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Skannatoio Luglio - Agosto 2021, Who lurks in the shadows?

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view post Posted on 25/7/2021, 13:12
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Anche il precedente contest ha sofferto dello stesso problema in effetti. Poi gli ultimi giorni son spuntati come funghi, arrivando a ben 7 racconti.
 
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view post Posted on 25/7/2021, 18:01
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Una domanda: è possibile apportare qualche piccola modifica al racconto anche se già postato? Parlo di piccole correzioni ad alcune frasi, non stravolgerei nulla per quanto riguarda scene e storia.
 
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view post Posted on 25/7/2021, 18:54
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CITAZIONE (Synbios @ 25/7/2021, 19:01) 
Una domanda: è possibile apportare qualche piccola modifica al racconto anche se già postato? Parlo di piccole correzioni ad alcune frasi, non stravolgerei nulla per quanto riguarda scene e storia.

Ah! Io lo faccio sempre, tranquillo. Basta che non lo tocchi dopo la scadenza
 
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view post Posted on 26/7/2021, 11:34
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Custode di Ryelh
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CITAZIONE (Synbios @ 25/7/2021, 19:01) 
Una domanda: è possibile apportare qualche piccola modifica al racconto anche se già postato? Parlo di piccole correzioni ad alcune frasi, non stravolgerei nulla per quanto riguarda scene e storia.

Confermo. I racconti non sono più modificabili a partire dalla data di scadenza.
 
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view post Posted on 26/7/2021, 19:07
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CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 26/7/2021, 12:34) 
CITAZIONE (Synbios @ 25/7/2021, 19:01) 
Una domanda: è possibile apportare qualche piccola modifica al racconto anche se già postato? Parlo di piccole correzioni ad alcune frasi, non stravolgerei nulla per quanto riguarda scene e storia.

Confermo. I racconti non sono più modificabili a partire dalla data di scadenza.

Penso d'essere a posto così, non credo apporterò altre modifiche.
 
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Leonardo Pigneri
view post Posted on 28/7/2021, 11:26




Salve a tutti. E' la prima volta che propongo un racconto qui, ma non andateci piano per questo, ho bisogno di tutte le critiche possibili! Buona scrittura e non vedo l'ora di leggere i vostri!

Robert de Craon



Robert si inchinò ai piedi della dama dai capelli d’oro. «Ego, Robert de Craon, cavaliere crociato dello Santo Pater, giuro de sconfiggere la Tigris dello Saladino, in nome de vostra beltà et santità!»
Nella piazza si levò un brusio di pater nostrum e invocazioni ai santi.
Il solo nominare la Tigris faceva quell'effetto.
Robert alzò il capo e i suoi stessi spallaci gli riflessero negli occhi il sole di mezzogiorno.
Dio era con lui, nel verbo e nello spirito, e non temeva creatura alcuna.
«O’ Robert, coraggioso bellatorem,» la dama prese gli armamenti santissimi e glieli porse. «Ego ti benedico con codesta spada et codesto scudo»
Il suo volto era porcellana, le labbra come un fiore ancora non sbocciato.
Robert prese le armi e si sollevò a guardare lei e la gente del villaggio. «O’ dama, o’ fedeli animae, non temete! Alla finem de codesto diem tornerò cum la capa de’ bestia nella manus!»
Ci fu un coro di esultanze e applausi, il Rangero rubicondo si scostò dalla folla e gli si avvicinò. «Robert, portami con te, te ne prego!»
Il cavaliere lo guardò dritto nella maschera. «O’ Rangero, sei socuro de ciò que favelli? Tigris est malvagia et infingarda.»
«Ma io so battermi, mio signore, ti tornerò d’aiuto, vedrai!»
Ello era un caro giovine. Robert si fece il segno della croce. «E va bene Rangero, dì addio alli tuoi fratres variopinti et preparati ad peregrinare meco fino all’antro delle fiere, sarai lo meo scudiero!»

Robert roteò un fendente dal basso e squarciò il petto dell’ultimo guerriero candido. «Que lo tuo spiritus torni al dominus Saladino et li disturbi lo torpore!»
Il corpo del soldato cadde all’indietro con la strana arma in pugno.
La piana del marmo si estendeva liscia e spoglia per miglia e miglia. Robert si voltò in cerca del suo scudiero. «Rangero, state bene?»
Egli si ergeva su altri due cadaveri in armatura bianca. «Sto bene mio signore, e voi?»
«Non dovete nieanche dimandere. Codesti homini bardati non sum al meo paro et giammai lo saranno.» Ne pungolò uno con la punta della spada. «Sed me domandavo, siete voi edotto su cosa sum codeste balestre que lux virgano?»
Rangero ne raccolse una. «Pistole laser, mio signore, il Sultano deve aver messo le mani sulle tecnologie più all’avanguardia.»
«Mai audite nominare, sed nulla sum in comparatio alla terribilis Tigris» Robert si sedette su una pietra.«Ci accampiamo ivi codesta nocte, prepara le vettovaglie, Rangero.»
«Sì mio signore, accendo il fuoco appena ho finito di radunare i corpi.»

Robert addentò una cipolla alla brace. Era dolce e speziata. Il succo gli si riversò sulla barba scura. «Sum boni codesti cipollotti, voi avete in vero lo talento pella cocina, caro Rangero.»
«La ringrazio» Lo scudiero tagliò un pezzo di frittata agli erbi e se la fece passare sotto la cuffia vermiglia che portava in viso.
«O’ Rangero, tu es de poche verba codesto vespro, que succede?»
Lo scudiero alzò il capo sul cavaliere, seppur la sua espressione era nascosta, pareva assai cupa dalla voce.«Ho sentito che voi l’avete già affrontato una volta, il mostro, è vero?»
Robert finì il cipollotto e si pulì la bocca col fazzoletto donatogli dalla dama. «Così est. Me sum salvato dalla Grande Consolatrice onde gratia divina. Tigris est inimicus incredibilis.»
Il suo scudiero si sporse sulla pietra.«E come faremo allora a sconfiggerla?»
Robert lo guardò dritto nel punto in cui ci dovevano essere gli occhi.
Povero giovine sine fides nello signore.
Si alzò e fece un passo verso di lui. «Cum l’ardore de’ mea spada et la fortitudo delle tue percosse, et quo altro!?» Gli diede una manata sulla spalla. «Non dubitate Rangero, entro domane ci spartiremo la gloria di codesta impresa, deus testis!»

