi rumore mentre mi inoltro alle loro spalle seguendo la scia della luce delle loro torce.
Mi faccio largo tra i cespugli selvatici, c’è solo il rumore del torrente in lontananza, il cielo è una coperta nera bucata dalle stelle.
Eccoli. Lei ha la schiena appoggiata contro la radice spezzata di un pino, lui le sta di fronte, le braccia appoggiate a un tronco. É lei ad avvicinarglisi, gli avvolge un braccio intorno alle spalle e se lo trascina addosso. Ora sono uno sull’altro.
Cosa ci troveranno nel bosco poi? Non è mica romantico. Ma, dopotutto, è una scena che non può mancare. Chissà perchè sono sempre i primi a morire? Inutili prouderie da anni ’80.
Beh, tempo scaduto.
É persino più rapido di quanto pensassi. Il primo colpo lo dirigo alla coscia del palestrato. Lui caccia un urlo, si volta di scatto nel tentativo di fronteggiare il proprio assalitore mentre il sangue erompe a getto dalla ferita, il secondo colpo gli finisce sulle mani protese. La rasata ha gli occhi spalancati, tanto sconvolta da non riuscire nemmeno a urlare. É il grido di lui che la fa scattare. Si fionda contro di me, si aggrappa al mio braccio, tenta di strapparmi via la lama. La colpisco con un pugno e la faccio crollare a terra.
“Perchè ci stai facendo questo?” la sua bocca è piena di terra e di sangue, la voce raschiata.
Un braccio mi si avvolge intorno alla gola. È il palestrato. Sta cercando di farmi cadere con un tallone premuto contro l’incavo del ginocchio. Ma conosco i suoi trucchi. Li conosco tutti. Mi piego in avanti e lo sbilancio, lui finisce per tuffarsi contro la mia lama. La testa della rasata finisce schiacciata sotto al mio stivale.
Non parlo, come da copione. Neanche una parola. Li ignoro, proprio quello che loro hanno fatto con me per tutti questi anni.
Il volto di un cadavere è vuoto come le stanze di una casa che nessuno abita da troppo tempo.
Gli occhi di quella ragazza sono ancora aperti, curiosi quasi. Ma non vedono nulla. Com’è che si chiamava? Ah, certo. Eva.
E quel ragazzo che ha cercato di proteggere? Il palestrato? No, non credo di aver capito il suo nome. Non credo l’abbia mai avuto. Era solo un ruolo, dopotutto. Un ruolo. Come quello di tutti gli altri; una maschera da indossare per evitare di guardare in faccia la realtà. Una maschera per non vedere le brutture del mondo, per fuggire dal dolore...
Ma non sarà più così. No, mai più. Da oggi giù le maschere! Basta nascondersi.
Stringo il machete, faccio passare le dita contro il liscio della lama, schiaccio il palmo contro le labbra. Ho sempre pensato che il sangue avesse un sapore particolare, quasi nostalgico.
Sorrido. Adesso tocca agli altri.
***

La testa della bionda rimbalza a terra allo stesso modo di quella della Barbie di mia sorella che avevo decapitato da bambino. Eccetto lo spruzzo di sangue, naturalmente.
La lama non ha indugiato neanche contro l’osso del collo. Burro. Come in un sogno.
Alex si alza, guarda la testa della bionda rotolare accanto al fuoco, poi mi guarda, negli occhi ha un lampo di consapevolezza. Scatta verso il vecchio albergo, oltrepassa la porta scorrevole distrutta e si volta verso di me; sulle sue labbra il guizzo di un sorriso di trionfo.
“Non puoi entrare, vero? Lo so, lo so che è qui che sei scomparso.”
Di colpo non mi importa più di niente. Della paura, dell’indecisione, persino della colpa.
Faccio un passo, supero la porta scorrevole senza vetro. Ed entro.
Alex lancia un urlo, spalanca gli occhi e la bocca, sconvolto e inizia ad arretrare, lento, goffo, come in un film comico.
Ho il machete tra le mani, la faccia calda che gocciola ancora. Deve essere il sangue di Tiffany. Dalle arterie ne spruzza sempre un sacco.
Alex continua a camminare all’indietro, implorando. Lo seguo, piano, senza fretta. Mi gusto il momento senza parlare. Ci sono momenti in cui le parole sono superflue: l’istante che precede il momento in cui stai per uccidere i tuoi fantasmi è uno di quelli.
“Sono io che ti ho fatto uscire da qui, ti ricordi? Io. Senza di me saresti rimasto qui a morire” urla, in lacrime. “Senza di me non avresti avuto neanche il coraggio di continuare a vivere!”
Continuo ad avanzare, il pollice che sfiora la lama.
“Non saresti nessuno senza di noi. Nessuno!”
Patetico.
“Ingrato. Non sei altro che un ingrato!Tutti noi non abbiamo fatto altro che aiutarti. Dove saresti senza di noi? Chi saresti, eh?”
“Me” dico, e chissene se i killer non possono parlare. Le regole le sto scrivendo io qui.
“Non sopravvivresti da solo. Lo sai anche tu, Adam. Hai bisogno di me.”
“Lo vedremo” dico. Faccio un altro passo, allungo una mano e lo spingo con violenza.
Alex fa una strana espressione stupita mentre cade.
Lo sento urlare, poi la voce si ovatta.
Mi sporgo oltre la tromba dell’ascensore. Un paio di piani più sotto quello che rimane di Alex ha il collo e le gambe piegate al rovescio, come un pupazzo ricucito male.
Chiudo gli occhi. Prendo un respiro. Sono libero. Libero.

***

“Adam?”
La voce viene fuori dal buio come il suono di un diapason in mezzo a un teatro vuoto. È un rumore affilato che risuona nel silenzio. Un nome.
“Adam?”
Apro gli occhi. Davanti alle palpebre mi esplode un fuoco d’artificio senza suono. Il mio nome.
O forse è solo la luce del lampadario incassato nel soffitto.
Adam. Sì, sono io.
Mi tiro a sedere, faccio scivolare le gambe dal lettino, i piedi dondolano oltre il lenzuolo inamidato.
“Stai bene, Adam?” mi chiede il Dottor Dippler.
“Sto bene”
Lui spalanca gli occhi, preme l’asta degli occhiali su un sorriso compiaciuto. “Ha funzionato, dunque. Sei tu, Adam”
Mi tocco una guancia, muovo la mandibola con cautela. “Sono io.”
Dietro alla scrivania del Dottor Dippler c’è un orribile quadro di un gruppo di bambini che fanno il girotondo. Una di quelle stronzate naife da mercatino dell’usato.
“Vai a guardarti allo specchio, Adam”
Mi alzo, gli dò le spalle e barcollo verso il grosso specchio a figura intera sul fondo dell’ufficio. Nello specchio si riflette il dottore, la sua scrivania di legno scuro, le sue lauree, il suo quadro di merda. E io.
Ho le occhiaie scavate, i capelli lunghi sulle spalle, una maglietta con un cuore di palliete e due grossi orecchini dorati.
Tiffany. Deve essere stata lei l’ultima.
Ora non più. Ora ci sono solo io.
“Sono molto orgoglioso di te, Adam. I miei pazienti di solito faticano a eliminare i propri... chiamiamoli alter ego, in una sola seduta. Tu sei riuscito addirittura a cancellarne quattro. E a ritrovare te stesso. É un progresso inaudito, credimi. Inaudito” dice, sfiorandosi il colletto della giacca con le dita, come a complimentare se stesso.
“Erano solo quattro idioti.” Sorrido. Mi premo una mano sulla faccia, la barba recente mi pizzica sotto le dita.
Poi qualcosa attira la mia attenzione. Un riflesso distorto nello specchio.
Socchiudo gli occhi. No, non è possibile. Quel quadro... si sta muovendo?
I bambini sembrano sorridere, si voltano a fissarmi.
Una bambina bionda si stacca dal cerchio, mi saluta con la mano, un’altra con la testa rasata mi fa la linguaccia e mi rivolge un gestaccio, un bambino stranamente muscoloso inclina la testa e un altro tira fuori una telecamera dalla tasca della felpa. “Non lo sai, Adam? Eppure dovresti saperlo cosa succede dopo i titoli di coda: chi credi di aver ucciso torna sempre.”
“Come faresti a fare il sequel altrimenti?” ridacchia la rasata.
“Non sapevo che ci facevamo il sequel.”
“Facessimo, Tiffany, facessimo” dice Alex, scuotendo la testa. Poi alza la telecamera, la punta verso di me, sorride. “Si va in scena.”
 
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view post Posted on 15/9/2019, 19:57
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Apprendista stregone

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Una settimana di proroga?

Evvvvaiiiiiiiiiiiiii!!! :1392239710.gif: :1392239710.gif: :1392239710.gif:


Grazie WP!!
 
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view post Posted on 16/9/2019, 18:14

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Anche se in ritardo, sono d'accordo con la settimana di proroga.
 
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view post Posted on 19/9/2019, 20:04
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"Ecate, figlia mia..."

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Finito! La settimana mi è tornata utile, perché negli ultimi giorni della scorsa un problema m'aveva fermato...

Faccio decantare du' giorni, poi rileggo e correggo.
 
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view post Posted on 20/9/2019, 06:54
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CODICE
NEL RACCONTO UN PERSONAGGIO (O PIù PERSONAGGI MISTERIOSI) DOVRANNO PROPORSI COME ACQUIRENTI, ALTERNATIVAMENTE, DI UNA DI QUESTE COSE:

-TEMPO
-ANIME
- EMOZIONI


Pandora’s box
Pandora e i mercanti di tempo
di Reiuky

«Hai visto quanto era carino quando si è tolto la maglietta?» le chiese la Stefy.
«Carino?» rispose Pandora. «Era proprio bono.»
Stefy si mise a sghignazzare, per poi soffocare quella risata bevendo un po’ di milk shake. Un attimo dopo arrivò il cameriere Stefy fece finta di essere completamente interessata alla sua bevanda, e non rispose quando questo chiese «tutto bene?»
«Si grazie» rispose per lei Pandora.
Il cameriere fece un cenno con la testa e si allontanò. Mentre la sua amica tirava un sospiro estasiato, il cellulare trillò.
«È ancora quel giochino?» le chiese la Stefy.
Pandora annuì mentre apriva la notifica. Doveva essersi rabbuiata nel vedere il simbolo dello scorpione accompagnato dal messaggio “Grande offerta solo per oggi!”, dato che la sua amica le chiese «C’è qualcosa che non va?»
«Ho… Perso una vita» mentì.
«Cosa ci troverai di tanto interessante in quel giochino…»
Pandora fece spallucce «Dovresti provarlo» le rispose.
«Naaa. Mi pare troppo complicato.»
Pandora sorrise. Adorava la psicologia inversa, ma si sentiva una merda a mentire così alla sua amica. Spense lo schermo e appoggiò il telefonino a faccia in giù sul tavolo. «Può attendere» mentì di nuovo. «Dicevamo?»
In quel momento il cellulare squillò. Sospirando lo prese. «È Max, devo rispondere.»
«Tuo cugino?»
Pandora annuì. «Dimmi tutto» aggiunse portando il cellulare all’orecchio.
«Hai visto?»
«Ovviamente»
«Che ne pensi?»
«È… come dire… »
«Sei con qualcuno?»
«Sì.»
«Ti passo a prendere così ne parliamo.»
«Devi proprio?»
«Non fare la cretina.»
«Uff.. Va bene. Sono al caffè in via Alighieri.»
«A dopo.» chiuse.
«Devi andare?» chiese Stefy, ma era più una costatazione.
«Max vuole parlarmi.»
«Non è che c’è del tenero tra voi due?»
«Eh? No! È mio cugino!» esclamò con troppo vigore.
Stefy non parlò ma fece quel suo sorrisetto.
«Non metterti strane idee. Pago io.» Prese la borsa e il cellulare e si alzò.

