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Skannatoio Settembre - Ottobre 2021, Going postal!

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MentisKarakorum
view post Posted on 27/9/2021, 19:56 by: MentisKarakorum
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Già che ci sono, anche se manca ancora qualche giorno, ne approfitto per postare il mio racconto. Premetto che stavolta ho voluto "osare" un po' di più e tentare di rendere dei dialoghi in dialetto veneto, nella variante triestina, lingua che non padroneggio ma con cui ho avuto a che fare.
Penso che le frasi si capiscano, anche se appunto hanno una cadenza veneta. C'è magari una sola espressione che può trarre in inganno, e che vado ora a spiegare: in triestino, sburtar radicio significa letteralmente spingere il radicchio, ovvero star sottoterra: morire.
Fatta questa doverosa premessa, ecco il racconto. Spero vi diverta, e che non sia troppo ostico.. grazie a tutti in anticipo per la lettura e il commento che ne farete.
Ambisco a tutti i bonus!

Il Micio Merlino



Al suono del citofono Fabio si precipitò all’ingresso. «S-sì?»
«Avvocato Pier Giuliano Democrito. Abbiamo un appuntamento.»
Le dita di Fabio devastarono il tasti, fino a quando il clangore della porta al pian terreno confermò che il visitatore aveva accesso alla rampa di scale. «S-salga fino all’attico.» Spalancò la porta del suo appartamento, si riassettò la T-shirt ricoperta di peli di gatto e attese col cuore che gli martellava in petto.
Democrito fece presto capolino sul pianerottolo immerso nell'ombra. Una volta entrato in casa, Fabio osservò la grossa borsa di cuoio che trascinava a fatica.
L'avvocato arricciò le narici. «Che strano odore.»
Fabio si strinse nelle spalle, raggiunse la finestra più vicina e armeggiò con la vecchia maniglia d’ottone. «Sa com’è. I gatti.» Sorrise. «All’odore ci si abitua fino a non sentirlo più.»
Dalla finestra aperta entrò un po’ d’aria fresca, l’avvocato si avvicinò e inspirò a pieni polmoni. «Dovrebbe tenerla spalancata più spesso.»
«Appena vedono una finestra aperta, i gatti vanno per i tetti e…» si infilò una mano nella zazzera spettinata «a me non piace.»
L’avvocato trasse dei documenti da una cartellina e li posò sul tavolo. «Danno molte noie, questi animali.»
«Alle persone che li amano, regalano anche molta gioia.»
Democrito non fece una grinza. «Sarà che io preferisco i cani.» Diresse verso Fabio dei glaciali occhi grigi. «Così come gli eredi della contessa Grignani.» Sorrise. «E questo è un bene, per lei.»
Qualcosa si strisciò contro il calcagno di Fabio. Abbassò lo sguardo: un gatto tigrato si era infilato nello spazio del pavimento tra i loro piedi e fissava rapito gli intricati lacci delle scarpe di marca di Democrito. Fabio lo prese in braccio.
L’avvocato sollevò un labbro, si allontanò di un passo e scartabellò con più furore. «Le riassumo per sommi capi il contratto.» Si schiarì la gola. «Lei si prende l’onere di accudire il gatto chiamato Merlino, appartenuto alla defunta contessa Maria Addolorata Grignani. Come da ultime volontà della contessa, viene immediatamente versata la somma di duemila euro alla società Gattile di Ulthar snc, che in più riceverà anche seimila euro a cadenza annuale. Gli eredi della contessa si impegnano a rimborsare le spese di mantenimento del gatto Merlino, nonché le eventuali cure veterinarie, vita natural durante.» Girò pagina. «Il contratto viene a decadere in caso di inadempienza agli obblighi che la società Gattile di Ulthar snc si è fatta carico nei confronti del gatto Merlino, oppure alla morte dell’animale stesso.» L’avvocato scoprì i denti e lo fissò dritto negli occhi. «Sia chiaro che lo studio legale che rappresento invierà regolarmente dei veterinari per verificare lo stato di salute del gatto e, mi creda» il ghigno si allargò «i veterinari che invieremo non saranno affabili come lo sono io.»
Fabio deglutì.
Democrito estrasse una penna dal taschino e gliela porse. «Firmi dove indicato dall’adesivo giallo.»
Lui lasciò andare il gatto che teneva in braccio, scorse col dito le pagine del contratto e firmò.
