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Skannatoio Settembre - Ottobre 2021, Going postal!

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Leonardo Pigneri
view post Posted on 7/10/2021, 22:12 by: Leonardo Pigneri




I mezzi della pace



Saetto oltre la bassa palizzata ed entro nel villaggio. Devo solo mantenere i piedi stabili, niente capitomboli questa volta. Guardo avanti. Gli abitanti di Holville si sono radunati nella piccola piazza centrale. Sventolano le mani per salutarmi. Sì, e non devo inzupparli tutti di fango. Continuo a scivolare. La folla si apre in due file.
«È lei!» Urla qualcuno.
Sorrido e mi piego sulle gambe. Il muro di una casa si avvicina in fretta. Rallento la scivolata, mi inclino in avanti e spicco un balzo. La velocità mi spinge in un arco discendente. Atterro e sostengo l’impatto con una corsetta non proprio elegante. Degli applausi si levano intorno a me. Mmpf, ci vuole poco ad accontentarli.
Alzo una mano. «Buongiorno a tutti! Buongiorno! Come vanno le cose?»
I popolani mi asserragliano all’istante. Un uomo senza un braccio mi alita in faccia. «Porti notizie dal fronte?»
Un altro mi tocca la schiena. «Come procede la guerra?»
«Indietro, indietro!» Una donna con una camicia rattoppata prevale con la voce su tutti gli altri. «Bobby, allontana quelle manacce! È con una nobile che state parlando! Lasciatela respirare!»
Le faccio un cenno con la mano di non preoccuparsi. Cerco di mostrarmi calma. «La guerra va come al solito, I Kataloviani hanno provato una sortita una settimana fa, ma li abbiamo respinti oltre il confine.» Hanno anche dato fuoco a quattro villaggi vicino alle montagne, ma meglio ometterlo.
Un vecchietto viene avanti. «E il re?»
«Il re cosa?»
Anche una donna con i capelli cortissimi si avvicina «Porti notizie da Alber?»
«Ehm, non ci sono passata ultimamente.»
Un uomo stempiato mi porge un sacco. «Non è che potresti consegnare questo a Taranol?»
«Mi dispiace ma non è così che funziona…»
La calca si stringe sempre di più. Qualcosa mi tocca una gamba. Una bambina mi sta fissando le calze infangate. «Wow… sono le calze della velocità?»
Sorrido e mi chino su di lei. «Proprio loro. Una delle sette vesti di Ollispo.» La folla si calma un poco e il chiacchiericcio continua sopra di noi. Faccio l’occhiolino alla bambina. «Senti, se mi dici dove posso trovare un certo Generale Timbass...»
Da destra si leva uno sferragliare di armature. Un uomo con il labbro inferiore sporgente e due soldati al seguito si fanno spazio tra la calca. L’uomo mi fa un cenno col capo. «Miss Lemallen, è un onore.»
Mi raddrizzo e tiro fuori la lettera dalla scarsella. «Il generale, suppongo.»
Sbatte le palpebre affermativamente. «È per me quella?»
«Sì, ma devo farti la domanda di sicurezza. Allora…» prendo l’altro foglietto dalla tasca. «Ah sì, il nome della madre di tuo padre.»
Quello distoglie lo sguardo. Il velo della comprensione gli si dipinge sul viso. «Un canestro di carote.»
Corretto. Sorrido e gli porgo la lettera. «A te.»
La prende e la infila in una tasca. Mi guarda. «Inoltre, Miss Lemallen, questi due soldati dovrebbero parlarle.»
Che? Ma non stavano con lui? Li osservo meglio. Hanno un blasone sul petto o… Accidenti. Il corno d’ariete del Re.
Uno dei due viene avanti e inizia a srotolare una pergamena.
Sbuffo. «Convocazione a palazzo?»
Quello mi guarda confuso. Gli poggio una mano sulla spalla e mi prendo una caviglia dietro al sedere stendendo il quadricipite. «Ti risparmio il fiato, ditegli che sarò lì entro domani.» Sorrido. «Anzi, credo che glielo dirò direttamente io.»
