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Skannatoio Marzo - Aprile 2021, Mors tua vita mea

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gruenermond
view post Posted on 30/3/2021, 17:26 by: gruenermond

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1478

“Amen” Mi portai la mano destra sulla fronte e composi il segno della croce, poi guardai il quadro della Madonna appeso alla parete. La Vergine mi infondeva coraggio, con quei soliti occhi azzurri e fedeli. “Madre mia, aiutaci tu.”
Qualcuno bussò alla porta, il mio petto si gonfiò con uno scatto per lo spavento. “Prego, entrate.”
La mia adorata Lucia sbucò dall’uscio con titubanza. Aveva sempre paura di dare noia! “Caterina cara, ti disturbo?” Il suo sguardo si spostò sul libro dei carmi che poggiava sopra le mie ginocchia. “Oh! Vedo che sei in preghiera. Scusami tanto, il signore e la signora de' Pazzi desiderano che tu prenda posto a tavola, ti aspettano per il pranzo.”
Per il cielo, quante volte dovevo ripetere ai miei genitori che non volevo partecipare ai loro pasti di carne, vino e alimenti di lusso? Non lo capivano. Dal corridoio proveniva un buon profumo di stufato, e le risate grasse e pastose si alternavano con ringhi voraci. Mi strinsi le tempie tra i polpastrelli. “Buona Lucia, sii così cortese da prepararmi un po’ di pane e un bicchiere d’acqua. Scenderò in sala da pranzo tra un minuto.”
“Certo, mia signora.” Lucia socchiuse la porta ed io rimasi sola. Guardai la stanza dove alloggiavo, il letto a baldacchino, le pareti piene di arazzi, le finestre luminose decorate d’oro. Solo il giaciglio di coperte che avevo preparato per riposarmi la notte mi faceva sentire più a casa. Sospirai e lasciai la camera.
Lungo le scalinate, i dipinti della famiglia Medici e i loro stemmi che decoravano le pareti mi facevano sentire in colpa. Non avremmo dovuto essere noi ad abitare quel palazzo. Tutti quei volti mi fissavano e io mi sentivo un’impostora. Giunsi in sala da pranzo e i miei genitori stavano già banchettando.
“Salve.” Mi sedetti e subito un’ancella mi servì un vassoio pieno di pane. Abbassai il capo, grata.
Sentii lo sguardo di mio padre farsi pesante su di me.
“Figliuola, anche oggi non mangi? Guarda quanto ben di Dio abbiamo in tavola, perché ti accontenti di un pezzo di pane vecchio?”
Davvero dovevo rispiegarglielo un’altra volta? “Padre, ne discutiamo ogni giorno. La vita che conducete voi non mi appartiene. Ho fatto una promessa.” Presi un tozzo di pane farinoso e me lo portai alla bocca. Era raffermo e senza sale.
Mio padre deglutì rumorosamente. “Lo so, lo so. Io e tua madre siamo fieri della strada che vuoi percorrere. Ma il tuo babbo ha faticato tanto per ottenere questa vita, queste pietanze, questo palazzo.”
Faticato? Ma se aveva lasciato fare il lavoro sporco ad altri… Mi morsi la lingua e lo lasciai proseguire.
“Molti dei tuoi parenti sono morti per aiutarmi a diventare signore di Firenze. I tuoi cugini, Francesco e Renato… dovresti portare rispetto per loro.”
Il mio cuore accelerò violentemente tutto d’un colpo. “Cosa? Renato… è morto anche lui?”
Mia madre allungò una mano e la poggiò sopra la mia. “L’hanno trovato ieri, fuori da Firenze. Stamani l’hanno impiccato…”
Sentii la testa girare e mi aggrappai alla tovaglia. “Ma come? Non c’entrava niente con la faccenda dei Medici. Non aveva neppure partecipato alle riunioni.”
“E che vuoi che gli importi, a loro? Cercano vendetta, quelle carogne!” Mio padre addentò una coscia di pollo con forza.
Perché doveva usare quel linguaggio? E poi, i primi a spargere sangue eravamo stati noi. Ero l’unica in quel palazzo a ricordarselo? Per fortuna non mi era concesso esprimere un’opinione contrastante a quella dei miei genitori, o avrei di sicuro finito per pentirmene.