«La Stefy è convinta che usciamo insieme» esordì Pandora scendendo dalla moto di Max.
«Io e te?» Scoppiò a ridere. «Almeno sarà più facile giustificare le nostre fughe.»
«Sì ma così non c’è speranza che Giacomo si accorga di me!»
«Se tu non fai il primo passo, non si accorgerà neanche che esisti.»
«Torniamo alla app» tagliò corto la ragazza, prendendo il cellulare. «Scendi Nico, siamo arrivati.»
«Arrivo.» rispose la voce del bambino.
«E se per una volta la ignorassimo?» chiese all’amico.
«Ti ricordi l’ultima volta che l’abbiamo fatto?»
«Sì» sospirò «ma mi pare di essere schiava di questa… cosa.»
«Eccomi» disse il ragazzino «la mamma dice che devi andare a fare spesa.»
«Va bene. Che significa?» chiese mostrando al bambino l’annuncio della app.
«Non lo so» rispose il bambino prendendo il telefono della sorella.
«Non l’hai scritta tu questa diaboleria?»
«Io ho scritto solo il kore. Il resto… Non so da dove prenda i dati. Che strano, è la prima volta che propone un annuncio pubblicitario. “Grande offerta solo per oggi! Vendici il tuo tempo. A te non serve e noi te lo valutiamo bene!” Non ha senso.»
«Perché quello che ci è successo da quando abbiamo installato questa follia lo ha?»
«Sì ma questo non ha senso… a un livello superiore.»
«Che succede se proviamo ad aprire il banner pubblicitario?» propose Max.
«Non qui.»
«Andiamo nella bat caverna?» chiese la ragazza. Nico annuì.

Nico appoggiò il portatile in un’area libera del bancone polveroso abbandonato in garage da anni, lo accese e collegò il cellulare della sorella.
Il ragazzo si appoggiò a guardare lo schermo, mentre Pandora cerca di pulire la sella della vecchia moto del padre per ricavarne un posto dove sedersi e aspettare.
«È tutto così strano… »
«Lo hai già detto» commentò Pandora.
Il fratello la ignorò. «Sul sito dice che acquista il tempo che non utilizzi in cambio di soldi.»
«Chi accetterebbe un patto del genere? Puzza di truffa lontano un miglio.»
«Solo noi vediamo l’annuncio in questa forma. Sul cellulare della mamma sembra una normale banca.»
«Sul cellulare della mamma?»
«Poi glielo restituisco.»
«Torniamo alla domanda di partenza… Cosa dovremmo fare?»
«Questa volta non lo so. Non è come le altre volte. È… »
«Non pronunciare la parola strano!» lo minacciò Pandora.
«Forse» propose Max «questa volta è meglio fermarci un attimo e provare a capirci qualcosa.»
«Sì, concordo» fece eco Nico.
«Uff… Potevo anche finire quel milk shake.»
«Ci vediamo domani?»
«Sì. Nico, io vado a fare spesa. Riporta il cellulare alla mamma e chiedigli quante uova devo prendere.»

«Domani non andate a scuola» esordì la mamma, finito di riscaldare una cena particolarmente frugale. Nico esultò mentre Pandora la guardò con sospetto.
«Come mai?»
«Si va tutti in banca. Mi hanno proposto un piano di risparmio molto conveniente per i bambini e i ragazzi di età inferiore ai sedici anni.»
«La tua banca?»
«No, ho cambiato banca l’altro ieri. È la Chronus Banc. Hanno offerte molto vantaggiose.»
Pandora si bloccò. Guardò il fratello si era bloccato con il cucchiaio a metà strada tra il piatto e la bocca. Restarono in silenzio qualche istante.
«Cos’è?» insistette la donna «Non vi piace?»
«Non credo che sia una buona idea mamma» esordì Nico «Oggi sulla… »
«Oggi a scuola» lo interruppe Pandora «Dicevano che è una truffa.»
«Già una truffa! Non devi assolutamente andarci.»
«Ma… » provò a dire la mamma, ma venne immediatamente interrotta da Pandora
«Lasciamo perdere va bene?»
«Cosa credete che non sono capace di riconoscere una truffa?» rispose piccata.
«Sì» rispose imprudentemente Nico.
«Nico!» cercò di bloccarlo Pandora ma era troppo tardi. La mamma divenne rossa in viso e sentenziò «domani venite con me in banca!»
«Ma… »
«Argomento chiuso!»

Pandora cercò di guardare il lato positivo in quella storia: almeno aveva saltato l’interrogazione di matematica. L’edificio della banca era uno stabile di tre piani appena costruito. Era una strada che faceva spesso, ma non ricordava nessun edificio in costruzione. Era come se fosse spuntato dal nulla da un giorno all’altro.
«Non voglio sentire una parola sulla truffa, va bene?» li minacciò la madre.
I due annuirono silenziosamente.
Superate le gigantesche porte a vetri talmente puliti da sembrare invisibili vennero accolti da una stanza ampia e luminosa dal pavimento di marmo e dalle colonne immacolate. Tutto talmente perfetto da sembrare un modello 3D come quelli che si fanno a lezione di tecnica.
Vennero accolti da un signore magro, alto e brizzolato con un sorriso bianchissimo.
«Signora Mendolari, è un piacere rivederla. Prego si accomodi.»
Pareva sinceramente felice di accoglierli, e forse lo era. Pandora provava la strana sensazione di essere intrappolata in un sogno. Uno di quei sogni che le capitavano a volte, in cui sapeva che tutto era sbagliato ma non sapeva perché.
Li fece accomodare in una saletta con un divano di un color turchese brillante, anch’esso nuovissimo come tutto il resto. E si mise a parlare dei vantaggi di un conto vincolato. Parlava per lo più alla madre e, nonostante la ragazza ci avesse messo tutto l’impegno, in pochissimo tempo superò la sua soglia di attenzione.
Sospettò che anche la madre non lo stesse più ascoltando da un pezzo.
Guardò verso suo fratello, che stava giochicchiando con il cellulare.
«Che fai?» sussurrò.
«La voce di Eco» rispose.
Pandora soffocò un’esclamazione. Apri anche lei l’app del vaso di Pandora e cercò la voce di eco. Quello strumento traduceva il discorso dell’uomo eliminando tutto quello che non c’era di vero. Per un po’ la voce di Eco rimase vuota. Leggeva i discorsi dell’uomo ma non rispondeva niente. Poi apparve «Le daremo molti più soldi di quanti ne investe. I soldi in più saranno il compenso per il tempo che noi le sottrarremo da qualsiasi momento della giornata. Non si accorgerà di niente. Le sottrarremo un minuto qui e uno lì.»
«Scusi» intervenne Pandora. «Mi ero distratta, potrebbe ripetere meglio questo concetto?»
«Oh, ma certo.» L’uomo riprese a parlare, ma la app rimase di nuovo muta. Pandora voleva chiedergli come facessero a prendere quel tempo, ma non sapeva quali erano le parole usate dall’impiegato della banca e non voleva far arrabbiare di nuovo la mamma con una domanda sbagliata.
Alla fine di tutto il discorso, l’uomo presentò loro il contratto e gli porse una penna per firmare. La madre firmò subito entusiasta e passò la penna ai bambini.
Pandora guardò la penna, sbiancando immediatamente.
«Pandora» disse la madre. Aveva quello sguardo. La ragazza prese la penna. Non voleva firmare, ma non sapeva come uscire da quella situazione. Pensa in fretta, Pandora. Pensa in fretta. Ripassò a mente tutti gli strumenti contenuti nel vaso di pandora, maledicendosi perché non aveva pensato a una via di fuga per quel momento.
Fu sollevata quando provò a scrivere ma dalla penna uscì un tratto sbiadito.
«Ah, aspetta» disse l’uomo «Ne prendo subito un’altra.»
«Non serve» rispose Nico «Può usare la mia.»
Pandora fulminò il fratello con lo sguardo, ma questo le sorrise furbetto. Chiedendosi cosa avesse in mente quel fottuto genio, firmò. L’inchiostro uscì fluido un po’ sbavando ma andava bene. Fece le altre due firme e poi toccò al fratello.

«Avete fatto i bravi» disse la madre, uscendo raggiante. «Venite che vi compro un gelato.»
«Non mi va» rispose crucciata Pandora.
«Al cioccolato! E pistacchio!» urlò invece Nico.
«Cioccolato e pistacchio. Per te, invece?»
«Non mi va»
«Un milk shake, una granita?»
Pandora sospirò. «Milk shake. Alla fragola se ce l’hanno.»
Quando la madre si allontanò chiese al fratello «Allora?»
«Inchiostro simpatico» rispose lui mostrando la penna raggiante. «Sapevo che avremmo dovuto firmare.»
«Siamo stati fortunati che quella penna si sia esaurita al momento giusto.»
«È il nuovo strumento.»
«Quale nuovo strumento?» chiese prendendo il cellulare.
«È apparso con la pubblicità. Non l’avevi notato? Ruba il tempo alle cose. Ho rubato tutto il tempo a quella penna.»
«È pericolosissimo.»
«Sì.»
«Sei stato un grande.»
«Però la mamma ha firmato con la penna vera.»
«Lo sistemeremo stasera. Ssh. Sta tornando.»

Appena a casa Pandora telefonò a Max per aggiornarlo rapidamente.
«Nico il nostro piccolo genio!» disse. «Papà ha portato anche me ad ascoltare l’offerta.»
«Com’è andata?»
«Ho detto che ci avrei ragionato e mi son portato via il contratto.»
«Bene»
«Poi lo leggiamo alla voce di Eco e vediamo cosa dice.»
«Io andrei alla fonte.»
«In banca?»
«Sì»
«è pericoloso.»
«Non più del solito.»
«Va bene, dammi un minuto che arrivo.»
«Vengo anche io» disse Nico, appena Pandora chiuse il telefono.
La ragazza sobbalzò «Nico! Ti ho detto che non devi usare il vaso di pandora per farmi scherzi»
«Non ho usato niente. Eri distratta. Vengo con voi.»
«No. Ho bisogno di saperti al sicuro»
«Ma...»
«Niente ma. Ci teniamo in contatto con Watsapp. Se ci sono problemi avverti la mamma va bene?»