La folla ci guarda in silenzio. Faccio un cenno di commiato con la mano. «Vi ringrazio per la calorosa accoglienza brava gente di Holville, ma devo andare. Se avete consegne importanti rivolgetevi al Direttorio Reale più vicino e la vostra richiesta sarà vagliata in base all’urgenza!»
Attraverso la calca stringendo qualche mano. «A presto, e tenete duro!»
Inizio a correre. Le case sfilano intorno a me, esco dalla palizzata e gli alberi mi accolgono nella loro ombra. Il vento mi getta i capelli all’indietro. Faccio un piccolo balzo e metto i piedi di taglio, come se stessi cercando di rimanere in equilibrio su una trave. Inizio a scivolare.
Spero solo non sia l’ennesima missiva da recapitare al fronte.

Le ante intarsiate del grande portone si aprono. Il ciambellano mi fa cenno di entrare nella sala reale. Ho fatto in tempo a togliere giusto qualche crosta di fango dai vestiti, ma le calze sono marroni fino alle ginocchia e presumo il mio odore non sia neanche lontanamente considerabile neutro. Oh beh, il Re predilige la celerità alla pulizia.
Mi guardo intorno; la sala è vuota. Il ciambellano indica la porta che dà sui giardini di corte. È aperta. Ricambio la sua espressione austera ed esco.
Il re è seduto su una panchina a contemplare le fronde di un pioppo. Insolito da parte sua. Avanzo fino all'erba. Fa caldo, ma il profumo del rincospermo e la bellezza delle lavande in fiore mi convincono che questo sia, in effetti, un luogo di gran lunga migliore per un’udienza.
«Sua maestà.»
Il re si gira, ha il suo solito aspetto vetusto, ma tra le sopracciglia vi è una ruga che non ricordavo così marcata. Preoccupazione?
«Miss Lemallen, come sta?» Si volta di nuovo verso il pioppo e batte la mano sul posto vuoto al suo fianco.
Mi siedo. «Se lei è d’accordo, maestà, sono disposta a saltare i convenevoli, ho inteso che c’è una certa urge—»
«Ma io no, Miss Lemallen, e gradirei assecondasse le fisime di questo povero vecchio.»
Deglutisco. «Ehm, sì, certo... sto bene, grazie… e lei?»
Una pausa si trasforma in silenzio. Sospira. «Poco sembra mutare, Miss Lemallen. Eppure, tutto si deteriora. Sa da quanto va avanti questa guerra?»
Era il 562 quindi… «Undici anni?»
Annuisce. Le labbra strette in una singola linea. «Lo sa? A volte mi guardo allo specchio e riconosco solo gli occhi. I miei occhi sul viso di un vecchio.»
Stringo un angolo della veste. Di che cavolo sta parlando? «Ehm, non credo di—»
«Questa guerra deve finire, Miss Lemallen.»
Ah eccolo, il solito filosofeggiare sterile dei nobili. Facile dalla loro posizione parlare così, quando poi sono gli altri a fare il lavoro sporco.
«Sono d’accordo sire, ma…» Mi mordo la lingua, devo smetterla di inquisire. «Sì, sono d’accordo.»
«I nostri nemici hanno messo le mani su un’altra veste di Ollispo, e ciò ci porta ad averne tre a testa.» Il suo tono è grave. «Noi il bottone della dissimulazione, il camice della giustizia e le calze della velocità.» Lancia un’occhiata alle mie gambe ricoperte di fango. «Loro la gorgiera della verità, la scarsella della fortuna e, ora, il cappello della separazione.»
Dannazione, il cappello! A quanto si diceva, era la seconda veste più potente, dopo la mutanda della morte ovviamente. Mi sistemo sulla panca. «E come vanno le nostre ricerche dell’ultima veste?»
«Infruttuose, come le loro d’altronde. Ma qualcuno prima o poi troverà la mutanda della morte e porrà fine a questa guerra. Una fine spiacevole, glielo assicuro.» Mi guarda. «Lei, Miss Lemallen, mi aiuterà a dare un taglio a questo conflitto prima che tutto ciò accada.»