Rangero parve rincuorato, se non dal viso, dai suoi modi lesti di riordinare mentre Robert beveva il vino di Fra Paoluccio. Anche il vino era buono e dolce, ma con un retrogusto aspro delle terre sante del papato.
Ci fu un gorgoglio secco e vibrato.
Robert si drizzò nel suo giaciglio.
Non vi erano molti posti dove nascondersi nella piana.
Portò la mano alla spada e avanzò verso la montagnetta di corpi dei soldati.
«Che succede, mio signore?» Bisbigliò lo scudiero dietro di lui.
«Fai attentione Rangero, ci est qualcheduno di ancora viviens là!»
Un ringhio infernale infranse la calma della notte. Con un balzo di sei metri, un'ombra gigantesca scavalcò il cucuzzolo di cadaveri.
Rangero urlò. «La Tigre del Saladino!»
Robert estrasse la spada. La lama risuonò argentina allo scorrere sul fodero dorato. La bestia, ancora adombrata, sembrò sussultare nell’udire quel suono. «O’ vieni Curda fiera si habes lo ardimento di sfidare Robert de Craon ancora una volta!»
Per fortuna non si era tolto l’armatura.
La fiera fece un passo in avanti senza produrre alcun rumore.
Lo scudiero ansimò al fianco di Robert. «Sono con lei, mio signore.»
La bestia produsse un verso gutturale dal torace, la luce del fuoco le illuminò il muso.
«Stai indietro Rangero, est meo dobere affrontarla!» E con un braccio lo spinse di lato.
Gli occhi velati della Tigris guardavano Robert. Le zanne luride di sangue e terra vibrarono di trepidazione per la sua carne.
«Ti sei facta più foetida dell’ultimo tempore!»
Il pelo era grigio per quanto lerciume ci fosse sopra, e qua e là ne mancavano delle chiazze, perse probabilmente nelle numerose battaglie.
Robert lanciò un’occhiata allo scudiero. S’era messo più indietro come gli aveva ordinato.
Bravo giovine.
Con passo controllato il cavaliere iniziò a camminare intorno al fuoco mettendo di mezzo tra lui e la Tigris le fiamme tremolanti.
Era passato così tanto tempo. Robert si rigirò l'impugnatura della spada nella mano. Aveva pregato ogni ora di avere la forza e lo spirito di affrontare la bestia, ma solo quel giorno Dio aveva deciso di entrargli nell'anima e guidarlo all'azione.
Uno scatto. La Tigris balzò oltre il fuoco. Scintille e cenere volarono dappertutto. Robert si gettò di lato. Un artiglio grattò la sua armatura portandone via un capello di ferro.
Ella era più veloce dell’ultima volta.
Il pelo della fiera bruciava sul petto e sui lunghi baffi. Agitò la testa per spegnere i tizzoni ma il cavaliere approfittò della distrazione e caricò verso di lei. «Pello Pontifex Maximus, pella mea dama!»
La spada penetrò nella zampa destra della creatura; questa ringhiò assordando un orecchio di Robert, levò l’altra zampa e la scagliò su di lui. Robert fece giusto in tempo ad alzare lo scudo. «Ah!»
Fu sbalzato via. Come un sacco di ferraglia rotolò per metri e metri sul terreno duro. Lo scudo andò perso chissà dove ma la spada gli rimase stretta nel pugno.
Fece per distinguere il sù dal giù ma la fiera era di nuovo su di lui. Un odore acre invase le narici del cavaliere. Con una zampa la Tigris gli schiacciò il torace e lo bloccò a terra. Diverse ciocche di pelo rilucevano ancora delle braci accese.
Robert urlò con l’ira San Olav di Norvegia. «Tentant, animal inmundum!»
Le fauci della bestia scattarono verso la sua giugulare. Il cavaliere vi frappose il braccio sinistro.
Sentì il dolore annebbiargli la mente.
La Tigris perforò l'armatura e affondò i denti nel suo bicipite. Ma Dio era ancora con lui. Robert mosse l’altro braccio, che stringeva la spada, e trafisse il collo della bestia da parte a parte. Il verso della Tigris rombò nelle fauci ancora serrate. Malgrado il ferro nella gola, non accennava ad allentare la presa dall’arto sanguinolento. Robert cercò di divincolarsi ma la bestia tirava e tirava. La spalla emise uno strano strepitio. E un altro. E un altro ancora.
Poi il braccio si staccò.
Ci fu un fiotto di sangue, Robert urlò e mollò la spada conficcata nella Tigris. Si afferrò la spalla vuota. Finem perveniva.
La bestia ciancicò un poco il braccio e lo lasciò andare con uno scossone della testa. Si chinò di nuovo su di lui con la mascella aperta.
Una serie di passi schioccarono da dietro Robert. Si interruppero di colpo e l’aria vorticò sopra il cavaliere.
Rangero roteò tre volte verso la Tigris; estese una gamba e colpì la bestia dritta sul naso.
Ella guaì e si sollevò sulle zampe posteriori. Lo scudiero atterrò di fronte a Robert con un braccio alzato in diagonale, l’altro sul fianco e le gambe allargate in una V capovolta. «Ci penso io, mio signore, lei tenga duro!»
«Attentione Rangero, la Tigris!»
La creatura balzò su Rangero e con un morso gli staccò la testa.
Robert inorridì.
Il corpo del giovine si accasciò prima sulle ginocchia e poi in avanti, sulla pietra, spargendo sangue tutt’attorno. «No! Damnato felide Saladini! Vindi-»

Elena spalancò la porta. «Mattia stai urlando!»
«Non è vero mamma, stavo facendo piano!»
«Ti sentivamo dal salone, e comunque è ora di andare a letto, sù, corri a lavarti i denti.»
«Ok...» Mattia posò il cavaliere a terra, si tolse dalle gambe il vocabolario di latino e uscì dalla stanza imbronciato.
Non stava giocando al pc almeno.
Elena si chinò a terra. Una bella bolgia davvero.
Ma che stava combinando suo figlio?
Prese il mucchio di soldati di Star Wars e li buttò nella cesta dei giochi. C’era uno strano odore però.
«Hai bruciato qualcosa Mattì!?»
«Che?» gridò Mattia dal bagno.
«Dove sta l'accendino che ti avevo dato?»
«E che ne so, io!»
Si guardò intorno. Il modellino del cavaliere crociato, regalato a Mattia per il compleanno, giaceva a terra senza un braccio. Per fortuna era uno di quelli smontabili.
Gli riattaccò il pezzo con un click e lo posò sullo scaffale vicino alla barbie di Sofia e gli altri giocattoli più belli.
C’era anche uno dei Power Ranger in quel mucchio riversato sul pavimento, ma era stato decapitato ed Elena non riuscì a trovare la testa.
Prese il grosso dizionario italiano-latino.
Non aveva idea di come un bambino "giocasse" con un vocabolario. Ma almeno imparava qualcosa, forse.
Lo richiuse e lo infilò nello spazio trai volumi di storia sulla libreria.
Guardò il vecchio peluche della tigre sdraiato a terra. «Ti avevo detto di buttarlo questo dannato coso!»
Dall’altra stanza arrivò smorzata la voce di Mattia che si lavava i denti. «Cosha?»
«Tigrotto! È tutto sporco e non mi stupirei avesse anche gli acari!»
«Nho mamma, mhettilo a lavare!»
Lei sollevò il peluche con due dita. Aveva diversi punti anneriti. Era lui ad emanare quell’odoraccio di bruciato.
Dalla fauci imbottite gli cadde la testa del power ranger rosso.
Ecco dov’era.
La raccolse e la rimise al pupazzetto. Lo poggiò vicino agli altri sullo scaffale e uscì dalla stanza col peluche in mano. «Io lo butto, non me ne frega niente Mattì!»