«Ora, Merlino è suo.» L’avvocato slacciò la borsa di cuoio: una massa di pelo sorretta da quattro tronchi d’albero saltò immediatamente fuori, il pavimento di parquet tremò come in preda al panico.
Fabio strabuzzò gli occhi. Merlino era enorme, il pelo foltissimo in ogni parte del corpo, fatta eccezione per il muso schiacciato, tipico dei persiani. La voce di Democrito lo costrinse ad alzare lo sguardo. «Ora, se non le dispiace, il mio lavoro è finito.»
«N-non, posso offrirle un caffè?»
L'avvocato marciò verso l'uscita, i tacchi firmati risuonarono sul pavimento, legno su legno. «No, grazie. Al sol pensiero mangiare o bere con l’odore dei gatti… Be’, ha capito.» Si fermò sulla soglia. «Si tenga la borsa, è probabile che ci abbia fatto dentro i suoi bisogni.»

«Julia, è arrivato!» Fabio sorrise davanti allo spioncino della porta. La ragazza aprì, lo fissò da capo a piedi e storse le labbra voluttuose in un moto di disgusto. «Che vuoi?»
La vista di Julia lo metteva sempre su di giri: alta, bruna, pelle color cioccolato sul punto di sciogliersi. «Il gatto della contessa, me l’hanno portato. Vuoi venire a vederlo?»
Le sopracciglia a gabbiano ebbero un sussulto. «Va bene, pochi minuti che devo andarre a la palestrra che oggi ho il turrno al mattino.» Mosse il palmo aperto a indicare le scale. «Vai prrima tu, che so che mi guarrdi el culo quando salgo.» Le sue labbra si stirarono in un sorriso malizioso.
Il cuore di Fabio schizzava fuori dal petto: annuì, si girò di scatto e macinò i gradini a velocità supersonica. «Sono molto contento, sai, è un grande giorno per il mio gattile.»
Nessuna risposta.
Appena la ragazza arrivò all’attico, Fabio le fece strada. Merlino era ancora seduto sul pavimento, osservato da due gatti che si tenevano a debita distanza. La brezza che entrava dalla finestra aperta aveva sparpagliato i documenti sul tavolo. Fabio la chiuse e si girò a fissare Julia. Lei si era accovacciata a terra, il davanzale le sporgeva in avanti e il gatto premeva il muso tra le bocce, le sue fusa parevano il rombo di un terremoto.
Fabio fece un fischio. «Gli piaci.»
Julia rise e accarezzò il gattone tra le orecchie. «Anche trroppo, dirrei.»
Fabio si leccò le labbra. «Sai, non smetterò mai di ringraziarti per avermi fatto conoscere la contessa. Grazie a te il gattile potrà accogliere più gatti e —»
«Insomma ti hanno sganciato un po’ di dinero. Meglio se in palestrra non dico niente, sennò mi prrendono tutti perr el culo. Quella è l’ultima vecchia che ti mando, ok?»
Fabio si mise sull’attenti. «Per ringraziarti, potrei dividere con te un po’ di soldi, e in cambio potresti…» Lo stomaco gli stava per esplodere «venire a cena con me?»
Julia e Merlino diressero verso di lui quattro occhi felini. «Cabron! Per chi mi hai prreso? Perr una puta?»
«S-scusa, lasciamo stare i soldi, volevo solo dire che…» Si piegò a fissarsi i piedi «Vorrei uscire insieme a te.» Deglutì. «S-sai, un appuntamento...»
Lei non rispose, si alzò e fece ondeggiare le sue forme fino alla porta. «Devo andarre in palestrra, ma più tarrdi ti porrto Prrincesa, perrché vado in Dominica perr un mes.»
«Ah sì? Vai a trovare la tua famiglia per l’estate?»
«Sì. Quando torrno, forrse, mi potrrai offrrirre una cena di pescado.» Gli puntò addosso un’aguzza unghia laccata. «Forrse»
Lui si illuminò d’immenso. «Vedrai come te la tratto bene la Princesa, quando tornerai la troverai pulita e pettinata, ovviamente tutto gratis!»
Julia gli fece l’occhiolino. «Guarda che la mia micia non serrve pettinarrla, porqué es liscia come el petalo di una rrosa.» Lui si paralizzò, lei sbuffò e scoprì i denti bianchissimi. «Non farre il puerrco, che ti strrappo i cojones e li metto a bollirre nell’olio, ok?»
