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Skannatoio Marzo - Aprile 2021, Mors tua vita mea

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Francis Luke
view post Posted on 25/3/2021, 15:50 by: Francis Luke
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Montecristo



Avvolgo un'altra benda attorno alla ferita. Inserisco la forcina per farla aderire a quelle sottostanti.
Con questa le ho finite, dovrò passare in infermeria e convincere il dottor Munik a darmene altre.
Franciszek alza il braccio. “ È perfetta! Grazie infinite, reverendo”
Gli faccio il segno della croce sulla fronte. “Sia lodato Gesù Cristo.”
“Sempre sia lodato!”
Il volto è scarno, le orbite scure e scavate. Non va bene. È dimagrito troppo negli ultimi giorni. “Più tardi vieni alla baracca sedici, il mio letto è quello in fondo a sinistra. Tengo un pezzo di pane sotto il cuscino, dovrebbe essere ancora buono.”
Mi sorride, mi stringe una mano con entrambe le sue e ritorna di gran fretta sui suoi passi.
I prigionieri vanno e vengono dal vialone centrale. Volti rabbuiati, sguardi a terra, acuni ingobbiti all'inverosimile. Sembrano fantasmi dai pigiami a righe. Anzi, sembriamo.
Mi gratto la fronte. Dove sei finito, mio Dio?
L'orologio in cima alla torre della caserma segna le 10.47. Se non mi sbrigo si accorgeranno della mia prolungata assenza alla cava. La scusa di tornare al campo per confessare i prigionieri non durerà ancora per molto. Se il generale Dann si accorgesse di qualcosa... non ci voglio pensare.
Questi ebrei! Ci ammazzano ogni giorno, ma quando si tratta di fatti religiosi non aprono bocca e lasciano fare.
Ringrazio il Signore ogni giorno per avermi fatto prete nel posto giusto, al momento giusto.
Ora più che mai devo sfruttare i miei privilegi al servizio degli altri.
Un gruppo di ragazze con una cuffia sulla testa si ferma sulla strada. La più alta appoggia in terra il sacco che porta alla schiena e si avvicina al filo spinato. “Reverendo Rajmund, che Dio la benedica.”
Do una sbirciata a destra e sinistra. Non ci sono guardie in giro.
Accenno un inchino. “Buongiorno Elsa. Come sta la signorina Schimdt?”
Elsa abbassa lo sguardo. “Non ha superato il travaglio e... e con lei il bambino”
“Dio mio! E Jonas?”
Una lacrima scorre sulla sua guancia paffuta. “L'hanno portato via!” Fa un altro passo in avanti, stringe il filo con le mani e sporge con il naso sotto uno dei nodi di ferro appuntito. “Deve fare qualcosa, Rejmund. Lo sa dove portano i bambini orfani come lui, vero?”
Carne da laboratorio.
“Parlerò con il tenente Brauer. Vedo se riesco a farlo riassegnare come portaordini.”
Elsa spinge una mano oltre il filo verso il mio braccio.“La ringrazio Rejmund, grazie infinite!”
“Tu!”
Ritrae il braccio con uno scatto.
Una guardia la sta indicando. Oh no! È spuntata da una delle strade laterali, un paio di baracche più avanti.
La guardia corre nella nostra direzione.
Tiro fuori il rosario e me lo arrotolo attorno ad una mano.
Elsa unisce i palmi all'arrivo della guardia. “Signore, la prego, stavo solo –” Lui le tira il calcio del fucile dritto sul muso. Elsa si ribalta a terra, pancia all'aria. Un fiotto di sangue si diffonde rapido dalle narici verso la bocca e giù fino al collo.
La guardia la tiene ferma con un piede sul ventre. “Che diavolo pensavi di fare? Sporca tedesca!” La stella di David è ricamata sulla stoffa della giacca al braccio destro, al petto brillano diverse piastrine militari.
Faccio un passo avanti. “Colonnello, la signora si stava confessando.”
L'uomo mi squadra da capo a piedi. “Ah, tu devi essere quel prete! Fai bene a confessarla, chissà quanti orrendi peccati macchiano la coscienza di questa puttana”. Spinge sullo stivale ed Elsa manda un grido di dolore.
Bastardo! “Espierà la sua pena quand– ”
Il colonnello capovolge il fucile e lo punta al volto della donna. “Ohh eccome se la espierà, me ne voglio assicurare proprio ora.”
Deglutisco. “Aspetti! La ragazza è arrivata solo da poche settimane, se la uccidesse ora non avrà fatto i conti con le sue colpe.”
Il colonnelllo abbassa il fucile. “É vero, sarei troppo buono ad ammazzarti subito. Sappi che mi ricorderò di te, puttanella, e se ti sono sembrati duri questi giorni, non hai la benchè minima idea di cosa ti attende.” Dà un ultimo spintone sulla pancia di Elsa e si rimette il fucile a tracolla. “Arrivederci, prete.” Sputa sulle donne in attesa sul ciglio della strada e si allontana, fischiettando.
Karin, la più giovane del gruppo, si fionda ad aiutare Elsa ad alzarsi. Il sangue è giunto a macchiare persino la svastica cucita sull'uniforme.
Elsa manda un singhiozzo. “Cosa abbiamo fatto per meritarci questo?”
Tiro un sospiro di sollievo. È andata bene anche questa volta. Ti ringrazio, mio Signore.