Robert sentì il braccio e il fedele Rangero di nuovo al suo fianco.
Gratie Madonna per codesto miracolo!
Ma non poteva parlare né muoversi.
Dio non era più con lui.

Edited by Leonardo Pigneri - 8/8/2021, 11:18
 
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view post Posted on 29/7/2021, 10:35
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Eccomi! Scusate l'attesa. Direi che le nostre speranze sono state ben ripagate: con il mio pezzo dovremmo aver 'salvato' il contest!
Anche per me è la prima volta, ma siate più brutali che potete: mi aspetto palate sui denti ;)




SORCIO



20 maggio 2015, poco dopo l’ora di cena

“Budweiser, torna qui!”, Mario sorrideva guardando il suo compagno di vita scorrazzare libero tra l'erba. Budweiser era ormai anziano, il suo pelo crespo e bianco gli dava un’aria più trasandata, perfettamente aderente a quella del suo padrone. Mario estrasse il pacchetto morbido di Lucky Strike dalla tasca dei pantaloni macchiata di olio, si mise in bocca una sigaretta e pensò che prima di tornare a casa ne avrebbe dovuto comprare altre. "Vieni qui, vecchio birbante", Budweiser strusciava ora il muso sulla gamba del padrone che si chinò per dargli una poderosa carezza. Mario raccolse un bastoncino dal ciglio del sentiero e lo lanciò qualche metro più in là: "Corri leopardo, riportami il bastone", aggiunse accendendo la sigaretta e perdendosi nei suoi pensieri mentre il cagnolino correva nei campi. Quelle passeggiate serali in periferia lo rilassavano molto. Erano l'unico vero momento in cui riuscisse a godersi davvero il suo tempo. Le ciminiere facevano sembrare il sole malato, durante il giorno, ma la sera quello era certamente il posto più ameno che potesse raggiungere e Budweiser aveva bisogno di sgranchire un po’ le sue anziane zampette.
Oddio, ma cos’è quel vitello?, Mario vide in lontananza un cane di grossa taglia, un Rottweiler, gli era sembrato, scagliarsi come una furia contro il suo piccolo e vecchio bastardino. La sigaretta gli cadde dalla bocca e l’uomo corse immediatamente nella direzione dei due cani.
Un uomo ben vestito correva a sua volta verso gli animali. “Scappa Bud!”, Mario gridava spaventato con tutta l’aria che aveva in corpo. “Staccati Charlie!”, una voce stridula e preoccupata veniva dall’altro uomo. Il lamento di Budweiser, simile al pianto di un bambino, riempiva lo spazio tra le due urla.
Mario non ci pensò due volte e cercò di staccare i cani, ma la presa del Rottweiler era forte. Il secondo uomo si era fermato a qualche metro dal groviglio di corpi in lotta e seguitava a gridare: “Charlie, ti ho detto di staccarti! Mollalo!”. Mario aprì con le sue mani la bocca di Charlie. Fu allora che un dolore cieco e acuto gli rubò l’ultimo centimetro cubo di fiato che gli era rimasto. Il secondo uomo sferrò un potente calcio nella pancia del Rottweiler: “Torniamo a casa Charlie… Vieni, corri!”, gridò di nuovo balbettando.
Mario si sentiva svenire, indovinò appena le sagome scomposte del Rottweiler e del suo padrone correre lontano da loro, verso la città.
La sofferenza non era di certo mancata nella sua vita, ma un dolore fisico così profondo non lo aveva mai provato prima. Eppure, un secondo supplizio, ancor più straziante, lo stava per cogliere.
Budweiser giaceva morto, in una pozza di sangue, a pochi metri da lui.
Accanto al cadavere dell’animale, la sua mano sinistra.


14 dicembre 2016, colazione pre ufficio

" ...Dammi retta, quelli sono sorci, topi, e bisogna trattarli come tali: derattizzare!", l'avvocato Mattiotti proseguiva con le classiche invettive che accompagnavano le sue colazioni mentre il solito cameriere portava a lui e ai colleghi i cappuccini e le brioches ordinate . "Feccia umana, pesi sociali… Scusate un attimo" si era interrotto perché aveva sentito il cellulare vibrare nella ventiquattrore che teneva sotto la sedia. Il capo non lo chiamava mai la mattina presto e di lì a qualche minuto sarebbe stato in ufficio, doveva per forza essere accaduto qualcosa di grave.
"Buongiorno signor Belletti, mi dica… No, non ho ancora letto il giornale, perché?", l'avvocato aveva abbandonato il tavolo con aria preoccupata mentre i colleghi proseguivano tranquillamente la colazione. “Le giuro che non ho la più pallida idea di come sia potuto accadere, deve credermi… A nessuno! Non ho passato quelle informazioni a nessuno… Posso giurarlo su mia figlia… Va bene, va bene, arrivo quanto prima”.
Le urla furenti dell’avvocato Belletti, il socio dello studio legale Belletti & Ravasi per cui lavorava Mattiotti, si erano interrotte prima della fine della conversazione per lasciare spazio solo al periodico suono del telefono staccato.
Una volta tornato al tavolo tutti i colleghi notarono in lui un panico mai visto prima.
“Mi scusi, mi scusi, avrebbe una copia del Corriere della sera, per favore?” chiese l’avvocato al cameriere.
“Sei pallido, va tutto bene?”, Zaghi guardava il collega con aria perplessa. Fino a qualche momento prima quello che aveva davanti era il solito Mattiotti, pronto a darla addosso ai parassiti sociali, ma ora si ritrovava al tavolo un uomo turbato che non sembrava riuscire nemmeno a toccare la propria colazione.
“Un casino, è successo un casino cazzo”, gli rispose l’uomo sfogliando energicamente il giornale. Dopo aver girato le prime pagine con furia, si fermò su un trafiletto centrale e sgranò gli occhi. Non poteva crederci: il caso più grosso che lo studio Belletti & Ravasi avesse mai avuto in mano, quello che il capo gli aveva assegnato per riconoscergli finalmente le fatiche di quindici anni di duro e zelante lavoro, spiattellato con tanto di dati sensibili su una delle maggiori testate giornalistiche nazionali. “Ma come cazzo è possibile?”, Mattiotti sentiva il sangue pulsargli vigorosamente nel volto. Gli sembrava di avere un sasso in gola che non gli permettesse di deglutire. Si alzò di scatto, si mise il giornale sottobraccio e uscì frettolosamente dal bar senza salutare né pagare.
I colleghi si domandavano smarriti cosa fosse successo, era difficile che Antonio perdesse il controllo in quel modo.
I loro dubbi vennero fugati non appena il barista accese la televisione.
“Ma cosa gli è saltato in mente?”, chiese esterrefatta la più giovane dell’ufficio. “Io non posso credere abbia riferito lui queste informazioni: è un professionista!”, continuò il collega con cui Mattiotti aveva un rapporto più intimo. “E allora come te lo spieghi? Sicuro che Belletti gli fa il culo a strisce!”, fu l’intervento elegante di un terzo. “Ho l’impressione che domani ci sarà una scrivania vuota” concluse infine la giovane, appoggiando la tazza vuota sul piattino.