Già, combattendo immagino. «Maestà, io, al contrario di altre famiglie, ho sempre messo i miei servizi a disposizione del regno. Ma come le ho già detto, mi rifiuto di essere militarizzata e—»
«Ho già messo in conto la sua natura pacifista, quello che le chiedo è solo di ascoltare la mia proposta e dirmi la sua fattibilità.»
Dei passi incedono alle nostre spalle. Mi giro. La principessa Beys si ferma dietro suo padre e gli poggia una mano su una spalla. Dalla chioma lucente di lei alcuni fili d'oro ondeggiano nella brezza. «Quanto tempo, Jalei.»
La principessa? Le rivolgo un sorriso vago.
«Dovrai portare mia figlia dentro Katalov.» La voce del Re è dura.
Dentro... Katalov? «Ehm, credo di non aver capito bene…»
«Attraverserai il confine e scorterai Beys fino ad Arekhara, lì la consegnerai al principe ereditario Obel.»
Il figlio del Re di Katalov. Scuoto la testa. «Ma a quale scopo?»
La sua fronte si distende appena. «Credo lei sia a conoscenza delle voci che corrono sul conto di mia figlia e il principe, Miss Lemallen.» Il re porta la mano ad accarezzare quella della principessa. «Ebbene, sono vere. Essi, fin da quando erano bambini, si amano.»
Allora non erano solo dicerie. Mi pulisco dall’espressione ebete che deve essermi comparsa sul viso.
Il Re si riporta la mano in grembo. «Non si vedono dall’inizio della guerra e non abbiamo prova che i sentimenti del principe siano immutati, ma è la nostra unica speranza. Il Re Halken non permette alcuna forma di diplomazia da anni. La guerra sta volgendo a suo favore e non accetterà mai un accordo. L’unica soluzione è quindi riunire la principessa Beys e il principe Obel, e sperare che quest’ultimo faccia rinsavire il padre.»
Accidenti. Troppe informazioni tutte insieme. La principessa, però, sembra avere un’espressione risoluta. Alzo un sopracciglio. «Maestà, posso parlare con sincerità?»
«La prego.»
«Mettiamo che questo piano dell’amore che vince su tutto funzioni.» E non penso lo farà. «Arrivare fino a Arekhara è rischioso, metterei in pericolo la vita di sua figlia.»
Il Re è impassibile. «Ma può essere fatto?»
Mi figuro il tragitto nella mente. «Certo, è possibile.» E d’altronde, se tutto andasse per il verso giusto, sarebbe davvero la soluzione migliore per tutti.

Scanso una roccia e plano su una grossa pozzanghera color piombo. Cavoli se fa freddo. E sono completamente fradicia. La principessa si agita sul sedile di cinghie montato sulla mia schiena.
Mi giro appena. «Tutto bene lì dietro?»
Lei alza la voce per superare il rumore delle calze che slittano sul fango. «Spiegami ancora una volta perché abbiamo atteso che piovesse per partire!»
Sussulto nel superare un piccolo avvallamento. «Per il terreno! È scivoloso e ci fa muovere più velocemente. Inoltre riduce la visibilità, cosa molto utile dal momento che presto inizieremo a scorgere le vedette Kataloviane. Le consiglio di tenersi pronta!»
Le montagne davanti a noi si innalzano in vette sempre più alte. Al centro, una gola scava un varco tra due pareti rocciose da cui spiccano tre torri in pietra.
«Guardi!»
La principessa cerca di girarsi. «Sono di spalle, non vedo nulla!»
«Il confine con Katalov, la prima fortezza delle montagne!»
Lei non dice nulla. O, se lo fa, il vento si porta via le sue parole. Mi passo una manica sugli occhi. Le gocce di pioggia iniziano a irritarmi il viso. Accelero. La fortezza si avvicina sempre più. Devo mantenere questa velocità, altrimenti rischiamo di non risalire la parete rocciosa e cadere di sotto.
La vegetazione si dirada e il portone della fortezza sorge in fondo alla via deserta. A breve ci noteranno. Viro verso sinistra. La parete laterale della gola ci viene incontro.
«Cerchi di non muoversi!»
