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Skannatoio Speciale Novembre - Dicembre 2020, "When you came to wake me and to wish me merry Christmas in Lovecraft"

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Gargaros
view post Posted on 27/11/2020, 09:21 by: Gargaros
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"Ecate, figlia mia..."

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Un po' da qui, un po' da lalà

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Non mi sono agganciato a nessuna specifica bonus, quindi non cercate il "tacco dodici nella palude" o lo sciou don tel.




IL PRETE



«Ma cosa sta facendo?» chiese Arianna con un fil di voce.
«Che dio mi strafulmini se lo so» rispose Giorgio, seduto accanto alla prima su una panchina del parco.
«Se Dio c'è, se deve strafulminare qualcuno deve essere proprio lui» disse la ragazzina, indicando il prete col mento perché di tirare fuori una mano dalla tasca del piumino non era saggio, in quella notte così atrocemente gelida.
Il prete era infatti uscito da alcuni secondi fuori dalla chiesa che si affacciava sull'ampio parco deserto, e ora pareva dedicarsi a un rito che capiva solo lui.
Arianna e Giacomo stessi erano usciti da quella chiesa, però varie ore prima, coi familiari e con gli altri fedeli, dopo aver assistito alla messa, prima di darsi alla mangiatoia della vigilia di Natale.
La chiesa era risultata però quasi vuota, perché da quando la diocesi aveva mandato quel nuovo prete, come sostituto del dipartito don Gennaro, il numero dei fedeli era andato calando di domenica in domenica. E nella cittadina, soprattutto presso la cerchia dei parrocchiani, si erano via via diffuse strane dicerie, per lo più deformazioni di fonti originarie basate a loro volta sui «sentito dire»; come in quel gioco del passaparola, dove una parola deve essere detta in una fila di partecipanti, partendo da un primo che la spiffera all'orecchio del vicino, e di vicino in vicino giunge all'ultimo della fila, il quale deve dirla ad alta voce, scoprendo per lo più che è diversa rispetto a quella originaria, così forse le dicerie erano state modificate da bocca a bocca, fino ad assumere proporzioni enfatizzate, e alcune mostruose.
Tuttavia don Pasckics – questo l'assurdo nome del prete, di origine forse greca, o di qualche altra nazionalità oscura – non faceva granché per contrastare quelle voci impazzite: fin dal primo passo piazzato nella cittadina aveva mantenuto un atteggiamento riservato e addirittura scostante verso i fedeli e gli abitanti locali; nei discorsi generalmente procedeva a monosillabi, faceva parlare gli altri, se c'era da discutere molto, e interveniva, solo quando necessario, con «Sì», «No», «Forse», e alle domande dirette sulla sua persona allungava con fredde «Preferisco non rispondere», «Non sono affari della comunità», «Sono fatti personali».
Ad accrescere l'antipatia che generava col comportamento era senza dubbio l'aspetto fisico, in equilibrio tra la normalità e una deformità imbarazzante. Di corporatura imponente, aveva però spalle incassate e cascanti, e una schiena rigonfia verso l'alto, non proprio una gobba, ma nemmeno espressione di salute. Per il resto, l'età era indefinibile, e poteva avere quarant'anni come settanta. Il volto aveva lineamenti marcati, duri, ma a caratterizzarlo erano un naso estremamente piatto e largo, un'arcata sopraccigliare molto pronunciata – che gettava quindi un ombra fonda sugli occhi, incassati in quell'oscurità al punto che era difficile scorgerli persino di giorno; quando però li si scorgeva bene, si rimaneva basiti da una accentuata sporgenza dei bulbi, tanto che si generava il sospetto che l'arcata contribuisse al mantenerli incassati nelle orbite.
Questo era dunque don Pasckics. Non meno simpatiche però risultavano le sue orazioni. Si era detto che non parlasse molto in pubblico, ciò che, ovviamente, non era ammesso nelle funzioni. Dopo i preamboli liturgici classici, don Pasckics era costretto a fare delle orazioni, suggerimenti di vita giusta che i fedeli avrebbero potuto seguire, consigli vari e apparentemente saggi, o rassicurazioni sulla salvezza delle anime per i timorati di Dio, e quant'altro; a volte si calava in riflessioni sull'attualità, sulla politica, sulle cronache cittadine, cercando di estrapolare da tutto un senso divino, per ammorbidire nelle coscienze, già sedate in parte dalla fede, la durezza e la brutalità della vita.