* * *


La luce lunare filtra dalle inferriate delle finestre. Il freddo inizia a solleticarmi le ossa e l''olezzo di sudore impregna l'aria all'interno della baracca.
Mi tolgo le scarpe. Un filo di fumo si solleva dai piedi.
Le appoggio sul pavimento all'angolo del letto; a fianco vi sono quelle di Djerun, bucate da tutte le parti.
Djerun se ne sta con la schiena appoggiata al pilastro in legno del letto a castello. Lo sguardo è perso nel vuoto.
Pover'uomo. “Ehi, Djerun.”
Mi guarda. “Buonasera, reverendo.”
“Domani proverò a recuperarti un paio di scarpe tutte nuove. Ho buoni rapporti con il signor Braun, al settore calzaturiero. ” Gli faccio l'occhiolino. “Che ne pensi?”
Djerun si stringe le gambe al petto e butta la testa nell'incavo tra le due. “Come ci riesci?”
“A fare cosa?”
“Come fai a non aver ancora perso la speranza?”
Un nodo mi si stringe alla gola. “Dobbiamo... dobbiamo avere fede, Djerun. Fede, ma soprattutto amore, perchè solo l'amore crea in questo mondo.”
Djerun alza il volto, le lacrime gli lavano via lo sporco sul viso. “Se non fosse per lei, sarei già morto da un pezzo. È la sola prova della presenza di Dio anche in un luogo così sciagurato.”
Mi faccio un segno della croce. “Dio è ovunque, è un fiore che cresce anche nella cenere!”
Djerun mi sorride, porta due dita alla bocca e manda un breve fischio.
Gli altri uomini della baracca si avvicinano al mio letto. Tutti mi guardano con uno strano sollievo dipinto sul volto scheletrico.
Djerun scende dal letto. “Oggi ho visto un uomo prendere il pezzo di pane che tenevi sotto il cuscino”. Alza il materasso e prende un sacchetto di carta stropicciato da sotto. “Lei si meriterebbe il mondo intero, reverendo, ma nel nostro piccolo vogliamo ringraziarla dell'amore che ci offre ogni giorno.” Rovescia sul mio letto il contenuto: una fetta di pane con una piccola macchia di muffa su un angolo.
Il cuore inizia a tamburellarmi nel petto.
Gli altri mi si avvicinano uno alla volta e mi porgono anche i loro tesori. Cibo, sigarette, toppe per vestiti, suole di scarpe...
“Ragazzi, vi prego... non posso accettare.”
Un cigolio metallico interrompe la processione. Gli uomini si lanciano occhiate preoccupate, alcuni si voltano verso l'ingresso della baracca.
Il rumore di una catena che scivola sui cardini.
Gli ebrei!
Con un balzo Djerun raduna il cibo e gli oggetti sul mio letto, li butta nel sacchetto e li nasconde sotto il mio cuscino. Tutti gli altri corrono alle proprie brande.
Un soldato con un cappello di pelo fa capolino dalla porta di metallo. “Ohh! Cosa abbiamo qui? Stavate festeggiando qualcosa?” Il suo sguardo colmo di disprezzo cade su un paio di ragazzi in piedi a pochi passi da lui. Non hanno fatto in tempo a raggiungere il loro posto letto.
Quello più basso dei due si inchina fin quasi a toccare le ginocchia con il muso. “Chiedo perdono, signore.”
