Serpe scaccia serpe
I.Paola camminava fra gli ultimi palazzoni di periferia, un alternarsi di grigi, beige e rossi di cattivo gusto. Tutti gli edifici erano percorsi da enormi cicatrici di intonaco scrostato.
Indossava delle vecchie Converse sfondate, un paio di jeans lisi e una maglietta rossa con il collo a V; i capelli biondi le ricadevano sulla schiena simili a grosse corde dorate.
Camminava adagio; nonostante la mattinata in classe e le tre ore passate a lavorare da Cinzia-la-parrucchiera, non aveva fretta di tornare a casa e rivedere quello stronzo di suo padre.
Mancava mezz’ora al tramonto e per le strade non c’era nessuno.
Tirava un leggero vento che trascinava i fazzoletti sporchi e faceva frusciare i bordi dei manifesti elettorali: la Casa della Libertà contro l’Ulivo di Rutelli.
Non so nemmeno chi sono, pensò Paola. E l’anno prossimo mi tocca votare. Magari mi trovassi anche un ragazzo…
Non le mancavano gli ammiratori, ma i furbetti che l’avvicinavano volevano solo sbattersela, lo sapeva bene.
Così era stato con gli ultimi due, almeno.
Bella ma povera e malvestita. Sempre appiedata, con un padre notoriamente coglione e una madre che aveva tagliato la corda dieci anni prima senza prendersi il disturbo di divorziare.
Sono cose che non attirano i ragazzi perbene.
Svoltò l’angolo di un condominio e percorse l’ultima strada a est della città.
Alla sua destra c’era solo un grosso cantiere abbandonato, una distesa pressoché infinita di forasacchi che ondulavano al vento e una stradina in terra battuta che portava a quel buco che suo padre chiamava “casa”.
Una clacsonata la fece sobbalzare. Una Clio azzurra si accostò a lei, un finestrino si abbassò e la faccia appuntita di suo zio Pino spuntò come a dire “bubusettete!”.
Ma disse: — Tesoro, salta su.
E lei fece il girò e salì.
Lo zio indossava una camicia viola sbottonata e i capelli ingellati cinti da un paio d’occhiali scuri. Lui era un tipo da riviera, uno dei tanti che crede d’avere Rimini in tasca.
— Venivo giusto a trovarvi, — disse.
Lei si girò verso i sedili posteriori. — Che c’è in quella scatola coperta dallo straccio?
— Una sorpresa, — rispose Pino sterzando nello sterrato. — E quella non è una scatola. È una gabbia di vetro.
II.Suo padre era nel piccolo garage, chino sulla Ducati rossa con la fronte sporca di grasso.
— Ciao pa’, — disse Paola.
— Visto che ti ho portato, Enzo? — disse Pino. —E ho anche un’altra cosa con me, — continuò alzando la mano su cui teneva in equilibrio, come un vassoio, la teca coperta.
— Non puoi immaginare come l’ho avuta. Non c’è un posto dove appoggiarla?
Il garage era stretto e pieno di attrezzi.
— Aspetta, porto fuori la moto, — rispose Enzo.
Paola entrò in casa e stava per lanciarsi sul divano quando con la coda dell’occhio vide suo padre tornare nel garage. Si appiattì contro il frigorifero e restò ad ascoltare.
— Fammi vedere cosa hai rubato, — disse suo padre.
— Non l’ho rubato! — sbottò Enzo. Poi aggiunse: — Be’, forse sì. Comunque… ieri sono andato a ballare a Riccione e ho rimorchiato una tipa dai capelli neri, tutta piena di tatuaggi e piercing; una fregna che l’avrebbe fatto rizzare a una salma.
— Fammi solo vedere che c’è lì dentro, — disse Enzo. — Non voglio sentire la storia.
— Ma è necessario.
— Quando mai…
— Allora, — continuò suo zio, — questa fregna impasticcata mi porta a casa sua. Entro e mi ritrovo in un appartamento di lusso con luci arancioni soffuse e una sfilza di teche lungo il corridoio. La porca aveva un serpentario in casa. Un fottuto serpentario!
Comincia a farmi: guarda, questo è di questa specie, io lo chiamo Ciccino, è il mio piccolo. Quest’altro viene dal Bangladesh.… Davanti a un figlio di puttana bianco e verde dice: questo è letale, ha ancora il veleno nei denti. Senza soccorsi uccide nell’arco di poche ore, dipende da dove morde.