Mio padre succhiò l’osso del suo pollo e lo guardò concentrato. “Mie dilette… sapete, se dovessi incontrare i pochi Medici rimasti gli romperei il collo” Feci un balzo indietro e sbattei la schiena sulla spalliera della sedia. Mio padre strinse l’osso tra le mani. “Li distruggerei, sì. Gli squarterei la gola, li calpesterei e li getterei nell’Arno.” Spezzò l’osso in due metà, con un colpo secco.
Mi stava passando la fame. Rimisi la pagnotta di pane sul il vassoio. Presi un respiro e pensai al mio Signore, che vedeva e sentiva tutto ciò, e mi vergognai.
Mia madre si portò una mano al cuore. “Jacopo, tesoro, non esagerare… abbiamo quello che volevi. Hai fatto assassinare Giuliano e Lorenzo de’ Medici, e ora sei il signore della città. Non inimichiamoci il nostro popolo…”
Grazie agli angeli mia madre la pensava come me.
“Babbo, sono d’accordo con la mamma. Abbiamo già fatto tanto male e provocato tanto dolore. Firenze era affezionata ai Medici e ora dobbiamo farci perdonare, portare la pace e la fede al nostro giglio.”
Mio padre scosse la testa. “Si vede che non ci capite una ceppa di politica… La città è già in subbuglio. Noi non possiamo uscire, perché ad ogni angolo potremmo incontrare un sostenitore di quei cani dei Medici. Ognuno di loro rappresenta un rischio per noi. Firenze la possediamo noi, ma non sarà davvero nostra finché tutta la stirpe non sarà domata e noi potremo circolare liberi per le strade. E poi… guardate attraverso queste finestre regali che ci ritroviamo. La gente parla, si organizza. Prima giurerei di aver visto uno di quei maiali confabulare qualcosa con il Nori e con degli altri popolani. Questa guerra non è finita per nulla.” Tracannò il suo calice di vino, si pulì il mento con la manica e si alzò. Con un cenno diede ordine alla servitù di riportare i vassoi in cucina. Poi abbassò il capo verso mia madre e se ne andò.
Mi alzai anche io ma sentì la mano morbida di mia madre stringermi il polso. Addolcì gli occhi.
“Caterina, figlia mia. So bene cosa ti costa sopportare tutto questo. Conosco la mia bambina, hai un animo nobile e pacifico, non ti piace tutto questo parlar di uccisioni e sangue. Il tuo babbo lo sa, ma è accecato dal potere, tu porta pazienza: appena saremo liberi da questa situazione potrai farti internare nel monastero.”
Sorrisi e mia madre mi mise a posto un ciuffo di capelli. “Tu pensi che avremmo voluto che ti sposassi e crescessi una famiglia, ma non è così. Una vita consacrata a Dio è una vita dignitosa, e non conosco persona che sarebbe più adatta di te.” Le sue labbra delicate mi sfiorarono la fronte.
Come era buona la mia mamma. Anche se avrei voluto sposasse un uomo più gentile di mio padre, solo un’anima premurosa come la sua avrebbe potuto stargli accanto e continuare ad amarlo.
Ruotò le spalle. “Ora vai, bambina, lo so quanto ci tieni ad essere puntuale per la tua preghiera della nona!”
Feci un piccolo inchino, poi mi voltai e mi avvicinai alla finestra. Spostai il tendaggio ricamato d’oro e mi poggiai al davanzale. Il Sole era ancora alto, di certo mancava ancora un po’ di tempo all’ora della mia preghiera. Avrei potuto approfittarne e aiutare le domestiche nelle pulizie della sala da pranzo. Non volevo che faticassero per me, non avevo bisogno di essere trattata come una nobile. Solo il voto alla povertà mi avrebbe avvicinata a Dio.
Un uomo dai vestiti strappati e malconci passava di corsa nel vicolo che dava all’entrata del nostro palazzo. Rivolse uno sguardo indiavolato al portone e sputò per terra. Forse aveva ragione mio padre. Forse davvero ci disprezzavano. Sentii una lacrima calda percorrermi il viso, facendomi pizzicare la guancia. L’asciugai con la mano e richiusi il tendaggio.