8 gennaio 2017, prima di andare a letto

“Alzati da quel maledetto divano!”, la signora Mattiotti sembrava un’oca inferocita: “Hai passato tutte le feste a deprimerti: devi reagire! Ormai sono trascorsi più di venti giorni da quando hai perso il lavoro e finora te l’ho concesso perchè c’erano di mezzo le feste, ma non penserai di rimanere a poltrire per il resto dei tuoi giorni. L’Antonio che ho sposato sa reagire alle cose, ti stai trasformando in un rifiuto umano!”. L’uomo giaceva affranto, una mano sugli occhi chiusi come gli esplodesse la testa. Un mugugno fu l’unica risposta che riuscì ad emettere. Una vita nel lusso a spese altrui, questo è l’unica cosa che sa fare questa serpe: spendere. E ora, eccola pronta ad accanirsi come una iena sulla carcassa di suo marito, quello che fino a un mese fa altro non era che una banca e ora si trasforma in un cadavere putrescente da insultare pensò sconsolato Mattiotti che non riusciva a riprendersi dalla fine tragica e scandalosa della sua brillante carriera.
“Senti, io ora preparo la spazzatura così domattina Maria la porta fuori, ma quando torno in salotto voglio ritrovare il promettente avvocato che ho sposato, non questo depresso fallito che occupa il divano da giorni, hai capito?”, infierì la donna.
“Comincia a dire a Maria che è meglio non venga più, a breve non potremo permetterci una donna delle pulizie!”, l’aveva sputata così Mattiotti, con un filo di voce, senza pensarci troppo.
“COSA?!” Emma, sua moglie, si era fatta paonazza.
“Ascoltami bene perché non ho intenzione di ripetermi: io sono una signora e non mi metto di certo a pulire casa. Ho accettato questo tuo stato d’animo da pezzente perchè capivo che la situazione non è rosea, ma vedi di riprenderti!”, quando ci si metteva, la signora Mattiotti era una vera belva.
Procedette a passo spedito fino alla camera di Alice, la figlioletta di soli sette anni. Antonio si mise due dita nelle orecchie per non sentire il fastidioso suono dei tacchi e i borbottii continui della moglie.
Dopo qualche istante la donna, mano nella mano con la figlia, era di nuovo davanti a lui.
“Dillo tu a papà cosa mi hai detto oggi, tesoro. Digli cosa pensi, come ti senti” Emma incalzava sadicamente la figlia. “...Mi sento triste”, singhiozzò la bambina. “Hai sentito, razza di stronzo? Sai perchè si sente triste? Perchè è una principessa con un papà che finge di essere un pezzente! E sai cosa è la conseguenza di sentirsi pezzenti? Che tutti ti trattano come tale… Guarda cosa ha regalato ad Alice quella stronza di tua sorella!” e, così dicendo, la signora Mattiotti iniziò a sventolare sotto il naso del marito un orsetto di peluche. “Dillo al papà, ti piace il regalo di Natale della zia Sonia?”, chiese fintamente amorevole alla figlia. “No, mi fa schifo!”, sbottò lei che mollò la presa della madre e scappò in camera da letto.
“Hai visto cosa stai facendo a me e a tua figlia? Te ne rendi conto? Persino tua sorella ci prende per il culo. L’ho sempre saputo che era una stronza, ma regalare un peluche tanto dozzinale a tua nipote è proprio da persone infime. Con quella storia che l’ha comprato per beneficenza poi. Ma tienitelo tu il peluche per salvare i bambini africani, no? Non darlo a tua nipote. E tu cosa le hai detto? Antonio: rispondimi!”.
Mattiotti era sfinito, esausto: “Hai ragione amore, domani chiamo un paio di studi legali. E sì, Sonia è stata una stronza, quel peluche fa cagare! Domani chiamo anche lei e mi faccio sentire. Ora, ti prego, lasciami riposare. Domani sarò un uomo nuovo, ma non ora”.
“Me lo prometti?” chiese Emma con tono militaresco.
“Te lo prometto, amore mio” rispose Antonio che dentro di sè si chiedeva quando esattamente quella specie di strega fosse riuscita a metterlo in trappola.
“Va bene, ma guarda che il mio è un ultimatum!” concluse Emma appoggiando il pupazzetto dentro il sacco dell’immondizia che Maria avrebbe portato in strada la mattina seguente.


