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Skannatoio Luglio - Agosto 2020

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Gargaros
view post Posted on 30/7/2020, 19:45 by: Gargaros
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"Ecate, figlia mia..."

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«OH GIANNI, SVEGLIATI!»


Gianni notò i due quando fu nell'androne del suo condominio e, per istinto, si girò e guardò fuori. Oltre la vetrina della porta, i due tizi stavano sull'altro lato della strada, e lo spiavano senza pudore. Ebbe la bislacca certezza di averli avuti alle calcagna per tutto il cammino di ritorno dall'ufficio. Mi hanno pedinato, pensò senza motivi chiari. La luce automatica si spense, lasciandolo nel vago riverbero che veniva dai lampioni stradali. Salì al buio, non preferendo schiacciare l'interruttore presso la scala.
Appena dentro l'appartamento, si scoprì ansimante, come avesse corso. Ma era nervosismo. Panico. Per un attimo si concesse un'analisi interiore. La parte razionale della mente gli suggeriva che stava prendendo un granchio. Ma sì, il lavoro era stato stressante, quel giorno. La giornata faticosa e calda. Ho una certa età e ho pure camminato troppo. Perché diavolo non ho preso il tram, proprio oggi? Un bicchiere di vino, sì.
Sorseggiando vino, si preparò una cena frugale, come sempre. Questa volta brodino con un pugno di tortellini ripieni, mezza cotoletta per secondo, e una mela per terzo e quarto; infine e un caffè per chiudere in bellezza. Quasi sessant'anni e aveva un fisichino slanciato, dritto e tonico. Non aveva mai mangiato troppo, neanche quanto aveva la Maria accanto. Maria era brava, in cucina, ricordò con nostalgia, riesumando sulla lingua i sapori di certi suoi piatti meridionali.
Dopo cena, lavò i piatti. Guardò un po' di TV spazzatura. Si chiese, come faceva spesso, perché mai dessero ancora lavoro a quella de Filippi. La Carrà, almeno, aveva avuto la decenza di smettere con quei programmi dopo qualche anno dal suo rilancio. A Castagna ci aveva pensato l'infarto. Che programmi fasulli, ipocriti, ruffiani, pensò, pigiando il tasto spegni.
Si erano fatte le ventitré. Andò in camera, si spogliò. Era troppo stanco per lavarsi: ci avrebbe pensato domani.
Si addormentò.


Nel cuore della notte venne svegliato dal campanello. La sua reazione fu spropositata: si destò d'improvviso buttandosi fuori dal letto, come in un terremoto di scala nove. Ebbe un attimo di confusione, nell'oscurità chiarita solo dall'illuminazione stradale che filtrava dai fori delle tapparelle. Il campanello suonò di nuovo. Nel silenzio della notte sembrava accresciuto, tuonante. Avrebbe rovinato il sonno a tutti i condomini, pensò Gianni. Che corse quindi al videocitofono. La mano, eppure, stentò a pigiare il tasto di accensione. Ci fu un nuovo squillo. Poi ancora un altro, prolungato. Gianni prese un respiro deciso, e accese lo schermetto.
Per quanto in ombra, per quanto non l'aveva visto bene in volto, seppe subito che la faccia inquadrata era quella di uno dei due tizi di prima. Guardava fissamente la telecamera, e Gianni ebbe la sensazione che guardasse lui.
«Sì?» chiese. «Cosa vuole, a quest'ora?» Tentò un rimprovero: «Non si vergogna a disturbare la gente che dorme?» ma la voce gli tremò.
L'altro non disse nulla. Fissava.
«Allora?»
Lentamente, con incertezza, Gianni portò la mano sul tasto di chiusura. Stava per schiacciarlo quando il tizio disse qualcosa.
«Cosa?» domandò Gianni. «Non ho capito, cosa ha detto?»
La bocca del tizio si aprì di nuovo. «Signor Gianni Brambilla.»
Aveva un accento strano, notò Gianni. Mai sentita quella inflessione in vita sua.
