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Skannatoio, speciale VIII ½, Ventiquattr’ore nella notte buia e tempestosa
I mini-campionato, 5½ di 6

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view post Posted on 19/4/2012, 21:18
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I'm gonna be sincere, so get ready for it.

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LA VOCE DEL VENTO


I

Era una notte buia e tempestosa, quando Carmelo mise piede a S. Barthelmy. Il treno era ripartito subito verso nord, lasciandolo da solo a lottare contro il vento e a premersi il cappello sulla testa calva.La grande valigia che portava con sé era impermeabile. Conteneva tutti i suoi averi: libri, vestiti, spartiti musicali, due fotografie, un portamerenda di metallo dipinto e un piccolo crocifisso.
Quando mise piede nel saloon, gli sembrò di essere tornato ai tempi della guerra: uno spazio troppo piccolo, un numero di avventori troppo grande, un'igiene troppo bassa. C'erano un bancone, un palchetto impolverato, una decina di tavolacci e un pianoforte sgangherato contro una parete. Sullo strumento, un cartello: “Cercasi nuovo pianista”.
A parte il barista, nessuno si girò a guardarlo, e se qualcuno lo fece non lo degnò di una seconda occhiata.

Un lampo illuminò la stanza che sarebbe stata la sua nuova casa, appena si chiuse la porta alle spalle. Non misera quanto se l'era immaginata, in realtà: aveva persino un piccolo camino di pietra in un angolo. Da sotto il pavimento, di tanto in tanto il rumore di uno scroscio di risa sovrastava quello della pioggia battente contro i vetri sporchi. Era stanco e indolenzito per il lunghissimo viaggio, ma non si abbandonò al tepore delle coltri finché non ebbe spazzato la stanza, spolverato tutte le superfici, lavato la sua biancheria da viaggio e posizionato la cassetta dipinta sotto la finestra, dalla quale si scorgevano il pozzo e il prato sul retro della locanda, recintato dalle stalle e dalla parete rocciosa del monte che dava il nome al paese.

2

-Voi sapete cosa volete dalla vita, signor Carmine!-
Nonostante portasse il lutto, la bella signora rise con sincerità. La testa bionda del figlioletto era china sui tasti del lungo pianoforte a coda, su cui le dita gli scorrevano incerte. Il musicista si diede un colpetto orgoglioso alla pancia gonfia.
-Ciascun uomo dovrebbe saperlo, superata una certa età. Anche se io ho scelto la musica, discendo da uomini che hanno cucinato per re e cardinali: il buon cibo è parte di ciò che sono. Per questo mi pare un degno obiettivo, per me e la mia musica, di assaggiare la cucina di tutte le province d'America, in vista del mio ritorno in Italia. Voglio riempirmi dei profumi e dei colori, ma soprattutto dei sapori di questo continente. È così che si afferra l'essenza delle cose.
-Mi piacete, signor Carmine. Forse è per via delle vostre origini, ma sento che c'è molta poesia in voi.- lo sguardo della donna si velò. -Credo che sareste piaciuto anche a mio fratello, se solo avesse avuto modo di conoscervi...- un rivolo sgorgò dagli occhi azzurri, la donna si portò una mano al petto e piegò il capo verso il bambino concentrato.
-Suo figlio ha un grande talento, signora Klats.- tentò di sollevarla Carmine - Ha quello che nel linguaggio dei musicisti si chiama “orecchio assoluto”: bisogna allenare le sue dita, ma un giorno potrà diventare un vero artista. Ha mai suonato qualche strumento?-
-Il suo povero zio gli aveva insegnato a usare l'armonica, era bravissimo... ma da qualche tempo non la suonava più...- un singhiozzo spezzò la voce della donna in nero, il bambino smise di suonare. Voltò la testolina bionda e guardò sua madre con grandi occhi grigi. Non disse nulla.
-Jack, amore, ti piace suonare il pianoforte con questo signore?- il bambino annuì, tornando a guardare la tastiera. Premette un tasto, poi un altro e poi altri tre in rapida successione.
-Sono così felice che gli piaccia suonare- continuò la madre con voce arrochita dal pianto -Jack è muto dalla nascita, ma ama la musica proprio come suo zio...- la voce le mancò di nuovo.
Il bambino premette ancora i cinque tasti. Carmine annuì con tristezza; era da sempre nella sua natura condividere l'emozione dei suoi interlocutori. Tentò di appoggiare una mano sui capelli biondi del piccolo, ma Jack si ritrasse, piegandosi di più sulla tastiera e ripetendo ancora la sequenza.
-Non ci faccia caso, fa così con tutti. Deve solo abituarsi alla sua presenza.
Il musicista annuì e si asciugò una lacrima che aveva preso a scendergli verso la barba grigia.

3

-Sono spiacente, signor Carmine, ma “La bionda squaw” resterà chiusa fino all'arrivo dell'ispettore da Boston. La tragica morte del dottor Yates ha messo in ginocchio tutto il paese, ma forse lei non sa che la disgrazia è avvenuta proprio a quel ristorante.
Il pianista non riuscì a evitare un gesto di stizza. Provare la cucina de “La bionda squaw” era il motivo principale per cui aveva accettato di lavorare in quel posto dimenticato da Dio.
Di quel piccolo e sconosciuto ristorante gli aveva parlato un venditore di tabacco a mille miglia da lì, un uomo tarchiato e pacifico con il dono della descrizione. Gli aveva fornito così tanti dettagli sulla prodigiosa cuoca mezza indiana, che da quel giorno a Carmine era capitato più volte di vedersela apparire in sogno, con grandi trecce d'oro intrecciate con piume di aquila e pavone, mentre gli serviva spezzatino di cerbiatto e torta di zucca e cacao, pane di granturco appena cotto con salsa di mirtilli e quel budino di grano bollito “che non si poteva descrivere, se non si parlava la lingua degli angeli”.
Quando aveva saputo che il saloon di S. Barthelmy cercava un nuovo pianista, gli era parso un segno divino. Nemmeno la scoperta che il precedente suonatore si era beccato una pallottola nella schiena durante una sparatoria fra cowboy era riuscita a far vacillare la decisione di accettare immediatamente l'offerta di lavoro. E ora scopriva che i forni erano spenti e il ristorante dei suoi sogni chiuso, perché il dottor W.B. Yates, era stato travolto e ucciso da un masso fuori dall'ingresso. E soltanto due ore prima aveva scoperto che il defunto in questione era lo zio del piccolo Jack Klats, di cui in mattinata era stato nominato maestro di pianoforte da Tony Klats, uno dei più ricchi commercianti del paese. Forse anche queste bizzarre coincidenze erano un segno? Qual era il suo ruolo, nel disegno di Dio?

4

Fuori dalla finestra della sua camera c'era uno stretto cornicione che portava sul tetto. Veniva usato solo quando erano necessarie riparazioni, gli aveva spiegato il padrone del saloon, ma Carmine aveva subito iniziato a servirsene per solitarie escursioni notturne. Le strade di S. Barthelmy puzzavano di sterco e sporcizia, ma quando calava il sole da lassù il pianista riusciva a cogliere l'odore del deserto. In paese la chiamavano la Puttana: una corrente d'aria calda e violenta, che saliva dalle Tre gole fino a valle Secca schiaffeggiando il paese ogni maledetta sera d'autunno. Le ante sbattevano e le insegne ondeggiavano, mentre un'invasione di piccoli cespugli rinsecchiti rotolava tra le costruzioni di legno come un esercito di minuti fantasmi a caccia di roditori. Carmine amava l'odore del deserto e aveva scoperto di amare anche la linea infuocata che il tramonto disegnava sopra le montagne a ovest della vallata, poco sopra il profilo frastagliato dei tetti. Seduto tra due abbaini con i piedi saldamente puntati sul bordo del tetto, faceva il possibile per non perdersi lo spettacolo del tramonto.
Un giorno si fece prestare un cannocchiale dalla madre di Jack per seguire da lassù la caccia dei coyote. Fu allora che scoprì uno strano mucchio scuro sul monte Barthelmy. I due piani di camere sopra il saloon rendevano la locanda uno degli edifici più alti del paese; da quella posizione Carmine non ci mise molto ad accorgersi che qualunque cosa stesse guardando, si trovava esattamente sopra “La bionda squaw”. Nonostante fosse pericoloso, affrontò le folate della Puttana e si mise in piedi, allungando il cannocchiale. Niente da fare, la luce si era fatta troppo scarsa.
Per tutta quella sera, mentre con le dita pensose ripeteva vecchie canzoni di frontiera su un accompagnamento di insulti e minacce di morte tra allevatori di fattorie rivali, Carmine rifletté su quanto aveva scorto.
-Cosa c'è sul monte Barthelmy?- chiese dopo la chiusura al barista.
-Una volta era una miniera d'argento, ma si esaurì ai tempi di mio padre. Ora non serve ad altro che a riparare il paese dal sole-
-Ci sono case o sentieri, lassù?-
-No, che diavolo! Le sue pendici sono ripidissime, solo serpenti e scorpioni possono salirci. Una volta c'erano capanni e argani per calare il minerale in paese, ma furono tutti smantellati prima che i cunicoli che portavano lassù fossero sigillati.
-Chi gestiva la miniera?-
-So che prima lo controllava un consorzio di Boston, ma poi passò a Jonathan Klats, il nonno del piccolo Jack. Il quale riuscì a malapena a recuperare i costi dell'investimento, prima che la vena si esaurisse e i minatori venissero rimandati tutti a casa. È stato allora che mio padre iniziò a bere.
Chiacchierarono alcuni altri minuti sbrigando le ultime faccende, poi Carmine salì nella sua stanza. Si svestì, andò alla finestra e guardò fuori. Nel buio si intravedevano solo deboli luci qua e là in paese, dietro le ante che tremavano sotto il soffio della Puttana.

