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Skannatoio, febbraio 2013, speciale XV, Ventiquattr'ore nello spazio profondo
* Campionato aut-inv 2012, 12 di 12

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Jackie de Ripper
view post Posted on 11/2/2013, 15:35




Organizzazione
Racconti in gara
  1. ...


Edited by Jackie de Ripper - 1/3/2013, 13:14
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 11/2/2013, 15:59





Per evitare i problemi della scorsa edizione, indìco la 24 ore con giorni
di anticipo. Un 24 ore atipica, quindi, ma sempre chiamata 24 ore.
La scadenza è comunque fissata per le 23.59 del 15 febbraio.
Successivamente avrete la solita settimana per commentare.

Vi ricordo che chi volesse veder pubblicati i
propri racconti sul numero di marzo di
Skan Magazine
deve scrivere in fondo al proprio testo la seguente liberatoria:
Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare questo mio racconto su 'Skan Magazine'.
Saranno pubblicati solo i migliori racconti accompagnati dall'autorizzazione.


Skannatoio, speciale XV
Ventiquattr'ore nello spazio profondo



  1. Gli autori dovranno scrivere un racconto tra i 2.000 e i 10.000 caratteri (spazi inclusi, estremi inclusi, tolleranza ZERO) di genere horror, giallo, fantastico (fantasy, fantascienza e tutti i relativi sottogeneri)

  2. Il racconto dovrà essere ambientato nello spazio profondo. In realtà, non si intende necessariamente nello "spazio profondo", ma nella fascia che va oltre 1,5 Unità Astonomiche dal sole fino a 4 Anni Luce. Ciò significa che il racconto si potrà svolgere su Marte, nella fascia degli asteroidi, su Giove o altri pianeti oltre Giove, o su qualsiasi loro satellite, nella nube di Oort, o anche oltre, fino ad Alpha Centauri esclusa. Ovviamente, va bene anche nello "spazio profondo", cioè lontano da pianeti o satelliti, e su qualunque mezzo, purché in un punto compreso nella fascia specificata in precedenza.

  3. I racconti dovranno essere pubblicati entro le 23.59 del 15 febbraio 2013 come post in questo thread, specificando il titolo e l’autore (questi elementi non entrano a far parte del conteggio dei caratteri).

  4. Se un autore sforerà per eccesso o per difetto il numero di caratteri, non sarà considerato nella classifica finale della gara.

  5. La stessa penalizzazione è prevista se un autore modificherà il proprio racconto dopo le 23.59 del 15 febbraio. In tal caso si procederà anche alla squalifica per una edizione speciale dello Skannatoio.

  6. Nel caso di un totale superiore a 15 opere, occorre attendere che il supervisore separi i racconti in gironi, prima di procedere con i passi successivi.

  7. Una volta che i racconti saranno stati pubblicati, gli autori dovranno stilare, sempre in questo thread, la loro classifica di merito. Al racconto valutato come ultimo dovrà essere assegnato 1 punto, al penultimo 2, al terz’ultimo 3 e così via fino al primo, che otterrà così il massimo punteggio. Un autore non deve inserire in classifica il proprio racconto.

  8. Oltre alla classifica, ogni autore dovrà scrivere un commento, anche di poche righe, purché sufficientemente chiaro per rendere esplicita la propria opinione su ciascun racconto. Se non lo dovesse fare, il punteggio conseguito nella gara sarà dimezzato.

  9. Classifica e commento dovranno essere pubblicati con un post in questo thread entro le 23:59 del 22 febbraio 2013.

  10. Se un autore, dopo aver pubblicato il racconto, non dovesse stilare la sua classifica, sarà escluso dalla classifica finale e squalificato per una edizione speciale dello Skannatoio.

  11. Al termine, l'ultimo partecipante ad aver inviato la propria classifica provvederà a redigere la classifica di merito generale e proclamerà il vincitore.

 
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Miksi
view post Posted on 11/2/2013, 17:16




udite udite :D
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 13/2/2013, 09:36




Annunciazione! Annunciazione!
 
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view post Posted on 13/2/2013, 18:47
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Arrotolatrice di boa

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UN EROE, FORSE

Il fischio ha coperto tutto. Le voci che mi hanno accompagnato da terra. Il bip intermittente, i ronzii consueti. E ora che è finito non sento più nulla.
Forse accade questo quando si annega, forse i suoni giungono da lontano, ovattati. Forse sto morendo.
Cos'è questo rumore?
Pulsa e batte. Rintocca cadenzato, martellante.
Il mio cuore?