***
Stava arrivando il vespro, il cielo era di un blu cobalto acceso, e le sfumature rosa e arancioni del Sole che tramontava tingevano le nuvole. Che meraviglia. Raccolsi il cesto pieno di mele dal muretto pietroso e percorsi il corridoio. Lucia mi stava venendo incontro accompagnando mia madre a braccetto e portava un libro in mano.
“Mia cara, hai raccolto tutte le mele del chiostro?”
“Sì, Lucia. Guardate che splendido tramonto ci offre il nostro Signore questa sera!” Alzarono lo sguardo ad ammirare la volta celeste, ed io feci lo stesso. Una rondine fece una piroetta e cinguettò serena.
“Magnifico! È un peccato poter godere di questa vista solo dall’interno del nostro palazzo.” Mia madre prese il libro dalla stretta di Lucia e me lo porse. “Caterina, vorresti unirti a noi nella lettura di qualche poesia?”
Annuii. Afferrai il libro. La miniatura verde e rossa della copertina adornava il titolo: Laudi. Le pagine erano ruvide e polverose, doveva essere un manuale molto antico. Mi sedetti sul muretto, mia madre e Lucia mi imitarono. Mi poggiai comodamente a una colonna marmorea, un brivido mi scosse il capo. Consultai il testo, cercando una poesia che mi incuriosisse. Il mio sguardo si posò su una ballata che già conoscevo.
“Leggerò questa! L’autore è Iacopone da Todi, un religioso francescano.” Mi schiarii la gola.
“O iubelo del core,
che fai cantar d’amore!

Quanno iubel se scalda,
sì fa l’omo cantare,
e la lengua barbaglia
e non sa che parlare:
dentro non pò celare,
tant’è granne ‘l dolzore.

Quanno iubel è acceso,
sì fa l’omo clamare…”

Delle urla mi distrassero dalla mia lettura. Mia madre si riscosse e alzò la testa fulminea, vigile. Tutte e tre ci voltammo verso l’entrata. D’istinto scattai in piedi, mi avvicinai al corridoio, dentro il portone del palazzo non vidi alcun movimento. Le urla persistevano, sembravano provenire da una folla. Lucia mi raggiunse.
“Vado a controllare, voi aspettatemi qui.”
Non fece in tempo ad entrare che un’ancella e una domestica ci corsero incontro trafelati. Lei era rossa in viso e respirava a fatica, lui le poggiava una mano sulla schiena per aiutarla a procedere, e nell’altra mano teneva un bastone. Si fermarono davanti a noi, gli occhi della signora lampeggiavano di terrore. Sembrava sconvolta. A quella visione, il mio stomaco si contorse e si annodò. Cosa stava succedendo?
“Madama, madama! Ci stanno attaccando! Stanno entrando! Sono qui, tutti!” L’ancella stringeva il braccio di mia madre. Lei si divincolò, ma le rimase il segno della stretta chiara sulla pelle.
“Chi è qui? Chi sono, i Medici?” Mia madre iniziò a rigirarsi il ciondolo della sua collana tra le dita. Oh no. Per quanto volesse rimanere calma, sapevo che quel gesto lo faceva solo quando era molto preoccupata.
“No, mia signora. Tutti sono qui! I Medici, il popolo, tutta Firenze! La strada è piena, e sono armati!”
Le mie gambe si rammollirono e rischiai di perdere l’equilibrio. Lucia mi fermò giusto in tempo e mi cinse la vita. Mia madre si portò una mano alla fronte. “Perché sono tutti qui? Cosa vogliono?”
“Vogliono vendicarsi! Uccidere noi come vostro marito ha fatto uccidere i loro parenti e i loro signori! È la fine, è la fine per tutti!”
Mi mancava l’aria. Annaspai, l’ancella si buttò in ginocchio e si tirò i capelli, alcuni ciuffi gli rimasero in mano; la domestica diventò paonazza e copiose lacrime le attraversarono le guance paffute. Non sentivo più nulla, mi voltai e Lucia era a terra, pallida e immobile, mia madre era china su di lei e le stava scuotendo le spalle. Saremmo morti tutti così? Non potevo permetterlo. Dov’era mio padre? Dovevo andare a cercarlo prima che fosse troppo tardi, dovevamo provare a fuggire. Lucia aprii gli occhi, mia madre l’aiutò ad alzarsi.