Il collo di Fabio era di pietra, ma riuscì comunque ad annuire.

Princesa era una sphynx, una famosa razza di gatti completamente glabri. Fabio accarezzò la sua pelle untuosa, lei mosse il muso a cercare ancora più coccole. «Però, è la prima volta che vedo uno di voi, sai?» Le strofinò la gola. «E pensa che sono anni che lavoro coi mici.»
Princesa diresse gli occhi celesti, incorniciati di rughe, su Merlino. Soffiò.
Fabio schioccò la lingua. «No no, fai la brava. Lui è buono, lo so che è grosso, ma è così perché ha tanto pelo. Potreste fare amicizia, pensa che bello se potesse scaldarti un po’, tu che sei…» un tuffo allo stomaco al pensiero di Julia «...tutta nuda.»
La gatta si agitò, si sciolse dalla presa di Fabio e arcuò la schiena. Le grinze sulla sua pelle si accentuarono a formare un intricato disegno.
«No, no.» Si allungò a trarre Merlino in salvo, pesava una tonnellata. «Vieni bello, ti porto in camera.»
Il gattone non oppose resistenza e si lasciò chiudere nella stanza. Fabio sbuffò e si voltò per tornare in sala a controllare gli altri gatti, ma quattro di loro, compresa Princesa, erano seduti a fissarlo, immobili come statue, pazienti come solo i felini possono essere.
Un brivido gli corse lungo la schiena: non aveva mai avuto paura di loro, fino a quel momento.

Si svegliò scosso da uno strano rumore in cucina: il frigo che si apriva. Roteò gli occhi nel buio, in attesa di altri rumori. Una lattina veniva aperta, parte del contenuto schiumava fuori e gocciolava sul pavimento. No, non c’erano dubbi. Qualcuno era in casa. Un ladro di birre? Ansimò, allungò la mano per accendere l'abat jour, ma si fermò. Era meglio non far notare all’intruso che si era accorto di lui. Scivolò fuori dal letto e scostò la porta della sua camera. In fondo alla sala, in cucina, un uomo molto magro avvolto nell’ombra beveva da una lattina.
Fabio prese un respiro profondo e fece un passo in avanti. Tutti i gatti dormivano sui divani o nelle loro ceste, udiva il loro respiro.
Pestò qualcosa, il fischietto di plastica di una pallina di gomma per gatti sputacchiò un lungo strillo.
L’ombra si raddrizzò e portò la lattina all’altezza del petto, il metallo splendeva illuminato dalla luce del lampione che entrava dalla finestra.
Fabio scattò verso gli interruttori e illuminò l’appartamento.
La cucina era vuota, fatta eccezione per Merlino che se ne stava seduto sul parquet, accanto al frigo aperto. Una lattina di birra vuota rotolava per terra.
Fabio scosse la testa. «Che ci fai qui?» Sussurrò. «Vai a nasconderti! C’è un ladro!»
Gli occhi del gattone scattarono a destra da dove Princesa, emesso un verso acuto e furioso come la sirena di una segheria, stava per saltargli addosso. Fabio allungò una mano per fermarla, ma la gatta, con le fauci aperte a evidenziare i denti appuntiti, balzò sopra a Merlino. I due felini si azzuffarono sul pavimento, ciuffi di pelo volavano in aria come lapilli di un vulcano durante un’eruzione.
«Ehi! No! Fermi!» Si piegò verso i due animali inferociti, ma questi scivolarono altrove. Tra soffi, graffi e morsi, il pavimento cominciava a sporcarsi di sangue. Fabio rimase a bocca aperta a osservare gli altri gatti che, svegliati dalla cagnara, si lanciavano nella mischia. Ormai tutta la casa era un eco di soffi e miagolii che parevano uscire dall’inferno dei felini. Lui si tuffò verso la massa di pellicce dagli svariati colori, prese alcuni gatti per la collottola e li lanciò lontano, ma questi correvano subito indietro per rigettarsi nella lotta.
Le sue mani erano ormai un ammasso pulsante di graffi e morsi, quando un miagolio si trasformò in un urlo umano.
Sotto alla massa di gatti inferociti comparve un vecchio, nudo e peloso come un orso. Tutti i gatti corsero a nascondersi, meno Princesa, che pendeva tenuta per la collottola da due dita ossute.
Il vecchio aveva una lunga barba che gli arrivava al petto e folti capelli candidi macchiati di sangue. «Varda, ‘sta stronza.» Agitò il braccio e fece penzolare Princesa, la cui pelle stirata pareva un lifting venuto male.