3 novembre 2017, dopo la messa

“Vi dico che parlano di Lexotan ma anche di marijuana e, a pensarci bene, non mi suona così impossibile…”, Teresa, la perpetua, confidava al crocchio di signore gli ultimi gossip della parrocchia.
“Da quando il marito ha perso il lavoro è strana, lo dicono anche i ragazzi del catechismo”, aggiunse preoccupata suor Assunta.
“ ...Sì, la mia Laura mi ha detto che spesso li sgrida senza alcun motivo”, la signora Lucia, una delle più anziane frequentatrici della Chiesa di San Giorgio, corroborò la tesi della Sorella.
“Io non escluderei che sia lui a usare tutti quegli psicofarmaci… Alla fine è stata una bella batosta! Per quanto riguarda la droga, poi, non metterei la mano sul fuoco che non ne facesse uso anche prima”, persino don Andrea, che si era appena unito al piccolo gruppo di fedeli, aveva provato a dire la sua.
“Voi avete idea di chi può essere stato ad appendere quei cartelli per tutto l’oratorio e il comune?”, aveva poi aggiunto la signora Lucia che sembrava nutrire comunque qualche riserva circa l’effettiva veridicità delle voci che ormai circolavano da un paio di giorni nel quartiere.
Emma Mattiotti era una donna molto attiva nella comunità e lo scandalo che aveva colpito lo studio legale in cui lavorava il marito e il suo conseguente licenziamento non avevano apparentemente scalfito la sua voglia di essere protagonista della vita cittadina. Assessore alle politiche giovanili, catechista da una dozzina di anni, Emma Mattiotti rappresentava per molti la madre di buona famiglia attiva nella società.
“Sapete, il mondo è pieno di invidiosi, potrebbero anche essere voci… Però non so se è il caso che continui, voglio dire, ad occuparsi dei nostri ragazzi. In fondo ormai le voci avranno raggiunto anche loro”, aveva proseguito il parroco, zittendosi immediatamente.
“Buongiorno Signora Mattiotti!” aveva infatti esclamato all’improvviso Teresa, cercando di salvare le apparenze.
“Buongiorno a tutti!” aveva risposto, frettolosa, Emma che, piangendo, stava tornando verso casa.


20 maggio 2018, poco dopo l’ora di cena

Come ogni sera da due anni e mezzo l’aria in casa Mattiotti era tesa. “Ho detto che voglio il nuovo iPhone… Anche Serena ce l’ha! Io sono l’unica sfigata che ha ancora il modello vecchio!”, Alice singhiozzava come avrebbe fatto una bambina decisamente più piccola di lei. “Amore mio, principessa della mamma, non devi paragonarti a Serena, lei è una bambina più sfortunata di te… Lo sai che lavoro fanno i suoi genitori? I panettieri. Credimi tesoro, dovrà tenersi quel telefono almeno fino alla prima media!”, la consolò con voce affettata Emma. “Il mondo alla rovescia, il mondo alla rovescia: da quando hai perso il lavoro le nostre vite stanno andando a rotoli… Io non” stava continuando quando Antonio la interruppe: “Ora basta Emma, mi hai davvero rotto le palle!”. “Antonio… c’è la bambina”, rispose la moglie esterrefatta. “Non me ne frega niente! In questa casa non si può più vivere… Come se non fosse abbastanza il posto di merda in cui sono finito a lavorare. Ma tu lo sai che ogni mattina vado al bar degli operai… Mangio con gli operai, hai capito? Io che sono avvocato!”, mentre le rispondeva, qualcosa nel viso di Antonio stava cambiando. Alice continuava a frignare. Osservava impaurita le vene del collo di suo padre che si gonfiavano sempre più, sembrava fossero pronte a esplodere quando, all’improvviso, si spense la luce.
“A-Antonio… C-cosa è successo?” chiese Emma impaurita.
“Aiuto, ho paura!”, squittì Alice stringendosi alla mamma.
“State tranquille”, proseguì Antonio con una voce nuovamente ferma: “Sarà uscita la corrente… Vado a vedere”.
Così dicendo, l’avvocato Antonio Mattiotti abbandonò la sala.
La casa era ormai pregna di buio e inquietudine. Il litigio di qualche momento prima aveva agitato gli animi più del dovuto e un senso di angoscia opprimente aleggiava in tutta l’abitazione.
Alice era già piuttosto preoccupata quando qualcosa di molle le si strusciò sulla caviglia: “Oddio!”, gridò spaventata, stringendo forte la mano della madre fino a conficcarle le unghie nella carne. “Ahia! Attenta, cosa fai?!”, le urlò di rimando Emma. “Mamma, qualcosa di strano mi ha sfiorato…” continuò la bambina piangendo. “Ma finiscila, Alice, ti stai facendo solo suggestionare!”, la rincuorò seccata la madre. “No, te lo giuro… Non me lo sto inventando!” proseguì Alice, “Ti prego andiamo via da qui!”. “Ma dove vuoi andare? Tutta la casa è al buio, sono sicura che ora il papi sistemerà le cose, stai tranquilla amore… Anzi, adesso sai cosa faccio? Tocco il pavimento vicino a te così ti dimostro che non c’è niente di cui avere paura, ok principessa?” e così dicendo Emma iniziò a tastare il pavimento.
“Hai visto amore che non c’è n… E questo cos’è?”, disse con estremo stupore sollevando qualcosa di soffice dal pavimento. Fu in quel momento che un rumore, come il vagito di un neonato, fuoriuscì dalla cosa che Emma stava sollevando. La donna sentì un corpo viscido accarezzarle il braccio. Un urlo acutissimo le uscì dalla bocca e un topo si lanciò fuori da ciò che teneva in mano, finendo per terra.
“Oddio, oddio, oddio!”, Emma iperventilava mentre Alice piangeva disperata. Entrambe salirono sul tavolo. Senza accorgersene, la donna stringeva l’oggetto che poco prima era sul pavimento. Un filo di luce proveniente da una macchina di passaggio appena fuori dalla finestra lo illuminò. “Mamma,” sussurrò Alice con voce tremante, “quella cosa che hai in mano… è… è… il peluche di zia Sonia!”.