“Alzatevi! Dobbiamo nasconderci! Tra poco riusciranno ad abbattere il portone e ci troveranno! E tu, ancella, vai a combattere al fianco di mio marito! Forse moriremo, ma con dignità.”
L’uomo si alzò, fece un inchino. “Come lei desidera, madonna Maddalena.” Si voltò e percorse il corridoio. Un suo singhiozzo rimbombò nell’androne.
Mia madre gli andò dietro, e ci fece cenno di seguirla. Io respiravo ancora a fatica. Sforzavo le narici per catturare più aria, ma la mia gola era ostruita e il petto era pesante. Le due domestiche si alzarono, tesi la mano a Lucia e lei me la strinse, poi attraversammo la galleria ed entrammo nel palazzo. Il mio volto bruciava. Scendemmo le scale, le calzature mi logoravano i piedi. Signore, ti prego, aiutaci. Mio padre era in piedi al centro del salone, accanto a degli inservienti e alle guardie. Indossava la sua corazza d’acciaio, e teneva in mano la spada della nostra famiglia, con i due delfini incisi nel pomolo.
“Babbo!”
Si voltò e sgranò gli occhi.
“Caterina, figliuola!” Mi abbracciò, la sua armatura era fredda e liscia. Le sue labbra si posarono sulla mia fronte e la barba mi graffiò. Si staccò e prese le mani di mia madre, le accarezzò.
“Maddalena, amore mio. Non c’è tempo. Il portone sta cedendo. Io combatterò, ma sono a centinaia...” Arricciò con le dita un ciuffo di capelli che era sfuggito dall’acconciatura di mia madre, e lo sistemò dietro al suo orecchio. Un boato fece tremare il pavimento. Avevano abbattuto il portone. Le urla selvagge erano sempre più vicine.
“Addio, donne mie!” Il babbo impugnò la spada.
“Addio!” La gola mi grattava acidamente, gli occhi bruciavano, ma cercai di non piangere. Dovevamo andare. “Correte!” Le gambe mi si muovevano fluide e spontanee, più veloci di quanto volessi. L’aria era un soffio pungente sul volto bagnato. Non avevo nessuno davanti, ero io a fare strada. Forse il luogo migliore dove nascondersi era la sagrestia. O almeno, era l’unica stanza che conoscessi veramente in quel palazzo. Ed era lontana dal combattimento, almeno non avremmo sentito gli orrori della battaglia. E quale posto migliore per pregare, per avere fede che questa tragedia potesse risolversi per il meglio? Dovevo fare veloce. Le mie compagne mi seguivano, ansimavano.
Il capitello di San Giovanni Battista anticipava il portone in legno della sagrestia. Eravamo arrivate. Tossii piano. “Entrate qui dentro, svelte. È il posto più sicuro per noi.”
La grande croce sulla parete era ancora lì, come l’ultima volta. Chiusi il portone e mi guardai intorno. Armadi in legno scuro occupavano ogni lato della parete, ci saremmo nascoste lì. Girai la chiave dell’anta più vicina, talari colorati, tonache scure e vesti sacre riempivano lo sportello. Mi feci spazio e m’infilai, l’odore di muffa mi punse le narici. Mi trascinai all’altro lato del mobile, scorrendo sulla superficie; era ricoperta da uno strato di polvere. Mi rannicchiai nell’angolo.
Mia madre s’avvicinò. Profumava di fiori e aveva il respiro affannato. “Credo che dovremo aspettare qui a lungo.”
Iniziai a pregare.
***

Dei passi echeggiavano nel corridoio. Con un cigolio, la porta si aprì. Il mio cuore pulsava veloce, rimbombava nell’incavo dell’armadio.
“Tu, controlla dentro tutte le ante.” Era un uomo. “Vediamo se qualcuno ha cercato di nascondersi qui.” Guardai mia madre, i nostri respiri si fecero veloci.
Uno scricchiolio. La luce irruppe nel vano, Lucia soffocò un grido. Ci avevano stanate.
“Signore, ne abbiamo trovate alcune!” L’uomo agguantò Lucia per la manica e la costrinse fuori dal nostro rifugio. “Fuori! Uscite tutte, se non volete che sia la mia spada a cacciarvi di lì!”