Vista di notte la banca aveva un aspetto completamente diverso, quasi minaccioso. Era come se, spente le luci, si rivelasse per quello che era. Ma cosa era difficile a dirsi.
«E ora?» chiese Max.
«Non so… pensavo che mi sarebbe venuta qualche idea. Proviamo a entrare?»
«Come facciamo con le telecamere di sicurezza?»
«Cavolo! Ehm… C’era qualcuno che non si vedeva negli specchi?»
«Dracula mi sembra?»
«Vero…» Pandora prese il telefono e aprì la app che portava il suo nome. «Vediamo… C’è uno specchio di dracula. Spero che funzioni.» lo attivò. Sullo schermo comparve la loro immagine poi un attimo dopo sparì.
Si avvicinarono alle vetrate e constatarono che esse non rimandavano il loro riflesso.
«E una. Usiamo la luce di Endinione?» chiese Max.
Pandora annuì. Questa volta fu Max a prendere il telefono. Accese la torcia e la puntò contro il vetro della banca. «Fai attenzione a non tagliarti» le disse.
Pandora mise la mano sul cerchio di luce che si era formato sul vetro. Non incontrò resistenza alcuna. Facendo molta attenzione entrò. Poi venne il suo turno di accendere la luce di Endinione e far passare suo cugino.
«Ho la batteria al 30%» disse.
«Sbrighiamoci.»
I due ragazzi si avventurarono tra gli uffici bui, quasi trattenendo il fiato. Il primo piano era una lunga serie di piccoli e accoglienti consultori. I computer erano spenti e nessun documento era tenuto lì. Il secondo piano, invece, era completamente vuoto. dal soffitto pendevano i fili per attaccare i lampadari e neppure i battiscopa erano stati installati.
«Dubito troveremo qualcosa, qui.»
La ragazza annuì e proseguirono per il terzo piano, anch’esso nelle condizioni del secondo. «Sembra tutto finto.»
«Ne avevi dubbi?»
«Ma dove tengono i contratti?»
«Se è come le altre banche c’è un cabout al piano interrato.»
«Proviamo.»
Ebbero difficoltà a trovare le scale per scendere al piano interrato, nascoste com’erano dietro a un armadietto. Nel pianto interrato il cabout era ben chiuso. I due si guardarono. Non avevano nessuno strumento nel vado di Pandora che permettesse loro di passare attraverso mezzo metro di spesso acciaio. Stavano per desistere quando giunse alle loro orecchie un mormorio sommesso.
Si fecero cenno l’un l’altro di fare silenzio assoluto e si avventurarono nel piano sotterraneo. Altre scale portavano ancora più in basso.
In una stanza che prendeva tutto il piano sotterraneo si teneva la più strana riunione che potessero immaginare. Un uomo molto anziano, una donna di una bellezza quasi volgare e un terzo uomo dal volto deforme parlavano in una lingua sconosciuta, mentre il resto degli impiegati della banca stava in piedi immobile. Il resto della stanza era occupato da una scafalatura metallica piena di raccoglitori.
La ragazza prese il cellulare e aprì la voce di Eco.
«Non so dove prenderlo, più tempo!» esclamò uno di loro. La app non indicava chi e si parlavano sopra. «Ho rastrellato ogni secondo disponibile da tutti coloro che hanno firmato.»
«Sei una piccola incapace. Se non fossi mia figlia ti avrei già cacciato.»
Era strano leggere un discorso conoscendone solo la parte vera. Pandora dovette concentrarsi per capiri qualcosa.
«Se non fosse per me che ti procuro clienti avresti già fallito. Vedi di essermene grato. è colpa del mostro se non possiamo succhiare via tutto il tempo disponibile.»
«Sì, è vero. Ho sbagliato a formulare il contratto, ma con la nuova formulazione possiamo aumentare gli introiti di tempo. Dobbiamo però promettere guadagni migliori.»
«Non è un problema. Quelli che comprano il tempo ci pagano più che profumatamente. Dobbiamo però avere tempo da vendere.»
«Domani farò firmare una ventina di contratti circa.»
«Non so che farmene domani! Lo voglio stasera!»
«Possiamo succhiare via un po’ di tempo da chi ha firmato il contratto oggi.»
«Come quello firmato con l’inchiostro simpatico? Quanto possono essere stupidi i tuoi golem per cascarci?» la donna sventolò un plico di fogli.
«Quello non essendo valido possiamo fare una estorsione.»
«Anche se non è valido? Che diavoleria è mai questa?»
«È una delle clausole che ho aggiunto quando ho riformulato il contratto.»
Pandora sobbalzò. Parlavano del contratto firmato dalla mamma. L’aveva messa in pericolo con l’idea dell’inchiostro simpatico?
«Non voltatevi. C’è qualcuno che ci spia dalle scale» comparve sulla app. Non avevano sentito nulla, probabilmente avevano parlato sottovoce.
«Scappiamo!» disse Max, prendendola per un braccio e tirandola su.
In un attimo furono al piano terra, inseguiti dai tre tipi e dietro di loro gli impiegati manichino. Max prese il telefonino e la luce di Endinione illuminò il vetro della banca. Come prima, Pandora passò, ma quando toccò a lei la batteria cedette. L’uomo mostruoso bloccò Max in una presa dalla quale non riuscì a liberarsi mentre la donna e l’uomo anziano si precipitarono verso la porta principale. Doveva scappare. Sarebbe tornata dopo da Max.
Aveva attraversato la strada quando sentì dietro di lei un rumore come di esplosione. Le vetrate della banca erano state abbattute e gli impiegati manichini stavano correndo a velocità innaturale. Scappò con rinnovata foga e si buttò tra i vicoli della sua città, un piccolo labirinto medioevale che lei aveva esplorato sin da bambina.

Ma le sue gambe erano corte, e il suo fiato lo divenne presto altrettando. Gli impiegati la raggiunsero e la catturarono senza neanche avere il fiatone. Si chiese se respirassero. Venne riportata alla banca. Ebbe il tempo di notare che il vetro era di nuovo integro prima di essere portata al piano di sotto dove Max era tenuto fermo da due impiegati manichini. Sul tavolo c’era ancora il contratto con l’inchiostro simpatico. I tre si misero a parlare in quella strana lingua, forse cercando di decidere cosa fare.
Come se avesse preso una decisione, l’uomo più anziano si diresse a passo deciso verso il fondo della stanza, dove c’era uno strano macchinario collegato a dei tubi che parevano infilarsi in tutto l’edificio. Prese un tubo ad anelli e aprì una valvola. Ordinò qualcosa e tutti si allontanarono da Max, tranne i due che lo reggevano. Aprì la manopola che stava alla fine del tubo e la stanza si riempì di uno strano odore e di un suono di risucchio. Max iniziò ad invecchiare. All’inizio lentamente, poi sempre più in fretta. Alcune ciocche di capelli divennero bianche e il volto si coprì rapidamente di rughe. Crebbe in altezza di qualche centimetro e poi la sua massa muscolare diminuì. Anche gli impiegati subirono l’effetto. Divennero come dei manichini vecchi, macchiati e rovinati in più punti. Max si dimenò e riuscì a liberare un braccio, facendo cadere il manichino contro quello che teneva Pandora.
L’uomo volse il tubo aspira tempo verso di lei ma Max si scagliò contro di lui, tirandosi dietro il manichino. Anche Pandora riusciì a divincolarsi e corse verso il tavolo sul quale c’era il contratto che la madre aveva firmato il giorno prima. Lo strappò.
Max lottava con l’uomo anziano ma quello brutto si unì al loro e lo buttarono a terra.
La donna invece corse verso Pandora, ma lei non aveva intenzione di farsi prendere. Fece un largo giro e raggiunse la macchina succhiatempo. Sperò che una di quelle manopole invertisse il flusso e le premette un po’ a casaccio.
«Ferma ragazzina!» urlò la donna.
La macchina iniziò a fischiare e fare strani rumori. I due uomini si distrassero e Max riuscì a liberarsi. Dissero qualcosa che suonava molto come un “scappate” e presero a correre. La donna li seguì e subito dopo anche Max e Pandora. L’esplosione li investì mentre erano sulle scale ridando a Max la sua giovinezza. Gli uomini si rialzarono e ripresero a correre e Pandora e Max fecero lo stesso. Sentivano le fiamme propagarsi sempre più veloci mentre loro fuggivano.

Quando finalmente giunsero sullo spiazzo non poterono far altro che ammirare il fuoco mangiare l’edificio. L’uomo più anziano si alzò in piedi e guardando i due ragazzi furente disse con un accento strano: «Spero che siate soddisfatti. Perché stasera vi siete fatti un nemico potente.» Poi aggiunse qualcosa nella sua lingua e i tre si allontanarono.
«Meglio che andiamo anche noi» propose Max.
«E lasciamo tutto così?» chiese indicando l’incendio.
«Non credo che possiamo fare niente. E poi anche il mio cellulare è morto.»
«Sì andiamo» rispose Pandora quando sentì le sirene da lontano.
 
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view post Posted on 20/9/2019, 09:23
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Custode di Ryelh
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Benebenebene.

Vedo che la settimana in più vi sta giovando.
Su, su: mancano ancora due giorni e ci sono almeno due ritardatari che non hanno ancora postato. Vi aspettiamo
 
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view post Posted on 21/9/2019, 22:11
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"Ecate, figlia mia..."

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Scusate la lunghezza, ma se vedete che la storia non vi stimola cioncate la lettura senza problemi: sarebbe un giudizio anche questo.


La traccia era questa: UN INFINITO MONDO VIRTUALE CHE COLLEGA TRA DI LORO QUASI TUTTI GLI UNIVERSI VIDEOLUDICI ESISTENTI.