«Sono io, esatto. Cosa vuole?»
Per tutta risposta, il tizio si voltò e andò via, uscendo dall'inquadratura.
Gianni rimase inebetito. Continuò a fissare lo schermo per eterni secondi, prima di chiudere il contatto e ritornare, con passi fiacchi, al letto.
Non produsse nessun pensiero sull'accaduto.


Si svegliò nel solito modo: col ricordo di Maria che lo chiamava. Sempre con quella frase... «Oh Gianni, svegliati!...
E come di consueto avveniva alle sette in punto. In un'ora avrebbe sistemato la sua persona, sia all'interno che all'esterno.
Pulito e nutrito, alle otto era già fuori dalla palazzina. Si stava avviando verso la fermata del tram, a tre isolati da lì, quando un pensiero improvviso gli suggerì di guardarsi attorno.
Nella rarefatta folla mattiniera, scorse i due tizi. Lo guardavano.
Senza scollare gli occhi dalla nefasta visione, Gianni prese a incamminarsi, un po' di sbieco e rischiando di inciampare in un moccioso o in qualche crepa del marciapiede. Poi finalmente accelerò il passo, puntando lo sguardo avanti. Ebbe certezza che i due lo seguissero.
Al secondo incrocio c'era una vigilessa che vigilava sul passaggio pedonale. Non gli sfiorò neanche il pensiero di chiedere il suo intervento. Quando fu sul tram, seduto, col fiato corto, si domandò se dovesse chiamare qualcuno. La polizia? I carabinieri? Poi gli venne quasi da ridere a quel pensiero stupido. Era spaventato, ma sentiva, sottilmente, che non correva uno di quei tipici pericoli che spaventano le persone normali.
Le persone... normali...
Lavorò come di consueto, con concentrazione e dedizione, alla sua scrivania, dietro una pila di pratiche, alla quale la segretaria aggiunse altri due piani. Lui non vi badò; sapeva che il capufficio approfittava della sua buona volontà, ma non gli dava fastidio.
Il collega molesto a metà mattinata cominciò a tartassarlo di commenti dalla scrivania accanto. Era più giovane di Gianni, e voleva vantarsi di una notte all'insegna di sesso con una sconosciuta. Gianni ebbe il sospetto che si inventasse tutto, ma per cortesia preferì far finta di bersi la storia, uscendosene a volte con un «accidenti» o un «ci sai fare».
«Questa sera ci ritorno» disse il collega. «Vieni anche tu.»
«No» fu la pronta risposta di Gianni. «Per me certe cose sono finite.»
«Ma va' in mona! Non hai neanche sessant'anni. Anzi, a vederti si direbbe che non ne hai neanche quaranta! Impossibile che non ti tiri più!»
«Non è per quello...»
«Ancora legato a quella che ti ha mollato?»
«Maria non mi ha mollato!»
«Come no, l'ha rapita l'arabo!» L'altro fece una risata, divertito da un gioco di parole che Gianni non riusciva a capire.
«Maria ha avuto qualche guaio» disse sulla difensiva. «C'è stata un'indagine. Non l'anno mai ritrovata.»
«Ormai sono... quanti anni?»
«Otto.»
«E dopo otto anni non senti nessun bisogno di figa?»
Gianni non rispose, troncò una porzione di attenzione che concedeva al collega, e la deviò sul lavoro. L'altro continuò ancora per un po', poi si spense gradualmente e cominciò a lavorare, però fischiettando o prendendo il telefonino e distraendosi con applicazioni e messaggistica varia.
Poi ci fu la pausa pranzo. Poi si ritornò a lavorare.
Lì Gianni ricevette la telefonata. Una lingua strana, mai sentita prima, venne dalla cornetta. Disse una frase lunga, che ovviamente non comprese. Capì solo che era la voce della notte prima. Cominciò a sudare e a tremare. Il collega molesto gli buttò un'occhiata proprio allora, gli chiese se stesse bene, ma Gianni non rispose.