Madre mia, era la fine.
“Con calma, con calma. Un po’ d’eleganza, ti stai rivolgendo a delle signore…” Lo ammonì l’altro uomo.
Mi spinsi fuori, pregavo solo che andasse tutto bene. Uscii dall’anta, mia madre e le due domestiche erano schiacciate contro il tavolo al centro della stanza, minacciate da un nobile e un uomo malconcio.
“Molto bene, qui abbiamo anche la padrona di casa e sua figlia…” Il nobile sorrise beffardo. Porse il suo scudo all’altro uomo. Nel centro stagliava lucente lo stemma dei Medici. Era uno di loro. Teneva stretta una spada dalla lama insanguinata. Aveva ucciso qualcuno. Speravo non fosse mio padre… Fece un inchino.
“Signore, mi presento: sono Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino di Lorenzo il Magnifico e suo legittimo erede. Penso possiate capirmi, se vi dico che ho appena sgozzato messere Jacopo de’ Pazzi con questa stessa spada.” Mostrò la lama bagnata di sangue, fiero. La cena mi risalì dallo stomaco, il sapore di pane inacidito mi invase la gola. Mi protesi in avanti, pronta a vomitare. Un singulto esplose nella stanza e riecheggiò tra le pareti. Mia madre singhiozzava e ululava di dolore. Lorenzo le porse un fazzoletto.
“Signora de’ Pazzi, non disperi. È stata una morte veloce e indolore, e vostro marito è morto combattendo per il suo onore e per la sua famiglia… Mi dovete perdonare questo spargimento di sangue, non è nella mia indole.” Le viscere mi si attorcigliarono dalla rabbia. Mio padre doveva aver sofferto come un cane… e moriva da criminale, da impostore! Lorenzo strinse un pugno e strizzò gli occhi, feroce. “Jacopo de’ Pazzi ha ucciso il più potente esponente della nostra famiglia, nonché tutore mio e di mio fratello Giovanni… E questo solo per un po’ di ricchezza e riconoscenza! Ma Firenze sa chi deve regnarla… Pensate, sono stati i popolani a venire da me per organizzare questa rivolta!”
“Che cosa volete farci?” Mia madre si era asciugata le lacrime. Le sopracciglia aggrottate nascondevano gli occhi gonfi e lucidi.
“Madonna, come ho detto, non mi interessa uccidervi. Ora che l’unico ostacolo nella vostra famiglia è stato eliminato, non mi preoccupo di due donnicciole con la loro servitù. Vi risparmierò…”
Grazie a Dio… mio padre era morto, ma io e mia madre ci saremmo salvate, saremmo andate in monastero e ci saremmo dimenticate delle atrocità a cui ci avevano sottoposte...
“…Ad una condizione! Se vorrete continuare a vivere, devo essere sicuro che non vorrete ribellarvi. Sanciamo la pace tra le nostre famiglie con un matrimonio, e scordiamoci dell’odio di cui ci siamo alimentati negli ultimi mesi!” Un matrimonio? Ma non avevo fratelli o sorelle, o cugini stretti…
Lorenzo buttò la spada a terra. “Madonna, io sposerò vostra figlia, e così risparmierò la vita a voi, alla vostra figliola e alla servitù, e vi permetterò di vivere nella ricchezza di chi ha il signore di Firenze come genero!”
“No!” Avevo parlato io? Non me ne ero neppure accorta. “Io non posso sposarmi! Ho fatto un voto a Dio, gli ho promesso la castità a vita, sarò sua sposa!”
“Mia bella fanciulla, in questo caso dovrò rivedere i miei piani…” Lorenzo raccolse la spada da terra.
Mia madre scattò in piedi. Tremava. “Figliola! Pensaci, almeno. Preferisci morire piuttosto che sposarti? Potrai comunque pregare e frequentare la Chiesa, anche dopo il matrimonio… “
Come faceva a non capire? Avevo fatto una promessa… se l’avessi infranta, avrei mentito al mio Signore, avrei macchiato la mia anima e avrei annullato ogni mio valore… Avrei rinunciato alla vita che sognavo da quando ero bambina. E non volevo vivere da signora di Firenze! Non volevo allontanarmi dai precetti cristiani, volevo seguire i miei voti. Ma non potevo lasciare che ammazzassero mia madre, Lucia e chissà quante altre persone… per colpa mia! Cosa dovevo fare?