Paola continuò a osservare quel buono a nulla disoccupato di suo padre, seduto di spalle.
Suo zio riprese: — Be’ in camera da letto c’era una teca con un pitone. Hai capito? Le piaceva guardarlo mentre scopava. Allora io dico: diamoci una mossa. E in un attimo siamo a letto tutti aggrovigliati e ci diamo dentro alla grande. Nonostante il bestione dietro il mio culo, io sto troppo bene e vengo.
— Falla breve!
— Sì, allora, la zozza si gira e mi indica il comodino. Sopra c’è una boccia per pesci con un serpentello rosso. Lei mi dice: passamelo.
E io:
che? Passami il leccapassere, dice lei. E allora sai che faccio? Prendo quella schifezza senza denti e gliela butto fra le cosce. Lei lo afferra e sta lì, aspettando che quello tiri fuori la lingua, e quando lo fa… impazzisce!
— Non mi dirai che lì dentro c’è…
— Il leccapassere? No. Dopo qualche minuto quella è venuta, ed è subito collassata, per i cocktail e le pasticche. Allora io prima di uscire ho preso la teca del serpente velenosissimo e me la sono portata via. Ho pensato: qualcosa varrà di sicuro…
Paola vide suo padre sfilare lo straccio dalla teca e balzare in piedi.
— Cristo santo! Tu sei pazzo, — disse.
— In onore di quell’altro l’ho chiamato Mordipassera… Paola! — strillò poi. — Vieni a vedere.
— Lascia perdere, — disse suo padre, ma lei non aspettava altro.
A denti stretti entrò, strappò lo straccio di mano a suo padre e lo gettò in terra. Stette un secondo a rimirare la bestiola arrotolata, poi partì in quarta.
— Zio, ma è possibile che non gli dici niente? Non che tu sia molto meglio, ma lo vedi che sta senza fare un cazzo e ci chiacchieri come nulla fosse… ma lo sai… — la rabbia le aveva già rotto il fiato. — Lo sai come siamo messi. Sai con chi ha debiti mio padre. Possibile che non gli dici nulla!
Pino disse: — Calmati, tesoro. Sei sempre arrabbiata… Lo so che la situazione è quella che è.
Paola si lanciò una corda di capelli dietro la spalla. — La situazione è questa perché lui si è fatto dare dei soldi per aprire un bar con altri due scemi,
scemi ricchi, ed è passato un anno e ancora devono aprire. Questo perché lui non ha mai fatto niente. Doveva organizzare, decidere delle cose e non ne aveva voglia.
Non ne aveva voglia, — ripeté, fissando suo padre che guardava il cemento ai suo piedi.
— Lo sai che quel mafioso è già venuto due volte, questo mese?
Suo zio sbarrò gli occhi. — Cosa?
— Non te l’ha detto?
— Cazzo, — strillò Pino.
Poi una Mercedes bianca si fermò davanti al garage.
III.Dalla nube di polvere spuntò Marcello Loria, con il fratello Luigi e un uomo con la faccia di un bulldog affamato.
Pino coprì di nuovo la teca e la appoggiò in un angolo, mentre i tre avanzavano.
— Allora, Enzo-caro-Enzo, — disse Marcello Loria, grasso e con dei pantaloni blu che facevano a pugni con la camicia verde. — Tu vattene fuori dalle palle, — disse poi a Pino. — Sono questioni private.
— È il fratello di mia moglie, — disse Enzo.
— Lo so chi è e non me ne frega un cazzo. Augusto, accompagnalo fuori.
Pino guardò Enzo, che gli fece cenno di uscire.
Il bulldog si avvicinò e lo scortò oltre la soglia, poi si chiuse dietro la serranda pieghevole.
La luce ora veniva solo dalla porta della cucina, illuminando la polvere nell’aria.
— Vedo che c’è pure la signorina, — continuò Marcello.
Luigi Loria, più giovane e meglio vestito del fratello, cominciò a fissarla.
— Signor Loria, ancora non li ho i soldi. Mi serve qualche altro mese, — disse suo padre.
— Ah, sì? E come credi di trovarli, smontando auto rubate?
— Mi dia tempo, le giuro che li trovo. Lavorerò in qualche officina.
— Lavorare? Tu? Non raccontarmi stronzate. — Indicò gli attrezzi appesi al muro. — Ti spacco quella testa piena di merda con una chiave, quant’è vero Dio.
