Vigilia di Ferragosto«Dunque, ci sono cinque persone che avanzano lungo una strada...»
«Susi, abbassa la voce...»
«Ok... comunque... ci sono cinque persone che avanzano lungo una strada. Quattro uomini e una donna. A un certo punto inizia a piovere. Gli uomini si mettono a correre, mentre la donna non fa nulla per accelerare la propria andatura. Ciò nonostante, arrivano tutti insieme a destinazione; gli uomini sono zuppi mentre la donna è completamente asciutta. La domanda è: di che colore sono i pantaloni degli uomini?»
«Neri» sibilò Amelia. «E abbassa 'sta voce, santo Cielo».
«Lo conoscevi già...» sbuffò Susanna.
«Sì. E tra l'altro mi sembra di cattivo gusto, visto dove ci troviamo» replicò Amelia, cercando di rallentare ulteriormente il passo per rimanere in fondo al corteo.
«Da quando sei così bigotta, dimmi un po'?»
«Non è questione di essere bigotti, Susi, dai. Siamo a un funerale... quel tizio più avanti col cappello ci ha già lanciato un'occhiataccia».
«Lo so... ma il morto non lo conoscevamo nemmeno, siamo venute solo perché era il nonno di Gino...»
«Che si dà il caso conosciamo da almeno vent'anni».
«Hai ragione... ma sono troppo felice. Lo so che non sta bene essere felici a un funerale, ma con il divorzio finalmente alle spalle mi sento un'altra persona. Gli ultimi dieci giorni sono stati i più sereni da... bah, non so nemmeno dire da quando».
«Posso immaginare» disse piano Amelia, sorridendo.
«No, non credo. Tu e Luca state così bene. Non hai idea di cosa voglia dire vivere con uno stronzo come Michele...»
Le due amiche proseguirono in silenzio, accompagnate dai mormorii occasionali degli altri partecipanti e dal rombo lieve e sonnacchioso del carro funebre poco più avanti.
«Siamo al cimitero» disse Susanna dopo un po'. La vettura si era fermata davanti all'entrata del camposanto e gli addetti alle pompe funebri stavano scaricando la bara. Il corteo riprese all'interno, silente.
«Che fai, piangi?» disse Susanna, con sguardo preoccupato.
«No... è che quando chiudono il loculo mi viene sempre un gran magone, anche se non conosco il defunto...» disse Amelia. La cerimonia era finita; dopo i saluti e le condoglianze, amici e parenti stavano pian piano tornando alle loro occupazioni quotidiane. «Tra l'altro, ti spiace se passo a trovare il mio, di nonno? È sepolto un paio di campi più in là».
«Ma certo, Amy. Fammi strada».
«Per di qua. Almeno credo».
«Come
almeno credo?»
«No, è che 'sto cimitero è un casotto... tutte le volte devo fare mente locale per capire dove sono... ah, ecco la statua dell'angelo nero».
«Angelo nero? Inquietante...»
«Sì, beh, non è proprio nero... però vedi qui?» disse, indicando un'ala del cherubino scolpito accanto a una lapide. «Qualcuno l'ha sporcata, non so cosa sia, sembra petrolio, boh... in ogni caso è diventato il mio punto di riferimento. Quando lo vedo so che devo girare a destra».
«Se lo dici tu. Basta che non mi fai perdere qui dentro. Non mi andrebbe di passarci la notte...»
«Tranquilla. Non sarò Ambrogio Fogar, ma finché si tratta di trovare la via di uscita io... oh cacchio!»
«Cosa?»
«Guarda questa... è...
impressionante».
Susanna seguì lo sguardo dell'amica e per un attimo si sentì mancare. C'era una lapide di marmo bianco di fronte a loro. Sembrava piuttosto nuova e ben tenuta, anche se non c'era alcun fiore a ornarla. Ciò che però aveva catturato l'attenzione delle due amiche era la fotografia, un ovale in bianco e nero incorniciato da una sottile lamina argentata.
«Susi... è identica a te!» sussurrò Amelia.