Avviluppato. Sono avvolto da un buio accecante, denso e corposo. Eppure sento le mie mani, il peso del mio corpo. Il mio torace comprimere i polmoni.
Eppure fluttuo. Galleggio, almeno questa è la sensazione. So che non è possibile.
So di essere seduto.

Una serie di flash consecutivi, veloci. Chiudo gli occhi, serrando le palpebre il più possibile, finché non mi fanno male.
Eppure non cessano.
Vorrei portare le mani al viso ma le cinghie di protezione me lo impediscono.
Il cuore batte sempre più in fretta, lo sento colpire la cassa toracica, battere contro al petto e ingrossarsi. Di più, di più. Diventare come un pugno che mi schiaccia lo stomaco e serra la gola. Mi impedisce di respirare, e allora arranco. Spalanco la bocca, affamato d'aria. Mi sollevo, per quanto le protezioni me lo consentono. I tubi collegati al mio collo si tendono, come i miei muscoli. E ancora non respiro.
Grido.
Il riverbero della mia stessa voce mi assorda, potente, gutturale. Esce dalla mie labbra come un'esplosione e sembra strapparmi laringe e gola. Quasi la voce avesse degli artigli, affilati e conficcati nelle mie carni. E cercasse anch'essa, disperata quanto me, di rimanere aggrappata al mio corpo.
Deglutisco, finalmente.

Ho saltato.
Sono svenuto, forse. Ho sognato o ho creduto di farlo, non importa. Ora sono qui, e ho saltato.
La nebulosa si fa strada nel buio. Si gonfia e si contrae, luminosa e calda. Pulsa. Come vulva ancestrale. Madre del cosmo.
Sembra respirare piano, mentre i Pilastri della creazione spingono e si ergono, dentro di lei. Creatrice.

Sono i miei occhi a ingannarmi. Lo sento. O questo amplesso cosmico esiste e si manifesta?
Comincio ad avere freddo. La nebulosa si fa più grande, mano a mano che mi avvicino.
Saranno felici a casa. Ho compiuto la mia missione.
Sono il primo ad aver saltato. Un pioniere, un eroe forse.
Mi manca il fiato, qualcosa di caldo mi cola dalle narici e dalle orecchie.
Sono anni che mi preparano.
Sono nato per questo.
Il sangue lambisce le mie labbra, non ne sento il sapore. La gola brucia più forte ma non importa, ho solo sonno.
Le cinghie hanno smesso di imprigionarmi, mi abbracciano adesso.
Riportatemi a casa.

«Ipossia, signore. Almeno questo rivelano i parametri.»
«Quindi abbiamo fallito.» Il più giovane tra gli uomini davanti ai monitor ha sorriso, non direi signore. Il salto c'è stato. Dobbiamo solo... Aggiustare il tiro.»
L'uomo in divisa ha scrollato le spalle, come se avesse avuto un brivido, prima di sedersi.
«Va bene, quante altre scimmie addestrate abbiamo?»
«A sufficienza, signore.»



Leggete lo spoiler solo dopo aver letto il racconto
Volevate un'animale senziente? Eccovi accontentati! ora non ditemi, nooo, vabbè, era meglio un uomo, un animale non può avere questi pensieri!
:)


Ovviamente autorizzo la Jackie alla pubblicazione sullo Skan Magazine

Edited by Polly Russell - 14/2/2013, 08:39
 
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kaipirissima
view post Posted on 13/2/2013, 19:29




ho letto il racconto e lo spoiler e secondo me
ti sei già risposta da sola! ;)
 
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view post Posted on 13/2/2013, 21:50
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Arrotolatrice di boa

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Eheheh!
 
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T.W.F.K.A.N.
view post Posted on 14/2/2013, 22:08




BUON SAN VALENTINO, TONY CHAN

di The Writer Formerly Known As Nozomi



Fattore d’impaccamento.
Massa gravitazionale.
Integrale strutturale.
Tensori di distorsione.
Angolo di frammentazione.
Tempo all’esplosione.
Resa di rapporto quantità di metalli-magnitudo, espressa in millimegatoni.