Paola vide Marcello Loria soffiare aria dal naso come un toro.
— Io ti avevo detto: lascia perdere, è una cazzata.
Tu hai insistito, brutto stronzo. Non cercare di far passare me come quello che ha fatto la cagata, perché la cagata l’hai fatta tu!
Il signor Loria sputò in terra, fissando suo padre ancora seduto alla seggiola.
— La verità è che tu
vuoi farti ammazzare — disse. — Un cazzo di bar… La sanno tutti la storia. Mi hai ridato appena un decimo dei soldi! Sto facendo la figura del coglione, e nei giri che frequento queste cose non vanno bene. Ti dovrò ammazzare, stronzo.
— Ho provato a vendere la mia parte agli altri soci, ma non l’hanno voluta, — sbottò suo padre alzando il capo.
Il signor Loria caricò il destro e lo colpì al volto, sbattendolo a terra.
La sedia si ribaltò.
Luigi si passò una lingua sulle labbra e si avvicinò a Enzo, ma suo fratello tese un braccio.
— Aspetta, — disse. — Ehi, coglione, guardami.
Suo padre si tirò su e lo guardò con occhi perplessi.
— Ora sai che possiamo fare? Tu esci fuori con mio fratello, così io parlo un po’ con tua figlia, che mi sembra più ragionevole.
Paola sentì le pupille dilatarsi. — No, — disse.
— Non mi piace ’sta cosa, Marce’, — disse Luigi Loria.
— Sta’ zitto tu. Chi t’ha chiesto niente?
— Allora, Enzino, che dici, — continuò Marcello appoggiandogli una mano sulla spalla. — Vedrai che se parlo un po’ con tua figlia può essere che ti lascio altri sei mesi. Fino a Natale.
— No papà… — insisté Paola, ma Luigi aveva preso suo padre a braccetto e lo scortava verso la serranda.
Enzo si voltò.
— Tutto a posto, — disse ancora il signor Loria. — Facciamo quattro chiacchiere.
— Questa cosa non mi piace, — ribadì Luigi Loria sollevando la serranda.
Paola scrutò lo spazio davanti al garage ma non c’era traccia di Pino né del bulldog.
Poi la serranda si chiuse e tornò la penombra. Marcello Loria fece qualche passo e richiuse la porta della cucina.
Si udì un
click e la lampadina al centro della stanza si accese.
— Allora, che vogliamo fare?
Paola aveva la bocca impastata. — Che vuoi da me?
L’uomo tirò su la seggiola. — Avvicinati.
— Sto bene qui.
— Stammi a sentire. Non mi rivedrete per sei mesi. Lo so che non sei una verginella… vieni qua. Non ti costa nulla e salvi la pelle a tuo padre. Farò piano, hai la mia parola. Voglio solo toccare quelle mezze tette che ti ritrovi, quella pelle perfetta…
Dopo qualche secondo Paola fece un passo di lato e Marcello le afferrò un polso e la fece sedere su di lui.
Paola sentì la sua erezione premerle contro i jeans. Cercò di mantenere il controllo, ma non ci stava capendo più niente.
Le grasse dita di Marcello le scivolarono sotto la maglietta e le abbassarono il reggiseno. Paola sentì rompersi il gancetto.
Marcello perse il controllo. Cominciò a strizzarla ovunque, con una mano le tirò su la maglietta e la gettò via, lasciandole scoperti i seni, poi le sbottonò i jeans.
A Paola sfuggì un singhiozzo. Il signor Loria la fece alzare e le strattonò giù i jeans e le mutandine, fino alle caviglie. Poi le spinse il collo in basso finché lei per non cadere appoggiò le mani per terra.
Benché fosse chiusa e secchissima, lui la aprì con violenza. Perse l’erezione, ma dopo qualche secondo tornò duro.
Paola urlò e Marcello le tappò la bocca con una mano.
Si udì un altro grido fuori dal garage, che venne troncato a metà.
Luigi sta pestando mio padre, pensò mentre quello la sbatteva da dietro con tutta la sua forza. Ci fanno il sevizio completo.
Allora il suo cervello andò in tilt.
La mente si distaccò dal corpo come una piccola barca da un porto.
IV.Quando Marcello ebbe finito, Paola lo sentì scivolare fuori come una lumaca.