Era vero. Lo stesso taglio degli occhi, la stessa bocca. Persino la pettinatura, una coda di cavallo che lasciava scivolare ciuffi di riccioli biondi ai lati delle orecchie. Susanna provò un senso di vertigine. Era come guardarsi allo specchio.
«Non c'è il nome, però. Oh, caspita! Guarda le date» disse l'amica.
14 8 17 - 29 9 75
«È morta il giorno in cui sei nata tu».
«Porca... di certo è solo una coincidenza, ma ti giuro che ho la pelle d'oca».
«Ci credo. Guarda, stando alle date la signora dovrebbe avere... aspetta...» Amelia alzò le mani e iniziò a contare, piegando un dito alla volta e mormorando.
«Cinquantotto» disse Susanna. «Complimenti, Einstein, vedo che hai fatto enormi progressi dalle elementari» scherzò, più per smorzare il disagio.
«Certo, certo. E dimmi un po', sapientona: coscienza o conoscenza, dov'è che va la i?»
«Ancora con 'sta storia?»
«Quando tu la smetterai di prendermi per i fondelli per la mia
lievissima lentezza con i calcoli a mente, io la pianterò di fare la
grammar nazi».
Scoppiarono a ridere entrambe, per fermarsi però un istante dopo in preda all'imbarazzo. Soprattutto Amelia si guardò intorno per controllare che nessuno le avesse viste scadere a quel modo nel cattivo gusto.
«Comunque... prima che mi dessi il tempo di finire i miei conti, stavo valutando che la signora si portava bene i suoi anni. Insomma, era vicina ai sessanta e assomiglia a te che ne hai quarantuno».
«Magari è una foto vecchia» suggerì Susanna.
«Quello è vero. Mi è già capitato di vedere sulle tombe ritratti di quando il defunto era più giovane. Forse perché i parenti vogliono ricordarlo come'era all'apice della sua vita, chissà».
«Sia come vuoi, io andrei a cercare tuo nonno. Mi dà i brividi stare qui davanti».
«Sì, anche a me. Oh, hai notato?» aggiunse Amelia prima di riprendere il cammino. «Anche lei ha un neo sul mento. Solo dall'altra parte».
«Sicura che non vuoi un passaggio?». Amelia era in piedi davanti alla sua
Micra, a far roteare sull'indice l'anello delle chiavi.
«No, davvero. Devo ancora passare al
super a prendere due cose. Vado a piedi, grazie».
«Come vuoi. A domani».
Quando l'amica si fu allontanata, Susanna si voltò. Il cancello del cimitero era aperto, quasi a richiamarla. Un brivido la scosse così forte da farle battere i denti.
Mi è passata un'oca sulla tomba, pensò, ricordando un modo di dire di sua nonna.
I piedi presero a muoversi da soli.
Cosa sto facendo? si chiese. Ma in realtà lo sapeva benissimo.
Fece un segno di croce frettoloso e si incamminò lungo il viale principale. Incrociò poche persone. Il crepitio della ghiaia sotto i suoi piedi era un rombo grave, quasi un ammonimento ad alzare i tacchi, e in fretta.
Arrivò alla statua dell'angelo nero e voltò a destra. Camminò per un centinaio di metri, ed ecco la tomba del nonno di Amelia.
Ma...l'ho già oltrepassata?Tornò sui suoi passi, osservando ogni lapide. Ma della tomba misteriosa non c'era traccia.
Che si fosse sognata tutto? Impossibile, c'era Amelia con lei.
In ogni caso, non trovare quell'inquietante sepolcro le risollevò il morale. Trovò la via di uscita dal camposanto quasi trotterellando e andò a comprare qualcosa per cena.
«Ciao, Susi». Amelia aveva il volto un po' pallido, su cui spiccava il rossore delle guance. Sembrava avesse corso per qualche chilometro, o che fosse in grande agitazione.
«Ciao, Amy. Entra» Amelia non se lo fece ripetere e si accomodò subito sul divano. «Va tutto bene? Dal tuo messaggio su
Whatsapp mi sembravi un po' scossa. Non hai messo neanche una faccina...»
Amelia sorrise, ma le labbra si tesero di nuovo nel giro di un attimo.
«Io... non so. Mi sento così stupida. Tutto questo va contro ogni mia convinzione, però...»