Calcolare questi dati in tempi rapidi fa parte del mio merdoso mestiere d’ingegnere minerario.
I cinesi, tuttavia, mi considerano soltanto un’altra di quelle troie giapponesi zitelle istruite, le lost dog dello spazio, quelle buone per farci su un drama coreano e, contando gli occhi che collassano sul mio culo ogni volta che porto i rendiconti mensili sulle megatonnellate di metalli estratti in azienda, questo fatto è da ritenersi incontrovertibile, così come loro per primi abbiano inventato la polvere da sparo o così come loro per primi abbiano conquistato la supremazia nello spazio interno.
Ma per scovare il buco del culo di un asteroide, che conta in Nuovi Yuan quello sì più del mio, e infilarci la Bakudan, ovvero la bomba atomica spuria che fabbrichiamo a basso costo per i cinesi a Sendai, mi basterebbe solo un’occhiata su una foto olo-3D, sia pure sgranata e povera di pixel.
Sono brava nel mio lavoro. Non per vantarmi, la migliore.
Tuttavia, scovato il punto G anale del sasso spaziale, a piazzarla materialmente, la Bakudan dico, ci va sempre lui, Tony, il mio collega laowai con cui faccio squadra, l’irlandese sfigato che simpatizza per l’I.R.A. e per una certa squadra di rugby di cui non ricordo il nome, Drogheda e qualcosa, mi pare. Piazzare le bombe al culo degli asteroidi è un lavoro da uomini, così recitano i codici etici cinesi, consultabili come dazebao in azienda.
La donna, parliamo del genere che non allarga le gambe, può anche andar bene come mente, perché no? Se intelligente abbastanza, ci turiamo anche il naso, compagni. Basta che lavori, porti i soldi, e soprattutto non rimanga incinta.
Queste sono le regole.
- Titanio! Titanio! Senza titanio non si salva nessuno, cari schiavi compagni con le palle e care schiave compagne con le poppe! - Urla Tony, quattrocentocinquanta chilometri lontano da me, mimando la voce di Shiro, il rappresentante sindacale (Sé! Rappresentante sindacale delle mie sise!), mentre fila a velocità superfolle su un Changzheung 47 verso AAO-CHINA-Cat.72, nostro quarto e ultimo obiettivo settimanale da polverizzare in frammenti lavorabili.
- Tony, concentrati, dai che è venerdì. Quando scherzi, mi fai sempre venire una certa angoscia. E quest’asteroide non mi piace affatto. - E gli rammento, come al solito, un certo episodio accaduto due mesi fa, quando s’è quasi perso nello spazio per una certa manovra azzardata a Lagrange 3 e m’è dovuto coprirlo con il responsabile per la sicurezza per le diciotto tonnellate di protossido d’azoto consumate.
Lui sbuffa, sa che sono nippo-petulante e per ripicca si mette a cantare una canzone in gaelico.
Mi mordo il labbro inferiore. Iniziano i miei dieci minuti d’ansia. Lo seguo passo passo. Lui il braccio, io la mente. Mi ricordo che siamo una squadra affiatata. Io e lui.

