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Skannatoio Luglio - Agosto 2021, Who lurks in the shadows?

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Shanghai Kid
view post Posted on 29/7/2021, 10:35 by: Shanghai Kid
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Eccomi! Scusate l'attesa. Direi che le nostre speranze sono state ben ripagate: con il mio pezzo dovremmo aver 'salvato' il contest!
Anche per me è la prima volta, ma siate più brutali che potete: mi aspetto palate sui denti ;)




SORCIO



20 maggio 2015, poco dopo l’ora di cena

“Budweiser, torna qui!”, Mario sorrideva guardando il suo compagno di vita scorrazzare libero tra l'erba. Budweiser era ormai anziano, il suo pelo crespo e bianco gli dava un’aria più trasandata, perfettamente aderente a quella del suo padrone. Mario estrasse il pacchetto morbido di Lucky Strike dalla tasca dei pantaloni macchiata di olio, si mise in bocca una sigaretta e pensò che prima di tornare a casa ne avrebbe dovuto comprare altre. "Vieni qui, vecchio birbante", Budweiser strusciava ora il muso sulla gamba del padrone che si chinò per dargli una poderosa carezza. Mario raccolse un bastoncino dal ciglio del sentiero e lo lanciò qualche metro più in là: "Corri leopardo, riportami il bastone", aggiunse accendendo la sigaretta e perdendosi nei suoi pensieri mentre il cagnolino correva nei campi. Quelle passeggiate serali in periferia lo rilassavano molto. Erano l'unico vero momento in cui riuscisse a godersi davvero il suo tempo. Le ciminiere facevano sembrare il sole malato, durante il giorno, ma la sera quello era certamente il posto più ameno che potesse raggiungere e Budweiser aveva bisogno di sgranchire un po’ le sue anziane zampette.
Oddio, ma cos’è quel vitello?, Mario vide in lontananza un cane di grossa taglia, un Rottweiler, gli era sembrato, scagliarsi come una furia contro il suo piccolo e vecchio bastardino. La sigaretta gli cadde dalla bocca e l’uomo corse immediatamente nella direzione dei due cani.
Un uomo ben vestito correva a sua volta verso gli animali. “Scappa Bud!”, Mario gridava spaventato con tutta l’aria che aveva in corpo. “Staccati Charlie!”, una voce stridula e preoccupata veniva dall’altro uomo. Il lamento di Budweiser, simile al pianto di un bambino, riempiva lo spazio tra le due urla.
Mario non ci pensò due volte e cercò di staccare i cani, ma la presa del Rottweiler era forte. Il secondo uomo si era fermato a qualche metro dal groviglio di corpi in lotta e seguitava a gridare: “Charlie, ti ho detto di staccarti! Mollalo!”. Mario aprì con le sue mani la bocca di Charlie. Fu allora che un dolore cieco e acuto gli rubò l’ultimo centimetro cubo di fiato che gli era rimasto. Il secondo uomo sferrò un potente calcio nella pancia del Rottweiler: “Torniamo a casa Charlie… Vieni, corri!”, gridò di nuovo balbettando.
Mario si sentiva svenire, indovinò appena le sagome scomposte del Rottweiler e del suo padrone correre lontano da loro, verso la città.
La sofferenza non era di certo mancata nella sua vita, ma un dolore fisico così profondo non lo aveva mai provato prima. Eppure, un secondo supplizio, ancor più straziante, lo stava per cogliere.
Budweiser giaceva morto, in una pozza di sangue, a pochi metri da lui.
Accanto al cadavere dell’animale, la sua mano sinistra.