Antonio non capiva proprio cosa stesse accadendo. Decise allora di tornare dalle sue ragazze per tranquillizzarle e prendere una torcia. Salì le scale a carponi per evitare di cadere, una volta entrato nel salone si diresse verso una cassettiera in cui sapeva di poter trovare la torcia. Aprì il primo cassetto, quando sentì qualcosa di strano al tatto: sembrava carne. Provò un forte disgusto ma presto un terrore acuto lo distrasse dall’esperienza tattile appena vissuta: alcuni topi iniziarono a zampettargli sui piedi. “Ma che cazzo” gridò nel panico più totale.
“È una mano”, una voce sicura, cavernosa e tranquilla proveniva dal divano. Il rumore di un accendino ruppe il continuo squittire dei topi che avevano ormai invaso la casa. Emma e Alice si stringevano in piedi sul tavolo, ma i roditori le avevano raggiunte anche lì. Le due erano pietrificate in un abbraccio. Antonio, schiena contro il muro, guardava in direzione del divano senza vedere niente. Una veloce fiammata illuminò il volto dell’uomo che stava seduto sul divano, prima di accendere la sigaretta che stringeva tra i denti. Lo sconosciuto ispirò profondamente il fumo e lo espirò con lentezza. Poi, con un movimento unico e curato, accese con lo stesso accendino la candela che aveva adagiato precedentemente sul tavolino di cristallo davanti a sè. L’alone di luce fioca non era sufficiente a definire i lineamenti dell’estraneo, ma era bastata a illuminare la pistola adagiata accanto alla sua gamba destra: un revolver calibro 22.
I tre ora potevano vederlo, ma nessuno osava parlare. Solo Alice non riusciva a trattenere i singhiozzi.
“Quella che c’è nel cassetto, dico, è una mano. La mia mano sinistra, per l’esattezza. Conservata in formaldeide per tre lunghi anni”, continuò con tono pacato, inalando nuovamente fumo. “Direi che si è conservata bene, ma credo che ora i topi la rosicchieranno un po’... Sorci, topi… bisogna derattizzare”. Lo sconosciuto pronunciò quest’ultima frase come se stesse facendo il verso a qualcuno, imitando una voce non sua. “Non diceva così, lei, avvocato Mattiotti, ai suoi colleghi, la mattina che è stato licenziato? Sorci… topi… E ora casa sua è invasa dai topi, pensi un po’: a volte la vita è davvero buffa!”, Antonio Mattiotti era confuso, una galassia di pensieri gli riempivano la testa. “Oddio, ma lei chi è?”, urlò starnazzante Emma. “Aspetti, signora. Ogni cosa a suo tempo… mi lasci finire. Tutto quello che dovete fare ora è ascoltarmi. Ho io i vostri cellulari e, credetemi, non perdete tempo a inventare soluzioni creative per avvisare i vicini o la polizia: non vi conviene”, spense la sigaretta sul tavolo e accarezzò la pistola. Antonio deglutì.
L’uomo estrasse una lattina da una borsa che teneva vicino ai piedi. Mentre l’apriva proseguì: “È una Budweiser sapete? Una birra: la mia birra preferita. Viene dalla Repubblica Ceca, ottanta centesimi a lattina”, si interruppe per sorseggiare un po’ di birra. “Ahhh, che buona!” continuò pulendosi le labbra con la lurida manica della camicia. “Torniamo a noi. Budweiser. Sai anche chi si chiamava così, avvocato Mattiotti?”, chiese senza guardare l’uomo che tremava cercando di tenersi più lontano possibile dai topi. “Il mio cagnolino”, fu in quel momento che accadde. Mattiotti sentì un tonfo profondo, non nella stanza: in un luogo dentro di sè che aveva scordato di avere. Fu solo allora che collegò i punti. No, quel pazzo schizzato che se ne stava seduto sul suo divano, sorseggiando birra dopo aver liberato una miriade di topi, non era un estraneo, bensì l’uomo che aveva incontrato tre anni prima quando il suo cane, che aveva poi fatto sopprimere, ne aveva attaccato un altro uccidendolo. Una sensazione di freddo glaciale si estese in ogni cellula del suo corpo. Provò invano a bofonchiare qualcosa. “Taci!”, ruggì Mario, “Non serve tu dica niente. Non c’è proprio niente da dire… Budweiser era quanto di più caro avessi al mondo, anche più caro della mia mano sinistra, quella che Charlie mi ha praticamente staccato a morsi. Comunque non ce l’ho mai avuta con Charlie. Lui è solo un cane, risponde all’istinto. Ma tu… Tu te ne sei andato a gambe levate”. Il continuo rosicchiare dei topi era tanto forte che Mario doveva sforzarsi quasi di gridare. Emma e Alice piangevano incessantemente. “Sono rimasto solo, più solo che mai e se ho toccato il fondo dell’abisso, questo mi ha anche permesso di portare a termine il mio intento. La cosa positiva dell’essere invisibili, perché quelli come me, per quelli come te, lo sono sempre, è che nessuno ti nota mai… Per questo è stato facile pedinarti. Essere abitudinari ha anche i suoi contro, signor Mattiotti. La gente come voi, sapete, sottovaluta un bel po’ di cose. La spazzatura, per esempio. Alcuni documenti vanno bruciati, Mattiotti, non strappati e buttati via. Non che sia frequente, ma bisogna considerare la rara ma possibile ipotesi che un folle perda tempo a ‘rimettere insieme i pezzi’. E si sa mai che non usi quanto trova per rovinarti la vita. Lo stesso vale per i vizi o le debolezze. Sai, non è poi così difficile capire se qualcuno si fuma le canne o ha bisogno di un aiutino psicologico”. Una risatina strozzata interruppe momentaneamente il monologo dell’uomo che si accese un’altra sigaretta. Poi proseguì: “Sai come mi chiamano nel mio quartiere? Il sorcio. Buffo, vero? È da gente come te che viene questo nomignolo… Gente totalmente sprezzante nei confronti della vita altrui. Ma ogni cosa ha il suo prezzo, avvocato. Bisogna stare attenti a quel che si butta via. Tra le cose buttate, vicino alle pattumiere, ci sono i topi… Eppure, pensa: è da quel nomignolo infame che mi è venuta l’idea per il GRAN FINALE… Perchè questo è il GRAN FINALE, sai?” così dicendo, aprì l’ultima gabbia che aveva portato con sè e un’altra decina di topi si disperse per la casa.
Ora piangeva anche Antonio implorando pietà.


23 maggio 2018, su una nota testata giornalistica

Quarantotto ore con i topi


Due giorni d’inferno per l’avvocato Mattiotti, precedentemente coinvolto in uno scandalo legale, e la sua famiglia. Nessuna notizia del rapitore


Una vita nell'ombra quella di Mario Battisti, 58 anni, netturbino, di cui non si hanno più tracce. Molto meno quella di Antonio Mattiotti, divenuto tristemente noto a causa di uno scandalo professionale. L’ex collaboratore del celeberrimo studio legale Belletti & Ravasi è stato sequestrato insieme alla moglie Emma e alla figlia Alice, per quarantotto ore nella sua stessa abitazione. Ma le disavventure della famiglia, i cui membri sotto shock sono in osservazione presso l'ospedale Santi Pietro e Paolo, non sono finite qui. Sembra la trama di un film dell'orrore, ma Battisti, dopo aver completamente isolato l'abitazione, vi ha introdotto diverse decine di topi. I roditori hanno completamente devastato l'abitazione e morso ripetutamente gli inquilini. Secondo alcune indiscrezioni, sembra che Battisti, sfruttando la sua professione, abbia avuto un ruolo attivo nello scandalo che vide protagonista Mattiotti e nelle voci diffamatorie sulla di lui moglie. Battisti, infatti, era ossessionato dall'avvocato e ha pianificato ogni mossa studiando dettagliatamente quanto trovato nella spazzatura della famiglia e, probabilmente, pedinandolo spesso.
Per ora non si hanno tracce dell’uomo, ma la scientifica sta analizzando quanto Battisti ha lasciato in casa Mattiotti prima di scappare: una cassa di birre finite e un biglietto con la scritta A Budweiser, che corre felice nei campi.