Il tono della voce però rimaneva sempre distaccato, persino infastidito, come se mal digerisse il dire cose su cui aveva poca o nulla fiducia. Spesso sembrava recitare un copione che non si adattava al suo personaggio. Si immagini un Hitler che parli di pace nel mondo, agitando teatralmente le braccia e urlando con quella pronuncia tedesca che può esprimere solo macigni e spine; a tal punto don Paskics pareva tradire la sua vera natura pronunciando discorsi a lui alieni.
Erano però forse sensazioni della gente? Magari sensazioni stimolate da un'antipatia e una repulsione eccessive? Ben più di un fedele avrebbe giurato di no. Le prove potevano essere certe specie di sbagli che commetteva, certi lapsus che si insinuavano nelle prediche, a volte singole parole fuori di senso, altre piccole frasi poco chiare, oscure nei significati, ma capaci di far scorrere brividi lungo la schiena dei più sensibili e attenti, perché erano tradimenti sottili della sua posizione nella Chiesa cattolica e della funzione di pastore di anime; piccoli incidenti di percorso su cui il prete poi faceva un leggero sforzo di correggere, per esempio modificando appena appena il tono irritante, e rendendolo un pelo morbido, accorato. Ciò però avveniva nella misura in cui era avvenuto il lapsus, e si trattava quindi di sequenze molto brevi.
C'era anche un altro dettaglio che, forse più degli altri, faceva rabbrividire i sensibili e allibire chiunque altro lo vedesse. Era lo stesso motivo che ora induceva in Arianna un freddo glaciale sulla schiena, pur infagottata nel piumino a prova di temperature siderali.
«Hai freddo?» le chiese Giorgio.
«No... È quel suo modo di camminare!»
I due parlavano a mezza voce, perché non volevano tradirsi al prete, che difatti non si era accorto di essere spiato. Si erano seduti ai limiti del parco, sotto l'ombra di un fila di pini che bloccava la luce diretta dei lampioni più prossimi. Avevano scelto quel cantuccio per tenersi lontani da eventuali passeggianti in quella notte di Natale appena cominciato essendo l'una e mezza, per sbaciucchiarsi e forse toccarsi un po', se la passione avesse sconfitto il freddo. Ma adesso, guardando il prete, le fantasie amorose degli adolescenti erano sparite.
Ciò che don Paskics stava ora facendo contribuiva ad accrescere il senso di stranezza che gli riguardava: agitava le braccia nell'aria, formando forme curve, geometriche; la bocca si muoveva in quelle che parevano invocazioni; la faccia puntata in alto, come a guardare una stella che, pure, la pesante cappa di nubi copriva.
«Chissà come è storpio sotto quella tonaca» disse Giorgio.
«Ma no, uno storpio zoppica... Lui» e il brivido sulla schiena di Arianna si maggiorò «sembra... scivolare.»
«Ora che ci penso» ammise Giorgio «tu l'hai mai visto senza tonaca? Coi pantaloni?»
«No!» La scoperta per Arianna era stata così grande che quasi esclamò la negazione. Si fece allora piccola, temendo di essere stata scoperta.
Ma don Paskics, seppure adesso taceva e aveva smesso di agitare le braccia, continuò a fissare il cielo.
«No» ripeté Arianna, con voce sottile, questa volta. «Hai ragione, non si è mai visto coi pantaloni, o sollevarsi la tonaca. Anzi, non ti sembra strano che ne porti una più lunga del normale?»
«Porca merda se è vero! Il tessuto si affloscia là a terra. Come cazzo fa a non inciampare quando cammina? E poi è sempre bello gonfio, come la gonna di quei tizi che girano come scemi...»
«Ma... cammina? A me pare che scivola... tipo lumaca!»
«Se è messo così male» disse Giorgio «lo credo bene che ha quel caratterino di merda...»
Il prete rimase per un po' a fissare il cielo, la faccia inespressiva. Poi si voltò e rientrò nella chiesa, lasciando l'anta aperta.
Arianna si alzò.
«Vuoi andare via?» chiese Giorgio.
«No. Voglio dare un'occhiata.»
«Sei pazza! E se ci scopre?»
«Diciamo che stavamo passando, abbiamo visto la chiesa aperta e abbiamo pensato di augurargli buon Natale.»
Giorgio la seguì. Cosa diavolo mi prende? si chiedeva in verità lei. Poco prima era rabbrividita per l'orrore che le suscitava quell'uomo, e ora, seppur ancora piena di timore, stava dirigendosi nell'antro della bestia. Giorgio però la rassicurava: anche lui era un pezzo di marcantonio, ed era, al contrario di don Paskics, molto giovane e in salute, non avendo ancora diciotto anni. Inoltre, potevano sempre fuggire, se il prete avesse cercato di catturarli, e quello non sembrava capace di correre granché... Catturarci? pensò di nuovo lei. Ma cosa cazzo mi vado a immaginare? È solo un povero storpio arrabbiato con la vita, non un serial killer!