Il soldato gli dà uno spintone e lo fa cadere a terra. Si alza una nuvola di polvere. “Fila al tuo posto, cane bastardo!”
Alle spalle del primo compaiono altri due ebrei armati di carabina e lanterne.
Il soldato con il cappello si schiarisce la gola. “Buonasera a tutti. Sono il maggiore Maine e sono felice di annunciarvi una buona notizia. Stasera uno di voi morirà!”
Un brusio di terrore si alza dai prigionieri. Alcuni si nascondono il viso con il cuscino, altri cercano di spingersi verso i recessi più bui del proprio letto, in molti iniziano a pregare a bassa voce...
Ernest si tira due forti ceffoni su una guancia e scoppia in una risatina isterica. È da un po' che non ci sta più con la testa.
Djerun è tornato seduto e dà le spalle ai soldati.
Gli ebrei ci stanno guardando ad uno ad uno. Non hanno intenzione di perdersi alcuna delle nostre patetiche reazioni alla loro notizia.
Vi divertite? Maledetti!
Il maggiore inizia a fare dei larghi passi in tondo. “La scorsa settimana il fortunato è stato scelto tra i più biondi e con gli occhi più azzurri tra tutti voi. Un bell'esemplare ariano da ciascuna delle venti baracche. Dovevate sentire come frignavano e chiamavano la mamma prima di essere sgozzati.”
Povero Albert. Era arrivato da poco, in piene forze e nel fiore della sua gioventù. Avrebbe potuto sopravvivere ancora per molto.
Maine interrompe il suo circolare. “Ma oggi optiamo per qualcosa di meno banale”. La sua espressione è sadica. “Sappiamo tutti che ognuno di voi tiene qualche schifezza sotto il cuscino o il materasso. I vostri tesori più preziosi” Si toglie il cappello e gli dà un paio di pacche per ripulirlo dalla polvere. “Questa volta saremo giusti nel giudizio. Quei ragazzi non avevano colpe ad avere i capelli biondi e gli occhi azzurri, giusto? Ma se tra voi troveremo qualcuno che possiede più tesori di altri, allora lui non potrà che essere dichiarato colpevole della sua lussuria.”
Al petto mi salta un battito. Apro la bocca, come per ribattere, ma non esce che una piccola nube di vapore condensato.
Un peso inizia a schiacciarmi il torace.
Non può essere...
Djerun mi sta fissando, accigliato. Non è l'unico. Tutti i prigionieri mi stanno mandando occhiate, brevi e silenziose. Me le sento addosso e sono ricolme di vergogna, lo so.
Con il loro dono mi hanno condannato a morte.
Dio mio! È questa la tua volontà? È così che ripaghi le mie buone azioni?
Mi monta una rabbia mai provata prima, ho voglia di...
Il maggiore batte forte le mani. “Veloci! Radunate ai vostri piedi tutte le cose. Se entro dieci secondi non avete finito, vi ammazzerò! Se mi nascondete qualcosa, lo saprò e vi ammazzerò! Siete stati dei cani bastardi in vita, perlomeno cercate di affrontare la morte con dignità.”
Mi sporgo oltre l'anta del letto e bisbiglio: “Gli direte come è andata, non è così?”
Djerun torna a nascondere il viso tra le gambe.