L'ARCHIVIO




«Da quanti giorni è così?» chiese Freya, non riuscendo a trattenere una smorfia di disgusto per il ragazzo steso sul letto.
«Cinque settimane» rispose il medico. «Ci sta costando parecchio. Quel che rogna alla Direzione è che sta togliendo risorse da destinare ad altri. Ai malati veri, intendo.»
Il ragazzo poteva avere massimo venticinque anni. Era steso sul letto e sembrava dormire, ma neanche una bomba esplosa nelle vicinanze sarebbe riuscita a svegliarlo. L'impianto corticale era così discreto da non farsi quasi notare, sotto i capelli lunghi. Doveva essergli costato parecchio; Freya capì che si trattava di uno fra i prodotti più raffinati e recenti. Non come il suo, grosso e invadente, che le deturpava mezza testa.
Il medico controllò dei parametri sul proprio medipad. Premette su qualche icona. Poi si avvicinò al letto e sollevò una palpebra del ragazzo.
«Cambiamenti?» chiese Freya.
«No. È stata un'azione automatica, la mia. In verità dopo cinque settimane possiamo considerarlo perso per sempre. Capisce in che situazione siamo?»
«Ovviamente. Sono qui per questo. È un fuggiasco» specificò lei. «Un fuggiasco dalla realtà. Tecnicamente si chiama coma autoindotto, è quando un gamer non vuole uscire dalla realtà virtuale. È anche un suicidio... il suicidio più bello. Ti distrai vivendo meravigliose avventure virtuali, mentre il corpo si spegne lentamente d'inedia senza che tu te ne accorga. Certo, se lo stronzo si prende la premura di nascondersi bene prima di immergersi
«Già, e questo stronzo non l'ha fatto. È stato trovato dalla dirimpettaia. A insospettirla la puzza di merda e piscio dall'appartamento di fronte. Non aveva neanche chiuso a chiave la porta. Così la vecchia è entrata e l'ha trovato.»
«Che schifo...»
«Non lo dica a me. Fortuna che non devo provvedere io a cambiargli i pannoloni.»
Ma Freya non si riferiva alle deiezioni. La schifava la vigliaccheria di quei soggetti, la loro mancanza di midollo. Erano come bambini spaventati che correvano nel lettone dei genitori dopo aver avuto un incubo, o per aver visto l'ombra di una fronda scuotersi sulla parete, o perché sono così codardi da immaginare qualcosa, un pretesto qualsiasi per farli correre là dove sono al sicuro. O credono di esserlo.
«Ovviamente» proseguì il medico «non è un malato vero. Però ce ne dobbiamo prendere cura lo stesso.»
«E non ha parenti su cui potreste scaricarlo.»
«Ho sentito che ha una sorella all'estero, ma non ne vuole sapere. Non è obbligata a farlo. So per certo che i nostri avvocati hanno cercato ogni possibile appiglio per poterglielo appioppare, ma non è stata cosa.»
«Perché non è malato e per la legge risulta ancora adulto autonomo e vaccinato.»
«Esatto! E siccome da solo non può stare, ce lo dobbiamo tenere noi. È un fottuto cane che si morde la coda!»
«Bene, io sono qua per risolvere la faccenda.»
«Il direttore mi ha informato, anche se si è limitato a poco. Anche lui mi ha dato l'idea di non saperne molto.
«Sono passata dalla direzione solo per avvertire. Sapevano solo che sarei arrivata.»
«Posso chiederle, allora... chi... l'ha ingaggiata?»
«Se non lo sai tu, che sei il suo medico» Freya indicò il ragazzo col mento «significa che non devi saperlo.»
«Accidenti» disse lui, facendo un'espressione di esagerata incredulità. «Va bene che non è un incarico ufficializzato, ma che segretezza! Mica stiamo parlando di alte sfere.»
A lei bastò non modificare l'espressione, mentre lo guardava, per farlo star zitto e al suo posto. L'espressione seria e granitica naturale non aveva bisogno di accentuarsi per trasmettere il messaggio preimpostato. Ossia che nei riguardi di quella donna bisognava stare attenti a non oltrepassare dei limiti.
Il medico sollevò le mani in segno di resa. «Ok, ok, mi scusi. Cosa le serve?»
«Chiama le infermiere. Lo puliscano, lo sfamino, gli diano le medicine quotidiane (se gliene date), gli facciano fare la ginnastica, o cosa diavolo ne so qual è la terapia e la fisioterapia che gli state somministrando. Facciano quello che va fatto perché lo lascino solo per almeno un giorno senza che la salute ne risenta troppo. Chiuderò la porta, e nessuno dovrà riaprirla. Solitamente impiego poche ore per riportare fuori questi mocciosi di merda, ma mi sono capitati casi più complessi...»
«Bene, così sia.» Il medico digitò sul medipad qualcosa. Uscì dalla stanza, i passi stivalati fecero un ticchettio sempre più piccolo allontanandosi nel corridoio.
Freya rimase sola, in un silenzio rotto solo da qualche lamento lontano nel vasto ospedale, dal parlottio sommesso, cimiteriale, dei degenti anziani privi di impianti corticali, dai passi ariosi e leggeri delle infermiere, dalla pioggia grigia di ceneri inquinanti che si spiaccicava sui vetri delle finestre, rigandole con ruscelli di varie gradazioni di sporco. Ma erano suoni ovattati, seppur riverberanti tra le pareti vuote del reparto.
Il ragazzo sul letto respirava lentamente, come nel sonno. Freya lo guardò ancora un po', prima di staccarsi dalla patetica visione.
Andò nel bagno, dove si lavò con qualche schizzetto la faccia. Mentre se l'asciugava con una tovaglia di carta, si studiò allo specchio. Cosa che non faceva tanto spesso, da quando aveva scoperto che l'impianto craniale non era poi così ganzo come sembrava all'inizio. Era una mezza calotta di metallo nero che sostituiva pelle, carne e ossa di metà testa, da poco sopra il sopracciglio destro fino alla nuca, con però un'insenatura minima bastante per lasciare libero l'orecchio.
Sull'altra metà della testa i capelli, che voleva sempre di un viola stinto, crescevano arruffati e lunghi abbastanza perché la forza di gravità riuscisse a farli venire giù, coprendole l'orecchio monco, un ricordo del padre.
I primi tempi che cominciava a rifiutare l'impianto, aveva pensato di farsi un riporto di ciocche, da sinistra a destra, ma il risultato era stato così comico che per poco non era scoppiata a ridere.
E aveva dovuto chiudere un occhio. O tutti e due, se poteva essere espressa così la difficoltà nel guardarsi allo specchio.
Ma era stato meglio così, con la storia del riporto. In fondo a lei i mascheramenti non erano mai piaciuti. Trovava ridicole le donne che usavano il trucco con parsimonia, figurarsi stratagemmi anche più pesanti e subdoli. Lei era per la verità, per la realtà, anche la più dura e disumana. Accettare lo schifo che non possiamo modificare sempiternamente è un atto di coraggio e di sincerità; coprirlo, o tentare goffamente di farlo, significa piegarsi vili, rifuggire in un'illusione vacua e ipocrita.
Nulla da meravigliarsi se per i fuggiaschi provava la stessa ripulsa provata per lei stessa col fallimento del riporto. E che a volte provava ancora per l'orecchio mancante, quello sì, sempre camuffato agli occhi spietati della gente.
Da là intanto arrivavano i primi rumori del personale all'opera. Freya si riebbe dai pensieri e si stava per avviare all'uscita quando un'infermiera entrò. Questa fece un gesto affettato di saluto, mentre guadagnava il lavandino per riempire una bacinella argentea a forma di fagiolo.
Un'altra infermiera era all'opera con la somministrazione di nutrienti via flebo.
Entrambe impiegarono venti minuti per le pratiche quotidiane di mezza giornata. Freya rimase lì e guardò tutto, anche il ricambio del pannolone e il lavaggio. Si chiese per quale assurda vocazione filantropica o aberrazione mentale quelle due ragazze avessero scelto un lavoro tanto indegno.
Quando finirono, si riaffacciò il medico. Fu lui a licenziarle e raccomandarsi che nessuno entrasse in quella stanza finché non ne fosse uscita la cacciatrice. Poi chiese a Freya se avesse bisogno di qualcosa. Lei disse no, che era pronta a immergersi. Il medico allora le consegnò la chiave della stanza. «La copia la terrò io personalmente» disse. «Mi spiace, ma una copia esterna deve esserci. Nel caso capiti qualcosa per cui c'è necessità d'intervento, ok?»
«L'importante è che non entri nessuno. L'immersione nella RV taglia la mente dal corpo in modo netto e assoluto. Per questo stronzo magari non significa niente, ma per me è diverso.»
«In che senso, se posso chiedere?»
«Non puoi chiedere. Ora esci.»
Meglio non servire caldo, a perfetti sconosciuti, il senso di estrema vulnerabilità che provava nella RV, pur impersonando una eroina cazzuta, coraggiosa e piena di risorse creative. Ecco perché il chiudere le porte: per immergersi con una relativa certezza di lasciare il proprio corpo in un ambiente sicuro. Sicuro da assassini, sicuro da ladri. Sicuro da palpeggiatori abusivi e stupratori, come le era capitato le prime volte, quando pensava d'essere diventata una gran dura con l'impianto, e aveva abbassato certe difese.
Ovviamente, la porta chiusa poteva far ridere i polli. Freya non si faceva illusioni sul livello di pervicacia a cui potevano giungere determinati individui. I quali non si lasciano facilmente fermare da una serratura bloccata. Tanto più se sanno che oltre il pannello c'è una giovane donna calda, ben messa e cerebralmente spenta. Se poi hanno una chiave di riserva...
Quando il medico fu uscito, lei sbatté l'uscio e diede le tre passate di chiave, che lasciò nella toppa, girata a metà, in modo da non poter essere sfilata dall'altra parte.
Poi aprì lo zaino, che quando era entrata lì aveva lasciato cadere a lato della porta. Tirò fuori i suoi bei giocattolini; li piazzò nei punti migliori della stanza. Dopo lo stupro non si era limitata a mettere di nuovo su le difese, ma le aveva accresciute e potenziate. Ed erano state idee sue, originali e geniali. Non era stato facile, perché aveva dovuto scrivere programmi appositi di collegamento intro/sterno. Ma come programmatrice era sempre stata in gamba.
Quando fu pronta, sedette su una sedia vicina al letto. Agganciò il cavo di collegamento “hard”, infilando uno spinotto nell'impianto del ragazzo, l'altro nel proprio. Non che per accedere alla Rete servisse quel mezzo: in verità l'immersione avveniva totalmente via wireless. Ma il cavo era un'arma segreta, che sperava di non dover usare. E le sarebbe servito infine, per una certa brutta faccenda.
Chiuse gli occhi. Si concesse un minuto per controllare che il sistema di sorveglianza e allarme funzionasse a dovere. Con gli occhi chiusi visualizzò il campo delle varie telecamere, passando dall'una all'altra: tutte inquadravano la scena, di lei seduta accanto a un letto su cui un ragazzo sognava, dai punti in cui le aveva piazzate. La posizione di alcune non mancava di contemplare porta e finestre. Controllò lo stato di “acceso” dei rivelatori di movimento.
Perfetto, non c'erano disfunzioni.
Freya inalò un lungo respiro. Controllò la lista delle reti presenti nei dintorni. Eccola: XPT-RO 2002347618 HG. Mise al lavoro un programma di tracciamento che aveva creato lei stessa. In attesa che il programma trovasse il ragazzo, perso chissà dove nell'immenso mondo della virtualità, poteva già immergersi.
Fu presa dalla vertigine, dal senso di caduta all'indietro, come quello che a volte coglie nel passare dal dormiveglia al sonno profondo. Le impressioni sensoriali subirono il normale “strappo”, lei tutta si sentì strappata da un piano dell'esistenza per cadere in un altro. Dal buio di prima, quando aveva gli occhi chiusi, solcato solo dalla grafica fluorescente che interfacciava la sua mente con l'impianto corticale, passò a un buio diverso, che era al contempo abbagliante. Ma durò una frazione di secondo.
Poco dopo levitava incorporea in un universo fatto di bus, di pacchetti dati che schizzavano fulminei da un estremo all'altro, di agglomerati di memorie, di palazzi-dominii di aziende, siti, blog. Non esisteva un piano, un livello base, in questo mondo, ma era un labirinto aereo di linee, blocchi, geometrie non descrivibili. Freya poteva spostarsi verso l'alto o verso il basso, e non avrebbe mai trovato un suolo o un cielo; e poteva andare avanti o indietro, senza mai sbattere su una parete limitativa.
L'immersione durava solo qualche frazione di secondo, ma non mancava mai di scombussolare. Rimase sospesa per un po', per riprendersi dallo strappo, ammirando la bellezza aliena di quella vastità incommensurabile fatta di luci al neon, di colori inediti, di forme solide e a volte mutevoli.
Il programma di tracciamento le mandò un rapporto. Un lampo balzò da qualche punto imprecisato e in un tempo infinitamente piccolo le fu di fronte. Il lampo prese la forma di una grafica: un documento di testo che riportava l'IP del ragazzo, la cronologia di navigazione, più altri dati rimasti inglobati nel tracciamento.
L'informazione basilare era una sola, e portava a dove era entrato il ragazzo l'ultima volta, e dove ancora stava con la mente. Freya ci avrebbe potuto scommettere: è là dove vanno per la maggiore i fuggiaschi moderni, in una virtualità antica, più autentica, più sincera. O almeno così dicevano tutti. Il ragazzo era nell'Archivio.
Lei volò velocissima seguendo la linea azzurra che si era accesa appena aveva mentalmente richiesto l'indirizzo dell'Archivio. Fu un volo eterno, infinito, ma che durò solo un battito di cuore.
Si trovò di fronte alla struttura idealizzata dell'Archivio: era un solido irregolare dalle molte facce, di un blu cupo solcato da venature più chiare in perenne movimento. L'ingresso per lei era spalancato, perché aveva un login automatico e un abbonamento attivo. Era da lì dentro che aveva tirato fuori la maggior parte dei suoi fuggiaschi.
Entrò. Oltrepassò l'interfaccia della home, puntò diritta all'immersione nel mondo virtuale. Ben subito l'universo asettico e sintetico e minimalista della Rete fu sostituito da un bianco abbagliante. Poi pian piano poligoni di una minutezza particellare cominciarono a creare la sua home personale. Intanto anche il suo corpo veniva ricreato, nelle fattezze del suo avatar: una donna slanciata, ma apparentemente forte, vestita di pelle e latex nella moda di certe tendenze underground di qualche decennio prima. Man mano che l'avatar prendeva forma, nella mente si accesero una dopo l'altra le impressioni sensoriali. Non era più un'entità incorporea, adesso aveva un corpo e poteva spostarsi su un pavimento, camminando, e poteva annusare e assaggiare e toccare gli elementi del mondo virtuale.
La sua home era una stanza priva di mobilia, dalle pareti bianche. Avrebbe potuto abbellirla e riempirla come voleva, acquistando mobili a prezzi stracciati e appiccicando sulle pareti i trofei che aveva guadagnato casualmente mentre era alla ricerca dei fuggiaschi. Ma entrava nell'Archivio per lavoro, non per godere l'apparenza di una vita luminosa.
Richiamò la finestra della Ricerca del sito. Qui digitò il nick del ragazzo. Era facile risalire all'host in cui stava il fuggiasco di turno. Il difficile era ben altro...
Freya cliccò sulla host. Aspettò che “fuori” dalla sua home avvenisse il collegamento e che si caricasse il mondo virtuale. Poi aprì l'unica porta.
Davanti a lei una sterminata pianura verde, appena ondulata, sotto un sole accecante. Aguzzando la vista era possibile notare delle città o dei paesi, sparpagliati sulla pianura. Qua e là il verde dell'erba si faceva più cupo, dove proliferavano boschi e foreste. In lontananza, oltre la foschia delle distanze, una catena di montagne si sollevava massiccia.
Un drago maestoso solcò il cielo. Freya non avrebbe saputo dire da quale gioco del passato venisse. Forse da Dragon's lair? Da Skyrim? Da Panzer Dragoon? Non lo sapeva e non voleva saperlo. Per i nerd che bazzicavano appassionatamente nell'Archivio probabilmente non c'era nessun pixel di cui non avrebbero saputo dire vita morte e miracoli; ma a lei quella cultura digitale del passato non interessava. Sapeva il minimo indispensabile per affrontare i pericoli e scavalcare qualche legge o regola di gameplay in modo da uscire alla svelta dagli intoppi.
Si incamminò sulla pianura. Nel frattempo mandò un messaggio alla posta locale del ragazzo, con cui chiedeva un incontro. A quanto sembrava, lui aveva messo l'invisibilità: non era possibile individuarlo subito nel mondo virtuale. Lei doveva interrogare i personaggi (avatar di persone loggate o fittizi) e sperare di ottenere informazioni chiare e precise. Per aiutarsi, mandò delle sonde, visibili solo a lei, occhi in più con cui esplorare gli angoli più remoti. Sperava che il moccioso rispondesse al messaggio e desse una posizione: le avrebbe fatto risparmiare molto tempo.
Mentre camminava sulla pianura, in forza del programma intro/sterno che aveva creato non mancò di collegarsi alle telecamere posizionate nel mondo reale. Bene, nella stanza c'erano ancora solo lei, adesso afflosciata sulla sedia, e il ragazzo. Era un controllo futile, perché in caso di intrusione avrebbe subito avuto un allarme dai sensori di movimento.
Arrivò in un paesino antico, di stile medievale. La gente era vestita di abiti svolazzanti o troppo attillati, ognuno fatto di stoffe ruvide e grezze. Ebbe la netta sensazione di averlo visitato già in passato, durante una o più sue missioni. Richiamò le informazioni sul posto e scoprì che era uno dei borghi di un certo The Witcher. Il nome confermò il suo deja-vu.
Entrò nella locanda locale e, dopo aver chiesto un boccale di birra corretta con Fisstech (qualsiasi cosa fosse), cominciò la sua indagine, facendo domande sottilmente insinuanti. Lì nessuno sembrava aver visto un certo Rondo.
Quando fu di nuovo in strada, prestò orecchio a quel che diceva la gente. Solitamente i PNG parlavano di giocatori reali passati da lì, e delle avventure in cui erano in cerca o che avevano già svolto. Ma il borgo era vuoto di informazioni recenti su Rondo.
Freya si spostò in una nuova città, questa volta dalle strutture fiabesche e cartonesche. Personaggi bislacchi e coloratissimi la popolavano. Non sapeva di che gioco si trattasse e dubitava di averlo già visitato; qualcosa però le suggeriva che il ragazzo non poteva essersi invaghito di quello stile. Ad ogni modo, lei indagò.
In una manciata d'ore visitò altri luoghi. L'Archivio inglobava tutti gli scenari e i livelli dei grandi giochi del passato: coesistevano in un continuum unico e le avventure dei personaggi vi si svolgevano senza soluzione di continuità. Seguendo le avventure dei personaggi, o impersonandoli, era possibile passare da uno scenario all'altro, se si decideva di uscire da quello naturale del gioco. Tutto era esplorabile. Tutto era vivibile. Ed esistevano migliaia di giochi agglomerati in quel continuum.
Cercare il ragazzo sarebbe stato come quell'antico detto dell'ago nel pagliaio. Passarono cinque ore, nel mondo reale, prima che Freya cominciasse a ricevere vari indizi del passaggio di Rondo. Ma era stata in un centinaio di posti diversi e aveva dovuto sfuggire a decine di missioni ed eventi che si attivavano al suo arrivo, o erano già attivi perché un altro utente li stava vivendo. In una host potevano incontrarsi quasi diecimila utenti.
Man mano che Freya indagava, gli indizi diventavano sempre più copiosi, indicandole la perfetta direzione. A quanto sembrava, Rondo si era spostato sulle montagne: era lì che il vociare dei PNG conduceva, tra frasi smorzate e vaghe. Richiamò le sonde e le spedì tra i picchi innevati.
Anche lei s'incamminò in quella direzione. Presto gli scenari dei giochi diventarono pedemontani: città, paesi, borghi, insediamenti, basi, avamposti, accampamenti e quant'altro, di vari stili ed epoche e universi, abitati da personaggi umani o alieni, fantastici o meccanici, si ammantarono di freddo, di piogge, di nebbie, e salendo ancora comparve la neve.
E poi in una base sovietica dei primi anni del XXI secolo venne a sapere che qualche giorno prima una donna e un compagno avevano creato non poco sconquasso per recuperare un qualche oggetto archeologico, custodito da un mezzo esercito privato che lì aveva chiesto stanza. La coppia si era poi riparata sulle montagne, a quanto sembrava diretta a una città favolosa che lì era sita, secondo un'antica leggenda.
Freya concentrò le sonde in un area più ristretta. Gli occhi virtuali salirono sui picchi, sfidarono tempeste ventose, e dopo qualche tempo uno di loro scoprì una baracca per alpinisti dal cui comignolo sbuffava un fumo accogliente. E dopo aver sbirciato da una finestra, la sonda poté fare rapporto.