 
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view post Posted on 29/7/2021, 14:47
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Buongiorno a tutti!

Ecco a voi l'ennesima novellina del contest!

Questo è il primo racconto che rendo pubblico.
Inoltre non sono pratica nemmeno di forum quindi fatemi sapere se sto combinandone una delle mie.

Grazie in anticipo e buon lavoro!



Origine



origine
/o·rì·gi·ne/
sostantivo femminile
1. Il costituirsi iniziale di un fatto o fenomeno suscettibile di continuazione o di sviluppo nel tempo.


— Dai Tommy fagli vedere quello che ti ho insegnato!
Dal bancone del bar papà mi sorride.
Anche i suoi amici mi sorridono e annuiscono. Pastroni mima il gesto di una fionda e Mike mostra la lingua rossa e cicciona in una brutta smorfia tutta rugosa.
Faccio una boccaccia anch’io, la migliore, quella con gli occhi incrociati e la lingua di fuori.
Mi piace Mike, è uno forte.
— Dai Tommy che ce la fai! — papi grida e batte le mani.
Bene.
Mi giro e tiro fuori la fionda dalla tasca dietro dei jeans. Raccolgo un sasso dall’aiuola, quello più grosso.
Il gatto è acciambellato sul marciapiedi, si lecca il buco del culo.
Stupido animale, sei mio.
Mi concentro, socchiudo gli occhi.
Il petto si riempie di energia calda, le mani prendono la mira da sole.
Tiro.
Toc!
L’ho preso in faccia! Grande!
Il gatto si arriccia su sé stesso, con un balzo si rimette sulle quattro zampe e corre via ad una velocità supersonica.
Mentre si allontana fa un verso acutissimo, proprio come nei cartoni animati.
— Avete visto? — mi giro verso il bar e papà gonfia il petto, batte la spalla a Pastroni.
Si gira verso di me, mi guarda serio, solleva piano il braccio e fa il gesto di spararmi con le dita.
Colpito!
Salto all’indietro sull’asfalto duro e butto le braccia sopra la testa.
Colpito, colpito, colpito!
— Moira fai un altro giro che lo pago io in onore di mio figlio.
Sono stato bravo cazzo! Dritto nel muso l’ho beccato! Che eccitante!
E come scappava! Sembrava uno di quei gatti peluche che gli sporchi vucumprà vendono al lungomare.
Che ridere quei gatti saltellanti, peccato che a venderli siano quei negri schifosi o potrei anche comprarne qualcuno qualche volta.
Papi mi fa segno con la mano di avvicinarmi.
Faccio lo scalino ed entro nel bar, il pavimento lucido stride sotto le scarpe da tennis nuovissimissime.
C’è puzza di sigarette e di birra.
Che fico sarà un giorno iniziare a fumare! Mi viene la pelle d’oca dall’emozione!
Papà distribuisce ai suoi amici i grossi boccali pieni di birra dorata. Sembra una pozione magica, e loro i maghi panciuti pronti a fare le loro. . . le loro stupide magie!
Chissà se . . .
— Papi? — cerco di farmi sentire ma le loro risate sono profonde e mi rimbombano nella testa.
— Papi!
— Cosa c’è?
Mi faccio avanti e punto il dito verso il bicchiere.
— Me ne dai un goccio?
Esplodono tutti e tre in una risata gigantesca, spaventosa.
Pastroni mi da una spinta e mi fa quasi cadere.
— E bravo Tommy!
Papà mi fissa da dietro il boccale. Sogghigna, gli vedo il dente argentato.
— Basta che non lo dici a quella stronza di tua madre va bene?
— E secondo te io gli racconto qualcosa a quella stronza?
Fa cenno di sì con la testa.
Porco cazzo!
Mi porge il boccale, l’odore acido della birra mi travolge.
La lingua mi esce spontaneamente dalla bocca, fa venire così voglia!
Afferro ben stretto il bicchiere con entrambe le mani, non lo voglio far scivolare.
Pesa! È freddo!
Deglutisco a fatica. Il caldo nel petto mi arriva fino alla faccia.
Metto bene le labbra a beccuccio e le appoggio sul bordo di vetro.
La birra mi scivola subito in bocca.
È deliziosa. . . amara. . . frizzante. . . dolce. . . forte. . . è così buona e dissetante e. . .
Papà afferra il boccale e me lo strappa di bocca.
— Hey!
— Vacci piano con il primo sorso della vita ragazzino. — ride lui.
— Tale padre e tale figlio eh? — Mike si afferra i coglioni nei jeans e gli dà due strattoni.
Ridono tutti.
Rido anche io, di gusto. Una risata che viene dalla pancia tutta ingarbugliata per la birra.
— Moira hai visto mio figlio?
La signora sta sistemando delle carte in fondo al bancone. Fa un gesto con la mano ma non solleva la testa.
— Hey Moira ma con quelle tette li vedi gli ordini sul banco sì? -
Quella li manda affanculo scocciata.
Le risate esplodono con ancora più forza, mi sento travolto da una valanga di allegria.
Sarà la birra?
Ho bevuto la birra!
Che forza passare i pomeriggi con papà!
Mi viene da ridere e rido.
Rido.
Rido più che posso.

...


Scendo dall’auto e sollevo di sbieco la testa, cercando di vedere attraverso la pioggia fitta.
Sputo sul cemento bagnato, la collina oltre la strada è fradicia, un misto di fango ed erba.
M'incammino controvoglia, la pioggia fredda m’inzuppa come uno stronzo in un istante.
Gli scarponi affondano nel terreno molle, la salita è ripida.
Arrivo in cima e cerco la tomba.
Ezio Del Negro.
Eccola.
Faccio due passi nel pantano e sono di fronte a una piccola lapide rettangolare in pietra grigia.