Salto dalla terra alla roccia. È bagnata e scorre piuttosto bene sotto le calze. Ci incliniamo sempre di più. La principessa emette un gridolino.
«Ce la faremo, non abbia paura!» Che io ne ho abbastanza per entrambe.
La pendenza diventa quasi verticale. La vetta della montagna si staglia nel cielo grigio. Ruoto appena e mi indirizzo lungo la gola. Tra un attimo avremo il forte alla nostra destra. Il suono di un corno si leva dal basso.
«Ci hanno visti!»
Una freccia rimbalza sulla roccia poco più avanti.
La principessa si agita. «Ci bersagliano, Jalei!»
Altri impatti schioccano intorno a noi. Molti lontani, altri a meno di dieci piedi. Hanno buoni arcieri. Mi inclino in avanti e acceleriamo ancora di più. Sotto di noi si apre l’interno della fortezza: una specie di piccola cittadina ricolma di trabucchi e catapulte. Che stiano organizzando un assedio?
Schizziamo oltre la fortezza e iniziamo a discendere lungo la parete.
Urlo per farmi sentire dalla principessa. «Andremo a questa velocità ancora per un paio d’ore, tenga duro!»
Lei dice qualcosa che non capisco. Non importa, mi devo concentrare, uomini a cavallo ci saranno presto alle calcagna e le calze della velocità non hanno il potere di nascondere le proprie tracce nel terreno. Dobbiamo mettere un bel po’ di distanza tra noi e loro.

Le fiamme finalmente iniziano ad assaggiare i ciocchi di legna. Lo dicevo che togliendo la corteccia il centro era asciutto!
«Sembri contenta.» La principessa si accovaccia al mio fianco e tende le mani verso il giovane fuoco. «Sei sicura che non lo noteranno?»
«Non c’è da preoccuparsi, alla velocità a cui abbiamo viaggiato, gli ci vorranno almeno otto ore per raggiungerci.» Soffio sulle braci. Queste si avvampano e tirano su una nuvoletta di cenere. «Col buio poi, gli sarà difficile seguire le nostre tracce. Giusto... ci metteremo un po' di più ad arrivare ad Arekhara.»
«Avevi promesso che saremmo stati alla capitale entro il mattino.»
«E avevo anche detto che non conoscevo bene il Katalov. Ma lasci a me le preoccupazioni logistiche. Lei pensi al suo bel principe.»
Inclina la testa di lato. La lucentezza dei suoi capelli completamente sbiadita dalle intemperie. «Perché ci odi?»
Sbuffo. È così evidente? Non rispondo.
«Lo mascheri bene, a parole, ma le tue espressioni sono ben meno caute. Non che sia una novità, anche quando ero più piccola, ai banchetti che si organizzavano prima della guerra, la tua repulsione per la nobiltà era palese. Sei sempre stata un pesce fuor d’acqua, me lo diceva anche mio padre.»
Già, anche in tempi di pace quelle sì che erano gran perdite di tempo. Sorrido. «Diciamo solo che ho più stima per chi fa, e meno per chi comanda di fare.»
I suoi occhi si agganciano ai miei. «Jalei, io voglio davvero porre fine a que—» Sul viso della principessa si delinea una smorfia di dolore.
«Tutto bene?»
Si porta una mano alla pancia. «No… anzi sì, sto bene.»
«Le ha fatto male la carne secca?»
Lei si piega ancora di più sulla pancia.
Mi alzo. «Le scavo una buca.»
Fa per protestare ma la ignoro. Anche le principesse devono dare di corpo ogni tanto. Mi allontano dal fuoco e inizio a scavare una fossa con le mani. Ha smesso di piovere ma la terra è ancora morbida. Butto di lato tre, quattro, cinque mucchietti di terra. Così andrà bene. «Venga pure principessa.»
Lei si volta e mi guarda atterrita. Che si vergogni fino a questo punto? Siamo tra donne d’altronde. Me ne ritorno vicino al fuoco. Raddrizzo un legno accasciatosi fuori dal mucchietto e ravvivo le fiamme. Non ce n’è più bisogno ormai, ma non ho molto altro da fare. La principessa, infine, si alza e corre verso la buca. Rimango girata.