5

-Hai usato il cannocchiale?-
-Sì signora Klats, è uno strumento eccezionale. Mi sto innamorando di questo paese e della sua storia; giusto ieri sera ho saputo che c'era una miniera nel monte Barthelmy. Posso importunarla a riguardo, o sarei sconveniente?
-Sei troppo cerimonioso, Carmine. Noi del west andiamo dritti al sodo, dovresti saperlo. Chiedi pure!- la donna sorrise, mentre Jack saliva sul seggiolino al pianoforte e ripeteva con sicurezza il motivetto che il maestro gli aveva fatto sentire per la prima volta poco prima. Senza mai aprire bocca, in sole due settimane il bambino aveva imparato quanto i suoi coetanei apprendevano di solito in due o tre mesi.
-Siete gentile, signora Klats. Ho sentito dire che il monte è inaccessibile, ma che in passato esistevano dei tunnel...- un'ombra passò sul viso della donna e il pianista tacque. Ma prima che potesse scusarsi, la donna disse: -va tutto bene, Carmine. Sì, esistevano dei tunnel, ma furono sigillati quando chiusero la miniera. Verranno tuttavia aperti un'ultima volta questo pomeriggio: sapevi che è arrivato l'ispettore da Boston?
-No, signora.
-È andato via poco prima che arrivassi tu, ha chiesto a mio marito di poter esaminare quei vecchi condotti per capire se qualcuno possa averli utilizzati per raggiungere il punto in cui... il punto da cui...-
-Ho capito, signora Klats.- Non aveva senso toccare una ferita ancora aperta, pensò Carmine; sarebbe stato meglio parlare direttamente con l'ispettore di quanto aveva visto col cannocchiale. Probabilmente non era niente di importante, ma voleva comunque dare il suo piccolo contributo alle indagini.

6

L'ispettore prese un altro sorso di whiskey. Nella luce delle torce, Carmine vide che nel centro della fiaschetta d'acciaio era scavata una profonda tacca. L'uomo in giacca bianca se ne accorse.
-Hai visto qua, pianista?- colpì il metallo con l'unghia; dal suono che tintinnò sopra i loro passi nel tunnel, Carmine capì che era quasi vuoto. -Due anni fa deviò la freccia di un indiano. E poi dicono che l'alcool uccide... da allora questa viene sempre con me.-
Il vicesceriffo, un giovane con un accenno di barba e la mano sempre sul cinturone, rise con nervosismo.
-Eccoci qui, ispettore- i quattro si fermarono davanti a una parete di travi di legno e Tony Klats indicò la data scritta con vernice bianca sul legno -mi sembra uguale al giorno in cui mio padre la fece sprangare, ma voi ne sapete più di me in queste cose.
L'uomo di Boston si mise del tabacco in bocca, iniziò a masticare e si mise i pollici in due asole vuote del suo cinturone, studiando soffitto e pareti circostanti.
-Fai luce laggiù, ragazzo- indicò al vicesceriffo una zona scura vicino al pavimento.
-Ehi, c'è un buco qui-
I quattro si strinsero attorno all'apertura.
-È troppo piccola perché un uomo possa passarci, sarà stato un puma o un dannato coyote- disse l'ispettore -ma noi la apriamo comunque.
Si sputarono sui palmi, e diedero mano alle spranghe.

7

-Stando alla mappa, di qua si va sul versante che si affaccia sul paese.
-Musicista, tieni gli occhi aperti anche tu. Non ce ne andremo senza aver dato un'occhiata a quel tuo scheletro.
Carmine non rispose. Appena svoltarono l'angolo, le tenebre del cunicolo svanirono e si ritrovarono in un budello in cui filtrava la luce pomeridiana. Nessuno sembrava mettere piede lassù da anni, a giudicare dalla quantità di guano di pipistrelli che imbrattava il pavimento. Sbucarono su un costone che profumava di pietra calda, stretto tra una parete di roccia e il precipizio che dava sui tetti di S. Barthelmy. A terra si intravedevano ancora i solchi di una doppia linea di binari minerari. Avanzarono con cautela, il vice sceriffo con la pistola in pugno.
-Musicista, guarda! Mi sa che quello lì è il tuo scheletro.
Carmine raggiunse l'ispettore e seguì il suo sguardo ironico. Oltre la curva della montagna, un vecchio carro di legno sbiancato dal sole giaceva capovolto, non troppo lontano dal precipizio.
-Credo di sì, ispettore.
Carmine guardò giù verso il paese, cercando il tetto della locanda, ma il sole ormai prossimo al tramonto lo abbagliava. Si accostò invece al precipizio, e constatò insieme agli altri che “La bionda squaw” era sotto di loro.
-Bene, mettetevi comodi e non toccate niente, mi ci vorranno un paio di ore.
Carmine estrasse il cannocchiale e si guardò a lungo attorno, prima che l'investigatore terminasse l'esame del carro. Gli diede un'occhiata anche lui, poi si sedette sulla roccia spaccata ad aspettare il tramonto.
Quando il sole scomparve dietro la linea infuocata delle montagne ad ovest, iniziò a levarsi una calda brezza. Una nube scura aveva fatto la sua comparsa sopra le loro teste, sarebbe stata una notte di tempesta come quella in cui era giunto in paese. Il vento aumentava.
-La Puttana è fortissima, quassù!- disse il vicesceriffo a Klats.
-Davvero. Tutti quegli incidenti mortali capitati ai tempi della miniera cominciano ad avere una spiegazione. Forse è stato un bene per tutti che l'argento si sia esaurito.-
Dal carro rovesciato, l'unica ruota ancora in sede fece un quarto di giro sotto la forza del vento, gettando uno scricchiolio lamentoso.
-Quando ho saputo che una roccia aveva ucciso mio cognato, non potevo credere che fosse stata una fatalità, un caso naturale. Ma ora che sento quant'è forte il vento quassù, inizio a sorprendermi che le frane sui tetti del paese non siano più frequenti- una folata improvvisa gli strappò il cappello dalla testa, sollevandolo oltre il burrone prima che potesse allungare le mani per recuperarlo. La ruota del carro gemette ancora, mandando una nota stridula.
-Beh direi che ho visto abbastanza. Vi aspetto dentro.-
-Vengo con voi- fece con sollievo il vice sceriffo.

8

Carmine si sdraiò accanto al carro, rivolto verso il precipizio, e avanzò poco per volta verso la linea di caduta.
La raggiunse. Il vento gli premeva in faccia al punto che faticava a tenere le palpebre schiuse. Tentò di usare il cannocchiale per guardare in giù, ma desistette per non rischiare di perdere la presa. Rimase quindi immobile, cercando senza successo attorno a sé una superficie di roccia più chiara o più scura, che segnalasse il punto in cui, per effetto degli elementi, un blocco di roccia di mezzo quintale si era trasformato in un proiettile assassino. Non trovò nulla che gli desse questa certezza.
La Puttana aumentò ancora. Soffiava così forte che la ruota del carro girava in continuazione, ora, cigolando stonata come le pale di un mulino a vento.
Carmine non poté più tenere gli occhi aperti. Li chiuse e rimase ad ascoltare la voce del vento. Un lampo, un tuono. Le prime gocce di pioggia frantumata nel flusso di aria calda, che gli bagnarono il naso e la barba.
In quel frastuono, l'ombra di un ricordo si mosse di soppiatto dentro di lui, e crebbe lentamente fino a farsi chiara ed evidente.
Ricordò.
Rabbrividì.
Pianse.