“Va bene, ci penserò. È notte, sono molto stanca, non posso decidere ora…”
Lorenzo porse il braccio e mi aiutò ad alzarmi. Con un leggero ribrezzo mi appoggiai a lui. Sapeva di sudore acre, e di sangue… Come potevo sposare l’uccisore di mio padre? Mi si annebbiò la vista. Le lacrime mi solleticarono il viso, una mi si fermò sul labbro. Era salata. Lorenzo me l’asciugò col pollice rugoso, mi venne voglia di vomitare.
“Tornerò qui, domani mattina, per sapere la vostra risposta. Le mie guardie controlleranno che nessuno fugga.” Lorenzo afferrò lo scudo e la spada, e uscì dalla sagrestia.
***
Il pavimento era rigido e gelido. Non riuscivo a chiudere occhio. La Luna illuminava le pareti della mia stanza, gli arazzi, il baldacchino. Era inutile provare a dormire. Mi alzai in piedi. Guardai la Luna piena. Era così tonda e luminosa, rischiarava le notti terrestri da millenni. Lei sì che si trovava al posto giusto. Non doveva essere costretta a scegliere tra la sua famiglia, la sua vita e la sua Fede… Mia madre non mi avrebbe mai costretta a scegliere di sposarmi. In fondo, quell’uomo era una bestia, l’assassino di mio padre! Come potevo anche solo fingere di amare un bruto del genere? Ma se avessi rinunciato al matrimonio… la mia scelta sarebbe ricaduta sulla vita mia e di tutti i sopravvissuti alla rivolta. Mia madre non sarebbe riuscita a guardarmi in faccia, se l’avessi sacrificata per rispettare il voto a Dio… Mi immaginavo la sua espressione delusa, lo sguardo rivolto a terra per non provocarmi dolore nel vederlo… Anche nello sconforto più profondo, mia madre avrebbe cercato di proteggermi dai sensi di colpa. Non potevo farle questo. Ma non volevo nemmeno tradire il mio Signore e vivere un’eternità da peccatrice… C’era anche un’altra possibilità: avrei potuto sposarmi, sciogliere il voto e poi suicidarmi, o farmi uccidere. Avrei salvato mia madre… ma… no, era infattibile, avrei macchiato il mio onore in qualunque caso. Non c’era soluzione: dovevo fare una scelta. M’inginocchiai davanti al quadro della Madonna, iniziai a pregare… Magari la Fede mi avrebbe aiutata.
M’alzai. Maria avrebbe vegliato su di loro, e su di me, ne ero certa. Strappai le lenzuola dal letto e le spiegai, annodai gli angoli tra di loro. Maria avrebbe fatto in modo che nessuno soffrisse. Strinsi il nodo. Guardai attraverso la finestra, il Sole sorgeva, ma era ancora buio, la strada era sgombra.
“Santa Monica, Santa Perpetua, proteggete mia madre, vi prego!” Girai la manopola della finestra, una folata di vento freddo m’ investì. Legai l’estremità della coperta alla maniglia, strinsi il nodo. Salii sul davanzale. Guardai giù. I sanpietrini si muovevano in tondo, parevano impazziti. Mi aggrappai al panno e scivolai giù. La pelle delle dita e dei palmi ardeva e si scorticava, ma non volevo mollare. Stringevo le cosce sulla coperta, poi sentii il vuoto sotto di me. Saltai, la mia tonaca fu portata su dal vento, era piena di aria. Le mani e le ginocchia impattarono con il selciato ghiaioso, mi graffiai. Mi rialzai, guardai in alto. Un chiarore giallo preannunciava il sorgere del sole. Era quasi giorno. Dovevo muovermi a fuggire dalla città, non avevo molto tempo. Dovevo arrivare in monastero entro qualche ora o mi avrebbero trovata. Un gatto grigio che attanagliava un roditore s’infilò in un pertugio sul muro dell’edificio di fronte. Magari lo portava dalla sua famiglia. Strinsi la manica tra le dita. Lo sapevo, mia madre e Lucia sarebbero morte per colpa mia. Una lacrima tiepida scivolò a terra, mi feci il segno della croce e sospirai.
 
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