14 dicembre 2016, colazione pre ufficio

" ...Dammi retta, quelli sono sorci, topi, e bisogna trattarli come tali: derattizzare!", l'avvocato Mattiotti proseguiva con le classiche invettive che accompagnavano le sue colazioni mentre il solito cameriere portava a lui e ai colleghi i cappuccini e le brioches ordinate . "Feccia umana, pesi sociali… Scusate un attimo" si era interrotto perché aveva sentito il cellulare vibrare nella ventiquattrore che teneva sotto la sedia. Il capo non lo chiamava mai la mattina presto e di lì a qualche minuto sarebbe stato in ufficio, doveva per forza essere accaduto qualcosa di grave.
"Buongiorno signor Belletti, mi dica… No, non ho ancora letto il giornale, perché?", l'avvocato aveva abbandonato il tavolo con aria preoccupata mentre i colleghi proseguivano tranquillamente la colazione. “Le giuro che non ho la più pallida idea di come sia potuto accadere, deve credermi… A nessuno! Non ho passato quelle informazioni a nessuno… Posso giurarlo su mia figlia… Va bene, va bene, arrivo quanto prima”.
Le urla furenti dell’avvocato Belletti, il socio dello studio legale Belletti & Ravasi per cui lavorava Mattiotti, si erano interrotte prima della fine della conversazione per lasciare spazio solo al periodico suono del telefono staccato.
Una volta tornato al tavolo tutti i colleghi notarono in lui un panico mai visto prima.
“Mi scusi, mi scusi, avrebbe una copia del Corriere della sera, per favore?” chiese l’avvocato al cameriere.
“Sei pallido, va tutto bene?”, Zaghi guardava il collega con aria perplessa. Fino a qualche momento prima quello che aveva davanti era il solito Mattiotti, pronto a darla addosso ai parassiti sociali, ma ora si ritrovava al tavolo un uomo turbato che non sembrava riuscire nemmeno a toccare la propria colazione.
“Un casino, è successo un casino cazzo”, gli rispose l’uomo sfogliando energicamente il giornale. Dopo aver girato le prime pagine con furia, si fermò su un trafiletto centrale e sgranò gli occhi. Non poteva crederci: il caso più grosso che lo studio Belletti & Ravasi avesse mai avuto in mano, quello che il capo gli aveva assegnato per riconoscergli finalmente le fatiche di quindici anni di duro e zelante lavoro, spiattellato con tanto di dati sensibili su una delle maggiori testate giornalistiche nazionali. “Ma come cazzo è possibile?”, Mattiotti sentiva il sangue pulsargli vigorosamente nel volto. Gli sembrava di avere un sasso in gola che non gli permettesse di deglutire. Si alzò di scatto, si mise il giornale sottobraccio e uscì frettolosamente dal bar senza salutare né pagare.
I colleghi si domandavano smarriti cosa fosse successo, era difficile che Antonio perdesse il controllo in quel modo.
I loro dubbi vennero fugati non appena il barista accese la televisione.
“Ma cosa gli è saltato in mente?”, chiese esterrefatta la più giovane dell’ufficio. “Io non posso credere abbia riferito lui queste informazioni: è un professionista!”, continuò il collega con cui Mattiotti aveva un rapporto più intimo. “E allora come te lo spieghi? Sicuro che Belletti gli fa il culo a strisce!”, fu l’intervento elegante di un terzo. “Ho l’impressione che domani ci sarà una scrivania vuota” concluse infine la giovane, appoggiando la tazza vuota sul piattino.