La porta di legno della baracca fu sfondata da una potenza prodigiosa. Lara Croft si svegliò di soprassalto, già vigile. Fulminea si voltò nel giaciglio di pelli di orso e lupo e afferrò le due Smith & Wesson che aveva poggiate sul pavimento lì accanto. Puntò alla porta scardinata, presso la quale stava una donna vestita di pelle, in posizione di non attacco e apparentemente disarmata.
«E tu chi sei?» chiese Lara.
«Sono qui per lui» disse Freya, indicando il possente uomo che, per il risveglio improvviso e traumatico, non aveva ancora fatto mente locale, e appariva puerilmente confuso e spaventato, semisdraiato tra le pelli accanto a Lara.
Lara non abbassò le armi. Seduta, scoperta, mostrava un seno florido, gonfio e alto; i capelli rossi arruffati, il viso pulito e stupendo.
«Chi sei?» ripeté Lara.
«Basta con questa commedia» sbottò Freya. «Tu, devi svegliarti. Ora. Tua sorella ha bisogno di te. È lei che mi manda.»
L'omone si riebbe. Si mise seduto nel giaciglio. Si distese la faccia con le mani. Sbadigliò. Guardò quindi la sconosciuta per una decina di secondi, poi disse: «Non me ne frega un cazzo di quella stronza».
Regolare, pensò Freya.
«Di cosa sta parlando? La conosci?» chiese Lara a Rondo.
«Piantale una pallottola in fronte, cara» disse lui. «È una minaccia per la nostra missione.»
Lara studiò la sconosciuta per un momento. «Non mi sembra pericolosa. In ogni caso, è disarmata, e io non ammazzo nessuno a queste condizioni.» Abbassò le pistole. Ma emanava una sicurezza e un'attenzione estreme: sarebbe bastato anche un minimo gesto sospetto da parte dell'intrusa per farla scattare come una molla.
Freya avanzò nella stanza singola della capanna. A parte il giaciglio, posizionato vicino a un caminetto in pietra acceso, c'erano un paio di sgabelli, un tavolino, e un cucinino da campo messo in un angolo. Alle pareti pendevano, appesi a chiodi, pelli stese ad asciugarsi, un paio di carcasse fresche di cacciagione, pentolini e piatti di rame. In un altro angolo c'erano zaini da viaggio; i vestiti della coppia erano sparpagliati qua e là sul pavimento. Nella stanza aleggiava un odore di sangue e fumo, di sudore e di sporco, il tutto impastato dal freddo che poco lontano dal camino tornava a farsi sentire, ancor più adesso che la porta era scardinata e il vento si buttava dentro con tutti i fiocchi di neve che riusciva a trasportare. Andò a sedersi su uno sgabello, un treppiedi artigianale fatto di legno grezzo.
«Tua sorella sta male» riprese Freya. «Mi ha ingaggiata per venirti a trovare e dirtelo. Le resta poco tempo. Ha bisogno di vederti, deve dirti qualcosa.» Aveva cercato di impostare la voce su “tristezza a palate”, sperando che la balla funzionasse.
«Non me ne frega un cazzo» ribatté lui. «Dove era quando stavo io nella merda? Ora fai una cosa: fai logout e non rompere più le palle. Voglio stare qui. Il mondo m'ha stufato. Ho tutto quello che mi serve» e nel dire l'ultima frase lanciò un'occhiata al corpo statuario di Lara. «Avventure, sesso, salute, immortalità...»
Freya rise, interrompendo il monologo. «Immortalità? Credi che ti terranno ancora per molto vivo, fuori? Sei diventato un peso per la comunità. La corda è già tesa al massimo, dopo cinque settimane. Oggi o domani un'infermiera ti troverà morto. I medici ci metteranno niente a trovare una spiegazione pulita. Un embolo, si è vomitato in gola, un infarto... E allora altro che immortalità. Ti spegnerai anche qui, idiota!»
«Questo non puoi dirlo» obiettò lui. «La mia mente potrebbe continuare a vivere. Qui dentro.»
«Non essere assurdo. È una stronzata da nerd.»
«Ah, quindi non è mia sorella che provvede a me, fuori. Lo immaginavo. E cos'era quella balla?»
«Un tentativo di farti uscire con la tua volontà. Se insisti a rimanere purtroppo devo usare metodi diversi. Dolorosi.»
«Lara, hai sentito?» chiese Rondo alla compagna.
«Ho sentito entrambi, e non so chi di noi tre è più pazzo dell'altro; perché da parte mia ho il sospetto di avere le allucinazioni. Mi vuoi spiegare le assurdità di cui avete parlato?»
«Prima ammazza questa tipa. Hai capito che è pericolosa? Vuole farmi del male. Poi ti chiarisco tutto.»
Ma Lara Croft non ebbe il tempo neanche di prendere una decisione. La sua testa esplose in un tripudio di sangue e frammenti. Quasi tutta la stanza fu dipinta di rosso. Freya fu investita da copiosi schizzi, senza mostrare sorpresa, senza scomporsi sullo sgabello. Ma capitò di peggio a Rondo: la faccia fu investita dal sangue e dai frammenti di carne, cervello, e ossa. Schegge ossee gli si conficcarono nella pelle. La spinta dell'esplosione lo scagliò indietro, facendolo rotolare quasi fuori dal giaciglio. Poi ritornò su a sedere e prese a fissare lo spettacolo accanto.
Lo shock per lui fu totale, e durò varie decine di secondi. Boccheggiava, e non poteva staccare gli occhi da quel corpo tanto desiderato, ora afflosciatosi sul giaciglio, senza più testa. Il sangue intanto non smetteva di schizzare a spruzzi dalle giugulari.
Freya avrebbe voluto complimentarsi coi programmatori: era tutto molto credibile. Almeno negli scenari realistici. Si domandò cosa sarebbe successo a far colpire da una sua sonda invisibile la testa di un personaggio di fumetto o di cartoon. Ma dubitava che i programmatori avessero deciso far scorrere un minimo di sangue in quel tipo di personaggi. Sfortunatamente nei suoi lavori precedenti non aveva mai provato quell'esperienza. Ma in futuro, chissà...
Per la povera Lara non aveva potuto fare altrimenti. Già aveva speso ore a cercare quel moccioso, e con Lara di mezzo i tempi avrebbero potuto allungarsi oltremodo. Certo, avrebbe potuto aspettare a ucciderla, per vedere se la nobile avventuriera avrebbe seguito la richiesta di Rondo o simpatizzato per lei. Ma ormai era fatta. E poi non era vero che Lara Croft fosse perduta: Rondo avrebbe potuto ricaricarla dall'ultimo checkpoint.
Tuttavia Rondo era rimasto davvero scosso. Forse non si aspettava nulla di così terribile, o forse amava davvero Lara e moriva un po' anche lui ogni volta che lei crepava in una missione.
«Cosa hai fatto?» gridò verso Freya quando finalmente si sbloccò. «Maledetta! Puttana troia scrofa stronza!»
È proprio un ragazzino, pensò lei.
«E come ci sei riuscita?»
«Ho i miei cheat» rispose con un sorriso misterioso.
Rondo afferrò una delle pistole di Lara.
«Lo sai che non ti servirà a niente, Rondino.»
«Come no? Vedrò quella testa da succhiacazzi in mille pezzi. Mi basterà.»
«E poi ritornerei in una frazione di secondo, per tormentarti.»
«Ma insomma che cazzo vuoi?»
«Devi fare logout. Devi svegliarti.» E aggiunse, mentendo: «Potrai sempre tornare in seguito.»
«No! Il mondo fa schifo. Starò qui, ho deciso così. Lasciate morire il mio corpo, non me ne frega nulla.»
«Non è per sentire le tue ultime volontà che mi hanno mandata. Mi spiace, Rondino, ma devi svegliarti. Non vuoi farlo con le buone, lo farai con le cattive.»
Rondo iniziò a premere il grilletto, ma la pistola gli cadde dalle mani. Un dolore atroce alla testa paralizzò ogni sua volontà. Urlò, impazzito. Un attimo dopo era di nuovo tutto normale. Respirando a fatica, tanto il cuore aveva preso a battere veloce, guardò Freya, non capacitandosi del fenomeno. Gli avatar provavano solo una parvenza di dolore, giusto quel minimo perché gli utenti si accorgessero dei danni subiti. Ma quello provato adesso era stato atroce, abissale. I programmatori dell'Archivio non avrebbero mai permesso una sofferenza tale, sarebbe stato controproducente.
«Visto, Rondino?» disse Freya. «Ti somministrerò altre scariche, e sono capace di farlo per sempre. Vuoi davvero che il tuo paradiso diventi un inferno?»
Come risposta Rondo riprese la pistola e la sollevò. Ma di nuovo il dolore tornò, e questa volta non smise tanto presto. Per interminabili, eterni secondi perse la ragione in una tempesta mentale che sparava aghi. Sembrava che ogni collegamento sinaptico atto a calcolare la sensazione del dolore fosse investito da decine di terabyte di dati, troppi perché una mente umana fosse capace di superare il trauma senza fondersi in un budino di materia grigia.
Poi di nuovo il dolore si spense.
«Allora?» incalzò Freya.
«Va... bene. Va bene! Hai vinto... brutta stronza di una puttana!»
«Quando vuoi. Cioè adesso.»
«Prima promettimi che potrò ritornare.» Negli occhi quasi lacrime.
«Te lo prometto. Devi solo liberare l'ospedale dal tuo peso. Una volta fuori, trova un posto isolato, ti ricolleghi e potrai morire in santa pace. Se non fossi stato così cretino questa prima volta!»
Rondo si alzò dal giaciglio. Era nudo, e fra le gambe penzolava un pene abnorme. Regolare: nella virtualità ogni utente, maschio o femmina, sceglie quello che reputa sia il meglio, pensò Freya senza mostrare alcun imbarazzo. Dopotutto anche lei aveva creato un avatar per sé che non corrispondeva al corpo reale. Non le mancava alcun orecchio.
Rondo aprì la schermata delle opzioni. Freya, in forza dei suoi programmi personali, poté seguire la scena. Vide che Rondo cliccava sul tasto “Salva posizione attuale”. Poi sulla schermata fu selezionato il tasto di “Log-out”. Rondo sembrava titubante, ma durò poco. Il corpo sparì in una disintegrazione pixellosa.
Freya si collegò alle telecamere esterne, per confermare il risveglio. Vide il bamboccio sul letto aprire gli occhi. Il corpo materiale accusava la debolezza di cinque settimane di inattività. Il ragazzo sembrava incapace di sollevare una mano. Ma prima che quel “sembrava” fosse confermato, Freya non attese oltre, e lanciò l'impulso elettrico che avrebbe fuso per sempre i collegamenti hardware col cervello. Il ragazzo urlò per il dolore, cercando di afferrarsi la testa.
Freya fece log-out.