* * *


Il generale Dann dà un'altra lunga boccata dal sigaro. Gli occhi scuri mi fissano da sopra la brace. “Devo confessarle, reverendo, che quando mi hanno avvisato che l'uomo prelevato dalla baracca sedici era lei, stentavo a crederci.”
Ho le mani incrociate sul rosario. Non ricordo neanche da quanto tempo sono seduto in questo stanzino. Mi tremano le gambe.
C'è solo il generale con me, sta seduto dall'altra parte del tavolo.
Spinge la cassetta di metallo nella mia direzione. “Coraggio ne prenda uno anche lei.” Ammicca. “Sono sigari Montecristo.”
“Non... non fumo.”
“Ne è sicuro? Non si preoccupi, non avrà il tempo di prendere il vizio.”
In effetti, che diavolo può cambiare a questo punto? Di certo questi polmoni non mi serviranno a nulla da morto.
Apro la cassetta. Cinque sigari color nocciola sono disposti in serie. Ne prendo uno.
Il generale mi sorride. “Ecco, bravo.” Estrae un fiammifero, lo accende con la brace del suo e me lo porge.
Poggio il fiammifero sulla punta e do alcuni brevi soffi. L'odore di tabacco mi pervade la bocca e sale lungo le narici.
Tossisco. Non male, potrei abituarmici...
Il generale taglia la punta del suo sigaro con un coltello. “Non le nego che lei è una figura importante in questo campo, reverendo. Per gli altri prigionieri è un vero eroe, mentre per noi è solo la persona più rispettabile tra voi porci tedeschi.” Si passa una mano sulla barba. “So che non ha mai rinunciato a offrire il suo aiuto agli altri, nessuno escluso. Pensava che non sapessimo cosa facesse durante le sue confessioni?”
Ecco, sono un uomo finito. “Che intend –”
“Non finga con me! Con questa scusa si è sottratto fin troppo spesso al lavoro forzato. Ha sfruttato la nostra magnanimità, il nostro rispetto per la vostra fede, per ingannarci. Ma ora è qui, dinnanzi alle sue colpe.”
Stringo forte le palline di legno del rosario. “Ho perseguito solo il bene della mia gente.”
“Ohh senz'altro, senz'altro. La stessa che poi l'ha mandata a morire?”
Una lama mi stiletta l'addome. “Come fa a...?” La voce mi trema.
“Sono stato io ad ordinare a Djerun di organizzare quella pagliacciata dei regali con gli altri compagni della baracca. Vedo che hanno aderito tutti all'iniziativa con gioia.”
Non può essere!
Il generale si alza e punta entrambi i pugni sul tavolo. “La questione è semplice, reverendo, volevo punirla dei suoi peccati. Molti dei miei sottoposti l'hanno in simpatia e si sono fatti abbindolare da lei, che ha sfruttato la sua posizione per aiutare gli altri tedeschi. Così, ho deciso di darci un taglio. Ho puntato una pistola alla tempia del suo vicino di letto e l'ho messo di fronte ad una scelta.”
Djerun, non è possibile... Dopo tutto quello che ho fatto per lui! Un'onda di calore mi sale lungo il collo e mi scotta il viso.
Il generale aggira il tavolo e si porta alle mie spalle. “Ma io sono un ebreo buono e lei ha avuto la fortuna di essere assegnato proprio a questo campo. Le assicuro che altrove non avrebbero tollerato tante trasgressioni e l'avrebbero ammazzata già molto tempo fa. La mia filosofia è diversa, io do sempre un'ultima possibilità ai miei prigionieri. L'ho data a Djerun, ora la darò anche a lei.”
Maledetto Djerun! Maledetti tutti quegli ingrati bastardi!
Il generale mi stringe le spalle con le sue manone pelose. “Dovrà fare una scelta, reverendo. Confermerà la sua purezza d'animo e diventerà un martire per il suo popolo?” Il suo fiato arriva ad accarezzarmi il collo. “Oppure sceglierà la vita e condannerà i suoi compagni di baracca alla camera a gas?”
Il rosario scivola dale dita e cade sul pavimento.
Con la mano tremante mi porto il sigaro alla bocca.