«Tutto questo cosa?» chiese Susanna, sedendosi a sua volta e allungandosi a prendere dal tavolino la bottiglia di Prosecco che aveva tolto dal frigorifero poco prima.
Amelia attese prima di rispondere. Sembrava in imbarazzo, come se non sapesse da che parte cominciare. Quando ebbe bevuto un primo sorso di vino, parve sciogliersi un po'.
«Sai che mi interessano molto le leggende, i miti, e il soprannaturale...»
Non era una domanda, sembrava quasi che la donna stesse parlando da sola. Ma Susanna le rispose di sì.
«E sai anche che, per quanto tutte quelle storie mi affascinino, per quanto
adori leggere libri e guardare film che parlano di fantasmi, zombie, maledizioni e cose varie, sono assolutamente scettica su almeno il novanta per cento di tutto il... calderone?»
Questa invece era a tutti gli effetti una domanda. Amelia sembrava supplicarla di avere una risposta affermativa.
«S-sì, Amy, lo so».
Amelia aprì la borsa e ne tirò fuori un libro. Glielo mostrò, e Susanna la guardò con un sopracciglio alzato. Il titolo era:
Non ci crederai... ma è tutto vero.
«Qui ci sono... beh, un mucchio di stronzate, inutile nasconderlo. Il finto allunaggio, il Chupacabra, il rito di Bloody Mary, persino le scie chimiche e l'autostoppista fantasma, che è vecchia come il mondo. Roba da far impallidire persino i terrapiattisti... Comunque... da quando abbiamo lasciato il cimitero, ieri, ho avuto questo tarlo, questa sensazione di
déjà-vu. Stanotte mi sono svegliata per andare in bagno, e mi sono ricordata. Era qui, che l'avevo già visto...» Amelia aprì il volume fino a una pagina indicata da un segnalibro e lo avvicinò all'amica, perché potesse leggere il titolo del capitolo.
La Lapide Speculare.
«Che roba è?» chiese Susanna.
«Leggi...» rispose lei semplicemente.
Susanna lesse. E le parve che il vino iniziasse a fare un po' troppo effetto.
"La Lapide Speculare" è una leggenda (o verità storica? noi propendiamo per quest'ultima) antica ma poco conosciuta. Non è chiaro quali siano le condizioni o i comportamenti alla sua base. Abbiamo visto nel capitolo 12 che, per evocare lo spirito di Bloody Mary, occorre pronunciare tre volte il suo nome allo specchio, al buio e con una candela accesa. La Lapide, invece, compare seguendo uno schema criptico, misterioso. Come sceglie a chi mostrarsi? Nessuno lo sa. L'unica cosa certa è che si manifesta (una e una sola volta) soltanto a vittime di omicidio.
La Lapide (che nei pochi casi documentati è quasi sempre apparsa in un cimitero, tranne due occasioni in cui si è palesata rispettivamente in una stalla e sopra una collina) mostra il ritratto della persona interessata (nei casi più antichi si parlava di dipinti fissati alla pietra, in quelli più moderni, ovviamente, di fotografie), nonché la sua data di nascita e quella dell'omicidio. Solo che esse sono invertite. Invertito è anche il ritratto. Per questo è chiamata Lapide Speculare. L'interessato guarda la lapide, ed è come se guardasse in uno specchio.Seguivano alcune descrizioni di presunti casi di apparizione della lapide, ma a Susanna bastava così.
«Non vorrai dirmi che proprio tu credi a queste sciocchezze?» disse Susanna, la voce più acuta di quanto avesse voluto.
«No. Non ci ho mai creduto. Ma, mi chiedevo... d'accordo, queste sono tutte cazzate. Però, per, che ne so, la legge dei grandi numeri, o legge delle probabilità, chiamala come vuoi... su tante fregnacce non potrebbe essere che ci sia
una cosa vera? Guarda le date. Se il 29 9 75 non è la data di morte ma quella di nascita... tu sei nata il 29 settembre del 1975!»
«Te l'ho sempre detto. Sei troppo ansiosa».