Fabio mosse le labbra e farfugliò qualche suono sconnesso.
Il vecchio mosse la mano a coprire il cespuglioso inguine. «Non è che gavessi un paio di braghe per me?»

Il cadavere di Princesa giaceva sulle sue ginocchia, Fabio l’accarezzò con le mani coperte di graffi. Il vecchio, che indossava i pantaloni di una delle sue tute da ginnastica, gli sedeva di fronte al tavolo della cucina, con un’altra lattina di birra attaccata alle labbra.
Fabio strinse i pugni. «Me l’hai ammazzata, la gatta!»
«Se meritava de crepar, la merdina. Appena me ga visto la ga capito tutto.»
«Capito cosa?»
«Che mi non iero un vero gato!»
«Ma si può sapere chi sei?» Aggrottò la fronte e fissò il vecchio dritto negli occhi.
«Merlino!»
«Falla finita.» Si massaggiò il collo, il corpo di Princesa traballava sulle ginocchia. «Chi sei?»
«Merlino, ciamame pure cusì.» Sorrise a scoprire una dentatura lastricata di nero, come i tasti di un piano. «Mi son el mago Merlino, me piase.»
«Il mago Merlino?» Strabuzzò gli occhi. «Quello di re Artù?»
«Mona, quella la xe una storia per bambini.» Ingollò un altro sorso dalla lattina e ruttò. «Mi son un mago vero, mica farlocco!»
Fabio schiuse la bocca e lo fissò senza riuscire a parlare, poi diede un pugno alla gamba della sedia. «Ho bisogno di bere anche io.» Poggiò il corpicino della gatta sul tavolo, estrasse una birra dal frigo e prese un lungo sorso. La schiuma gli andò su per le narici, tossì.
«Varda di non sofegarti!»
Lui arricciò il naso pizzicato dall’anidride carbonica e squadrò il vecchio. Era magrissimo, i rilievi delle costole sporgevano dalla pelle giallastra. «Perché parli in veneto?»
«Perché mi son de Trieste.» Allargò gli angoli della bocca.
«Un mago di Trieste.» Sospirò. «Oddio, mi sembra di diventare matto.»
Il vecchio si alzò, un lungo graffio sul petto spandeva gocce di sangue. «Te ti gavessi da fumar?» Fabio rimase impalato a guardarlo, il mago scrollò le spalle. «Dai, ‘ndemo fora, un distributor lo trovemo.» Indicò il corpo di Princesa col dito scheletrico. «Così te pol sotterar la bestia.»

Fabio spinse la pala dentro alla terra soffice in riva al fiume. Il vecchio lo fissava illuminato dalla luna piena, il luccichio della sigaretta gli colorava gli occhi di arancio. «Dai mulo scava, che non xe profonda a suficiensa!»
«Ma perché non mi dai una mano?» Sbatté la pala a terra. «Invece di startene lì seduto a guardare?»
«Mi son vecio, lavora ti.»
Lui sbuffò e continuò a scavare. «Ma insomma, mi racconti o no come fai a trasformarti in gatto? E perché dovevi venire proprio da me?»
«Quando la vecia bacuca xe andata a sburtar radicio, go pensato di vedere dove la voleva mandarme.» Il luccichio della sigaretta si intensificò, mentre Merlino aspirava. «La gaveva passato gli ultimi mesi a parlarme di un posto bellissimo dove mi saria andato quando ela la moriva.» Lume della sigaretta. «Mi non pensava mica che’l posto iera quella stamberga di casa tua. Mi credeva che’l fussi un’altra villa di un’altra vecia sua amiga.»
Fabio annuì. «Ho capito.» Fermò la pala e riprese fiato. «Quindi eri l’animale domestico della contessa, e pensavi che ti avesse destinato a un’altra donna ricca, invece che al mio gattile.»
«Sì. Mi voleva veder.» La sigaretta emanò più luce. «Poi go trovato tutti quei gati de merda, pronti a cavarmi fuori gli oci dalle orbite. Maledetti.»
«Ma perché ce l’avevano tanto con te?»
«Lori i xe animali intelligenti, capiscono tutto! E i xe perfidi! La contessa gaveva solo mi, altrimenti sai che dolori!»
«Ma senti, perché ti sei trasformato nell’animale di una vecchia? Che vantaggi ne traevi?»