«Cosa hai fatto?» urlava il moccioso sul letto, tentando di mettersi seduto.
Freya scollegò il cavo dalla sua testa. Oltre la porta, le urla del ragazzo avevano richiamato il personale. Poteva sentire la voce del medico che bestemmiava perché non riusciva ad aprire la porta, e il respiro angosciato delle infermiere. Si alzò con tutta calma dalla sedia. Staccò il cavo dalla testa dell'altro, tenendola ferma sul cuscino con una brutale pressione dell'altra mano.
«Oh, niente di che» decise di rispondergli. «Ho solo fatto sì che non possa più rientrare, a meno di un nuovo intervento e di un nuovo impianto. Ma sai, dubito che sul tuo conto ci siano i soldi adatti.»
«Ma avevi promesso!»
«Per quante balle dico... una più, una meno...»
Andò ad aprire la porta.
Recuperò l'equipaggiamento, nel frattempo che il medico ordinava di somministrare un sedativo al degente e controllava i parametri sul medipad. Si avviò alla porta senza un saluto o un avviso.

Uscì dall'ospedale sotto la pioggia schifosa. L'impermeabile e il cappellone floscio in latex avrebbero impedito che si contaminasse troppo, ma una volta nel suo cubicolo si sarebbe concessa una doccia riparatrice.
Le strade erano ingolfate di auto e trabiccoli, e non era neanche ora di punta. I marciapiedi attraversati da una folla eterogenea di gente che si spintonava e urtava, pressata in uno spazio minimo.
Freya scese in un sottolivello. Preferiva evitare quella calca, anche se più si scendeva più aumentava il rischio di incappare in qualche farabutto o branco.
Prese la metropolitana del livello. Nel tragitto contattò il datore dell'ultimo lavoro. Nel suo campo visivo, l'interfaccia dell'impianto corticale creò un riquadro. La faccia dell'uomo apparve appena acconsentì al collegamento. Era un uomo perfettamente curato nell'aspetto, ed emanava un aura di sicurezza.
«Ebbene?» le chiese.
«Lavoro portato a termine.»
«Perfetto. Sapevamo di poter contare sulle sue doti.»
«Non mi servono a niente i complimenti.»
«Avrà il pagamento sul suo conto entro breve. Più un extra, come concordato.»
«Un extra e un buon pagamento per un ragazzo insignificante» disse lei, insinuando nella voce un vena di ironia.
«Forse non è così insignificante... per qualcuno.»
«Immagino la Metis Corporation, ossia l'azienda che ha creato l'Archivio e lo gestisce.»
«Non posso dirle per incarico di chi le ho affidato il compito. Sono un intermediario e nemmeno io so tutto.»
«Il ragazzo in soldi non era messo male. Anche se abitava in un quartiere infimo. Ho controllato le sue transazioni finanziarie, scoprendo che aveva sottoscritto un abbonamento di dieci anni all'Archivio. Praticamente ha versato al suo “benefattore” tutto quello che aveva, una somma considerevolmente alta, prima di prendere la decisione di suicidarsi.»
L'uomo nel video rimase muto e impassibile.
«Quei soldi» continuò lei «resteranno all'azienda, visto che col tentativo di suicidio il ragazzo ha violato la regola 8 nel contratto di utilizzo...
«Ma non si scomodi a confermare!» aggiunse con sarcasmo, perché l'uomo continuava a tenere un silenzio granitico. «Vediamo, non è difficile fare due più due... Se il suicidio fosse andato in porto, per voi non ci sarebbe stato nessun problema: intascavate i soldi ed eravate fuori da ogni bega legale. In fondo è impossibile bannare soggetti scomodi dalla virtualità: senza il consenso di questi, senza la loro volontà d'uscire, la loro mente sarebbe perduta. Sarebbe un delitto cerebrale, no? Il suicidio però non andò in porto, il ragazzo era vivo e vegeto e sarebbe pesato sul groppone come caso atipico. Anche malgrado avesse pagato, c'era un ospedale che avrebbe potuto lamentarsi. L'ospedale non l'avrebbe mai fatto fuori, deve aver fiutato che ci si poteva fare soldi. La ragione maggiore era dalla sua: coi soldi pubblici non si scherza, no? Quindi per voi poteva scoppiare uno scandalo, o un vocio generale che comunque sarebbe stato un fastidio per la Metis... Sbaglio o qualcosa del genere è già capitata in passato? Pubblicità negativa, cause legali, perdita di utenti e introiti... Meglio non rischiare e assoldare una cacciatrice, attraverso un filtro di segretezza. Così la cacciatrice svolge il lavoro, e non sa nulla che potrebbe svendere a qualche giornale.»
«Mi spiace» disse l'uomo, forse un po' spazientito. «Non posso confermare queste sue paranoiche idee. Nemmeno io so tutto. Ma è una possibilità plausibile. Ha le prove?»
«No. Ovviamente no. E neanche me ne frega un cazzo. Prendo i soldi e mi basta. Era solo curiosità.»
«Bene, allora resteremo in due ad avere la curiosità delusa.»
«Sì, certo...»
«Se ha finito, possiamo salutarci. Addio.» E senza attendere un saluto, il riquadro si spense.
Freya considerò un momento se non avesse sbagliato a lasciarsi sfuggire quei dubbi. Rischiava qualcosa? Ma no, quella del ragazzo era una storiella piccola in mezzo a tante grosse, tutte marce e sporche. Come aveva detto il medico? Non alte sfere. Non era neanche il primo, e non sarebbe stato l'ultimo.
Decise di distrarsi pensando a cosa avrebbe fatto con la somma di denaro che le sarebbe arrivata sul conto. Metterla da parte per poter un giorno farsi clonare un orecchio? Oppure per un impianto nuovo, meno invasivo?
Mascheramenti.
Li odiava.
Eppure ritornava sempre a pensarci.