8 gennaio 2017, prima di andare a letto

“Alzati da quel maledetto divano!”, la signora Mattiotti sembrava un’oca inferocita: “Hai passato tutte le feste a deprimerti: devi reagire! Ormai sono trascorsi più di venti giorni da quando hai perso il lavoro e finora te l’ho concesso perchè c’erano di mezzo le feste, ma non penserai di rimanere a poltrire per il resto dei tuoi giorni. L’Antonio che ho sposato sa reagire alle cose, ti stai trasformando in un rifiuto umano!”. L’uomo giaceva affranto, una mano sugli occhi chiusi come gli esplodesse la testa. Un mugugno fu l’unica risposta che riuscì ad emettere. Una vita nel lusso a spese altrui, questo è l’unica cosa che sa fare questa serpe: spendere. E ora, eccola pronta ad accanirsi come una iena sulla carcassa di suo marito, quello che fino a un mese fa altro non era che una banca e ora si trasforma in un cadavere putrescente da insultare pensò sconsolato Mattiotti che non riusciva a riprendersi dalla fine tragica e scandalosa della sua brillante carriera.
“Senti, io ora preparo la spazzatura così domattina Maria la porta fuori, ma quando torno in salotto voglio ritrovare il promettente avvocato che ho sposato, non questo depresso fallito che occupa il divano da giorni, hai capito?”, infierì la donna.
“Comincia a dire a Maria che è meglio non venga più, a breve non potremo permetterci una donna delle pulizie!”, l’aveva sputata così Mattiotti, con un filo di voce, senza pensarci troppo.
“COSA?!” Emma, sua moglie, si era fatta paonazza.
“Ascoltami bene perché non ho intenzione di ripetermi: io sono una signora e non mi metto di certo a pulire casa. Ho accettato questo tuo stato d’animo da pezzente perchè capivo che la situazione non è rosea, ma vedi di riprenderti!”, quando ci si metteva, la signora Mattiotti era una vera belva.
Procedette a passo spedito fino alla camera di Alice, la figlioletta di soli sette anni. Antonio si mise due dita nelle orecchie per non sentire il fastidioso suono dei tacchi e i borbottii continui della moglie.
Dopo qualche istante la donna, mano nella mano con la figlia, era di nuovo davanti a lui.
“Dillo tu a papà cosa mi hai detto oggi, tesoro. Digli cosa pensi, come ti senti” Emma incalzava sadicamente la figlia. “...Mi sento triste”, singhiozzò la bambina. “Hai sentito, razza di stronzo? Sai perchè si sente triste? Perchè è una principessa con un papà che finge di essere un pezzente! E sai cosa è la conseguenza di sentirsi pezzenti? Che tutti ti trattano come tale… Guarda cosa ha regalato ad Alice quella stronza di tua sorella!” e, così dicendo, la signora Mattiotti iniziò a sventolare sotto il naso del marito un orsetto di peluche. “Dillo al papà, ti piace il regalo di Natale della zia Sonia?”, chiese fintamente amorevole alla figlia. “No, mi fa schifo!”, sbottò lei che mollò la presa della madre e scappò in camera da letto.
“Hai visto cosa stai facendo a me e a tua figlia? Te ne rendi conto? Persino tua sorella ci prende per il culo. L’ho sempre saputo che era una stronza, ma regalare un peluche tanto dozzinale a tua nipote è proprio da persone infime. Con quella storia che l’ha comprato per beneficenza poi. Ma tienitelo tu il peluche per salvare i bambini africani, no? Non darlo a tua nipote. E tu cosa le hai detto? Antonio: rispondimi!”.
Mattiotti era sfinito, esausto: “Hai ragione amore, domani chiamo un paio di studi legali. E sì, Sonia è stata una stronza, quel peluche fa cagare! Domani chiamo anche lei e mi faccio sentire. Ora, ti prego, lasciami riposare. Domani sarò un uomo nuovo, ma non ora”.
“Me lo prometti?” chiese Emma con tono militaresco.
“Te lo prometto, amore mio” rispose Antonio che dentro di sè si chiedeva quando esattamente quella specie di strega fosse riuscita a metterlo in trappola.
“Va bene, ma guarda che il mio è un ultimatum!” concluse Emma appoggiando il pupazzetto dentro il sacco dell’immondizia che Maria avrebbe portato in strada la mattina seguente.


3 novembre 2017, dopo la messa

“Vi dico che parlano di Lexotan ma anche di marijuana e, a pensarci bene, non mi suona così impossibile…”, Teresa, la perpetua, confidava al crocchio di signore gli ultimi gossip della parrocchia.
“Da quando il marito ha perso il lavoro è strana, lo dicono anche i ragazzi del catechismo”, aggiunse preoccupata suor Assunta.
“ ...Sì, la mia Laura mi ha detto che spesso li sgrida senza alcun motivo”, la signora Lucia, una delle più anziane frequentatrici della Chiesa di San Giorgio, corroborò la tesi della Sorella.
“Io non escluderei che sia lui a usare tutti quegli psicofarmaci… Alla fine è stata una bella batosta! Per quanto riguarda la droga, poi, non metterei la mano sul fuoco che non ne facesse uso anche prima”, persino don Andrea, che si era appena unito al piccolo gruppo di fedeli, aveva provato a dire la sua.
“Voi avete idea di chi può essere stato ad appendere quei cartelli per tutto l’oratorio e il comune?”, aveva poi aggiunto la signora Lucia che sembrava nutrire comunque qualche riserva circa l’effettiva veridicità delle voci che ormai circolavano da un paio di giorni nel quartiere.
Emma Mattiotti era una donna molto attiva nella comunità e lo scandalo che aveva colpito lo studio legale in cui lavorava il marito e il suo conseguente licenziamento non avevano apparentemente scalfito la sua voglia di essere protagonista della vita cittadina. Assessore alle politiche giovanili, catechista da una dozzina di anni, Emma Mattiotti rappresentava per molti la madre di buona famiglia attiva nella società.
“Sapete, il mondo è pieno di invidiosi, potrebbero anche essere voci… Però non so se è il caso che continui, voglio dire, ad occuparsi dei nostri ragazzi. In fondo ormai le voci avranno raggiunto anche loro”, aveva proseguito il parroco, zittendosi immediatamente.
“Buongiorno Signora Mattiotti!” aveva infatti esclamato all’improvviso Teresa, cercando di salvare le apparenze.
“Buongiorno a tutti!” aveva risposto, frettolosa, Emma che, piangendo, stava tornando verso casa.