9

-Riposi per sempre nel tuo abbraccio. Amen-
La tempesta era passata, e la messa commemorativa sulla tomba del dott. Yates aveva radunato quasi metà del paese. Carmine non aveva mai incontrato il medico di persona, ma sentiva il dovere morale di andarci. In tasca, il pianista aveva un biglietto del treno per New York, e la sua valigia era già pronta nel saloon.
L'ispettore non aveva trovato nessun indizio sul costone minerario, ma non era certo colpa sua: soltanto Carmine poteva capire cos'era successo.
Yates era stato assassinato.
Non aveva perso d'occhio il suo sospettato per tutta la durata della celebrazione, e quello aveva tenuto gli occhi fissi sulla bara con un'espressione indecifrabile.
Non aveva aperto bocca, ma quella non era stata una sorpresa. Carmine lo affrontò al termine della celebrazione, quando fu sicuro che nessun altro prestava attenzione.
Gli andò di fianco, aprì leggermente le labbra e fischiò alcune note mal combinate, a malapena udibili.
L'assassino si immobilizzò e spostò gli occhi di lui.
Non c'era paura, in quegli occhi, non c'era odio e nemmeno supplica; solo sofferenza.
Il bambino muto ripeté le note, fischiandole piano.
-Quando ci siamo conosciuti e tua mamma mi parlò di tuo zio, tu suonasti queste note sul pianoforte. Hai l'orecchio assoluto, Jack, l'ho capito subito. Anch'io ce l'ho, proprio come te. È un dono raro, e quando sono stato su quel costone di roccia e il vento ha iniziato a far girare la ruota di quel vecchio carro producendo esattamente questa sequenza di suoni, ho capito che tu eri stato lì. Ho capito che quando parlavo con tua madre, stavi pensando a quel momento. Del resto, l'unico buco di accesso era troppo grande per il passaggio di un adulto. Sei stato tu a far cadere quella pietra addosso a tuo zio?
La testolina bionda andò su e giù, ma lo sguardo restò fermo.
-L'hai fatto di proposito?-
Ancora su e giù, sguardo fermo. Carmine se l'aspettava, aveva senso. Doveva essere collegato al fatto che il bambino non sopportava di essere toccato.
-Ti ha fatto del male, non è così?-
Il bambino rimase immobile per alcuni istanti, e Carmine notò che si era fatto più pallido. Annuì di nuovo, e abbassò lo sguardo.
Il pianista aveva già preso la sua decisione prima di confrontarsi con il bambino. Prese un lungo respiro -Allora hai fatto bene. Continua a suonare il piano, e ricordati sempre che al mondo ci sono sempre odori, musica e sapori meravigliosi. Bisogna solo mettersi a cercarli.
Si voltò e se ne andò, senza più voltarsi indietro. Il suo treno partiva due ore dopo: giusto il tempo per pranzare a “La bionda squaw”.


Scusate perché è scritto da cani e soprattutto per il titolo di minchia... iniziato e finito nell'arco di 6 ore e non riletto... Ma è giusto così
 
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Wellax
view post Posted on 19/4/2012, 22:08




Sono più o meno soddisfatto, ma trovo che il finale si sbrighi troppo velocemente...non trovavo più domande. Grazie per sorbirvi questo coso.