Appese la cornetta e corse in bagno. Aveva nello stomaco un subbuglio, nella mente un uragano. Arrivato in bagno gli venne l'illogico pensiero di vomitare. Illogico perché non vi era nessuno stimolo fisico. Ma avrebbe disperatamente voluto vomitare... o fare qualcosa d'altro, purché fosse... normale... Ciò che farebbe una persona in una situazione simile.
Si lavò la faccia... almeno quello! Si guardò a lungo allo specchio, mentre l'acqua gocciolava giù dal mento, lasciando sul viso una patina di umidiccio, che poteva passare anche per viscidume. Ne ebbe un'impressione negativa, che mutò subito dopo in una strana accettazione.
Ripensò a quella voce. Cosa volevano, e perché, e percome... Domande su domande gli si affollarono nella mente, ma non aveva risposte per nessuna. Dovevano aver sbagliato persona, non c'era dubbio. Se li avesse rivisti, glielo avrebbe urlato in faccia. E, se non capivano l'antifona, si sarebbe risolto a chiedere aiuto alle forze dell'ordine.
Deciso, ritornò al lavoro. Quando, a sera, scattò la chiusura, lui rimase al suo posto, e continuò a lavorare, per un'altra ora ancora, si disse. Poi il buio oltre le finestre lo allarmò. Doveva aver perso la cognizione del tempo, immemore di tutto. Finalmente spense il computer, raccolse le sue carte, la sua borsa, la giacca dall'appendiabiti, e andò, scoprendo che gli uffici e i corridoi erano tutti silenziosi e spenti. Aveva fatto già straordinari, ma non di quella durata. Neanche il capo si era affacciato nell'andare via, o forse lo aveva fatto e salutato anche, senza che lui se ne accorgesse.
Un'occhiata all'orologio da polso, mentre valicava l'uscita, gli disse che erano le ventitré e ventotto. L'ultima corsa del tram passava fra due minuti, la fermata era lontana, avrebbe dovuto correre. Di solito lui ritornava a casa a piedi; altri l'avrebbero giudicata sfacchinata, ma lui amava camminare libero da tutto. Non quella sera.
Corse, ma arrivò tardi. Il tram, in fondo alla strada, gli fece ciao con un clangore metallico mentre svoltava.
La strada era deserta. Curioso come una città come quella sembrasse vuota proprio in quel momento. Gianni si guardò attorno, ma non scorse nessun pedinatore. La breve corsa ristava nel fiatone e nel cuore accelerato. Cominciò a incamminarsi, pensando che, se la tensione glielo avesse consigliato, avrebbe potuto chiamare un taxi.
La sera era tranquilla. Il clima fresco, corroborante. Gianni si sbirciò alle spalle varie volte, ma non vide mai nessuno. A volte incrociò persone che passavano sui marciapiedi, ma ognuna andava per i fatti suoi. Si sentiva liberato dal tormento... Forse quei due individui avevano capito da soli di aver sbagliato persona. Forse erano due ladri che stavano pianificando un colpo, ma a un certo punto avevano troncato il piano perché scoperto di trovarsi di fronte la vittima meno adatta. Gianni non era un miserabile, ma neanche un paperone. Il massimo che gli si poteva derubare sarebbero stati i ventimila euro, i risparmi di una vita, che però aveva in banca.
Si godette la sera e la passeggiata. Casa sua era a vari chilometri dal centro, ma ogni passo anziché affaticarlo giovò al corpo e allo spirito, quella sera più che mai.
Arrivò a destinazione, pregustando la cena parca che si sarebbe fatto. O magari stasera non si andava tanto per il sottile... Ordinare un paio di pizze e delle birre? Ma sì, anche!
Salì le scale fischiettando, persino.
Aprì la porta e, accesa la luce, trovò in salotto i due molestatori. Erano in piedi, dritti, imbalsamati, e lo fissavano. Gianni non seppe dire nulla, era paralizzato per la sorpresa e lo spavento.