‘Ezio del Negro
1955 – 2021
Amato marito e padre’


Non sento niente.
Né dispiacere, né rabbia.
Solo la pioggia gelata, che viene giù come una cascata.
— Fanculo.
Scendo veloce la collina e arrivo alla macchina ma Jamila non c’è, deve essere ancora nel supermercato.
Attraverso la strada di corsa e raggiungo l’androne di un negozio di scarpe.
‘Kellar’ recita l’insegna brillante e la vetrina è tutta manichini fluorescenti.
Le scarpe sembrano quelle ortopediche.
Che merda si mettono addosso oggi.
Un barbone è seduto nell’angolo, al riparo dalla pioggia.
Tiene sulle gambe una coperta sudicia di pile su cui è adagiato un pulcioso cane nero.
Il vecchio ha la barba lunga, grigia e gialla e la pelle affumicata dal sole. La faccia è ridotta a un grumo di rughe.
Mi avvicino.
Lui mi nota, il cane si mette subito seduto, con le zampe davanti ben dritte, le orecchie tese.
— Buongiorno. — mi dice lui.
— Non tanto buongiorno. — alzo gli occhi al cielo.
Lui fa spallucce.
Già, che ci vuoi fare.
— Viene a trovare qualcuno signore? - il barbone indica il cimitero.
— Mio padre.
Il cane si rimette a cuccia tra le gambe del padrone. Fa uno sbuffo annoiato.
— Mi spiace signore.
— Non importa, non eravamo molto legati.
Oltre l’arco in pietra del negozio la pioggia non dà un attimo di tregua.
— Un cancro?
— Quasi. Cirrosi. Era un alcolizzato.
— Oh. Di solito è sempre cancro. — abbassa la testa e accarezza con la mano pesante la testolina del cane.
La bestiolina stiracchia le zampette di dietro e sbuffa di nuovo.
— Come si chiama?
Lui solleva lo sguardo. Gli occhi neri profondi e giganteschi mi fissano tristi.
— Osvaldo. Era il nome di mio padre signore. Un drogato, proprio come me, proprio come me signore. -
Sorride con una bocca sdentata che sembra un antro scuro in cui si muove un biscio rosa e carnoso.
Continua a bisbigliare ma io non lo capisco, alza l’indice in aria e prende ad ammonire la pioggia battente.
Una donna cammina sotto un ombrello nero.
Tiene una busta della spesa.
È Jamila.
Faccio un fischio e un cenno di saluto col braccio.
Lei arriva di corsa.
— Amore mio! — si getta tra le mie braccia, il suo profumo sa di talco e spezie.
Mi stampa un bacio dolce e morbido sulle labbra.
La sua bellezza mi sorprende ogni volta.
— Hai finito con le tue spese?
Lei mette un adorabile broncio.
— Non avevano i miei cereali!
— Come? Non avevano i cereali Twinky?
Scuote la testa come una bambina.
— Tu invece, com’è andata al cimitero? — mi prende la mano e la stringe forte.
— Bene. Non era più mio padre da tanti anni.
Lei mi accarezza il viso, sorride con tenero affetto.
— Tu non hai proprio niente a che fare con lui.
Già.
Le do un bacio sincero, premo forte le bocca, la ringrazio come posso di tutto quell’amore che mi trasmette ogni giorno.
— Allora amore mio se hai fatto possiamo andare. Ho comprato la cena e ho in mente un ragù vegano che non hai mai mangiato in vita tua. -
Saltella e si agita.
Lei è il mio premio.
— Si un attimo. — prendo il portafogli dal giubbino e tiro fuori un paio di banconote — Tieni amico. — mi chino verso l’uomo e gli porgo i soldi.
Il cagnolino annusa le nostre mani e approva. Si fa accarezzare sulla testa ispida. È un bel vecchiotto, un buon compagno, il migliore forse.
— Grazie signore! Grazie! È bella sua moglie signore, anche io avevo una moglie senegalese signore ma la droga me l’ha portata via signore. Tanti anni fa signore. Sono belle le donne senegalesi, le migliori! -
Jamila scoppia a ridere di gusto.
— Come ha fatto a indovinare?
— Sono le migliori signorina! Le donne senegalesi sono le migliori, una donna senegalese si vede lontano chilometri signorina, le origini non si possono tradire, mai. Siamo quello che siamo signorina, non si può cambiare! Non si può cambiare! -
Lei mi prende il braccio e mi porta via. La pioggia ci bagna ma lei non apre l’ombrello.
— Non sempre amore mio, non sempre.

Edited by Rebeca Buendia - 4/8/2021, 17:12
 
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view post Posted on 29/7/2021, 14:59
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Visto? :) Bisogna avere fede..
 
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Ciao, Rebecca e benvenuta tra noi. Sono sicuro che troverai quello che cerchi qui sulla Telanera e non preoccuparti degli errori: se hai un dubbio basta chiedere a noi moderatori.

A tal proposito, perché non fai una tua piccola presentazione nel thread apposito? Così tutti potremo darti il nostro benvenuto
 
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Come funziona la proroga? Non ho trovato nulla a riguardo nel regolamento...
 
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CITAZIONE (Giacomo Puca @ 31/7/2021, 17:33) 
Come funziona la proroga? Non ho trovato nulla a riguardo nel regolamento...

Basta che la chiedi ufficialmente al buon pretoriano, anche con un post qui. Se nessuno si pronuncia contrario viene concessa (almeno questa è la procedura seguita durante la scorsa edizione :)
 
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CITAZIONE (MentisKarakorum @ 31/7/2021, 18:04) 
CITAZIONE (Giacomo Puca @ 31/7/2021, 17:33) 
Come funziona la proroga? Non ho trovato nulla a riguardo nel regolamento...

Basta che la chiedi ufficialmente al buon pretoriano, anche con un post qui. Se nessuno si pronuncia contrario viene concessa (almeno questa è la procedura seguita durante la scorsa edizione :)

Sì. Corretto. È una regola non scritta. Fai richiesta e poi vale il chi tace acconsente
 
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QUOTE (MentisKarakorum @ 31/7/2021, 18:04)
QUOTE (Giacomo Puca @ 31/7/2021, 17:33) 
Come funziona la proroga? Non ho trovato nulla a riguardo nel regolamento...

Basta che la chiedi ufficialmente al buon pretoriano, anche con un post qui. Se nessuno si pronuncia contrario viene concessa (almeno questa è la procedura seguita durante la scorsa edizione :)

QUOTE (Nazareno Marzetti @ 31/7/2021, 18:18)
QUOTE (MentisKarakorum @ 31/7/2021, 18:04) 
Basta che la chiedi ufficialmente al buon pretoriano, anche con un post qui. Se nessuno si pronuncia contrario viene concessa (almeno questa è la procedura seguita durante la scorsa edizione :)

Sì. Corretto. È una regola non scritta. Fai richiesta e poi vale il chi tace acconsente

Grazie! Mi piacerebbe più che altro capire quanti giorni "vale" la proroga, quali penalità comporta... Scusate lo so che è un comportamento poco educato, visto in special modo che non ho mai partecipato. Purtroppo è un periodo complicato e volevo capire se ci fossero ancora gli estremi per partecipare ;)
 
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view post Posted on 31/7/2021, 17:23
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Di solito si concede una settimana dato che il termine per postare i commenti non viene spostato e quindi la proroga va a mangiare quei giorni.

Dimenticavo: nessuna penalità.
 
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