Risatina. «I xe persone che trattano gli animali meglio dei cristiani! La vecia mi pettinava, mi lavava, puliva la mia merda, e mi comprava scatolette che costavano più de casa tua!»
«Ma… perché?» Batté un piede. «Insomma, coi tuoi poteri, perché ridurti a fare l’animaletto?»
«Te xe proprio un mona.» Risata. «Vedessi la casa che gaveva. Piena di roba: ori, argenti, gioie, quadri…»
«Quindi ogni tanto sgraffignavi qualcosa, ti ritrasformavi in uomo, andavi in giro e ti godevi la bella vita.» Sospirò «Poi tornavi e ti facevi accudire, rubavi ancora e così via.»
Merlino si stese sulla panchina in riva al fiume. «Mi sapeva che ti te ieri inteligente.» Sghignazzò. «La vecia la iera così cretina che non si accorgeva di niente. E poi la gaveva così tanta roba che na cagada de più o de manco nessuno fiatava.»
Fabio adagiò il corpicino di Princesa nella buca. La luna risplendeva sulla sua pelle nuda. «Povero me. Julia mi ammazza.» Si portò una mano ad asciugarsi una lacrima. «E non mi parlerà più.»
«Chi xe Julia? Quella baba con le tette grosse? Ah! Che mona che ti xe. Te credi ti che te la dessi! Una figa come quella là, con un mona come ti.»
«Ma hai sentito, no? L’avrei portata a cena!»
«Sì, sì. Te gavrebbe fato pagar na barca di schei, e poi tutto in vacca!» Si alzò, gettò la cicca nel fiume e si stiracchiò. «Mi vado ora, se vedemo, mona.»
Lo stomaco di Fabio mandò una fitta. «Dove vai?»
«Gira gira mondo! Go da trovare n’altra bacuca cui i piase i gati.»
«No!» Strinse i pugni. «Non puoi lasciarmi! I soldi…» Si morse un labbro.
Merlino si piegò dal ridere. «Ah sì! Te xe un po’ nella merda. Niente schei per il gato della vecia se mi vado! Ah! Che coion!»
«Dai! Per favore, mi hai ammazzato la gatta di Julia, non puoi piantarmi in asso così.»
«E cos te vol? Xe la vida! Ah!»
Fabio gli si parò davanti. «Se resti provvederò io alle spese per mantenerti, fino a quando troverai la tua prossima casa.»
Merlino strinse le labbra e si accarezzò la lunga barba. «Da magnar e da beber? Intanto che me trovo un’altra vecia?»
Fabio si morse un labbro. «Sì, e insegnami anche a trasformarmi in gatto.»
Merlino schioccò la lingua un paio di volte e strabuzzò gli occhi. «Non xe mica facile.»
«Solo per un mese al massimo, ok? Fino a quando torna Julia. Poi va’ pure per la tua strada.»
Il mago rimuginò e grugnì. «In un mese te ti impari solo a trasformarti in un solo gato, senza poter variare. Poderia insegnarte a diventar un persiano uguale de mi, cossì che te pol gaver ancora i schei, va ben?»
«Voglio diventare uguale a Princesa.»
«La gata della baba? Perché?»
Fabio sospirò. «Non puoi capire, io la amo.»
Il vecchio annuì. «Voi gioveni, solo la mona nel zervel.»
«Non si tratta di quello.» Aggrottò la fronte. «Io voglio starle vicino, voglio amarla ed essere amato, persino sotto forma di animale domestico, visto che non c’è altro modo.» Si studiò le punte dei piedi. «Una come lei e uno come me... su questo hai ragione, non ho alcuna possibilità.» Diede un pugno all’aria. «Ma coi tuoi poteri, le cose potrebbero cambiare! Ci devo provare!»
Merlino scosse la testa. «Va ben, mi resta. Ma varda che te me devi prender da beber tutto quel che voio, senza protestar.»
«Hai la mia parola.» Annuì. «Potrai ubriacarti quanto vuoi.»

Fabio si mise in piedi in mezzo al cerchio magico disegnato sul parquet. Un paio di gatti stavano accovacciati fuori dai bordi dell’arabesco, mandandogli sguardi pieni di curiosità.
Il tracciato magico raffigurava uno strano diagramma circolare, con i contorni di diversi occhi felini sospesi tra ghirigori ingarbugliati. «Ma chi te l’ha insegnata, questa roba?»