C’è andata bene anche oggi. Ora è sera e come ogni venerdì sera siamo seduti, io e Tony, la squadra affiatata, in un tavolino da pub e il pub, irlandese, è sempre lo stesso, l'O'Hara, e le pinte di Guinness qui scorrono a fiumi, così come la gente che va e viene, così come appare e scompare, al ritmo delle luci al neon, l’essenza stessa del Quartiere Europeo di Huang Hé City, il Toro di Stanford più grande del Sistema Solare, territorio della Repubblica Popolare Cinese quanto le riconquistate isole Diaoyutai, loro ci tengono a ricordarlo in ogni dazebao interattivo.
Qui, la ditta madre affitta agli operai migliori dei lussuosi capsure hoteru per la notte. Qui, tutti dimenticano i loro dolori, così come le loro speranze. Qui, sono tutti comunisti e proprio per questo, ironicamente, lo Zhōngguó Gòngchǎndǎng, paga e mantiene delle spie per controllare e riferire. Qui, siamo io e Tony, always me, always you.
- Tony san. – Faccio al mio collega, scegliendo le parole. – Devo dirti una cosa che non ti farà piacere. L’azienda Madre, che gli dei l’abbiano in gloria, tu che sei cattolico mi perdonerai l’imprecazione, vuole portare da quattro a cinque le bombe settimanali da ficcare al culo agli asteroidi. Ho parlato con Shiro. Il sindacato vuole accettare. Però, possono darci un aumento, solo se raggiungiamo la quota di…
- Va bene. – Mi fa Tony, interrompendomi. – Per me va bene tutto, lo sai. Digli che va bene…
Abbasso lo sguardo. Ha ragione. Gli parlo sempre di lavoro. Con ironia, almeno credo, ma gli parlo sempre di lavoro. Sono una stronza. Sono un’idiota. Per me c’è il lavoro e basta. Rialzo lo sguardo. È che non so fare o dire altro. Quasi mi annego nei suoi occhi verdi.
Stringo i pugni e ci provo. Ci devo riuscire, cazzo!
- Tony San. Sai che giorno è oggi? – Gli chiedo, temeraria, trattenendo il fiato.
- No, che giorno è oggi? Il tuo compleanno? - Mi chiede.
Gli chiedo, mi chiede. Il solito teatrino tra noi.
Il mio compleanno un cazzo.
I suoi occhi a mezz’asta fissano un carosello di gnomi e folletti danzanti, su oltre l’androne del pub. Occhi verdi cui annegarsi. Appunto.
- No. È San Valentino.
- Wow! – Risponde, indifferente.
Mi sento di fargli una domanda che non gli ho mai fatto in sei mesi di demolizioni, fianco a fianco, spalla a spalla, lui con le palle io con le tette ma con la morte a farci da terzo incomodo, asessuata, democratica, lei sì certamente non un’entità astratta, impaziente e delusa dopo ogni manovra che portiamo a termine senza intoppi.
- Tony San, non hai una donna che ti aspetta da qualche parte? Qui? Sulla Terra? In Irlanda, forse?
Lui mi fissa, porta la birra alla bocca e inarca il sopracciglio destro.
- Una donna? – Sorride. Si formano delle fossette sulle guance che mi fanno morire. – Quale donna accetterebbe di vivere con uno come me?
Mi fissa ancora e sono costretta ad abbassare di nuovo la testa. Arrossisco. Ben mi sta.
- Adesso scusami. – Conclude. – Sono stanco. Ci si vede lunedì. Come al solito.
- Già. – Faccio io. - Ciao. A lunedì.
Come al solito, penso.
Lo vedo alzarsi e dirigersi verso l’uscita, in mezzo al frastuono generale di mille cori gaelici.
Proprio prima di varcare la porta, però, ha un’esitazione, si gira verso di me. Lo guardo, mi guarda. Per un istante, assume un’espressione pensierosa. Poi scuote la testa e se ne va.
- Sei un idiota, Tony San. – Mormoro.
Una lacrima amara mi cade nella mia pinta di Guinness. E annego nella birra tutte le mie illusioni. Come fossero i suoi occhi verdi. – Sei proprio un idiota. Buon San Valentino, Tony San. Buon San Valentino, Tony Chan.


Autorizzo JDR, se selezionato, a pubblicare il mio racconto su Skan Magazine
 
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anark2000
view post Posted on 14/2/2013, 23:55




Furto interspaziale


L'astronave-cargo interstellare Eiffel-65 Normandy della Star's Industrial Positronic si trova a poche ore di distanza dal pianeta Marte, dal quale è appena partita. Al suo interno vi sono migliaia di ricchezze provenienti dalla colonia minerale Alfa Centauri, installata sul pianeta rosso.
In una delle sue grandi stanze antigravitazionali, un diamante della grandezza di una ciliegia è esposto dentro una teca di vetro: intorno, disposti disordinatamente al suolo, ci sono migliaia di piccole sfere induttrici di elettricità il cui scopo, normalmente, dovrebbe esser quello di stordire o disattivare eventuali intrusi.
Una giovane ragazza dai lunghi capelli neri, il seno prosperoso e una tuta scura super attillata, apparentemente in lattice, si trova sopra la vetrinetta, appesa a una corda.
Mentre incide il vetro con un bisturi laser, pensa a quanto sia fortunata ad avere con sé il suo dispositivo mobile di infiltrazione informatica: grazie a lui ha potuto ristabilire la gravità nella camera in modo che i congegni di difesa cadessero tutti al suolo, invece di intralciarle la discesa.
Aperta una breccia, allunga il braccio per afferrare il diamante marziano, dopodiché lo ingoia: essere un replicante ha i suoi vantaggi e uno di questi consiste nell'immunità alle radiazioni gamma. Quel gioiello ne era pregno.
Sa che non ha molto tempo a disposizione, tra poco il sistema di sicurezza scoprirà il mascheramento alle modifiche.
Si tira su, con grazia e abilità, fino all'entrata del condotto di areazione; prima di lasciare la stanza, lancia qualcosa verso la teca.
Il tunnel è abbastanza alto da permetterle di stare in piedi, così non esita a correre verso il punto di incontro. Lungo la via, raggiunge il suo dispositivo ancora collegato al sistema principale: ha la forma di un piccolo gatto nero dagli occhi color lavanda che, non appena la vede arrivare, la saluta - Ma ciao! -
Senza arrestare il passo, la ragazza risponde, con estrema calma. - Prelievo riuscito, andiamo Mamaui - detto questo, il piccolo robot recupera i cavi d'interfaccia risucchiandoli nella bocca, poi le corre dietro; in quello stesso momento scatta l'allarme.