E anche io lo sono, in questo momento, accidenti a te! «E poi, ragiona un attimo. Seguendo il tuo ragionamento, il 14 8 17 sarebbe la data in cui io vengo...
uccisa, giusto? Vale a dire il 14 agosto 2017. Oggi è il 20. Sono passati sei giorni e io sono ancora qua. Ricordi, il 15 abbiamo fatto la grigliata insieme. Se io fossi morta alla vigilia di Ferragosto, il mio fantasma sarebbe il primo nella storia dell'umanità a ingozzarsi come un bue con cinque costine, due braciole e mezzo metro di salsiccetta!»
«E se fosse un errore...»
«E io trovo l'unica lapide fallata che predice la mia morte sbagliando clamorosamente giorno? Non vedi che è solo una coincidenza? Assurda, inquietante ai limiti del sopportabile, d'accordo. Ma pur sempre una coincidenza».
«Però...»
Susanna roteò gli occhi.
«Solo questa. Poi smetto, lo giuro. Qui parla di omicidio, non semplicemente di morte. Non voglio fare allarmismi, però...» Amelia abbassò la voce mentre le guance le diventavano purpuree. «Michele...» pronunciò il nome con un filo di voce.
«Michele? Dai, Amy, non scherzare. Michele è il più grosso stronzo che abbia mai calpestato questo suolo. È un traditore, fancazzista e arraffone. Ma non è un assassino, dai »
«Ma io c'ero il giorno dell'udienza. Ho sentito quello che ti ha detto, e ho visto come ti guardava...»
«Certo, come un uomo che ha perso una battaglia che credeva vinta. Pensava che lo mantenessi io, il cretino. E si è arrabbiato. Ma non mi ucciderebbe mai, Amy. Rifletti prima di sparare idiozie...»
«Scusa, non volevo offenderti. Michele non mi è mai piaciuto, lo sai...»
«Lo so, Amelia. E avrei dovuto ascoltarti, anni fa. Ci avevi visto più lungo di me. Per fortuna adesso mi sono tolta dai piedi quel deficiente. Oh, e ladro, questa non te l'avevo detta».
«Ladro?»
«Sì. Qualche giorno fa torno a casa e lo trovo nel garage. Stava cercando di portarsi via le biciclette, le canne da pesca del nonno e la cassetta degli attrezzi. Aveva ancora la chiave, l'infame. E doveva aver cercato di prendere pure la macchina. Dopo averlo sbattuto fuori a calci nel sedere l'ho trovata con la portiera socchiusa e il tappetino del guidatore tutto storto... avrà cercato di collegare i fili come nei film americani. Idiota, non è mai stato nemmeno capace di cambiare il rubinetto della cucina...»
Amelia rise, lo sguardo ancora tirato, e si versò dell'altro vino.
«Che poi, da un lato, se lo prendesse pure quel vecchio catorcio. Anzi, no, piuttosto la porto dallo sfasciacarrozze. Tra l'altro, non ho nemmeno guardato se parte; magari a cercare di fare il McGyver della Val Padana me l'ha ingolfata. Per tutte le vacanze non l'ho usata, spero che domani non mi abbandoni visto che devo rientrare al lavoro».
Amelia finì il secondo bicchiere e prese un gran sospiro.
«Sarà, ma io non sono tranquilla lo stesso... forse questa della Lapide è una cazzata. Anzi, sicuramente lo è. Ma ha innescato lo scenario di Michele che... che ti fa del male... Dio, ho la nausea...»
«Ascolta, Amy» disse Susanna prendendole le mani. «Non mi succederà niente, d'accordo? Stai serena, e torna la solita Amelia che sbuffa quando sente parlare della morte di Paul McCartney o dei leader rettiliani».
Amelia rise di gusto. «Hai ragione. Scusa, dev'essere tutto 'sto caldo che mi ha sciolto qualche neurone...»
Susanna abbracciò l'amica e la tensione che fino a quel momento aveva aleggiato nel salotto parve dissolversi.
Susanna scese in cortile ancora mezza assonnata nonostante le due tazze di caffè.
«Forza, Susi. Il primo giorno dopo le vacanze è sempre il peggiore. Domani andrà meglio». Aprì il garage ed entrò in macchina. Alla fine si era dimenticata di controllarla, e pregò che partisse mentre girava la chiave con il piede sulla frizione.