* * *


“Entrate, veloci! ” L'urlo proviene dal basso.
Mi chino a osservare il coperchio di metallo arrugginito ai miei piedi. Ha una maniglia al centro.
Il generale è al mio fianco, tiene sotto braccio un barattolo cilindrico, simile alle latte dove mamma metteva la passata di pomodoro.
Fa un cenno ai due soldati alla porta. Ci lasciano soli.
Mi mette una mano sulla spalla. “È il momento, reverendo.” Si dirige all'armadio all'angolo della stanza. Tira fuori da un cassetto due grosse maschere. Una la indossa, l'altra la porge a me.
La prendo tra le mani. Un brivido mi corre lungo la schiena. Sembra il muso di una mosca gigante.
Mi lascio cadere sulle ginocchia. Una fitta di dolore mi attraversa le rotule.
Il generale posa il barattolo sul pavimento. “Ricorda quello che le ho detto. Se non ci sporchiamo le mani in prima persona, non siamo degni di sopravvivere in questo mondo.”
Scuoto la testa con forza. “No, ci deve essere un altro modo...”
“Avrei potuto far eseguire l'ordine alle guardie, ma così sarebbe stato troppo semplice per lei. Anche Djerun ha dovuto fare la sua parte per ingann–“
“Ma a lui non è stato chiesto di ammazzare venti uomini in un colpo solo!”
Il generale mi si accovaccia accanto. “La pena è commisurata alla gravità delle colpe e le sue, reverendo, vanno ben oltre quelle di quel povero disgraziato.”
Con un braccio mi tolgo il sudore dalla fronte.
I suoi occhi chiari brillano oltre il vetro scuro della maschera. “Coraggio, ora finisca il lavoro. Se farà il bravo, le regalerò un altro di quei sigari.”
Agguanto la maschera e la indosso. La vista si restringe a due ovali.
Il generale tira la maniglia del coperchio, un rumore metallico ne accompagna il movimento.
Ora vi è un buco nel pavimento.
Mi sporgo per vederci dentro. È buio. Là sotto regna un silenzio surreale.
Il generale indica il barattolo.
Il cuore mi sale alla gola. Afferro il barattolo e lo abbraccio forte al petto.
Dio mio! Perchè non ho il coraggio di morire?
Una voce emerge dall'oscurità. “Dove siamo?”
Alzo lo sguardo sul generale. È impassibile.
Sono una bestia, nient'altro che una bestia... finalmente mi rivelo per quello che sono: nient'altro che un ipocrita.
Stacco il tappo di latta del barattolo.
Verso il contenuto nel buco e trattengo il respiro.
“Bravo, reverendo. È un esempio per tutti noi.”
Le lacrime mi appannano la vista.
Il generale mi scansa con un braccio e riposiziona il coperchio sopra il buco.
Lascio cadere il barattolo sul pavimento. È vuoto. Mi guardo le mani. “Cosa ho fat–”
Un grido, Se ne aggiunge un altro, un altro ancora! Sono sempre più numerosi e sempre più... disumani!
Mi spingo la maschera sulle orecchie. “Fateli smettere, vi prego, fateli smettere!”