COGITATIO



Wellax



Era una notte buia e tempestosa quando il mio corpo cedette alle mie sollecitazioni. Non regette e crollò. Fine. Bart Cronenberg non esisteva più, solo in qualche ricordo di qualche personaggio secondario si può trovare qualcosa di me, ma non altro.
Tutto inizia dalla morte, la mia è una esternificazione del mio essere, la mia è verità. Spero che voi, umili umani accetiate di comprendere ciò che sto per raccontarvi, spero che quando lo farete siate forti abbastanza da poter reagire positivamente alle mie parole. Esse saranno come bombe in una stanza di piombo, sarà difficile comprendere, solo immaginare ciò che sto per raccontarvi potrebbe fare in modo che usciate pazzi o peggio: morire.
Quindi prendete queste parole con cura, non sottovalutatele che esse hanno un potere che va al di là della semplice comunicazione, esse sono Dee da rispettare, Dee venidcative.
Bart Cronenberg era il mio nome, Cronenberg come il regista, non sono un parente. Pocanzi ho utilizzato una frase che racchiude in se tutto il mio pensiero...”Tutto inizia dalla morte”.
L'uomo, l'essere umano ha sempre cercato di carpire il cosa potesse esserci al di là della vita, domande susseguivano altre domande, ma mai una risposta concreta è stata potuta dare, a parte le ideologie degli uomini di fede, che pensano che nel “dopo” li aspetti il paradiso...o i realisti che ipotizzano un decomposizionamento lento e indotto a nutrire i vermi.
Ed infine quelli che credono nella reincarnazione...potete comprendere benissimo che le mie parole sono eloquenti, senza svelarvi niente siete già d'accordo con me e posso assicurarvi che niente di tutto ciò ha che fare con il “dopo”...il “dopo” sarebbe troppo da sopportare per una mente ancora ancorata al “terreno”. Per comprendere ciò che sto per raccontarvi la vostra mente deve essere evoluta, sgombra, vergine.
Sono morto il giorno del mio ventottesimo compleanno, erano anni che non ricavavo nulla dalla vita, sconfitte su sconfitte, delusioni su delusioni. Decisi di farla finita proprio quel giorno del duemilaetre perchè volevo fosse qualcosa di molto importante, avevo progettato di suicidarmi molti anni prima e prefissai una data di scadenza, per l'appunto il giorno del mio ventottesimo anno. Le cose non migliorarono, anzi, come se ciò fosse possibile andarono molto peggio di quanto avessi potuto ipotizzare. Lavoravo per una anziana signora che mi permetteva di vivere in casa sua, se solo mi occupavo di lei e della sua piccolissima casa. Accetai di buon grado pochi anni prima, precisamente nel novantanove, e per gli anni successivi tutto ciò che facevo per vivere era badare ad una umile vecchietta, che generosa mi ospitava in cambio di piccoli favori...come portare fuori il cane, buttare via la spazzatura...ero praticamente un parassita che si cibava di una vecchia. Odiavo me stesso per come avevo ridotto la mia vita, delle volte rubavo dal suo borsello e prendevo ciò che potevo senza la ben che minima pietà, la facevo stare male di proposito per potermi accaparare attimi di solitudine, la picchiavo se non faceva quello che io gli chiedevo di fare. Alla fine decisi che quello che era perso andava perso, quindi non volli restare in quella orribile situazione e uccisi la vecchia, non ricordo adesso il suo nome, ma lei ricorda il mio...lo sento, la percepisco adesso nella sua più totale normalità da “umana morta”..., la uccisi per il semplice fatto che stava incominciando a sospettare delle mie malefatte, era sospettosa e guardinga, moriva dalla voglia di beccarmi con tra le mani il vasetto di marmellata. Bastarda, proprio il suo essere così ha portato me a un punto di non ritorno, il punto dove la morte è l'unica via di uscita, dove la morte stava per liberazione. Feci tutto con calma e molto lentamente, mi presi tutto il tempo che mi serviva e aspettai il momento opportuno, avvenne nel duemilaedue, in estate; proprio quando i vecchi sono più vulnerabili. Il dodici agosto all'una e mezza del pomeriggio presi un coltello dalla cucina: manico in legno e lama seghettata, e glielo conficcai sulle cervella. Rimase agonizzante per tre ore, sbattendo ripetutamente le palpebre, fu terrificante perchè fui come pietrificato a guardare quello scempio, ero immobbile in piedi sulla figura di una vecchia che da anni mi dava vitto e anche alloggio...guardavo i suoi occhi, non il coltello o il sangue, gli occhi che piano a piano diventano vuoti...quando in un corpo non c'è più un anima lo puoi capire solo dagli occhi, essi sono così profondi che basta veramente poco per poterli sfruttare a dovere. Purtoppo nella mia vita ho visto molti di questi occhi senza anima che mi parlavano, sostenevano che mi avrebbero aiutato e mio malgrado guardandomi allo specchio rividi quegli occhi, quegli occhi che non avevano più calore, né espressione...erano paragonabili agli occhi di un cadavere.
Nascosi il corpo gettandolo su un laghetto vicino alla casa della vecchia, ogni passo che affondava sulla ghiaia fangosa con in groppo il peso della donna era come il risvergliarsi di un incubo che disgraziatamente si è vissuto davvero...infine la lasciai andare, le legai al piede un masso abbastanza pesante da farla calare giù, e fu quella l'ultima volta che sentì parlare di quella donna. Per gli anni successivi restatti in quella casa da abusivo, con la paura che la vecchietta avesse da qualche parte nel vostro mondo qualche figlio/genero/ nipote che avrebbe avuto il piacere di conoscere l'uomo che si era preso cura di quella donna per così tanto tempo... ed infine se ne fosse accudito definitivamente.
Mai nessuno si fece vivo. Triste, essere solo al mondo, eppure c'è chi ci convive con serenità, a questo tipo di cose, io avevo qualcuno.
La cosa macraba del me umano, era che continuavo a percepire la pensione della donna anche dopo la sua morte...io volli provarci quando il giovane che veniva a consegnare ogni mese l'assegno della pensione, arrivò il mese prossimo dalla morte della vecchia...Lorette ecco come si chiamava...la futilità dell'uomo, vedete cose come: nomi, voci, aspetto sono cose che non hanno alcuna importanza nel mondo reale...i nostri volti non hanno forma, non abbiamo occhi ne naso né bocca e siamo perfetti così.
Era abituato alla mia faccia perchè di solito ero io che ritiravo la pensione di Lorette, ricordo che il primo giorno si dimostrò titubante, ma la donna si affacciò e gli diede il permesso da quel giorno cominciai persino a firmare la ricevuta con il nome della donna. Ogni giorno che passava mi sentivo sempre più verme e riflettendoci su, mi comportai come un tumore; entrai lentamente nella casa di questa donna, impoverendola e sfruttandola a mio piacere fino ad ucciderla.
Ero una carogna, ma questo non mi preouccupava più di tanto, ero libero vivevo sopra le spalle di qualcuno che non esisteva più quindi, ero un surrogato di un bimbo...era come se fossi tornato bambino senza doveri...la casa era di proprietà della vecchia e prendeva una bella sommeta come pensione, non chiesi e non volli mai sapere cosa aveva fatto nella vita ma la somma era considerevole.
Archiviato il caso della nonna incominciai ad uscire di casa più spesso di quanto ero abiutuato a fare, e tornavo a casa più tardi di quanto avrei dovuto fare. Come ogni uomo annoiato decisi di incominciare a drogarmi...si, le persone deboli incominciano a drogarsi, ma io ero debole...economicamente forte ma emotivamente molto debole, e quando ne ebbi l'occasione la provai immediatamente...quel giorno incontrai Lucinda ella era la “donna” per eccellenza, bella come il sole. Pochi fronzoli la sua bellezza era rara e faceva male. Non capisco come possano affermare che la bellezza sia piacevole...e tutto il contrario...è disturbante. Arriva a un punto tale che chi ne testimone, deve celare lo sguardo per far si che il suo animo si plachi. Infima si prende la parte migliore di te e la rilega per sempre nella sua sconfinata bellezza...così ogni volta e ogni volta si creano solchi incolmabili nei poveri animi della gente come me, che continuano a fissarla da lontano. Devo dire grazie alla droga se riusciì ad avvicinarmi ad ella e a far si che si innamorasse di me, di solito ero una persona noiosa e introversa e avevo ucciso una vecchia, quindi per così dire... la droga riuscì a sbloccare la mia parte burlesca, che non avevo. Un upgrade per dirla all'umana.
Adesso guardo questi vecchi ricordi con piacevolezza e tenerezza e capisco quanto sia stato inutile soffrire per un mondo farlesco come quello in cui voi tutti abitate.
Il nostro incontro non fu causuale, o...l'amore è il sentimento che più mi manca...era così piacevole provare quel calore indescrivibile, il battito accelerato e le altre cose da umani... provai immediatamente amore per quella donna, non volli più riconsiderare i miei sentimenti, lei doveva essere e lei fu.
La incontrai per la seconda volta in un bar, lei prendeva un tè con una amica di cui non mi importava niente, mi sedetti con loro e instaurammo un discorso a tre...fu caparbia l'amica ma io e Lucinda eravamo in sintonia, quasi telepatici, sembrava di poter completare uno le frasi dell'altro...quello era il periodo dove io mi facevo di brutto, quindi gran parte dei ricordi del me umano sono andati persi col mio corpo terrestre...quindi, sfortunatamente ricordo solo i ricordi antecedenti a quelli post innamoramento...quindi la fase declinante del nostro rapporto, però ricordo che le nostre anime erano in sinergia, lo ricordo benissimo questo.
Ricordi molto brutti campeggiano nella mia mente...io ero un drogato che non pensava ad altro che drogarsi e Lucinda era davvero innamorata di me, davvero da cominciare anche lei. Fu il più grosso sbaglio della sua vita...la droga è qualcosa di orribile, allo stato mentale riesce ad elevarti quasi al punto tale da concepirci ma a livello fisico e dove fa più danni e fu durante i giorni successivi al consumo della droga che Lucinda era diventata molto magra, incominciò ad avere borse sotto gli occhi e capelli secchi, occhi spenti, era difficile vederla così ma non volli allontanarla. Non ci separammo più per i tre mesi successivi...lei lasciò casa propria dove ancora viveva con i genitori e cominciò a vivere con me. La sua famiglia era una di quelle dove lo slogan principale era “l'importante è apparire” (la gente non deve ridere di noi) era solito fare il verso alla madre, era bellissima quando lo faceva, molto di meno quando cominciò a drogarsi, fu proprio in quel momento che osservai me stesso guardando Lucinda, non c'è niente di peggio che capire chi si è veramente osservando qualcun'altro. Decisi di smettere, e la mia volontà venne in aiuto, quest'ultima era qualcosa di poderoso, quando decidevo di fare una cosa quella cosa veniva fatta.
Dopo che smisi di farmi vidi ciò che avevo combinato, se io ero molto forte la stessa cosa non si poteva dire di Lucinda che continuava a farsi pericolosamente...dimagrì al tal punto che i vestiti non gli entravano più neanche con la cintura, dovetti fargli dei buchi aggiuntivi per poterla fare uscire e apparire... non rispettabile ma quanto meno vestita. Ciò che accade dopo fu inevitabile: non fui più attratto da lei; mi odiavo per questo...lei mi amava, lo si vedeva da ogni secondo che passava con me, ma io no...lei era diventata come un cucciolo da compagnia appena acquistato, il paragone è azzecato perchè si... gli vuoi bene, ma non tanto da sacrificarti per lui, non tanto da alzarti la mattina per fargli fare la passeggiata.
Durante i tre mesi fu orribile vederla autdistruggersi, infatti furono uno peggio dell'altro, lei cercava in tutti i modi di rimettersi in sesto, rifarsi piacere ma avevo perso ogni interesse in lei, la sua anima non era più in sintonia con la mia, e quindi ogni giorno che passava diventava sempre più estranea mentre per lei io diventavo sempre più importante, la sua famiglia non volle più accoglierla in casa per quello che era diventata, quindi io ero il suo unico appiglio, la sua unica salvezza, ma purtroppo la sua mente era stata plasmata dalla mia, e quando spali merda con altra merda non puoi fare altro che creare un palazzo di merda.
Decise per un periodo di provare a smettere, per me fu facile, non sapevo neanche io perchè ma per lei no, questo non fece altro che aumentare la sua voglia di drogarsi e cominciò a svendersi pur di avere la sua dose giornaleria, mi faceva pena perchè tentava in tutti i modi di nasconderlo creando scuse che non stavano né in cielo né in terra, ma non la compativo. Mano a mano che i giorni passavano lei cominciò ad ossesionarsi pure a me e che si aiuti chiunque abbia una dipedenza per un'altro essere umano, esso non è come la droga, esso se ne va quando vuole. Piano a piano feci proprio questo, mi allontai, a volte non la vedevo per giorni e quando finalmente la incontravo e incrociavo il suo sguardo triste e comatoso, mi sentivo male, io avevo creato quell'essere, la colpa era tutta mia e me ne vergognavo ogni giorno... aver rovinato una vita così carica di aspettative come quella di Lucinda, mi fa vergognare come un'uomo...per quello che ho fatto perchè ridurre una persona nello stato in cui si ritrovava Lucinda era molto peggio che ucciderla, anzi, gli avrei fatto un favore uccidendola. Poche settimane più tardi scoprì che fu uccisa da un camionista a colpi di sbrangate sul volto, un bellissimo volto andato in pezzi. Avevo da qualche parte un sentimento per quella donna, ma a quanto pare era stato sommerso da qualcosa che riesco a capire solo ora, solo adesso capisco di aver amato quella donna e ciò non fa altro che dilaniarmi l'anima.
Quando seppi della morte di Lucinda decisi. Era fatta. Dovevo morire.
Mancavano tre settimane al mio compleanno quindi l'attesa era fattibile.
Ponderai sul come...ma non mi venne in mente nulla, strano come progettare la propria morte sia qualcosa di così complicato.
Quando mancava all'incirca una settimana al mio compleanno arrivò la risposta a l'arcano dilemma...decisi che volevo soffrire, patire per ogni vita che stroncai...quindi il tredici febbraio del duemilaetre presi una mannaia e mi sedetti su di una scrivania, la posai alla mia destra e cominciai a fissarla...come fissai gli occhi della vecchia, mi parve di essere di nuovo impossibilitato a muovermi, come quella volta in salotto. Non pensavo a nulla, molti dicono che ti passi la propria vita davanti, ma ciò che io provai fu il nulla; poi di botto, come uno sparo improvviso presi la mannaia e mi amputai il braccio destro. La mannaia rimase conficcata tra la carne e l'osso, riuscivo a sentire il freddo metallo della mannaia toccarmi l'osso, il dolore non era sopportabile da una mente umana normale, ma non demordei e diedi un'altro corpo al braccio che si tranciò di netto mi venne subito in mente una favolosa parte di un mio film preferito, e il mio cuore parve rincuorarsi. Ripresi la mannaia con la mano sinistra e volli colpirmi al ginocchio...ma mi fermai, il dolore per il braccio cominciò a farsi vivido, sembrava come se una parte di me fosse scomparsa, mi sentivo leggermente più vuoto. Lascia cadere la mannaia e cominciai a urlare. Nulla, nessuno si fece vivo e io rimasi in quella casa agoonizzante come quella vecchia a morire, a cercare di morire il più velocemente possibbile. Ogni mia goccia di sangue parve scomparire dal mio corpo e fu allora che andai.
Andai dove? Non lo sapevo neanche io allora ma l'importante fu che mi risvegliai, per un attimo pensai di essere da qualche parte in un ospedale, ma non era così. Il posto era qualcosa che non avevo mai visto, la pace regnava ma una condizione di disagio allietava l'aria.
<<sembra nullo>>
Pensai. Mi guardai le mani e notai con piacere che le avevo entrambe , neanche il tempo di essere felice per la scoperta che un essere, un “Deus” ciò che adesso sono io, si stava avvicinando. Aveva un'aria serena ma severa, sembrava in pace ma avvolto da un'aurea di tristezza incommensurabile. Mi angosciava quella presenza e ne ebbi un po' paura, ma quando ormai era vicinissimo a me e mi poggiò la sua specie di mano sul volto non provai più nulla, mi sentì vuoto e al tempo stesso pieno, ero tutto e nulla.
<<mio caro Deus>> esortò. Non era il mio nome ma non battei ciglio. <<sei arrivato, finalmente.>> Non lo avevo inquadrato bene, quindi un po mi confuse, poi, poco più tardi mi accorsi che non lo stavo vedendo, né ascoltando, lui mi parlava e mi aveva accompagnato verso altri suoi esseri, ma non ricordavo di averlo fatto, non ricordavo di essermi mai mosso. Ero seduto insieme agli altri da sempre ma solo allora me ne accorsi. Nessuno si girò e nessuno aprì bocca, ma qualcuno parlava, aveva una non-voce profonda.
<<deus>> cominciò, sapevo che stava incominciando a parlare con me di me.
<<mio caro Deus, finalmente ci rivedimo!>>
Non capì, e non volli parlare ma per qualche strana ragione parlai e in brevissimo tempo qualcun'altro mi rispose.
Chiesi cosa fosse tutto questo, cosa ero diventato e perchè, non ricordavo di averle fatte queste domande ma al tempo stesso ricordavo di averle fatte.
<<deus, questa è la vera realtà. Ciò che vedi o che senti o che provi è reale, ciò che provavi prima no.>>
Non provai nulla a quelle parole, ero come sotto l'effetto di qualche sostanza soporifera
<<si, adesso questa è casa tua. Questa è sempre stata la tua vera casa.>> Rispose una voce che non sentì a d'una domanda che non feci.
<<siamo esseri di mente, abbiamo un corpo, solo perchè serve a sorregergi ma non lo utilizziamo, non abbiamo un volto, né una bocca, né un naso, ciò che hai visto è ciò che secondo noi e quello che dovrebbe essere realmente l'uomo.>>
Anche qui rimasi indifferente.
<<noi riusciamo a utilizzare gli strumenti senza avere i mezzi.>>
<<noi tutti ci chiamiamo Deus, perchè noi tutti siamo Dei.>>
Nessuno parlò.
<<noi siamo i creatori dell'universo da te conosciuto come vita.>>
<<tu sei Deus, facevi parte di noi ma hai voluto provare a entrare nel nostro mondo perchè ti eri affezzionato alla nostra creatura.>>
Ancora silenzio, non ricordavo di aver fatto quelle domande né di aver ricevuto quelle risposte.
<<perchè chiunque entri nel nostro universo, riceve nozioni, domande, oggetti, risposte, un mondo, un Dio, di conseguenza tu non ricordi nulla della tua passata esperienza perchè quest'ultima è stata troppo significativa per il tuo essere a tal punto da aver sostituito quella attuale.>>
<<si. Tu sei sempre appartenuto a questo mondo. E vorrei ricordarti che il mondo che hai vissuto non è stato altro che un mondo fittizzio creato da noi...e da te stesso. Adesso rispondi a questo, ricordi per caso qualcosa della tua infanzia?>>
No. No. No.
<<bart Cronenberg è una tua creazione, eri fiero di lui a tal punto da volerlo impersonare. Abbiamo cercato in tutti i modi di fermarti, ma le nostre capacità non vanno oltre ai suggerimenti. Noi consigliamo, non imponiamo.>>