«A meraviglia, piccola!» esclamò, sentendosi salutare dal brontolio allegro del motore. Nonostante i suoi vent'anni abbondanti di vita, la piccola Y10 le dava ancora delle belle gioie; «e scusa se ti ho chiamata vecchio catorcio. Come farei senza di te?».
Uscì di casa e si avviò verso l'ufficio, che si trovava nel paese vicino, a circa dieci minuti di strada. Accese la radio e iniziò a canticchiare. In prossimità della seconda rotonda, il pedale del freno emise un piccolo
clic, appena percettibile, e Susanna dovette spingere un po' più forte con il piede. L'auto però rallentò senza scossoni e Susanna si tranquillizzò.
«Stai davvero invecchiando, piccola» ammise, un po' rattristata dall'idea di essere forse costretta a sostituire quell'utilitaria che le faceva compagnia fin dal primo giorno di patente. Arrivata alla terza rotonda del suo percorso, imboccò la seconda uscita, una strada quasi del tutto dritta, lievemente in discesa e costeggiata da alberi e case. Il piede destro spinse un po' più a fondo sull'acceleratore, per rialzarsi un paio di minuti dopo, quando Susanna vide approssimarsi la curva prima dell'inizio del paese. Lì la strada si faceva un po' più stretta e passava sopra un canale, ora asciutto per la siccità degli ultimi due mesi. L'auto andava però ancora a velocità troppo sostenuta per affrontare la curva, così Susanna premette il freno. Il pedale scese fino a fine corsa, ma l'auto non accennò a rallentare.
Susanna alzò il piede e lo premette di nuovo. La macchina continuava ad avanzare, aumentando la velocità anziché diminuirla a causa della lieve discesa. Il panico le irrigidì ogni muscolo. La curva era sempre più vicina, l'auto sempre più veloce.
Il sangue le si mutò in gelido fuoco ripensando alla conversazione del giorno prima.
(Qualche giorno fa torno a casa e lo trovo nel garage)
(...l'ho trovata con la portiera aperta e il tappetino del guidatore tutto storto)
(...il McGyver della Val Padana)Nei pochi secondi prima dello schianto con il guard-rail, le risuonò nelle orecchie, come campana a morto, la sua stessa voce
(Michele è il più grosso stronzo che abbia mai calpestato questo suolo. È un traditore, fancazzista e arraffone. Ma non è un assassino, dai)
(Lo so, Amelia. E avrei dovuto ascoltarti, anni fa)
E avrei dovuto farlo anche ora, amica mia.Dopo aver sfasciato il guard-rail, la Y10 iniziò la sua discesa a verso il canale asciutto, con il muso verso il basso. Poco prima che questo toccasse il fondo, distruggendo per sempre sia la piccola utilitaria che la vita della sua guidatrice, un ultimo pensiero, lucido e allucinato al contempo, sfrecciò nella mente di Susanna. Un rapido calcolo, di quelli che la sua amica
...non la vedrò mai più…faceva così fatica a fare.
Ho visto Michele nel garage esattamente sette giorni fa.Impossibile sbagliarsi, perché ricordava di aver avuto in mano le borse della spesa con la carne per la grigliata del giorno dopo.
Dopotutto, la Lapide aveva ragione. 14 8 17.
Sette giorni fa.La vigilia di Ferragosto.
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Se qualcuno non lo conoscesse ancora e fosse curioso, qui c'è la soluzione all'indovinello di Susi:
Amelia risponde correttamente, i pantaloni sono neri perché gli uomini sono addetti alle pompe funebri, mentre la donna è la defunta nella cassa che essi stanno trasportando. Per questo arrivano a destinazione tutti insieme e lei è asciutta mentre gli uomini sono zuppi.
Voglio provare a non svelare il mio avatar, per vedere se qualcuno lo riconosce. Vi ho messo moltissimo di mio; alcuni dettagli sono quasi di certo riconoscibili solo da chi mi conosce bene, ma per altri dovrebbe essere sufficiente l'amicizia "virtuale".