Uno dei due sollevò il braccio. Teneva in mano un oggetto triangolare, di metallo cromato, sembrava. Lo teneva per un lato, e puntava il vertice su Gianni.
Non si udì nessun suono, ma Gianni fu colto da un sopore improvviso, gli parve come se il corpo sparisse, e poi la mente... E Gianni si spense, tutto.


Non fu un risveglio. Come era parso, prima, che venisse messo «in pausa», ora si «riavviò», nella medesima posizione, cioè in piedi. Le funzioni cerebrali di prima le ritrovava ora, della massima intensità: stupore e spavento per i due individui che avevano violato la sua casa. Se non che, davanti non li aveva più.
Neanche il suo salotto era più. Scoprì di trovarsi in una piccola stanza, le cui pareti sembravano di metallo cromato satinato. Non c'erano fonti di luci, eppure tutta la stanza era inondata da una luminosità diffusa che non proiettava ombre. Le pareti, eccetto il pavimento e il soffitto, avevano basse concavità e convessità ovoidali distribuite senza un ordine apparente. Era un'estetica particolare ed esotica, che tuttavia risvegliò in lui un forte senso di deja-vu.
Paura e sorpresa per due molestatori divenne paura e sorpresa per altro. Lo sguardo corrente sulle pareti, la bocca spalancata, Gianni per interminabili secondi ebbe la ragione paralizzata, incapace di formulare un pensiero razionale. Poi si accorse che la stanza non aveva nessuna porta: le superfici erano lisce. Lo confermò quando con le mani prese a sondarne la consistenza. Non è un sogno, si disse. O forse sì? Magari un incubo.
Il tempo si dilatò, non sapeva se erano passati minuti o ore, quando il panico cominciò a montare fino a un livello insostenibile. Gianni urlò: «Ehi! Aiuto! Voglio uscire!» La voce, anziché rimbombare nella vuotezza, sembrava assorbita dalle pareti, trasmettendo una tetra sensazione di sepoltura.
Gianni urlò ancora. Picchiò sui muri, facendosi però solo male, perché erano solidissimi.
Poi si accasciò in un angolo, stremato.


Si riebbe solo quando udì una specie di sibilo. Una concavità, sulla parete che aveva a sinistra, si svuotò, formando una sorta di uscita. Immetteva in quello che sembrava essere un corridoio, le cui pareti erano simili a quelle della prigione in cui era.
Gianni si alzò, varcò la soglia. Ad attenderlo, a lato, c'era un uomo anonimo, vestito con una tunica argentea. L'uomo disse qualcosa, ma in una lingua a Gianni sconosciuta. Gli diede le spalle e s'incamminò nel corridoio. Gianni aveva solo capito che doveva seguirlo.
Fu condotto in un dedalo di corridoi, uno simile all'altro. Non vide porte, eccetto le basse concavità e convessità ovoidali, chiedendosi se tutte fossero porte. E, se lo fossero, perché ce n'erano così tante. Si chiese anche come facesse la sua guida a capire dove svoltare, per andare... ecco, un'altra domanda pressante: dove veniva condotto?
Poi furono in uno slargo del corridoio, che veniva interrotto da una parete. Un vicolo cieco, si sarebbe detto, senonché, una depressione si svuotò di materia, ed entrarono in una stanza circolare.
Al centro, c'era un tavolo metallico, grigio, spartano. Dietro il tavolo, seduti a sgabelli altrettanto metallici, sedevano tre uomini. Anche questi indossavano tuniche simile a quella della guida. Avesse avuto più prontezza di ironia, Gianni avrebbe potuto fare una scontata battuta.
Invece non poté dir nulla, mentre veniva condotto presso il tavolo, dove rimase in piedi.
Uno dei tre uomini disse qualcosa, in quella misteriosa lingua.
«Mi dispiace» si scusò Gianni «non capisco.» Aggiunse, sforzandosi ad alzare la voce: «Non so chi siete, ma certamente avete sbagliato persona. Voglio che mi riportiate a casa, e farò finta che non sia accaduto niente.»