20 maggio 2018, poco dopo l’ora di cena

Come ogni sera da due anni e mezzo l’aria in casa Mattiotti era tesa. “Ho detto che voglio il nuovo iPhone… Anche Serena ce l’ha! Io sono l’unica sfigata che ha ancora il modello vecchio!”, Alice singhiozzava come avrebbe fatto una bambina decisamente più piccola di lei. “Amore mio, principessa della mamma, non devi paragonarti a Serena, lei è una bambina più sfortunata di te… Lo sai che lavoro fanno i suoi genitori? I panettieri. Credimi tesoro, dovrà tenersi quel telefono almeno fino alla prima media!”, la consolò con voce affettata Emma. “Il mondo alla rovescia, il mondo alla rovescia: da quando hai perso il lavoro le nostre vite stanno andando a rotoli… Io non” stava continuando quando Antonio la interruppe: “Ora basta Emma, mi hai davvero rotto le palle!”. “Antonio… c’è la bambina”, rispose la moglie esterrefatta. “Non me ne frega niente! In questa casa non si può più vivere… Come se non fosse abbastanza il posto di merda in cui sono finito a lavorare. Ma tu lo sai che ogni mattina vado al bar degli operai… Mangio con gli operai, hai capito? Io che sono avvocato!”, mentre le rispondeva, qualcosa nel viso di Antonio stava cambiando. Alice continuava a frignare. Osservava impaurita le vene del collo di suo padre che si gonfiavano sempre più, sembrava fossero pronte a esplodere quando, all’improvviso, si spense la luce.
“A-Antonio… C-cosa è successo?” chiese Emma impaurita.
“Aiuto, ho paura!”, squittì Alice stringendosi alla mamma.
“State tranquille”, proseguì Antonio con una voce nuovamente ferma: “Sarà uscita la corrente… Vado a vedere”.
Così dicendo, l’avvocato Antonio Mattiotti abbandonò la sala.
La casa era ormai pregna di buio e inquietudine. Il litigio di qualche momento prima aveva agitato gli animi più del dovuto e un senso di angoscia opprimente aleggiava in tutta l’abitazione.
Alice era già piuttosto preoccupata quando qualcosa di molle le si strusciò sulla caviglia: “Oddio!”, gridò spaventata, stringendo forte la mano della madre fino a conficcarle le unghie nella carne. “Ahia! Attenta, cosa fai?!”, le urlò di rimando Emma. “Mamma, qualcosa di strano mi ha sfiorato…” continuò la bambina piangendo. “Ma finiscila, Alice, ti stai facendo solo suggestionare!”, la rincuorò seccata la madre. “No, te lo giuro… Non me lo sto inventando!” proseguì Alice, “Ti prego andiamo via da qui!”. “Ma dove vuoi andare? Tutta la casa è al buio, sono sicura che ora il papi sistemerà le cose, stai tranquilla amore… Anzi, adesso sai cosa faccio? Tocco il pavimento vicino a te così ti dimostro che non c’è niente di cui avere paura, ok principessa?” e così dicendo Emma iniziò a tastare il pavimento.
“Hai visto amore che non c’è n… E questo cos’è?”, disse con estremo stupore sollevando qualcosa di soffice dal pavimento. Fu in quel momento che un rumore, come il vagito di un neonato, fuoriuscì dalla cosa che Emma stava sollevando. La donna sentì un corpo viscido accarezzarle il braccio. Un urlo acutissimo le uscì dalla bocca e un topo si lanciò fuori da ciò che teneva in mano, finendo per terra.
“Oddio, oddio, oddio!”, Emma iperventilava mentre Alice piangeva disperata. Entrambe salirono sul tavolo. Senza accorgersene, la donna stringeva l’oggetto che poco prima era sul pavimento. Un filo di luce proveniente da una macchina di passaggio appena fuori dalla finestra lo illuminò. “Mamma,” sussurrò Alice con voce tremante, “quella cosa che hai in mano… è… è… il peluche di zia Sonia!”.