Si era ridestata, ma c’era qualcosa che non andava nella sua mente.
— Ohi, ohi. Va bene ragazza. Spero ti sia piaciuto… — disse Marcello, e Paola si stupì nel sentire i suoi muscoli flettersi.
Marcello dovette cogliere qualcosa nella sua espressione, perché sbarrò gli occhi.
Paola sferrò un pugno a tutta forza dritto alla sua gola.
Lo prese sul pomo d’adamo, e lo sentì rientrare come un pungiball nella macchina. Si sbilanciò e cadde in terra tutta nuda, macchiandosi un fianco di olio.
Si mosse verso l’angolo mentre Marcello, ricaduto sulla seggiola, gorgogliava a bocca aperta, con le guance rosse.
Ogni tanto emetteva una specie di fischio stridulo.
Paola tolse il panno dalla teca e l’aprì. Senza esitare un istante afferrò Mordipassera giusto dietro al collo.
Lo sollevò, e la bestia non gradì: con la coda cominciò a sferzarle la pancia.
Paola prese la rincorsa e ficcò il braccio dentro alla bocca spalancata del signor Loria, fino al polso.
Poi mollò la presa.
Mordipassera sembrava impazzito. Aveva affondato i denti da qualche parte nel fondo del palato, oltre la lingua. La sua coda saettava come la frusta d’un folletto.
La fronte di Marcello Loria si contrasse e gli riuscì di urlare. Con gli occhi luccicanti morse a sua volta Mordipassera che si dibatté, gonfiandogli le guance.
Con gli incisivi riuscì a staccare metà serpente, poi il Loria spalancò la bocca per respirare e Paola vide l’altra parte di Mordipassera tuffarsi giù per la sua trachea, come uno spermatozoo che si infila in un ovulo.
Mangia, fece in tempo a pensare. Poi udì la serranda sollevarsi: aprì la porta della cucina, corse in casa, afferrò una vestaglia e uscì dal retro.
Dentro si udivano rumori, bestemmie ovattate.
Si infilò la veste, poi si guardò attorno: erbacce per alcuni metri, poi un mare di forasacchi che frusciavano nell’oscurità.
Corse scalza verso il fianco dell’abitazione e vi trovò la Ducati appoggiata maestosa al cavalletto laterale.
Suo padre le aveva insegnato a guidare la moto: la cosa migliore che avesse mai fatto. Sollevò l’orlo della veste e balzò in sella; girò la chiave e il ruggito del motore sconvolse i dintorni.
Derapando infilò la stradina di terra e lanciò un’occhiata indietro: vide suo padre seduto in terra, a dir poco malconcio, poi il bulldog uscire per un attimo dal garage.
Quando guardò di nuovo avanti stava per finire nell’erba, ma in qualche modo si rimise al centro della carreggiata e accelerò ancora di più. Filò via con la veste che svolazzava denudandola fino alla vita e la polvere che dietro di lei si sollevava rabbiosa.
V.Suo padre e Pino erano spariti, a cause dei debiti, secondo i più.
In realtà erano stati fatti sparire, e anche il corpo di Marcello Loria era stato portato via e il garage ripulito, ma non dalla polizia.
La polizia non aveva prove della morte di nessuno. Avrebbero indagato ma senza risultati, credeva Paola. E del fatto che lei aveva ucciso Loria non aveva fatto parola.
Tutto quello che sapeva era che
doveva andarsene.
Luigi Loria era passato al comando. Essendo un vero signore non voleva che le capitassero incidenti, ma perché ciò fosse possibile, avrebbe dovuto lasciare il paese entro tre giorni.
L’aveva esiliata dalla cittadina, come nel Far West.
Sua madre era tornata a casa, le aveva dato dei soldi e Paola era pronta a partire.
Stavolta era lei ad andar via.
Direzione: riviera, dove trovare un posto in un bar per l’estate, poi una scuola per l’autunno.
L’unica cosa che contava al momento era stare da sola. Cercare l’equilibrio mentale.
Si sentiva sfasata dai colpi di cazzo di Marcello Loria e dagli occhi che aveva prima di morire.
Era la sera prima della partenza e lei uscì di casa con il casco integrale in mano.
Saltò in sella e partì sputando terriccio e poi cominciò ad accelerare per le strade di Coriano. Corse sempre più forte, e più correva più la strada le sembrava sottile.
Come un filo.
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