I tre confabularono tra loro. I loro volti impassibili, parevano di cera tanto non vi appariva nessuna ombra di espressione.
Poi, inaspettatamente, l'uomo che l'aveva accompagnato tirò fuori quattro oggetti, sembravano lenti d'ingrandimento. Tre le diede ai tre seduti, una a Gianni. Uno dei tre seduti si portò l'oggetto davanti alla bocca, e finalmente Gianni sentì parole riconoscibili: «Pensavamo che bastassero pochi stimoli sonori per risvegliare la tua consapevolezza, ma i nostri agenti hanno fallito, là su Terra. Neanche gli stimoli visivi a quanto pare funzionano. Parla nel traduttore universale.» La voce era stata meccanica e monotona, ricordava quella sintetica degli assistenti vocali dei PC.
Gianni si portò l'oggetto alla bocca. Parlò, e dalla sua parte sembrava che la sua voce venisse assorbita dalla lente, silenziandola, per poi uscire dall'altra parte diversa e amplificata a un volume normale, e con parole nuove. La traduzione era pressoché istantanea: lui aveva iniziato e finito, e quasi contemporaneamente aveva fatto il traduttore.
«Quello che dici non è certamente vero» rispose lo stesso uomo. «Tu sei la persona che cerchiamo. È bene che tu accetti questa verità, e ti sforzi per risvegliare la tua consapevolezza. Altrimenti dovremo sottoporti a una procedura psichica, e non sarà piacevole.»
«Io sono Gianni Verduzzo!» urlò lui, anche se l'apparecchio soffocò la voce grossa e la filtrò, tradotta, dall'altra parte, in un tono blando e per nulla grave.
«Tu sei Hfuhruhurr, il diretto erede al trono del regno di Hufhehuea. Tuo padre ha mandato ricercatori in ogni angolo della galassia per riaverti. Sei sparito venti cicli fa, quando ti invaghisti di una cameriera del palazzo reale. Era un legame scandaloso e vietato; la tua puella avrebbe subito lo smembramento spettacolare, tu una riconversione attitudinale. Tuttavia rubasti una nave e rapisti la puella, facendo perdere le tue tracce. Su quale dei tremila mondi del regno ti eri andato a imboscare? Ognuno è stato rivoltato da cima a fondo dai nostri agenti.»
«Voi siete pazzi» riuscì a dire Gianni, un'affermazione scontata quanto stupida.
«Poi la svolta» proseguì l'altro. «Quando la puella si consegnò. È avvenuto sette cicli fa. Ritornò nel regno con la nave rubata. Di te non volle mai dire nulla, neanche sotto le torture sublimanti. Fu necessario il passare di due cicli prima che si piegasse agli interroganti, dopo qualche loro trucco mentale, qualche menzogna lusingante, qualche promessa di concessioni. Ci rivelò il mondo, quel sasso privo di valore che i suoi abitanti consapevoli chiamano Terra. Non avremmo mai cercato fuori dal regno, e tanto meno su un mondo simile, conoscendo la tua regalità. È occorso tanto tempo per sondare gli abitanti, ma infine ci siamo riusciti. Ti abbiamo osservato, prima di prelevarti. In tutti questi cicli sei cambiato, il clima della Terra e le usanze dei suoi abitanti hanno modificato la tua struttura fisionomica e mentale. Eravamo però sicuri che fossi tu. Ma avevamo una direttiva: lasciare che fossi tu a rivelarti. A quanto pare, la tua vera personalità è sepolta sotto una personalità fittizia, se stimoli sonori e visivi non richiamano nessun ricordo. A meno che tu non finga...»
Un compagno dell'uomo finalmente intervenne, anche se dal traduttore uscì la stessa voce piatta e artificiale: «A questo punto solo una sonda mentale ci dirà la verità.»