Antonio non capiva proprio cosa stesse accadendo. Decise allora di tornare dalle sue ragazze per tranquillizzarle e prendere una torcia. Salì le scale a carponi per evitare di cadere, una volta entrato nel salone si diresse verso una cassettiera in cui sapeva di poter trovare la torcia. Aprì il primo cassetto, quando sentì qualcosa di strano al tatto: sembrava carne. Provò un forte disgusto ma presto un terrore acuto lo distrasse dall’esperienza tattile appena vissuta: alcuni topi iniziarono a zampettargli sui piedi. “Ma che cazzo” gridò nel panico più totale.
“È una mano”, una voce sicura, cavernosa e tranquilla proveniva dal divano. Il rumore di un accendino ruppe il continuo squittire dei topi che avevano ormai invaso la casa. Emma e Alice si stringevano in piedi sul tavolo, ma i roditori le avevano raggiunte anche lì. Le due erano pietrificate in un abbraccio. Antonio, schiena contro il muro, guardava in direzione del divano senza vedere niente. Una veloce fiammata illuminò il volto dell’uomo che stava seduto sul divano, prima di accendere la sigaretta che stringeva tra i denti. Lo sconosciuto ispirò profondamente il fumo e lo espirò con lentezza. Poi, con un movimento unico e curato, accese con lo stesso accendino la candela che aveva adagiato precedentemente sul tavolino di cristallo davanti a sè. L’alone di luce fioca non era sufficiente a definire i lineamenti dell’estraneo, ma era bastata a illuminare la pistola adagiata accanto alla sua gamba destra: un revolver calibro 22.
I tre ora potevano vederlo, ma nessuno osava parlare. Solo Alice non riusciva a trattenere i singhiozzi.
“Quella che c’è nel cassetto, dico, è una mano. La mia mano sinistra, per l’esattezza. Conservata in formaldeide per tre lunghi anni”, continuò con tono pacato, inalando nuovamente fumo. “Direi che si è conservata bene, ma credo che ora i topi la rosicchieranno un po’... Sorci, topi… bisogna derattizzare”. Lo sconosciuto pronunciò quest’ultima frase come se stesse facendo il verso a qualcuno, imitando una voce non sua. “Non diceva così, lei, avvocato Mattiotti, ai suoi colleghi, la mattina che è stato licenziato? Sorci… topi… E ora casa sua è invasa dai topi, pensi un po’: a volte la vita è davvero buffa!”, Antonio Mattiotti era confuso, una galassia di pensieri gli riempivano la testa. “Oddio, ma lei chi è?”, urlò starnazzante Emma. “Aspetti, signora. Ogni cosa a suo tempo… mi lasci finire. Tutto quello che dovete fare ora è ascoltarmi. Ho io i vostri cellulari e, credetemi, non perdete tempo a inventare soluzioni creative per avvisare i vicini o la polizia: non vi conviene”, spense la sigaretta sul tavolo e accarezzò la pistola. Antonio deglutì.
L’uomo estrasse una lattina da una borsa che teneva vicino ai piedi. Mentre l’apriva proseguì: “È una Budweiser sapete? Una birra: la mia birra preferita. Viene dalla Repubblica Ceca, ottanta centesimi a lattina”, si interruppe per sorseggiare un po’ di birra. “Ahhh, che buona!” continuò pulendosi le labbra con la lurida manica della camicia. “Torniamo a noi. Budweiser. Sai anche chi si chiamava così, avvocato Mattiotti?”, chiese senza guardare l’uomo che tremava cercando di tenersi più lontano possibile dai topi. “Il mio cagnolino”, fu in quel momento che accadde. Mattiotti sentì un tonfo profondo, non nella stanza: in un luogo dentro di sè che aveva scordato di avere. Fu solo allora che collegò i punti. No, quel pazzo schizzato che se ne stava seduto sul suo divano, sorseggiando birra dopo aver liberato una miriade di topi, non era un estraneo, bensì l’uomo che aveva incontrato tre anni prima quando il suo cane, che aveva poi fatto sopprimere, ne aveva attaccato un altro uccidendolo. Una sensazione di freddo glaciale si estese in ogni cellula del suo corpo. Provò invano a bofonchiare qualcosa. “Taci!”, ruggì Mario, “Non serve tu dica niente. Non c’è proprio niente da dire… Budweiser era quanto di più caro avessi al mondo, anche più caro della mia mano sinistra, quella che Charlie mi ha praticamente staccato a morsi. Comunque non ce l’ho mai avuta con Charlie. Lui è solo un cane, risponde all’istinto. Ma tu… Tu te ne sei andato a gambe levate”. Il continuo rosicchiare dei topi era tanto forte che Mario doveva sforzarsi quasi di gridare. Emma e Alice piangevano incessantemente. “Sono rimasto solo, più solo che mai e se ho toccato il fondo dell’abisso, questo mi ha anche permesso di portare a termine il mio intento. La cosa positiva dell’essere invisibili, perché quelli come me, per quelli come te, lo sono sempre, è che nessuno ti nota mai… Per questo è stato facile pedinarti. Essere abitudinari ha anche i suoi contro, signor Mattiotti. La gente come voi, sapete, sottovaluta un bel po’ di cose. La spazzatura, per esempio. Alcuni documenti vanno bruciati, Mattiotti, non strappati e buttati via. Non che sia frequente, ma bisogna considerare la rara ma possibile ipotesi che un folle perda tempo a ‘rimettere insieme i pezzi’. E si sa mai che non usi quanto trova per rovinarti la vita. Lo stesso vale per i vizi o le debolezze. Sai, non è poi così difficile capire se qualcuno si fuma le canne o ha bisogno di un aiutino psicologico”. Una risatina strozzata interruppe momentaneamente il monologo dell’uomo che si accese un’altra sigaretta. Poi proseguì: “Sai come mi chiamano nel mio quartiere? Il sorcio. Buffo, vero? È da gente come te che viene questo nomignolo… Gente totalmente sprezzante nei confronti della vita altrui. Ma ogni cosa ha il suo prezzo, avvocato. Bisogna stare attenti a quel che si butta via. Tra le cose buttate, vicino alle pattumiere, ci sono i topi… Eppure, pensa: è da quel nomignolo infame che mi è venuta l’idea per il GRAN FINALE… Perchè questo è il GRAN FINALE, sai?” così dicendo, aprì l’ultima gabbia che aveva portato con sè e un’altra decina di topi si disperse per la casa.
Ora piangeva anche Antonio implorando pietà.