<<si! Il mondo che hai conosciuto non esiste, l'uomo e solo una nostra invenzioni, la vita, la gravità sono solo nostre idee.>>

<<l'uomo non è altro che un nostro pensiero evanescente.>>

<<si, la morte dell'uomo avviene quando noi ci dimentichiamo di esso, esso non ha più vita, perchè siamo noi che li alimentiamo con i nostri pensieri. L'uomo muore perchè non riceve attenzioni, perchè viene dimenticato.>>

NO. NO. NO. NO. NO. NO. NO.

<<perché tutto questo? Perché siamo Dei.>>

<<dovresti avere vari ricordi della tua vita terrena, ricordi per caso come nasce l'uomo?>>

<<preistoria! Esatto, era ancora un progetto in fase embrionale, quindi molto grezzo, ma con l'avanzare del tempo siamo riusciti a raffinarci fino a diventare quasi perfetti. Abbiamo reso l'uomo una macchina perfetta piena di imperfezioni, e una cosa su cui stiamo lavorando, ma è difficile. Le emozioni umane sono più complesse di quanto ci saremmo mai aspettati. L'odio, la gelosia, la paura, l'amore...dimmi Deus...com'è l'amore?>>
“Impossibile rispondere, non esiste definizione per l'amore, se non che quella scentifica. Posso solo dirti che si è felici.” Non parlai. Non potei.

<<sono cose ingovernabili che hanno portato non pochi problemi al nostro progetto, ma siamo sul cammino giusto. Stiamo cercando di desenzibilizzare l'uomo a tutti questi sentimenti...per esempio: con l'ausilio dei film, dei video giochi o con la morte stessa. Hai notato che negli ultimi tempi la morte risulta essere sempre più presente, sempre più ossessiva...pensiamo che esporre la gente, sopratutto in tenera età, alla morte, in qualche modo li esorcizzi. Non è semplice perchè non tutti i sentimenti si adattano a questo tipo di sistema, prendi l'amore...l'amore è incontrollabile, indecifrabile, impossibile prevederlo, sia quando inizia che quando finisce. E' la nostra opera più riuscita, ma anche la più complessa che scombussola tutto.>>

<<e' molto semplice, noi siamo esseri di mente...unendo i nostri corpi entriamo in uno stato di sinergia tale da poter controllare una mole di umani enorme. Ma ognuno di noi ha il proprio surrogato umano...il tuo era Bart, il mio si chiamava Lucinda Benks... è morta. Aveva un ottimo futuro se il tuo surrogato non si fosse messo in mezzo. Avevo proggettato grandi cose per lei...ma ecco gli imprevisti di cui ti parlavo, l'amore. L'amore rovina sempre tutto. L'amore è sbagliato.>>

<<si! le droghe vengono utilizzate per cercare di controllarli in maniera più semplice.>>

<<e' possibile avere un'altro surrogato, ma non ti ripermetteremo di assumerne il controllo. E' molto che tu ne sia uscito.>>

<<dio? Non noi...per noi la parola Dio assume tutt'altro significato.
E' stato necessario inventare una figura come Dio perchè l'uomo aveva bisogno di credere in qualcosa...ma non avremmo mai immaginato di scatenare così tanto disordine. Dio è importante per l'uomo perchè è una speranza, ma una speranza immaginaria perchè siamo noi che decidiamo le sorti delle cose, noi abbiamo il controllo.>>

Delle volte le sessioni del gruppo si interrompono per sottoporsi a dei suggerimenti a vicenda questo è uno di quei momenti. Ne ho approfittato per scrivere queste parole, per rendervi coscienti.
Scrivo a te essere umano perchè so che vuoi sapere la verità...brami la verità ma essa è complessa e non accettabile e tu sei stolto, quindi so che non capirai e prenderai questo messaggio come le solite “cavolate” scritte da un diciannovenne che vuole sbizzarirsi con la fantasia.
No! Quella che vivi è una finzione. Svegliati uomo. Arrabiati. Distruggi le barrirere che ci separano e se sei capace rinasci.
Io vi osservo e continuerò a farlo affascinato...perchè il vostro mondo è migliore del nostro.
Sono un sognatore.