L'uomo che aveva accompagnato Gianni si avvicinò, e lo afferrò per un braccio, tirandolo via verso l'uscita. Gianni si divincolò, intuendo che stava per essere condotto dove di certo non avrebbe ottenuto un servizio piacevole, ma la presa era incredibilmente salda e la forza del tipo immensa. Poi accadde qualcosa, in Gianni: l'uomo pacifico, silenzioso e apparentemente fragile, lasciò spazio a qualcuno di diverso. Scoprì di avere una gran forza: con uno strattone si divincolò dalla stretta, e prima che l'altro ritornasse a brandirlo gli calò un pugno su uno zigomo, un pugno un po' goffo, ma abbastanza energetico da tramortire. Difatti l'uomo crollò a terra, svenuto. Dalle narici uscì un rigagnolo verde.
I tre seduti si alzarono calmi.
Gianni non aspettò una loro reazione, semmai ne fossero capaci, ma si lanciò verso la depressione nella parete da cui erano entrati. La materia era al suo posto, e non ebbe il tempo di pensare a cosa avrebbe potuto fare una volta lì. Eppure, la conca ovoidale si smaterializzò al suo avvicinarsi.
Fu nel corridoio, anzi, nel dedalo di bivi, deviazioni, ramificazioni, che era il complesso stradario di quel posto. Senza alcuna segnalazione, ed essendo ogni corridoio simile a tutti gli altri, avrebbe dovuto procedere a casaccio. Cominciò a correre, svoltando di qua o di là senza logica, ma con la speranza di imboccare la via giusta e trovare un uscita.
Ma uscita da cosa? E, soprattutto, per cosa? Mentre il fiatone lo soffocava, il sudore lo dilavava, fermandosi a tratti solo per permettere alle orecchie di captare eventuali suoni, trovando però solo silenzio, cominciò a razionalizzare su quella assurda situazione. Voi siete pazzi, pensò una volta alla frase che aveva detto. Ma forse il pazzo era lui, e si stava immaginando tutto. O forse stava sognando... Oppure era morto, e quello era un bislacco inferno, o un girone destinato a quelle persone che in vita peccano solo di... mediocrità! Tale infatti era la sua natura umana... Umana? E se invece fosse stato tutto vero? Lui, un principe galattico? E chi era quella schiavetta di cui si sarebbe invaghito? Ma certo, non poteva essere che Maria. Ma Maria veniva dal mezzogiorno, lo sapeva da sempre, glielo aveva detto lei fin da quel giorno che... si erano conosciuti a... la famiglia di lei era... lui aveva trascorso l'infanzia in...
Si fermò. Possibile che di Maria non avesse ricordi antecedenti all'arrivo in città? Ma se parlavano tutte le sere, tutti i sabati, tutte le domeniche, ogni momento in cui condividevano uno spazio unico! Se facevano sempre mezzanotte chiacchierando di tutto un po' nel letto, dopo aver fatto magari l'amore? Avevano trascorso vacanze insieme. Lei sapeva cucinare, certo! I piatti che faceva se li ricordava! Quello, quindi, era accaduto, sicuro al cento per cento!
Ma no, cosa andava a pensare? Tutto era stato vero, anche se ora, senza dubbio per il panico, senza dubbio per la pressione psicologica sotto cui era, non riusciva ad afferrare un brandello della sua infanzia, di dove avesse per esempio studiato, e cosa avesse studiato, e una miriade di particolari gli sfuggiva della vita svolta in quella città, ma è normale che la memoria umana non possa contenere tutto... né riusciva ad afferrare un brandello di quei ricordi che sarebbero dovuti essere importanti... Come l'amore con Maria... Ricordo i suoi piatti, ma non il suo sesso, non le sue mammelle, pensò.
Scosse la testa con violenza, disperatamente intenzionato a non far vincere quei dubbi.