23 maggio 2018, su una nota testata giornalistica

Quarantotto ore con i topi


Due giorni d’inferno per l’avvocato Mattiotti, precedentemente coinvolto in uno scandalo legale, e la sua famiglia. Nessuna notizia del rapitore


Una vita nell'ombra quella di Mario Battisti, 58 anni, netturbino, di cui non si hanno più tracce. Molto meno quella di Antonio Mattiotti, divenuto tristemente noto a causa di uno scandalo professionale. L’ex collaboratore del celeberrimo studio legale Belletti & Ravasi è stato sequestrato insieme alla moglie Emma e alla figlia Alice, per quarantotto ore nella sua stessa abitazione. Ma le disavventure della famiglia, i cui membri sotto shock sono in osservazione presso l'ospedale Santi Pietro e Paolo, non sono finite qui. Sembra la trama di un film dell'orrore, ma Battisti, dopo aver completamente isolato l'abitazione, vi ha introdotto diverse decine di topi. I roditori hanno completamente devastato l'abitazione e morso ripetutamente gli inquilini. Secondo alcune indiscrezioni, sembra che Battisti, sfruttando la sua professione, abbia avuto un ruolo attivo nello scandalo che vide protagonista Mattiotti e nelle voci diffamatorie sulla di lui moglie. Battisti, infatti, era ossessionato dall'avvocato e ha pianificato ogni mossa studiando dettagliatamente quanto trovato nella spazzatura della famiglia e, probabilmente, pedinandolo spesso.
Per ora non si hanno tracce dell’uomo, ma la scientifica sta analizzando quanto Battisti ha lasciato in casa Mattiotti prima di scappare: una cassa di birre finite e un biglietto con la scritta A Budweiser, che corre felice nei campi.


 
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