Un rumore tutt’altro che regale si leva alle mie spalle. Sorrido e mi volto appena. «Se le serve qualcosa con cui puli—»
«Non ti girare!»
Mi raddrizzo all’istante. Un uccello frulla le ali spaventato dal grido di terrore della principessa.
«Ehm, non mi stavo girando.» Pungolo il fuoco con un bastoncino. «Dicevo, che se le serve qualcosa per pulirsi, può usare la mia mantellina.»
I passi della principessa si avvicinano. La sento frugare nella mia sacca e tornare verso la buca. Un rumore viscido di poltiglia rimestata mi provoca un conato. Che cavolo sta facendo? Il rumore continua per qualche momento, poi sento di nuovo i passi avvicinarsi.
«Acqua.» Dice in tono piatto.
«Ah sì, eccola.» Mi sfilo la borraccia dal fianco e faccio andare il braccio dietro la spalla per porgergliela senza voltarmi. Non la prende. «Principessa?»
«Aiutami.»
Mi giro. Si china sul fuoco. La puzza di escrementi mi fa considerare solo per un attimo che i grumi marroni sulle sue mani possano essere fango.
La principessa mi guarda senza l’imbarazzo o la paura di poco prima. Poi rivolge le attenzioni alle sue mani congiunte. «Versala qui.»
Poco alla volta, inclino la borraccia e faccio scendere un rivolo d’acqua. Non penso sia saggio fare domande. Le dita bianche della principessa riemergono dal marrone e, tra di esse, appare qualcosa di piccolo e brillante. Verso tutta l’acqua rimasta. Lei strofina l’oggetto più e più volte. Un bottone di perla.
Sgrullo la borraccia delle ultime gocce. «Finita.»
La principessa si ricopre i polpastrelli con la sua veste e continua a strofinare il bottone. Era… nelle sue feci? Un pensiero mi folgora. «Aspetti un attimo, quello è il bottone della dissimulazione?!»
La principessa si tira su, mette in bocca l’oggettino e lo manda giù. «No.»
«Ah, mi sono sbagliata.» Era assurdo in effetti.
«Mettiamoci a dormire.»
«Ehm, sì.» Cerco di eliminare l’immagine della principessa con le mani sporche di merda. «Dobbiamo riposare.»

Arekhara è ben diversa da come la ricordavo. Le strade sono più sporche e le facce della gente più disperate. La principessa accelera. Arriviamo al portone del palazzo reale e le basta un veloce scambio in kataloviano con una delle guardie perché ci venga garantito l’accesso.
Le do una leggera gomitata. «Come hai fatto?»
Fa spallucce.
Attraversiamo un corridoio piantonato da statue di vecchi Re e sommi consiglieri. Ci fermiamo. La guardia ci mostra un palmo. Dobbiamo aspettare qui. Entra in una porticina e rimaniamo soli. Un paio di voci rimbombano all’interno della stanza, poi la porta viene spalancata ed un ragazzo con un elegante tunica di lino verde esce fuori e guarda dall’altra parte del corridoio. È alto e scuro, una fibbia dorata riflette barbigli di luce dalla sua spalla. Si gira verso di noi. La principessa fa un piccolo passo in avanti. Gli occhi neri del ragazzo si dischiudono insieme alla sua bocca. Mantiene il contegno, ma l’andatura che muove verso di noi è goffa e controllata appena dallo spiccare una corsa. La principessa gli va incontro. Si abbracciano.
È ancora amore a quanto pare.

Il Re Halken, seduto sul suo trono, conversa col sommo consigliere. Le espressioni che appaiono sui loro visi spaziano dalla rabbia alla perplessità. Il principe è piegato appena verso il padre, probabilmente nel tentativo di carpire qualche parola. Anche la principessa sembra tesa. Mi sgranchisco il collo. il vetro istoriato delle alte finestre illumina a giorno la sala reale.
Il sommo consigliere si scosta dal re. È quest’ultimo a parlare. Afferro giusto qualche parola del lungo discorso. Ospiti, verità, matrimonio… Scimmia? No, quella forse no. Rinuncio a cercare di dare un senso all’orazione. Il principe sembra illuminarsi, anche se la sua espressione si incupisce un po’ verso la fine. Quella della principessa è invece indecifrabile.