Fine.

 
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kendalen
view post Posted on 19/4/2012, 22:39




Va bene, originalità prossima allo zero Kelvin, ma considerando che è il primo racconto che scrivo dopo due mesi (abbondanti) di inattività sono relativamente soddisfatto... Se non altro sono felice di essere riuscito a scriverlo, mettiamola così!

L'ultima notte
di Luca Romanello


― Era una notte buia e tempestosa...
― Andrea, lo è tuttora.
― È una citazione ― intervenni, dal sedile posteriore.
Salvatore si girò e mi scoccò quella che doveva essere un'occhiata divertita. ― Ti pare che non lo so, Ciccio? Come se non conoscessi il nostro Andrea, sempre perso dietro a manga e videogiochi.
― Fanculo, Schultz non mi sembra proprio un nome giapponese ― rispose l'amico alla guida.
― Sarà stato un nome d'arte ― lo stuzzicò Salvatore, dal posto a fianco.
Andrea si mise a ridere, e io con lui. ― Sei proprio piciu ― dicemmo quasi in contemporanea.
― Minchia, che coppia di barotti!
La Panda scalcagnata imboccò l'autostrada per Pinerolo. La partita di calcetto era andata bene, avevamo vinto con largo margine e ognuno di noi tre era stato protagonista, a modo suo: Salvo aveva segnato una tripletta, Andrea aveva parato l'impossibile e io... beh, io mi ero fatto male ed ero dovuto uscire alla fine del primo tempo. La caviglia sulla quale il numero 5 della squadra avversaria aveva fatto una carezza di troppo mi faceva ancora male: si era gonfiata, però a occhio e croce non doveva essere rotta. Tenevo la gamba distesa sul sedile, senza scarpa e con un accappatoio piegato subito sotto, in modo che rimanesse sollevata, ma non troppo. La posizione non era comoda ed era peggiorata dal fatto che eravamo stati costretti a sistemare i borsoni in bilico sulla misteriosa rumenta che occupava quasi tutto il bagagliaio di Andrea: a ogni frenata o curva presa con troppo entusiasmo rischiavo di venire travolto dalla sacca più in alto, proprio quella con la cerniera rotta in un attimo di frustrazione per l'infortunio.
La partita era quasi finita quando si era alzato il vento che aveva portato i nuvoloni dai quali, in quel momento, si disegnavano fulmini arrabbiati e minacciosi. Era stato anche quello uno dei motivi per cui avevo declinato la proposta di andare al Pronto Soccorso: non avevo tutta questa voglia di perdere chissà quanto tempo e rientrare a casa sotto la pioggia. Per come si stavano mettendo le cose, però, sarei riuscito solo a non fare troppo tardi: per il temporale non c'era più molto da fare, ormai c'eravamo dentro.
Un lampo illuminò a giorno l'autostrada. Il tuono lo seguì quasi subito, sovrastando il motore della Panda e una canzone dei Def Leppard.
― Porca troia! ― esclamò Andrea.
― Cos'è, paura?
― Ma figurati! È solo che...
― Che i temporali ti fanno strizzare ― concluse Salvatore.
― Beh, era vicino ― provai a giustificarlo.
― Ah, andiamo bene! Barotti e cacasotto!
Dribblammo i tuoni sopra di noi continuando a prenderci per il culo, finché non arrivammo all'uscita per Candiolo. Mentre i tergicristallo spazzavano via i goccioloni che cominciavano a cadere, la Panda rallentò per immettersi nella rotonda.
― Facciamo il puttan tour? ― propose Salvo.
― Siamo un po' cresciuti per queste cose, non ti sembra? ― domandai a mia volta.
― E poi Ciccio deve andare a casa a sistemarsi la caviglia.
― Dai, divertiamoci un po'! Nel caso, Ciccio può anche non usufruire del servizio...
― Scusa? ― esplose Andrea, stupito. ― Stai proponendo di caricarne davvero una?
― Perché no? Magari anche più di una. Hai visto mai che sia la volta buona che batti chiodo?
― Stai scherzando ― ipotizzai.
― C'è la mulatta che se la cava niente male, subito all'uscita della rotonda. Che ne dici, Andrea, eh?
― Non è divertente.
― No, non stai scherzando ― constatai. ― E Chiara sa di queste tue esperienze?
Salvatore sbuffò. ― Come siete noiosi. Mai che ci si possa divertire un po'! Va bene, allora, facciamo solo come i ragazzini e rompiamo i coglioni ai clienti.

Sotto al cavalcavia, i bidoni stavano ritti a sfidare il vento, con il fuoco che ballava una danza indiavolata. Non c'erano prostitute, lì intorno.
All'imbocco della statale che portava all'Istituto per la Ricerca Contro il Cancro, una Seicento era ferma a bordo strada con le doppie frecce. La luce interna era accesa e si intravedeva la sagoma del conducente.
― Bingo! ― esclamò Salvatore. ― Scommetto che è la mulatta!
Andrea rallentò ancora e si fermò a fianco dell'altra auto. L'uomo alla guida aveva un braccio teso sul volante, gli occhi chiusi e il capo contro il poggiatesta. Sembrava non essersi accorto della nostra presenza.
― Guardalo, come se la spassa quel bastardo! ― Salvatore allungò una mano e suonò il clacson.
L'uomo non si mosse.
Suonò una seconda volta, più a lungo.
Il braccio dell'uomo scivolò giù dal volante e un volto trasfigurato dal sangue e dai lineamenti feroci si alzò dal grembo del conducente, puntando su di noi occhi bianchi come neve sporca.
― Porca troia! ― gridò Andrea, imitato da me e Salvo.
― Vai, per Dio, vai! ― ordinai. Quell'essere si era buttato con la faccia e con le mani contro la portiera della Seicento, che aveva resistito. Ma non avrei scommesso un euro sul fatto che sarebbe durata molto: era bastato il contatto con le unghie per far sì che il vetro si crepasse.
Mentre la Panda si lanciava in avanti in una patetica imitazione di un'auto da corsa, realizzai che Salvatore avrebbe vinto la scommessa: l'essere era la mulatta.

― Cos'era? Cos'era? Cosa cazzo era?
― Sembrava qualcosa di uscito da Resident Evil! ― esclamò Andrea.
― Ma che minchia dici? ― sbottò Salvo. ― Che minchia dici?
La vecchia Fiat sobbalzava sull'asfalto malandato, assecondando la guida del suo padrone, fattasi d'improvviso nervosa. Gli anabbaglianti illuminarono alcuni sacchi dell'immondizia lasciati a bordo strada proprio dove la statale curvava: in mezzo, comparvero altri due occhi bianchi.
Andrea girò il volante più del necessario e le ruote finirono sulla striscia di ghiaia che separava la carreggiata dai campi. Salvatore corresse la traiettoria prima che ci capottassimo sulla terra appena dissodata.
Mi voltai per cercare di capire cosa ci fosse in mezzo alla pattumiera, per avere una conferma di quello che pensavo di aver visto, ma il borsone occupava tutto il lunotto posteriore e con quel buio non sarei comunque riuscito a scorgere un granché.
La Panda tornò sull'asfalto, ma Andrea si guardò bene dal rallentare. La strada si infilò nel bosco dietro a Stupinigi. Un vento impietoso flagellava i rami, torcendoli in modo maligno.
Un nuovo lampo squarciò il buio. Tra gli alberi, mi parve di scorgere delle persone. Ma cosa ci facevano, lì?
― Attento! ― urlò Salvo.
Gli occhi bianchi, questa volta, erano in mezzo alla strada, piazzati dentro un volto smunto che sovrastava un camice da dottore.
Quegli stessi riflessi che avevano salvato la porta della nostra squadra fecero muovere il volante a una velocità che la Panda non era progettata a sopportare. Gli ammortizzatori si piegarono con violenza, riuscendo a malapena a tenere a terra l'automobile con tutte le gomme, ma, quando la macchina superò l'uomo, la correzione di Andrea la mandò sulle due ruote di destra. Vidi con chiarezza l'asfalto che si piegava verso di me, prima che per miracolo la Panda con uno scossone tornasse orizzontale.
― Porca tro...
L'aiuola in mezzo alla piccola rotonda che portava all'ingresso dell'ospedale troncò l'esclamazione di Andrea e tutte le possibilità di controllare l'automobile. Che andò a finire contro il muretto che sosteneva l'inferriata di cinta dell'Istituto.
Il sedile posteriore mi scivolò via da sotto il culo e gli schienali di quelli anteriori fermarono il mio volo.