Arrivarono alla porta. Dentro non si udiva nulla. Una fioca luce si diffondeva nell'anticamera, segno che dovevano essere accesi solo i led che illuminavano i santi nelle navate laterali. Appurarono la cosa appena entrarono a metà, per poter sbirciare. La navata centrale invece era in penombra, una penombra fonda che lasciava solo appena intravvedere i banchi affilati e in ordine. In penombra era anche l'abside. Sembrava che di don Paskics non ci fosse traccia.
«Lo vedi?» alitò lei.
«No. Forse si è andato a infrattare nella sagrestia a spogliarsi. O persino in canonica per dormire.»
«E lascia la porta aperta?»
«Magari si è rincoglionito del tutto.»
Arianna afferrò la mano di Giorgio e se lo tirò dentro.
Non ebbero fatto che cinque passi, quando la voce di don Paskics «Voi due» si accese alle loro spalle, facendoli trasalire. Il prete, evidentemente, li aveva attesi nascosto dietro l'anta semiaperta, uscendo poi solo quando e se fossero entrati in trappola. Arianna fu consapevole di questo agguato, e ne ebbe la mente paralizzata.
«D-don Paskics» fece Giorgio. «Salve. Passavamo di qua, e...»
Don Paskics venne avanti. Nell'ombra cupa la sua tonaca eccessivamente lunga e rigonfia sembrò avere un ondeggiamento scomposto. Si era lasciato la porta alle spalle, eppure questa si chiuse con lentezza. La serratura che si collegava sembrò risuonare eccessivamente nelle navate.
«Passavate di qua?» chiese don Paskics con quella sgradevole voce.
«Sì» proseguì Giorgio, che stava cercando di mostrarsi fermo. «Abbiamo visto la chiesa aperta, e... e ci siamo chiesti se non stavate male... così siamo entrati. Per farle gli auguri di Natale, cioè!»
«Oh» fece il prete, che continuava ad avanzare. Arianna non si era accorta che sia lei che Giorgio stavano, nel contempo, arretrando. È solo uno storpio arrabbiato con la vita affiorò alla sua mente. Si aggrappò a quel pensiero con tutte le sue forze. È solo uno storpio, è solo uno storpio, è solo un povero storpio...
«Io penso» disse quindi il prete «che siate venuti a spiare».
«Ma cosa dice?» La voce di Giorgio si stava incrinando. «E a spiare che?»
«Non stavate già spiando dal parco, prima?»
Giorgio approfittò dell'accusa per manifestare la rabbia dell'offeso, ma era un attacco dettato dalla paura, perché la voce gli tremava mentre diceva: «Non stavamo spiando proprio nessuno! Ce ne stavamo per i fatti nostri, poi lei è uscito e... e...»
A memoria di abitante della città nessuno aveva mai visto don Paskics ridere o anche solo sorridere. La coppietta avrebbe potuto vantarsi di avere un'esclusiva, perché loro soli videro l'evento della bocca larga del prete che si allargò appunto in un sorriso sbilenco.
«E non avete capito nulla» disse don Paskics. «Stavo eseguendo un rito di richiamo, antico più di questo stupido Natale che festeggiate voi stupidi fedeli di una stupida religione. Un rito di richiamo, sì, perché questa è la notte! E le stelle si sono allineate, dopo migliaia di anni, in questa notte che voi chiamate Natale, ma la cui sacralità è ben più antica di quel vostro Salvatore immaginario. Le energie conglomerate dall'allineamento astrale propiziano la via, attraverso cui giungerà... lei
Il prete continuava ad avanzare, molto lentamente, e la coppietta a retrocedere. Erano arrivati quasi nei pressi dell'abside. La voce sgradevole del prete era rintronata sulle pareti, aveva saturando di bestemmia quel sacro luogo, schiaffeggiando i santi e i simboli religiosi, le panche, l'aria tutta della casa di Dio.
«Ma mi avete interrotto. E ho sbagliato a praticarlo fuori, ché non è necessario... ma la nostalgia di casa mi ha indotto a uscire, e guardare... Capitemi, sono migliaia di anni che calpesto questo mondo, prigioniero» proseguì il prete. «Tuttavia non è stato un male, fare sia l'una che l'altra, e non è stato un male che mi abbiate interrotto... Se avessi finito, avreste visto la sua forma reale, appena giunta, e potevate mettermi nei guai. Fortuna quindi che questa puttanella abbia quasi gridato.»
«Pu-puttanella?» disse Giorgio. «Ora sta esagerando! Ari, andiamo via!»