Edited by Gargaros - 22/9/2019, 18:55
 
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view post Posted on 22/9/2019, 22:30
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Apprendista stregone

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Lo spunto era quella di far confrontare due diverse idee dell’amore.

Per amore

Vedo la bellezza del tuo viso.
Vedo il riflesso dei tuoi capelli ramati scintillare nella luce del sole.
Vedo la tua vita sottile, le tue gambe perfette uscire da una delle tante minigonne che ami indossare.
Purtroppo vedo anche lui.
Vedo il riflesso dei tuoi occhi nei suoi.
Vedo come lo abbracci, come lo sfiori, come posi le labbra sulle sue.
Questi occhi che un tempo mi riempivano solo della tua bellezza, ora mi colmano di dolore.
Vorrei essere cieco e invece mi ritrovo a guardare tutto questo. Quando ti osservo, sperando che i tuoi occhi si posino su di me, mi tocca vedere anche lui che ti scodinzola intorno.
Perché mi fai vedere tutto questo, Arianna?
Da quando ti sei messa con lui, ogni giorno pare grigio e senza senso, scandito da momenti sempre uguali e ripetitivi.
La sveglia, la colazione, il mio noioso lavoro di impiegato, il ritorno a casa, le sere passate davanti alla tv e a letto.
Il giorno dopo? Uguale. Quello successivo? Anche.
A ventisei anni, conduco la vita di un settantenne e quel che è peggio è che ogni cosa, in questa casa, mi ricorda te.
Da otto lunghissimi mesi.
Le foto scattate insieme, i cagnolini di peluche che adoravi regalarmi, la tazza portapenne con scritto “Ti amo”, sono muti testimoni di un tempo felice che non tornerà più.
I miei genitori continuano a dirmi di dimenticarti, di farmene una ragione, di uscire con gli amici e buttare finalmente questa storia alle spalle.
Ma che ne sanno?
Io ti rivoglio indietro e vorrei che quel bastardo di Davide morisse in questo momento! Anzi, sarei disposto a ucciderlo con le mie stesse mani se servisse a riportarti indietro.
Invece sono qui, nel mio letto, circondato dalle foto della nostra prima (e ultima) vacanza insieme a Rimini.
Non riesco a dimenticarti e mai ci riuscirò.
La sveglia sul mio comodino segna le undici: devo andare a dormire.
Rimetto a posto le foto nello scatolone sotto il letto e prendo i miei soliti sonniferi, i miei soli alleati. Gli unici amici che mi concedono otto ore di nero oblio senza sogni. Le uniche otto ore in cui riesco a non pensarti.
Osservo nel palmo della mano la dose abituale di compresse. Mi sento troppo di merda stasera: ne prenderò qualcuna in più. Meglio non correre rischi.
Spengo la luce e chiudo gli occhi, sperando che il buio mi accolga presto. Vorrei dormire: dormire per sempre.
Una morte dolce, durante il sonno, senza soffrire.
Un’eternità di nulla invece di questo dolore continuo e lacerante.
Sarebbe magnifco!


Un bacio sulla guancia mi fa aprire gli occhi di scatto.
«Forza, pigrone! Sono le quattro, hai intenzione di dormire tutto il pomeriggio?»
Mi giro nella direzione della voce, ma ho la vista annebbiata e non riesco a mettere a fuoco la figura che si trova di fianco al letto. Mi stropiccio gli occhi con le mani e finalmente riesco a vederla.
È lei ed è stupenda!
Mi trovo ad ammirare il viso delizioso, impreziosito da due splendidi occhi color acquamarina e circondato da un caschetto di capelli ramati. Indossa un copricostume giallo che, grazie alla stoffa leggera, riesce a farmi indovinare le sue forme. Il suo sorriso è attraente e rassicurante, uno di quei sorrisi in grado di farti innamorare.
E infatti è così.
Capisco che non posso vivere senza di lei.
Mi fissa divertita, lanciando sul letto il mio costume da bagno.
«Forza, mettiti questo mentre vado a imbucare le cartoline. Aspettami qui, tesoro. Intanto.. preparati», cinguetta allegramente, mentre si dirige verso la porta.
«Ma, Arianna, io...»
Mi trovo a fissare come un ebete la porta che si chiude con un lieve tonfo. Ma cosa cazzo sta succedendo? Dove mi trovo? Mi sono addormentato pochi attimi fa nel mio letto e mi ritrovo...
«Ti ritrovi a Rimini, il 23 luglio del 2018 con Arianna, che stanotte tradirai nei cessi del Coconuts con quella ragazza di Bergamo, tanto per intenderci.»
Volto lentamente la testa nel punto da cui proviene la voce e quello che vedo mi fa dubitare di essere ancora sano di mente.
Seduto a gambe incrociate, ai piedi del letto, c’è un piccolo e paffuto bambino biondo, armato di arco e con due graziose ali di piume bianche che spuntano da dietro le spalle.
«Ho capito tutto! Sono a casa, nel mio letto e sto sognando. Non c’è altra spiegazione», esclamo con tono piatto, puntando il dito indice contro quel parto della mia mente.
«No, mio caro. Non stai sognando. Capisco che tutto possa sembrarti assurdo ma io sono proprio quello che credi che io sia: sono Cupido, o Eros se preferisci.»
La mia risata esplode come una bomba all’interno della stanza.
«Tu Cupido? Ma per piacere. Non credo in Dio e dovrei credere a te? Tu fai solo parte di un sogno assurdo.»
«È proprio perché non credi in Dio che forse dovresti credere in me, anzi in noi. Siamo stati sostituiti da una nuova divinità imposta con la violenza e con l’inganno. Secondo te, perchè ci chiamano dei primordiali?», risponde con voce argentina, sbattendo gioiosamente le ali come a voler sottolineare la frase.
«Senti, cerchiamo di essere pratici», replico con prontezza, agitando la mano come a volere scacciare un insetto fastidioso. «Tu sei vero come è vero Babbo Natale o la Fata dei dentini! Non so ancora se sogno, se sono impazzito o cos’altro, ma fammi un favore: ritorna nei meandri della mia mente e restaci», rispondo deciso, mettendomi a sedere a gambe incrociate per imitare la sua postura.
«Ma tu guarda! Sei il primo e unico essere umano per cui mia madre prova compassione, l’unico in tremila anni di storia e mi rispondi così?», inveisce il putto, con voce carica di risentimento.
«Il tuo dolore è stato così forte, così genuino, che persino mamma ha incominciato a inveire contro di me. Ha persino minacciato di rompermi l’arco se non ti avessi aiutato, e allora...», esclama teatralmente, mentre con uno sbattere d’ali svolazza sopra il letto e va a posarsi sopra il mio ginocchio destro.
«E allora?», esclamo, mentre un dubbio si insinua nella mente. Mi sembra tutto così nitido: il vociare della gente in strada, la consistenza del lenzuolo sul quale sono sdraiato, il peso del piccolo essere poggiato sulla gamba. Non ho mai fatto un sogno così pieno di particolari. Non sarà che...
«Allora la dea dell’amore, alias mammina, mi ha chiesto di darti una seconda possibilità. Se stasera lo terrai al sicuro nelle mutande, invece di darlo in bocca a quella diciottenne... a proposito, come si chiamava? Ilaria? Elisa?»
«Enrica! Si chiamava, anzi, si chiama Enrica», mi affretto a rispondere, mentre sento un improvviso calore sprigionarsi dalle guance. «Ma non è stata colpa mia. Avevo bevuto troppo e quella si è avventata come una furia...»
«Sì, certo: dai la colpa a quella sgualdrinella da due soldi e all’alcool», sibila tra i denti, mentre il suo sguardo a metà strada tra il compassionevole e l’astioso mi mette a disagio. Quegli occhi accusatori che mi fissano dal volto di un bambino mi fanno rabbrividire.
«Stavo dicendo, se stasera farai il bravo fidanzatino, Arianna non ti beccherà in flagrante, non ti lascerà e non si metterá insieme a Davide. Tutto chiaro?», garrula con voce melensa il putto, mentre mi guarda dritto negli occhi, questa volta con occhi limpidi e amichevoli.
È assurdo! Eros, Afrodite, i vecchi dei sostituti da un nuovo Dio bonario in cui tutti credono, che si muovono a compassione e mi danno la possibilità di rimettere tutto a posto. Sento puzza di bruciato. Nessuno si muove per niente.
«Bene, Eros: dov’è la fregatura?»
Il putto mi fissa incredulo, scuotendo la testa in segno di diniego. Sbatte le ali e si libra in volo, piazzandosi a pochi centimetri dal mio naso. Sento sul volto l’aria provocata dal suo sbattere d’ali. Nessuna follia e nessun sogno possono essere tanto realistici.
«Ma sei tonto o cos’altro? Sai cosa vuol dire avere una madre che ti segue tutto il giorno, rinfacciandoti di avere scoccato le frecce una volta di troppo? Se userai la testa stasera, tu sarai felice, mia madre sarà contenta e io potrò vivere in pace. Tutto chiaro?»
Mi sento un idiota a parlare con un essere che non dovrebbe esistere in una realtà alternativa che non dovrebbe esistere. Viaggi nel tempo, una seconda possibilità: una mente razionale come la mia non dovrebbe credere a tutto questo.
Poi penso a lei, a Arianna. Per quanto incredibile possa sembrare, forse questo è l’unico modo per rimettere a posto le cose.
«Ti saluto, ragazzone. Arianna sta arrivando e preferisco non mi veda. Questa sera manda a quel paese Enrica e vivi felice con lei, d’accordo?» e con un piccolo sbuffo lo vedo sparire nel nulla, un secondo prima che la porta si apra.
«Ma, Roby! Sei ancora in mutande! Forza, muoio dalla voglia di farmi un bagno.»
Trovarmi Arianna di fronte, con quell’aria finto imbronciata sul viso, mi provoca una fitta di nostalgia al cuore talmente forte da procurarmi quasi dolore fisico. Mi alzo dal letto e mi dirigo verso di lei. La abbraccio e la bacio con infinita dolcezza. Sento le sue morbide labbra a contatto con le mie, le nostre lingue che si uniscono, il calore del suo corpo contro il mio, l’odore della sua crema dopo sole. È tutto talmente bello e assurdo che mi sembra di impazzire.
«Mi fa piacere che il tuo amichetto là sotto dia segnali di impazienza, ma adesso voglio andare in spiaggia. Ti prometto che stanotte mi prenderò cura di lui, ma adesso andiamo, per favore.»
Dopo un breve bacio sulle labbra si volta e apre l’armadio per prendere la borsa con i teli da mare.
I miei occhi si colmano di lacrime che prontamente asciugo con il dorso della mano. Non credo in Dio, ma mi viene spontaneo alzare gli occhi al cielo.
«Grazie. Grazie di cuore a chiunque sia in ascolto», bisbiglio infilandomi il costume, mentre due lacrime vigliacche, intrise di felicità, scivolano calde sul mio viso.