La puzza di benzina è penetrante. Mi è sempre piaciuta, ma in questo momento mi dà solo fastidio. Sarà che è mischiata a qualcosa che non riesco a individuare.
La testa mi fa male, devo averla battuta di brutto. La schiena è compressa tra i sedili, sui tappetini consumati della Panda. Ho qualcosa addosso, qualcosa di umido e maleodorante. La prima cosa che mi viene in mente è la divisa della squadra: di certo nello schianto deve essere uscito tutto dal borsone.
Provo ad aprire gli occhi, ma ho appena il tempo di farlo prima di essere inchiodato da un rumore agghiacciante, lo strappo di qualcosa di molle eppure resistente. Ruoto le pupille alla ricerca dell'origine di quel suono: al di là del sedile del guidatore, la portiera è spalancata. Gocce grosse quanto pistacchi si infrangono contro l'asfalto e un paio di jeans strappati. Chi li indossa è per terra, sdraiato. Si muove a scatti, senza spostarsi, come se venisse strattonato. Un gorgoglio. Un grugnito. Un lungo, straziante lamento.
E poi la cosa peggiore di tutte. Gli altri rumori la coprono, ma non posso sbagliare, è un suono troppo vicino. Il suono di qualcuno o qualcosa che mangia.
Serro gli occhi, ma non serve a niente. Comincio a tremare e mi sfugge un sospiro che, attraverso la gola chiusa dal terrore, echeggia roco nell'abitacolo.
I denti si fermano. Qualcosa striscia contro la carrozzeria. Il silenzio che segue dura per ore, tanto mi sembrano i pochi secondi prima di sentire che qualcuno sopra di me sta annusando.
Non mi succedeva più dalla cresima, dai tempi in cui gli zombi erano solo creature di fantasia dei film di Romero e Fulci: prego. Prego un Dio in cui non ho mai creduto e che in questo momento mi sembra l'unica cosa che mi potrebbe salvare.
E chiunque ci sia lassù mi ascolta.
― Oooh ― si lamenta Salvatore.
Il sedile del guidatore si piega sotto il peso dell'essere che fino a un istante prima mi stava annusando.
― Ma cosa...
Sono le ultime parole che pronuncia il mio amico, prima di mettersi a urlare. I due schienali oscillano con violenza, comprimendomi contro i sedili posteriori. Mi sforzo di non emettere fiato.
Poi si apre la portiera lato passeggero e l'urlo si allontana. Il peso dell'essere si sposta e lo segue, lasciandomi da solo nella Panda.
È il momento.
Rimango combattuto per qualche istante, congelato dalla paura e riscaldato nell'inguine da ciò che mi è sfuggito dalle viscere. Ma è questione di pochi attimi, giusto il tempo di convincermi che a stare rinchiuso qui dentro posso solo fare la fine del topo in gabbia.
Con le ossa che protestano in silenzio, mi sollevo e cerco di ribaltare il sedile del guidatore. Mentre combatto con lo schienale, lancio occhiate impazzite a destra e sinistra. I lampi ormai sono frequenti, ci sono parecchie persone nel giardino oltre all'inferriata contro la quale si è schiantata la Panda: si stanno muovendo dietro a Salvatore, che scappa verso l'ospedale.
Striscio tra il sedile e il montante della portiera ed esco, lasciando dietro di me brandelli di felpa e una sequela di bestemmie, dimenticando le preghiere di poco prima.
Scavalco il cadavere a pezzi, non mi interessa scoprire quello che so già, che è Andrea. Mi lancio in una corsa zoppicante, con un piede in una scarpa da ginnastica e l'altro con la sola calza, rigonfia. La caviglia è un nido di serpenti incazzati che mi affondano i denti nelle ossa.
Mi dirigo verso la città, nell'unica direzione nella quale, pur non avendo certezze, ho un barlume di speranza di trovare aiuto.
Un gruppo di esseri con gli occhi bianchi viene illuminato da un fulmine, poco oltre l'inferriata. Alcuni sono calvi, coperti solo da un osceno camice aperto sul didietro, altri hanno vestiti normali. Non voglio sapere cosa stiano facendo, addossati l'uno all'altro. Uno di loro si accorge di me, mentre passo, e di colpo li trovo ringhianti contro le sbarre, come bestie feroci in gabbia. Ma sono uomini e donne e hanno conservato quel poco di intelligenza bastante a far loro realizzare che gli è sufficiente scavalcare per venirmi dietro.
Stringo i denti. Piango. Insulto la caviglia. Maledico il numero 5 e il suo fottuto intervento da macellaio. Eppure ho l'impressione di riuscire a distanziarli.
Intravedo qualcosa, là in fondo, mentre tra i tuoni si fa strada il rumore di un elicottero.
Sì, sono dei lampeggianti!
Il crepitio delle armi da fuoco mi sembra il suono più dolce che abbia mai sentito.
Un fascio di luce piove dal cielo su decine di individui che vengono falciati, metodicamente, dagli agenti. Quando arrivo a breve distanza da loro, il faro illumina solo cadaveri immobili.
Alzo le braccia per attirare l'attenzione dei militari, per avvisarli che ce ne sono degli altri, di quei mostri. E vengo investito dalla luce dell'elicottero.
Partono di nuovo gli spari. Mi ritrovo con un peso insopportabile sul petto, sollevato da terra, scagliato all'indietro. Sgrano gli occhi, incredulo, ma ormai la vista mi ha abbandonato.
Il buio si fa profondo e la tempesta... La tempesta, non la sento più.
 
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Cattivotenente
view post Posted on 19/4/2012, 22:57




Jackie, un paio d'ore di proroga? Sono a 15k, ma non ce la faccio a finire entro mezz'ora. Premiamo l'impegno, vuoi?
 
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gian_74
view post Posted on 19/4/2012, 23:28




Porca vacca, non ho avuto neanche il tempo di rileggerlo. Abbiate pazienza.

FREEGAN



Era una notte buia e tempestosa e io e Carol stavamo aspettando gli Smith per la consueta missione del venerdì. Il calendario era definito, e come tutti i martedì e i venerdì dovevamo andare a cercare cibo in giro per la città. Il fatto che fosse brutto tempo ci avrebbe anche creato un po' di copertura dai soliti curiosi, che non avrebbero esitato a schifarsi per il nostro stile di vita.
Essere freegan al giorno d'oggi non è per niente facile: vedere gente benestante che sceglie di recuperare i rifiuti altrui per cibarsene, ti costringe a una situazione di isolamento dal resto del mondo. Questo era l'ultimo dei problemi per me e Carol e anche per gli Smith presumo, ma se si poteva evitare per una sera di essere additato con disgusto e essere fermati dalla polizia per "accertamenti", be', tanto di guadagnato. Conoscevo Scott e Susan Smith da almeno 20 anni, ci trovammo a frequentare lo stesso corso di sostegno per genitori che avevano perso un figlio. Il dolore ci ha unito e resi forti a ha portato le nostre vite verso scelte in comune, come questa di diventare freegan. Una scelta che ci ha sempre soddisfatto e ci ha permesso di riempire un pochino il vuoto lasciato dal lutto, consapevoli di dare il nostro piccolo contributo per un mondo migliore. I soldi non ci mancavano, ma l'idea che il nostro mondo sia governato dalle leggi del consumismo più sfrenato era troppo opprimente e meschina per permetterci di soddisfare le nostre esigenze alimentari in pace con la coscienza. Il solo pensiero di tutti quegli alimenti sprecati, dai comuni avanzi domestici alle scorte dei supermercati in via di scadenza, ci faceva incollerire verso il sistema, così sbagliato, che governava il mondo.