Il Re ci guarda. «Lo ripeto perché possiate comprendere anche voi.» Ha un lieve accento, ma si intuisce abbia studiato a fondo l’Arniano. «Sarete perquisiti e interrogati tramite la gorgiera della verità. Dopodiché, se appureremo che non ci nascondete nulla, sarete nostri ospiti. Il matrimonio fra mio figlio e la principessa Beys si svolgerà tra una settimana.»
Il respiro mi si blocca in gola. Ha accettato!
La voce del Re si modula appena in un tono più alto. «Questo sarà solo per esaudire il desiderio di mio figlio. La guerra continuerà e non stipulerò alcun accordo con Arniria.»
Cosa!? Accettare il matrimonio ma non la pace? Com’era possibile una cosa del genere!?
Il Re si porta una mano al cuore. «Do la mia parola che non sarete utilizzati come ostaggi. Ma, per le informazioni che ci darete e le calze della velocità… ne faremo l’uso che vorremo.»
Guardo la principessa. Non sembra turbata da quelle parole; china il capo in un piccolo inchino e sorride al suo amato. Non le è mai importato nulla della pace.

Busso alla porta. «Principessa?»
Nessuna risposta. Beh, sarà vestita immagino, manca solo un’ora alla cerimonia. Entro. Il rosso dei velluti e l’oro dei motivi floreali sulle pareti dominano la stanza. Davanti a uno specchio, la principessa sta cercando di raccogliere la gonna del vestito nuziale tra le mani. Prova a tirarla su ma si alza solo un lembo delle infinite sottogonne. «Dannati vestiti Kataloviani…»
Che sta facendo? Do un colpo di tosse. La principessa sussulta e si gira di scatto. Gli occhi spalancati.
«Ehm, non volevo spaventarla…»
Distende le spalle contratte e lascia andare la gonna. Prende un respiro. «No, non ti preoccupare, Jalei, e dammi del tu, te l’ho detto.»
«Già… mi hai fatto chiamare?»
Si sfila una spallina. «Sì.»
Con un singolo movimento esce fuori dal vestito cerimoniale. Sotto è completamente nuda. Faccio per girarmi ma lei mi fa un cenno con la mano come per dire di non preoccuparmi.
«Devo fare un paio di aggiustature al vestito e poi ci siamo.» Prende una vestaglia rosa piegata su una poltrona e se la infila. Si accuccia sul vestito con una spilletta in mano. «Volevo solo dirti che non c’è bisogno tu sia presente al matrimonio, oggi.»
Cosa? «Principessa, per me sarebbe un onore assistere.»
Si gira. «Un onore di cui dovrò privarti, allora.»
Uno spasmo di rabbia mi si gonfia nel petto. Cerco di controllarlo. Inutile. La nobiltà è tutta uguale in fondo; permanentemente volubile nei propri insensati capricci. Chino appena il capo in segno di deferenza. La principessa mi congeda con uno sguardo.

Imbocco una viuzza deserta. Arekhara è già piuttosto squallida con la sua gente smunta e il suo cielo costantemente grigio, ora che sono tutti di fronte al palazzo reale per il matrimonio poi, sembra davvero una città fantasma. Do un calcio a un sassolino. Se non posso assistere alla cerimonia non ha senso mischiarsi a quella folla là fuori che prega di vedere anche solo il lobo d’un orecchio reale.
Se la principessa pensa che m’importi poi, si sbaglia di grosso.
Sbuffo. È il divieto che non riesco a capire; e il modo in cui si è comportata. Era strana. Non ha neanche esitato un momento nello spogliarsi di fronte a me. E pensare che quando eravamo in viaggio è quasi morta dallo spavento alla posibilità che potessi vederla con la gonna alzata. Mi fermo. Qualcosa non torna. Era strana anche quel giorno, scavare nelle feci per recuperare un bottone? Un bottone…
Il bottone della dissimulazione! Che altro poteva essere? Eppure quella volta avevo scartato all’istante l’ipotesi… Ma certo. Era stato proprio il pottere del bottone a farmi desistere dalla mia supposizione. Ma perché tutto ciò? Una semplice precauzione? Ripercorro gli eventi a ritroso. Il matrimonio, i banchetti, l’interrogatorio. L’uomo con la gorgiera della verità!