Merlino, appoggiato al muro sotto alla finestra e con in mano una bottiglia di Slivovitz quasi vuota, fece spallucce. «Xe mejo che non te lo dise.» Alzò il mento. «Ora, pensa al gato senza pelo, e metti i brazi diritti in croxe.» Tese le braccia verso l’esterno, parallele alle spalle. «Quando che ti sarà bravo, il diagramma magico non la servirà più.»
Fabio strinse i denti, allargò le braccia e chiuse gli occhi. Visualizzò nella mente le fattezze di un gatto di razza sphynx, con gli occhi azzurri come Princesa: ogni dettaglio era importante per riprodurne le fattezze. Un’onda di glaciale energia lo investì e gli scorse lungo la spina dorsale.
«Bravo, tienla dentro, non farla andar fora!»
Fabio aggrottò le sopracciglia, cercò di trattenere il freddo all’interno delle ossa, ma la mano di ghiaccio scivolava verso l’alto, oltre il cranio.
«Attento, mona!»
La vibrazione mandò in frantumi tutti i vetri della casa: la bottiglia di liquore che Merlino teneva in mano, le finestre, la lastra del tavolino della tv che, privata di un sostegno, rovinò a terra con un tremendo fracasso.
Fabio aprì gli occhi e uscì dal cerchio magico. Strinse le labbra e si massaggiò le tempie. Il mago si stava ripulendo i vetri dalla folta chioma. Una polvere di brillantini luccicava tra i peli ispidi della sua barba. «Vacca mastella, che gran casin! Gavemo ancora da lavorare molto, go paura.»
I gatti si avvicinarono, uno soffiò.
«Merlino, ma che cos'hanno?»
«I sentono la magia! C’è un solo modo per farli star quieti.» Trascinò il dorso del dito indice sulla gola.
Fabio scosse la testa. «No! Questo mai.» Alzò le sopracciglia, guardò la finestra frantumata e sorrise. «Mici, sui tetti dai! Coraggio!»
Ne prese uno in braccio, che emise un verso minaccioso, e lo fece uscire dalla finestra. Presto il felino sparì nella giungla dei comignoli.
Fabio annuì. «Sì, ci metteranno un po’ per tornare, avremo la casa per noi.»
«Per me iera meglio la mia soluzion, ma te ti vol complicarte la vida.»
«Non posso ammazzarli! Li amo troppo.»
Merlino sibilò. «Ma va a remengo, e tirame fora n'altra botilia da beber.»

Suonò il citofono. «Ehi, Merlino!» Corse verso l’ingresso. «Julia è puntuale! Presto, tra poco si entra in scena!» Alzò la cornetta. «Sì?»
«Dottor Menegon. Sono qui per l’ispezione per conto della famiglia Grignani.»
Il labbro di Fabio tremò, il cuore gli saltò alla testa. «Certo, s-salga.»
Riattaccò.
Il vecchio fece capolino alle sue spalle. «Chi xe?»
«Il veterinario che ti deve controllare, mandato dalla famiglia della contessa!»
«Ma perché lo ti ga fatto salir?» Sbuffò. «Bastava mandarlo in mona!»
«Non so perché l’ho fatto, non ho avuto i riflessi pronti.» Scosse la testa. «Avanti, trasformati.»
Merlino alzò le folte sopracciglia bianche «No.»
Fabio chiuse gli occhi e si batté i pugni sulle tempie. «Non abbiamo tempo! Dai, l’ultima cosa che ti chiedo, poi ti lascio andare.»
«Fatti mettere ti un termometro su pel cul!»
Il campanello della porta suonò. Il mago alzò gli occhi al cielo e si trasformò nel gatto persiano, i vestiti formarono un mucchio sul pavimento. Fabio prese un sospiro di sollievo e aprì. Il veterinario aveva i capelli a spazzola e dei baffetti color carota. «Permesso.» Lo scostò, raccolse il persiano e lo portò in cucina.
«Scusi, ma… » Lo seguì con lo sguardo «sarei potuto venire io al suo ambulatorio.»
«Non devo solo visitare il gatto. C’è anche l’abitazione da controllare.» Fissò la finestra rotta e i vestiti per terra. «E non andiamo per niente bene.»