“Jack, ho un'idea per stasera.” Scott era appena entrato in casa. Portava uno di quegli impermeabili tecnici, grondava acqua sul pavimento ma i suoi vestiti erano perfettamente asciutti.
“Hai trovato un posto per fare la spesa?” dissi io con un sorriso complice.
“Eheh, sì Jack, stasera vi porto in un quartiere elegante, si va a Midtown. Con la pioggia non avremo noie dai vigilantes.” Mi guardò con aria soddisfatta, e io trovai che, tutto sommato, poteva essere una buona idea per una serata simile.
Non perdemmo tempo, salimmo sul furgone e ci dirigemmo verso l'agognato quartiere. Scott mi indicò la strada per arrivare a destinazione, aveva studiato tutto il percorso con Google Maps e, in effetti, abbiamo trovato con facilità una strada alla periferia del quartiere, dove erano collocati un gran numero di bidoni della spazzatura. Ci infilammo le consuete tute da lavoro e notai come Carol e Susan si erano conservate bene, nonostante l'età.
“Ehi, vecchio marpione, non guardare la mia donna, capito?” Mi fece Scott scherzando.
“Tranquillo amico, ne ho già abbastanza della mia.” Guardai Carol e gli strizzai l'occhio, mentre tutti e quattro ci facemmo una risata liberatoria. Nonostante la routine di quell'operazione, eravamo sempre un po' tesi nel momento di entrare in azione, perché in passato abbiamo avuto diverse avventure tra barboni, ubriachi fanatici e forze di polizia. Una volta ci avevano anche arrestato, salvo poi rilasciarci subito per non aver riscontrato alcun reato effettivo.
Iniziammo a controllare meticolosamente tutti i bidoni e riuscimmo a recuperare una quantità di merce incredibile.
“Guarda qua Jack,” mi fece Scott prendendomi per un braccio e mostrando un qualche cosa avvolto da fogli di giornale “è carne buona questa?” Sfilò la carta bagnata e mi mostrò il pezzo di carne all'interno.
“Sembra proprio che sia buona.” Dissi dopo una rapida occhiata.
“Ce n'è un sacco di questa in quel cassonetto là.” Mi mostrò uno degli ultimi bidoni della fila.
“Be', tu prendila e mettila nel furgone, controlleremo a casa. Bada solo che non ci siano dei vermi.”
“Ok, Jack.”
Il temporale non accennava a smettere, la pioggia e i fulmini proteggevano la nostra privacy, ma rendevano il lavoro molto pensante, anche perché non eravamo più dei giovanotti. Dopo una buona mezz'ora decidemmo che ne avevamo abbastanza. Fradici ma soddisfatti infilammo la via di casa. La serata non era finita: c'era ancora da portare tutta la roba in casa e eliminare gli scarti degli scarti.
“Accidenti quanta roba, quel posto è spettacolare. Mi chiedo come si facciano a buttare via tante cose buone. Guardate questa insalata, e questa frutta? E queste scatole di fagioli neanche scadute? E il vino? Bottiglie quasi piene di nettare!” Scott era paonazzo, infervorato da tanto ben di dio. “E questa carne? Assolutamente fresca e buona. Ma quale pazzo può sprecare un cibo così buono?” Avevamo trovato una decina di chili di carne in diversi tagli, ogni pezzo avvolto scrupolosamente in carta di giornale. Non ci capitava sovente di trovare della carne commestibile da cucinare. Spesso si trovavano avanzi cibi già cotti, ma mai carne fresca.
“Ma che carne sarà? Tu la conosci Scott? Non è che è avvelenata o malata, o che so io?”
“Non so che carne sia, ma è fresca e buona. Se c'è una cosa che si riconosce al volo è la carne fresca. Non dico che dobbiamo mangiarla cruda, ma questa è roba da chef. Domani siete invitati a pranzo dai Smith!”
Dopo i rituali per la divisione del cibo, stipammo la nostra roba nel frigo e la carne nel congelatore e salutammo gli Smith, con l'impegno di vederci domani da loro per un pranzo insperato.

Fu a tavola che scoprimmo la verità su quella carne. Eravamo verso la fine pranzo, ed eravamo satolli per tutto quello che avevamo mangiato. Io e Carol avevamo fatto il bis dell'ottimo spezzatino preparato da Susan e Scott ne aveva trangugiato addirittura tre porzioni. Alla tv stavano trasmettendo un documentario sui delfini sulla rete nazionale, ma non è che attirasse molto la nostra attenzione, anche perché avevamo bevuto parecchio vino. A un certo punto le trasmissioni furono interrotte per un'edizione speciale del tg.
“Ehi Jack, ma quello non è il posto dove eravamo ieri?” guardai nel televisore, mi volle qualche secondo per riconoscere il luogo.
“Ma che cazz...”
“Alza il volume Susan!” Disse Scott ad alta voce.

"...e questo è il posto dove gli inquirenti hanno trovato traccia dei resti della povera moglie, misteriosamente scomparsi..."

“Ma che cazzo?” Ribadì Scott. Poi lessi ad alta voce le sovrimpressioni scorrevoli del telegiornale:

"Il macellaio di Midtown si è costituito: Ho ucciso mia moglie e l'ho fatta pezzi, poi ho gettato tutto in alcuni bidoni della spazzatura sparsi per il quartiere. Mistero su alcune parti del corpo mancanti"

Ci guardammo tutti con il terrore negli occhi per una manciata di secondi. A rompere il silenzio fu mia moglie, con un getto possente di vomito che coprì interamente la distanza della tavolata. A seguirla furono Susan e poi Jack. Io riuscii a trattenere a stento i conati e i momenti che seguirono li ricordo con sgomento e terrore, i peggiori della mia vita.
Fu l'ultima volta in cui aderimmo all'esperienza freegan.
 
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Cattivotenente
view post Posted on 19/4/2012, 23:32




Jackie, mezz'ora, che ne dici? Altrimenti dimmelo, che me ne vado a nanna.

 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 19/4/2012, 23:37




CITAZIONE (gian_74 @ 19/4/2012, 13:38) 
OK, ora faccio la "domanda idiota delle 13:38": Cosa hanno a che fare Grandi disastri, tragedie, calamità dell'indice, con la gara?

Beh, se qualcuno non avesse idea di cosa può succedere
in una notte buia e tempestosa, potrebbe sempre
leggersi il disastro del dirigibile Akron.


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CITAZIONE (Cattivotenente @ 20/4/2012, 00:32) 
Jackie, mezz'ora, che ne dici? Altrimenti dimmelo, che me ne vado a nanna.

La mezz'ora di margine è scaduta da un po',
ma visto che ti basta un'altra mezz'ora, tu
manda. Non potrai partecipare alla gara,
ma entrerai nell'ebook dal titolo:
Era una notte buia e tempestosa...
 
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Cattivotenente
view post Posted on 19/4/2012, 23:47




Se non partecipo, mando domani e finisco con calma. Abbi pazienza ma sono a pezzi. Il sacrificio era per la gara. Masochisti sì, ma con misura...
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 20/4/2012, 00:05




Skannatoio, speciale VIII ½
Ventiquattr'ore nella notte buia e tempestosa

Molto bene! Si tratta di una gara a sei.
Ora avete una settimana per pubblicare
le vostre classifiche. Visto che siete in pochi
sarebbe gradito un breve commento di tutti
i racconti
, ma da regolamento è prevista
solo la motivazione per il primo e l'ultimo.
Buona lettura!




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CITAZIONE (Cattivotenente @ 20/4/2012, 00:47) 
Se non partecipo, mando domani e finisco con calma. Abbi pazienza ma sono a pezzi. Il sacrificio era per la gara. Masochisti sì, ma con misura...

Col margine che hai nella classifica del I mini-campionato
puoi dormire sonni tranquilli anche durante l'edizione IX.
 
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gian_74
view post Posted on 20/4/2012, 00:05




CITAZIONE (Jackie de Ripper @ 20/4/2012, 00:37) 
CITAZIONE (gian_74 @ 19/4/2012, 13:38) 
OK, ora faccio la "domanda idiota delle 13:38": Cosa hanno a che fare Grandi disastri, tragedie, calamità dell'indice, con la gara?

Beh, se qualcuno non avesse idea di cosa può succedere
in una notte buia e tempestosa, potrebbe sempre
leggersi il disastro del dirigibile Akron.

:p108:

Sua Perfidia colpisce ancora! :wub:
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 20/4/2012, 00:22




CITAZIONE (gian_74 @ 20/4/2012, 01:05) 
CITAZIONE (Jackie de Ripper @ 20/4/2012, 00:37) 
Beh, se qualcuno non avesse idea di cosa può succedere
in una notte buia e tempestosa, potrebbe sempre
leggersi il disastro del dirigibile Akron.

:p108:
Sua Perfidia colpisce ancora! :wub:

Grazie, caro.
 
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view post Posted on 20/4/2012, 03:26

il gattaro

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Ok, adesso che tutto è finito (e io sono già al lavoro -_-) volevo chiedere se posso mandare cmq il racconto (entro domani) in maniera da farlo skannare (a chi ha il piacere di farlo). Altrimenti lo metto sotto la lente.
 
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kendalen
view post Posted on 20/4/2012, 05:32




E io che mi aspettavo una partecipazione massiccia! :)
 
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view post Posted on 20/4/2012, 06:49
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Ragazzi chiedo venia! ero proprio cotto rieri sera quando ho postato... ho scritto lago Maggiore e poi i protagonisti si fermano a Como!!!!!

Scusate, è la prova che ero davvero bollito dal sonno! bedtime
 
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view post Posted on 20/4/2012, 10:08
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I'm gonna be sincere, so get ready for it.

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Uff... uff... pant... pant... che faticaccia, ieri! Cmq anch'io speravo in un'affluenza maggiore, ma visto che Smilodon e CT non hanno fatto in tempo, 6 è comunque meglio di niente. Ho dovuto cominciare alle 15 e scrivere durante lo stage, e poi saltare pure il parkour (lol!), con Lawrenceapart che mi derideva a ogni giro... -_-"
 
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106 replies since 13/4/2012, 17:40   2209 views
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