Lui avrebbe potuto identificare qualsiasi bugia uscisse dalla bocca della principessa; a patto che lei non avesse avuto con sè il bottone. Ma cosa voleva nascondere di preciso? Piani militari? Improbabile il Re gliene avesse parlato, e allora cos’altro? Un lampo mi attraversa la coscienza. Rivedo lei che prova a tirare su la gonna del vestito nuziale. Come per scoprirne qualcosa al di sotto.
E se quella notte di una settimana prima non avesse cercato di nascondere le sue nudità, bensì la cosa che le copriva?
Sgrano gli occhi.
E se la mutanda della morte fosse stata in realtà ritrovata?

Davanti al palazzo la folla è in visibilio. Mi faccio largo a spinte e gomitate. Non ho le calze ma dovrò inventarmi qualcosa se voglio fermare il massacro. Le guardie davanti alla porta sigillata del palazzo sembrano nervose. Una ha l’orecchio schiacciato contro il legno. Qualcosa sta accadendo lì dentro, qualcosa di brutto. Raccolgo una pietra e me la infilo in tasca. Trovo un punto della facciata lontano dai soldati e inizio a risalire i cornicioni mettendo mani e piedi sui bassorilievi dei basamenti. Un uomo urla qualcosa in Kataloviano. Arrivo a uno dei finestroni istoriati. Prendo la pietra e la scaglio contro di esso. Il rumore del vetro spezza la confusione intorno a me. Protratto dall’infrangersi delle schegge sulla facciata, esso si va a esaurire in uno scroscio argentino. Poi arrivano le grida.
Cammino sul davanzale e attraverso gli spuntoni di vetro ancora ancorati al ferro. Sotto di me si apre l’enorme sala.
Un vento cremisi turbina tra le panche e le colonne in pietra. All’interno di esso, figure nere danzano e ruggiscono. Demoni. La principessa è al centro del ciclone che si tiene la gonna alzata mostrando un paio di mutandoni lisi. Ha gli occhi chiusi.
Urlo. «Beys!»
Lei si desta. Alza gli occhi su di me.
«Fermati!»
La principessa si guarda intorno. Lascia andare il vestito e il vento si estingue all’istante. Alcune delle ombre rimangono affrescate nella mia visione, poi anch’esse si riassorbono nell’aria. Scalo al contrario la parete. No, no, no. A terra giacciono almeno trecento persone. Man mano che mi avvicino all’altare riconosco i simboli del potere che alcuni degli uomini portano addosso: stemmi di nobili e cortigiani, banchieri e generali. In prima fila, riversato sul pavimento con un braccio allungato in avanti, giace il Re. Accanto a lui, la regina stringe a sé l’ultimo nascituro della famiglia reale.
Tutto il potere di una nazione è in quella stanza. Effettivamente estinto nel momento esatto in cui le porte si apriranno.
Il volto della principessa è pallido ma guarda con il mio stesso rapimento i corpi privi di vita.
Mi avvicino. «Cos’hai fatto…»
I suoi occhi azzurri si staccano dal viso morto del suo amato e si ancorano nei miei. La sua voce è quasi rotta dal pianto. «La guerra è finita.»
Il portone si spalanca e i soldati iniziano a sciamare all’interno della sala.
Scuto la testa e strattono la principessa per un braccio. «Andiamocene!»
Lei non si muove. Osserva l’orrore che si dipinge sui volti delle guardie mentre procedono verso di noi. Sette balestre ci mostrano le punte dei loro dardi.
La principessa si piega per alzare di nuovo la gonna.
Non so neanche io cosa sia giusto o sbagliato ormai, ma le blocco istintivamente le braccia. «Basta, principessa. Ha fatto abbastanza...»
I suoi occhi si riempiono di lacrime. Urla. «Per Arniria!»
E sebbene non condiva il suo grido, accetto la stessa sorte.
 
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