Fabio rimase in silenzio. Il veterinario spruzzò disinfettante sul tavolo. Merlino aveva una faccia accigliata, ma accettava tutto senza opporsi. Gli altri felini del gattile accorsero eccitati, l’uomo li tenne a distanza col piede. «Male, molto male.» Toccò il folto pelo con le dita. «Ci sono segni di lotta, graffi e morsi e...» annusò il muso «ma questo gatto è ubriaco!»
«Non è colpa mia se beve come una spugna.»
Merlino sibilò, il veterinario estrasse un rasoio elettrico dalla borsa. «Lasciamo stare, per carità. Ora faccio un prelievo di sangue, per le analisi di laboratorio.»
Merlino miagolò, ciuffi di pelo caddero dal zampa, falciati dalla macchinetta.
Fabio fece un lungo respiro. Qualcuno bussò alla porta. Lui deglutì. «Scusi, vado a vedere chi è.» Il cuore gli batteva all'impazzata. «S-sì?»
«Aprri estupido!»
La mano tremante girò la chiave.
La carnagione di Julia era ancora più abbronzata, i tacchi dei suoi stivaletti pestarono sul parquet, che restituì scricchiolii di dolore.
Fabio le si avvicinò. «Ciao, sei bellissima.» Si sforzò di non svenire.
Lei lo fulminò con lo sguardo. «La gatta! Dov'è?»
«Vado a prenderla.» Corse in camera. Respirò a fondo, cercò di controllarsi. Un piccolo cerchio era disegnato sul pavimento, non aveva ancora imparato a farne a meno. Chiuse gli occhi, sorrise. Era arrivato il momento: avrebbe ricevuto l'amore che tanto desiderava, coccolato e riverito da Julia. Congiunse i palmi e biascicò un’ave maria: pregò che andasse tutto bene, o era rovinato.
Entrò nel cerchio e pensò alla gatta glabra. La mano glaciale lo percorse da capo a piedi e i suoi vestiti scivolavano via. Aveva funzionato!
Zampettò fuori e guardò in alto. Julia stirò le labbra in un sorriso che gli fece palpitare il cuore.
«Qua ho finito!» La voce del veterinario gli rimbombò nelle orecchie. L'uomo torreggiava sopra di lui. «Ma dov'è andato?» Si rivolse a Julia. «Ha visto il proprietario?»
«Chi se ne frrega! Vieni Princesa!»
Si abbassò, toccò la testolina di Fabio, il cui piccolo stomaco si contorse.
«Io vado.» Il veterinario mise le mani a coppa attorno alla bocca. «Se mi sente: sappia che può salutare il suo contratto.» Abbandonò l’appartamento.
«Bonita Princesita.» Julia prese in braccio Fabio, lui spinse il naso nella scollatura. «¡Yo también estoy feliz de verte!» Lo accarezzò sulla pelle nuda.
Lui faceva le fusa, vibrava tutto.
«Pero espera: ¿Qué cosa es esto?» Gli pungolò i testicoli con un’unghia aguzza. Fabio contrasse i muscoli, una fitta lo impietrì. «Tu eres un chico, no una chica.» La trasformazione non era completa. Possibile che non se ne fosse accorto?
Un miagolio dal basso.
«¡Aquí estás, Princesa!» Julia lasciò Fabio e raccolse l’altro gatto, un esemplare di sphynx femmina. «¡Sì, mia Princesita!» La strinse forte al petto. «Vamos a casa.»
Sulla spalla di Julia, Merlino-sphynx scoprì i denti aguzzi e fece l’occhiolino.
Le zampette di Fabio tremavano, non riusciva a rialzarsi. «Julia!» Il brivido freddo lo percorse, mentre si ritrasformava in essere umano.
Lei si fermò sulla soglia, i suoi occhi parevano uscire dalle orbite. «¡Ma estás desnudo, puerco, cabron!»
«Julia, no» Si guardò in giro, raccolse un gatto e lo usò per coprirsi le pudenda. «Non è come credi tu.»
«Yo clamo a los carabineros.» Corse giù per le scale. «¡Puerco!»
Fabio contrasse tutti i muscoli, la testa gli scoppiava. «Lurida merda!» Urlò a squarciagola. «Mi senti? Spugna di merda!»
«Te faccio arrestarr, cabrrrron!»
Cadde faccia al muro, nudo e in lacrime.
I gatti dell’appartamento soffiarono, tutti raccolti attorno a lui.
Uno gli saltò sulla schiena e lo trafisse con gli artigli, ed era solo il primo.

Edited by MentisKarakorum - 27/9/2021, 22:11
 
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