Ed effettivamente Giorgio agguantò Arianna per un braccio, portandosela in direzione del prete, con l'intenzione di scostarlo e oltrepassarlo. Magari dandogli uno spintone... Dare della puttanella ad Arianna!
Ed effettivamente aggirarono il prete, ma qualcosa allacciò i loro piedi, e caddero di muso a terra. Al livello del pavimento era troppo buio per capire cosa fosse successo. Arianna emise un urlo, Giorgio si divincolò ruotando di schiena, si sollevò seduto e cercò di districare le gambe. Afferrò quella che all'inizio gli sembrò una corda di gommapiuma; un'impressione che si sfilacciò dopo i vani tentativi che fece per spezzarla. Invece la corda si strinse vieppiù, formando nuove spire su per le gambe.
Il prete torreggiava a un paio di metri. «La vostra presenza, anzi, cade come quel vostro detto del formaggio sui maccheroni... Questi corpi umani si sformano troppo alla svelta alla nostra reale natura... e io è da anni che sento l'esigenza di cambiarlo. Prenderò un corpo giovane. E lei troverà pronta una nicchia carnale già pronta... Mi avete risparmiato una ricerca che avrei dovuto fare nei prossimi giorni... Finalmente saremo di nuovo uniti, anche se costretti a celarci in corpi umani!»
«Ma cosa cazzo!» Giorgio aumentò la sua forza, ormai disperato, per liberarsi. Ma quella cosa che si avvinghiava a lui pareva tenace come l'acciaio. Cominciò a usare le unghie, nel tentativo si strapparne brani superficiali, ma, sebbene sentisse la materia molliccia cedere, non gli riuscì di produrre alcuno squarcio, anche leggero.
Anche Arianna, riavutasi dalla paralisi della sorpresa, iniziò a divincolarsi, piagnucolando e lamentandosi. Invano disse: «Giorgio, aiutami!», perché nel buio, assoluto al livello del pavimento, non si era accorta che anche il fidanzato lottava per liberarsi.
Il prete si era avvicinato. Incredibile quanto sembrasse più alto e massiccio, visto dal pavimento. Arianna gli lanciava un'occhiata ogni tanto; forse le lacrime distorcevano la scena, perché ebbe l'impressione che l'altezza stesse aumentando, mentre era lì fermo, presso di loro, e li guardava con quegli occhi celati dall'oscurità.
Le spire erano arrivate alla vita, a entrambi i ragazzi. Nuove spire li agguantarono nella parte superiore. «Ari!» urlò Giorgio.
«Mmphffmm» disse Arianna: solo ciò le permetteva una spira che ormai le occludeva la bocca.
Don Paskics aveva ripreso nel frattempo il rito di richiamo. Le braccia divincolate nell'aria, a formare un disegno astruso e occulto, a cui partecipavano le dita, aperte e chiuse in un codice segreto che nessun essere umano avrebbe mai potuto decifrare. E la voce a effondere echeggianti cacofonie nella chiesa, parole aliene e amorfe, ma che essudavano di impressioni cosmiche e indicibili.
Anche Giorgio si trovò completamente arrestato da un groviglio di spire su tutto il corpo, la bocca altrettanto tappata.
Solo gli occhi erano liberi, sia quelli di Giorgio che quelli di Arianna. Avesse voluto il cielo che non fosse stato così! Perché per i pochi minuti ancora di coscienza che avrebbero avuto sarebbero precipitati nell'abisso di un orrore tanto potente da sfaldare ogni ragione umana. Perché poterono guardare cosa li teneva prigionieri sul pavimento insondabile, e da dove si generava quella prigione. Ci fu un lampo, di un secondo appena, quando la presenza che il prete stava richiamando giunse da distanze cosmiche, da una regione dello spazio forse abitata da quella razza; ci fu un lampo che illuminò a giorno le navate, una luce così diffusa da non generare ombre. Non videro la creatura aliena, ma ebbero la sensazione che una quantità d'aria si spostasse per l'arrivo di una massa elefantiaca. Ma la cosa che tenne incollati i loro sguardi, in quell'eterno secondo di luce innominabile, fu don Paskics, e per la precisione la sua tonaca. Non era stata un'impressione, generata dal punto di vista a livello del pavimento, a farlo apparire più alto. L'orlo della tonaca non toccava più il pavimento, ma stazionava a una quarantina di centimetri a mezz'aria. Don Paskics era davvero più alto. Ma non stava volando; semplicemente, si era raddrizzato sulle gambe. O meglio, sui tentacoli, di numero imprecisato e di spessori variabili, alcuni dei quali si arano avvoltolati sui due giovani sventurati.
 
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