* * *


Qualcuno bussa alla porta.
Chi sarà a quest'ora?
Ripongo forchetta e coltello sul piatto. Ecco, così mi si raffredda la pasta.
Bussano ancora.
Afferro il bastone. “Un attimo, un attimo!”
Raggiungo la porta e la apro.
C'è un vecchietto in giacca di lino e con un cappello a bombetta. Sembra sorpreso di vedermi.
Appoggio una mano allo stipite della porta. “Come posso aiutarla, signore?”
Non risponde.
Ha qualcosa di familiare. “Si sente bene?”
“Volevo assicurarmi che fosse vero.”
“Vero cosa?”
“Che il reverendo fosse ancora vivo.”
Un colpo al cuore. Il reverendo... sono decenni che non mi chiamano così!
Mi scosto dalla porta e gli faccio segno di entrare. “Con chi ho il piacere di parlare?”
Il signore scuote la testa. “Non entrerò.”
“Come vuole, allora perchè è venuto sin qui?”
“Per vedere in faccia il mostro che ha condannato a morte i miei compagni.”
Non può può essere! “Che sta dicen–”
“Nonchè mio vicino di letto.”
Le gambe mi cedono. “Djerun...”
“Sì.”
Le grida di morte di quel giorno tornano ad affollarmi la testa. “Come fai ad essere...”
“Vivo? È semplice, il generale le ha fatto ammazzare tutti gli innocenti, ma non il vero traditore. Che gran figlio di puttana che era! Mi ha trasferito il giorno stesso in un altro campo, così che lei non venisse a sapere la verità.”
Ho la bocca impastata.
Djerun si toglie il cappello, due grossi ciuffi bianchi gli spuntano sopra le orecchie. “Siamo entrambi traditori, reverendo. Io ho condannato il mio benefattore e lei i suoi fedeli assistiti. D'altronde, era questo lo scopo della Lega ebraica: svelarci la nostra natura più selvaggia.”
Tiro un pugno allo stipite della porta. “Qualsiasi essere umano avrebbe agito così!”
Le nocche mi bruciano.
Djerun abbassa lo sguardo. “Ne siamo sicuri?”
Porta dei mocassini di pelle marrone. E pensare che l'ultima volta che l'ho visto gli volevo trovare un nuovo paio di scarpe...
“Quanto ci è costato, reverendo? Quanto ci è costato sopravvivere? Questa è la pena più grande che ci ha inflitto il generale, una vita nel rimorso.”
Mi asciugo una lacrima con il bordo della camicia. “Le colpe dei nostri padri non avrebbero dovuto ricadere su di noi.”
Djerun mi afferra le spalle con entrambe le mani. “Ci siamo quasi, reverendo. Manca solo un anno all'espiazione. I cent'anni della memoria indetti a Norimberga sono finalmente giunti al termine. Il nostro popolo tornerà a sorridere e i giovani non saranno più destinati all'anno della mietitura.”
Rinsaldo la presa sul pomello del bastone. “Sono passati sessant'anni da quell'anno maledetto, eppure mi sembra di non aver mai lasciato il campo. Djerun, in fondo lo sai anche tu, questa vendetta si potrà dire conclusa solo quando anche tutti i sopravvissuti saranno morti.”
Djerun si rimette il cappello. “Forse è così, ma l'importante è che a questa vendetta non ne segua un'altra. Dobbiamo dare il buon esempio, reverendo, rivolgiamo le nostre preghiere a Dio e spezziamo questa dannata catena d'odio.”
Sorrido. “Hai ragione. Deve essere questa la nostra missione, ora.”
Mi porge una mano. La stringo forte.
“Addio, reverendo. Sappia che ai miei occhi rimarrà sempre il giovane prete che dispensava speranza all'inferno.”
“Grazie Djerun, grazie. Addio!”


* * *


“Interrompiamo le trasmissioni per riportare una notizia dell'ultimo momento.”
Richiudo il libro e alzo lo sguardo. Sullo schermo è comparsa una giornalista bionda sotto un ombrelllo, alle sue spalle un affacciandersi di pompieri, paramedici e poliziotti.
La luce delle sirene si riflette sul volto della ragazza. “Eccoci qui, davanti alla sede della Lega di difesa ebraica, dove poco fa è stata lanciato l'allarme alle forze dell'ordine. Dalle prime indiscrezioni sembra che vi sia stato un attentato ai danni delle più alte sfere politiche del movimento. Erano riuniti oggi in consiglio per il resoconto del centesimo e ultimo anno della Memoria, quando dall'impianto di areazione è fuoriuscito uno strano gas. Ad accorgersene alcuni segretari, che hanno visto il gas diffondersi dalle porte della sala. Ecco possiamo vedere...”
La giornalista si scosta e lascia intravedere l'ingresso della struttura, oltre il quale vanno e vengono operatori in maschera e tuta antigas “gli operatori che si stanno adoperando per trarre in salvo eventuali sopravvissuti nella struttura. Purtroppo non giungono buono notizie dalla sala del consiglio, dove pare che il gas abbia ucciso tutti i presenti. Tra le vittime più illustri, il generale Dann, presidente della Lega ormai da trent'anni...”
È fatta.
Spengo la televisione.
Lascio la poltrona e raggiungo la scrivania. La luce chiara del primo pomeriggio permea dalla finestra.
La scatola, in legno lucido, è sopra ad alcune scartoffie. La lancetta del contatore dell'umidità è fissa su settanta percento.
L'apro.
Eccoti qua. Il sigaro è ancora lì ad aspettarmi. Lo ha fatto per sessant'anni.
Lo porto alla bocca. Lo tengo lì per qualche secondo, ne assoporo il gusto. Accendo. Faccio un tiro profondo, espiro e mando una nube densa a coprire la vista della finestra.
Montecristo. Non ci poteva essere sigaro più adatto ad una giornata come questa.
Aveva proprio buon gusto, il generale.
Bacio l'anello all'indice: la svastica luccica.
Con me al comando, il neonato Partito Nazionalsocialista trionferà sul mondo intero.
 
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