Riprese a correre, ma dopo un po' i tormenti ritornarono. Ormai aveva corso per decine di minuti... Possibile che i suoi catturanti non avessero sguinzagliato delle guardie? Era paradossale che desiderasse di avere un nemico reale alle calcagna. I corridoi di metallo cromato satinato sembravano un connettoma stampato su un piano, bidimensionale. Forse la sonda mentale era quella, mettere un uomo in una simulazione cerebrale piatta, perdendosi nella quale ritrova l'ordine nella propria mente. Oppure crea false memorie per giustificare quella tortura, per darle un senso sia pure a proprio svantaggio.
Ora Gianni non correva più, andava avanti lento, per inerzia, il capo chino.
Si fermò presso una convessità. Desiderò che si aprisse, e la materia si ritirò nel bordo, come uno sfintere. Oltre l'apertura, la prima cosa che vide fu una luminosità rossiccia, rutilante. C'era un terreno ondulato e sterile che si perdeva in un orizzonte lontano, sotto un cielo rosso. Gianni oltrepassò il varco, trovandosi direttamente sul terreno. I pasi furono attutiti da una consistenza sabbiosa, arida. Sollevò gli occhi: nel cielo due nane rosse, molto piccole, diluviavano la loro luce dantesca. Per un attimo gli parve di ricordare il nome delle due stelle, e quello del sistema binario in cui era stato portato, ma la natura umana, caparbia e ormai radicata in lui, scacciò quell'affioramento. Poi sentì sulla pelle un alito di vento. Portava un odore secco, polveroso.
Rientrò nella struttura, il varco si richiuse alle sue spalle. Subì una lotta interna, mentre riprendeva ad andare. Due nature in guerra gli sconquassavano la mente.
Poi scoprì di essersi fermato di nuovo. Presso una concavità. Scoprì anche che stava tremando, ma non gli riusciva di capire perché. La porta non si apriva. Perché lui non desiderava che si aprisse. Solo di ciò era consapevole. Ma un'altra entità, un altro «Gianni», nella lotta senza esclusione di colpi ebbe una breve vittoria, un attimo di avanzata nella conquista del territorio, e il varco si creò. Oltre c'era una stanza, non troppo grande, e apparentemente vuota di mobilia.
Quando vi entrò, notò su una parete una sorta di nicchia, con un oggetto rotondeggiante adagiato sul ripiano. I suoi occhi persero il fuoco. Senza volontà cosciente, un passo dopo l'altro si avvicinò alla nicchia. E poi capì.
La testa di Maria, bella come la ricordava, coi capelli corti alla maschietta, gli occhi neri e la pelle bianca, era lì, adagiata su un lato, su un orecchio cioè, pulita, sembrava viva.
Sembrava? Maria, quella sua porzione, almeno, lo fissava... era viva. Gli sorrise.
Gianni ebbe un mancamento, le ginocchia non lo tennero più, si accasciò, incapace però di scollare gli occhi da quella visione orribile.
Maria aprì la bocca, emise un vago suono. «Scusa», disse. «Non. Ce. L'ho. Fatta.» continuò, ogni parola separata dalle altre, perché non avendo polmoni doveva alimentare le corde vocali con colpi di lingua. «Ricordavo. Tutto. Tu. Avevi. Dimenticato. Sembravi. Umano. Avevi. Assunto. le. Loro usanze. Persino. Modificato. Inconsapevolmente. Il. Tuo. Corpo. Ma. Io. No. Non. Volevo. Stare. Con. Te. Non. Potevo. Ho. Pensato. Sperato. Che. Mi. Graziassero. E. Sono. Torna. Ma. Non. Volevo. Tradirti. Mio. Principe. Invece. Mi. Hanno. Imbrogliata. Ti. Ho. Tradito. Parzialmente. E. Mi. Hanno. Lo. Stesso. Smembrata. Ora. Devo. Ricrescere. E. Soffrire. Per. L'assenza. Del. Mio. Corpo. Vegetale.»
Gianni svenne del tutto. Poco dopo si riebbe, quando una voce familiare, bassa e spezzata, penetrò nella sua coscienza umana, come una beffa, come uno scherzo, o una condanna. Disse solo: «Oh. Gianni. Svegliati.»
 
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