La giornata è stata perfetta. Un bagno pomeridiano rinfrescante, costellato da baci e risate, una cena gustosa nel ristorante dell’albergo e una nottata scatenata in discoteca, dove non ho dato la minima confidenza a Enrica, nonostante le sue avances.
Adesso sono nella camera d’albergo con lei, pronto a vivere il resto di una storia che, per colpa di una mia stupida debolezza, mi era stata preclusa.
La cingo da dietro, le mani sul ventre piatto, il profumo di shampoo alla mela nei suoi capelli. Arianna inclina il capo, offrendomi il collo che ricopro di baci. Le mie mani risalgono centimetro dopo centimetro sul suo corpo, soffermandosi sui seni. Le mie dita accarezzano i capezzoli che sento turgidi al contatto. La desidero con ogni fibra del mio corpo, voglio fare l’amore con lei adesso, non posso più aspettare.
«Roberto, devo andare a fare la pipì. Spogliati e aspettami a letto, torno subito.»
Le bacio una spalla, mentre si libera dolcemente dal mio abbraccio per poi dirigersi, sculettando sui tacchi a spillo, verso il bagno.
Mi spoglio velocemente e mi butto sul letto, fantasticando su cosa accadrà tra poco.
Dopo qualche secondo di attesa la vedo uscire, vestita solo con mutandine e reggiseno.
Ma non è sola.
Insieme a lei ci sono due energumeni, completamente nudi. I loro membri eretti sembrano quelli di due pornodivi.
Si gettano contro di me, mi sollevano senza alcuno sforzo e mi buttano, senza tanti convenevoli, su una sedia.
Cerco di alzarmi, ma con mio sommo stupore scopro di non poter fare granché. Ogni mio sforzo è vano. Pur non essendo legato non riesco a staccarmi da questa dannata sedia.
Mi volto verso Arianna, confuso e preoccupato per quello che potrà accadere, ma lo sguardo malizioso e carico di disprezzo che mi riserva, mi gela il sangue.
Il mio terrore continua a crescere, mentre la stanza perde i tratti della camera d’albergo e si trasforma in una stanzetta bianca, i cui unici arredi sono un letto dalle candide coltri e la sedia dove mi trovo bloccato io adesso.
Il fiato si fa corto e il cuore mi martella in petto. Non mi sono mai sentito così terrorizzato in vita mia!
«Ciao, Roberto. Spero che tu sia comodo e pronto per lo spettacolo!»
Sobbalzo sulla sedia, mentre davanti ai miei occhi si materializza dal nulla un piccolo putto dalle ali piumate.
«Eros, che cosa sta succedendo? Che posto è questo? Perché non riesco ad alzarmi da questa sedia? Di quale spettacolo vai cianciando?»
«Quante domande ragazzo mio. Perché non metti in funzione il cervello e cerchi di darti qualche risposta da solo?»
La risposta relativa allo spettacolo mi appare immediatamente chiara quando vedo i due uomini spogliare della biancheria intima Arianna, che li lascia fare senza opporre resistenza.
«Eros, fermali. Avevi promesso di darmi una seconda possibilità. Come può il dio dell’amore puro e vero permettere una simile atrocità!», urlo con quanto fiato ho in gola, ricevendo una risata da parte di Arianna come risposta.
«Come siete superficiali voi umani. Mi vedete come un bamboccio alato è pacifico, per cui l’unica identità che riuscite a darmi è quella del custode dell’amore tenero e dolce. Ed è in parte vero. In questa forma sono realmente il dio tutelare delle persone che si amano da morire. Ma l’amore può essere concepito anche in un altro modo...»
La scena che mi si para davanti è allucinante. Vedo Eros cambiare lentamente forma. La pelle si increspa, diventando grinzosa come quella di un vecchio centenario, le ali si ricoprono di penne grigio scuro, simili a quelle di un corvo, il viso paffuto si trasforma in quello di un vecchio gnomo maligno, dagli occhi cisposi e crudeli. Terrore e disgusto invadono ogni cellula della mia mente.
«In questa forma mi chiamano Cupido nero e incarno il rovescio della medaglia, la concezione più negativa dell’amore. Quell’amore che fa soffrire e che uccide, perché capita anche di morire per amore: come è successo a te.»
Quelle parole hanno il potere di prosciugare ogni energia dal mio corpo, mentre un brivido gelido mi attraversa da capo a piedi. Non riesco più a muovere nemmeno un muscolo, mentre noto con sgomento che Arianna e i due uomini hanno raggiunto il letto.
«Ma cosa significa? Non può essere...»
«Mi dispiace, ragazzone, ma sembra che tu abbia esagerato con i sonniferi. Cercavi una morte dolce, senza sofferenze? Bene, sei stato accontentato.»
No! Non posso essere morto! Non è giusto, cazzo! Proprio adesso che avevo rincontrato Arianna.
«Ma perché sono qui, perché mi fate questo?» balbetto con un fil di voce, mentre calde lacrime di sgomento rotolano lungo le mie guance.
«Hai voltato le spalle al tuo vero amore per sollazzarti con la prima troietta che hai incontrato. hai voltato le spalle alla salvezza spirituale non credendo a nessuna entità superiore. Hai voltato le spalle anche a te stesso, rinunciando alla vita che ti era stata donata. Dove potevi sperare di finire, secondo te?»
Singhiozzi disperati scuotono il mio corpo, mentre piango senza riuscire a fermarmi. Credevo di essere in paradiso e invece...
«La tua punizione sarà la seguente: di giorno sarai costretto a vivere qui dentro, in questa stanza disadorna, con la noia come unica compagna. Di notte, sarai costretto a guardare una versione del passato della tua Arianna che farà con loro quello che tu non riuscirai mai più a fare con lei. Tutto questo a ciclo continuo, per l’eternità», gracchia lo gnomo malefico, indicandomi con un cenno teatrale della mano il letto. Un dannato letto, dove una giovane Arianna, pescata dalle pieghe del passato, si sta dando da fare con due uomini nerboruti.
«Buona fortuna, Roberto. Ne avrai bisogno», ghigna Cupido nero, sparendo nel nulla come una bolla di sapone esplosa a mezz’aria.
Cerco di voltare la testa, di chiudere gli occhi. Ma quando lo faccio, una forza misteriosa mi costringe a guardare quella giostra di corpi che si toccano, di bocche che si cercano, di gemiti e sospiri che feriscono le mie orecchie, la mia anima, il mio essere.
Vedo espressioni di piacere sul tuo viso.
Vedo il tuoi capelli ramati muoversi all’unisono con i colpi di reni di chi ti monta da dietro.
Vedo le sue mani che stringono la tua vita sottile e le tue gambe perfette che vengono accarezzate dall’altro uomo.
Vedo il tuo corpo nudo riflesso nei loro occhi.
Vedo come li abbracci, come ti violano, come posano le labbra su ogni centimetro del tuo corpo.
Vorrei essere cieco piuttosto che vedere tutto questo.
Ma essere cieco all’inferno, credo sia un favore che nessuno mi concederà.
 
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view post Posted on 23/9/2019, 19:38

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Buonasera, ecco i miei commenti e relativa classifica:

QUATTRO IDIOTI AL VILLAGGIO ABBANDONATO di Beatrice S.
Mi piace questa idea del film horror con tanto di maschera di cervo nella chiesa sconsacrata. Che dire dei personaggi? Tiffany la bionda svampita fa la sua parte, insieme al palestrato fissato con le tette e alla rasata, la voce della razionalità e della praticità (ha portato lei panini e sangue finto). Alex, il regista, è simpatico, sta cercando di dare al suo corto una voce inquietante e nuova (c’è riuscito, l’atmosfera dell’albergo anni ’80, con i fantasmi della catastrofe del ’98 che aleggiano, con tanto di decorazioni natalizie dell’epoca, dà il giusto brivido. E che dire di Adam, che trasforma l’horror in realtà? Molto intrigante). Il finale, con il dottore in vena di psicodrammi, e la comparsa dei personaggi assassinati sul finale, dà l’impronta spettrale che ci vuole. Specifiche rispettate in pieno.

PANDORA’S BOX (PANDORA E I MERCANTI DI TEMPO) di Reiuky Racconto surreale, che rispetta le specifiche. Affascina l’idea della banca rubatempo (pur fra i vantaggi di un contratto che dà soldi). Pandora e Max sono i piccoli eroi della situazione (mi dispiace che Max sia invecchiato). Fra tecnologie con App di cellulari, impiegati manichino e il terzetto (due uomini e una donna che parlano una strana lingua resa intellegibile dalle app di Pandora) la storia avvince il lettore. C’è l’incendio finale, che fa sperare in un annullamento dell’estorsione alla madre di Pandora e Nico. Bello il quotidiano (reso anche dalla cotta di Pandora per Giacomo, la sua amicizia per Stefy e Max e dalla scena con i gelati). Astuto Nico con l’inchiostro simpatico.

Attenzione:
Sì grazie (Sì, grazie)

Prego si accomodi (Prego, si accomodi)
Per capiri (per capirci)
Ferma ragazzina (ferma, ragazzina)
Sì andiamo (Sì, andiamo)


L’ARCHIVIO di Gargaros Lunghezza? Ma quale? La tua storia scorre in modo magnifico. Sei geniale, Gargaros, mi sembrava di essere con Freya, l’acchiappa nerd legati ai mondi dei videogiochi che danno una seconda vita, come al ragazzo in coma (diventato Rondo, l’amante compagno di avventura di Lara Croft). La seconda vita ha i suoi prezzi (nel mondo reale si rischia la morte per inedia, e anche per essere diventati un peso per la comunità e le cure mediche). Il ragazzo avrebbe una sorella che lo riaccoglierebbe nel mondo reale, ma lui non vuole. Così, Freya passa alle maniere forti (vedi la fine di Lara Croft). E lei, come personaggio, affascina, dura, spietata, malgrado lo stupro e la menomazione all’orecchio fattale subire dal padre (belle le calotte craniche, che immergono nella seconda vita). Specifiche rese ottimamente.


Attenzione a:
deja vu (dèjà-vu)


PER AMORE di Incantatore Incompleto Bellissima storia, che rispetta in pieno le specifiche. C’è l’amore con i rimpianti per la ex, sistemata con l’odiato rivale Davide, e la seconda possibilità offerta da Cupido (vedi la ripetizione della vacanza a Rimini, dove il Nostro si gioca Arianna per una squinzia del Coconut). Il finale è graffiante, Cupido è un demone torturatore. La sua Arianna si dà da fare per l’eternità con due amanti nerboruti e Roberto, il suo ex dannatosi per essere caduto nel nichilismo e aver abusato dei sonniferi, si è ritrovato suo malgrado. E sarà condannato a vedere lo spettacolo ogni notte dopo aver passato una giornata di noia in una stanza bianca. Dell’amore hai descritto tutto. Con abilità notevole. Ottima la scrittura.

La mia classifica è soffertissima, siete stati tutti bravissimi:

L’ARCHIVIO di Gargaros

PER AMORE di Incantatore Incompleto

PANDORA’S BOX (PANDORA E I MERCANTI DI TEMPO) di Reiuky

QUATTRO IDIOTI AL VILLAGGIO ABBANDONATO di Beatrice S.
 
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