Dopo qualche minuto, irrompe nella stanza il detective Deckard, arma in pugno; osserva il soffitto e capisce subito di essere arrivato tardi. Rinfodera la pistola e si avvicina, deluso, alla teca: qui trova un biglietto al titanio, dalla forma rettangolare, sul quale è scritto qualcosa.


La ragazza corre verso la parete, mancano circa trenta metri. - Mamaui, connessione! - grida lei.
A quelle parole il gatto spicca un salto verso la testa della sua padrona, trasformandosi nel mentre in un casco spaziale con le orecchie a punta: ora che lei può vedere attraverso i visori ottici, possiede le coordinate di puntamento e un triangolo si forma, restringendosi, su un piccolo punto.
- Mamaui, fuoco! - a quel semplice comando, dagli occhi del casco partono due raggi fotonici che squarciano lo scafo dell'astronave.
La fuoriuscita di ossigeno le permette di velocizzare la fuga: risucchiata fuori, si trova per qualche secondo a vagare nello spazio profondo. D'un tratto, passa una piccola navicella a forma di gatto portafortuna giapponese che, grazie a un raggio traente, la carica a bordo. Qui ci sono ad attenderla le sue sorelle replicanti, Kelly e Tati.


Deckard legge il biglietto: “Questo diamante serve a produrre energia al cannone ionico dei confederati, che lo vogliono usare per distruggere la Terra, dalla Luna. Spero tu possa capire il nostro gentile atto di buona fede. Un bacio, Sheila.”
Sospirando, il detective lo gira e osserva il disegno: una testa di gatto, rossa, con un occhio solo.
- Anche questa volta me l'avete fatto sotto il naso, “Occhi di gatto” - dicendo questo, attiva un ologramma video dal suo orologio e naviga attraverso le telecamere esterne, finché non trova la piccola astronave; riesce a zoomare quel tanto che basta per leggerne il nome su un lato, “Gattorock”, prima di vederla teletrasportarsi via.

Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare questo mio racconto su 'Skan Magazine'.

Edited by anark2000 - 15/2/2013, 21:37
 
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Sol Weintraub
view post Posted on 15/2/2013, 02:34




RIMOSSO DALL'AUTORE

Edited by Sol Weintraub - 25/2/2013, 01:28
 
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view post Posted on 15/2/2013, 14:04
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LA BUCA
di Alessandro Renna



La palla rotola per terra fino ai piedi della bambina.
– Dai Malika, dalle un calcio.
La bambina esita. Guarda la palla, poi alza gli occhi e guarda papà, ma solo per un attimo, cerca la mamma, la sua approvazione.
– Dai Mali, dai una botta con il piedino alla palla. Fai come dice papà.
La bimba annuisce decisa, due piccoli passi e calcia.
La palla si alza oltre la testa del padre e atterra sul cofano del massiccio fuoristrada alle sue spalle.
– No, la macchina nuova! Speriamo non si sia rovinata.
La moglie ride divertita, quindi, guarda la figlia e facendo segno di no con la testa commenta: – Uomini.
La bimba ride divertita senza sapere perchè, ma non è importante e trotterellando corre incontro alla mamma fino ad abbracciarle le ginocchia.
– È strano Philip – dice la donna dopo aver raccolto la figlia da terra – a te, zotico contadino, non ti ha minimamente sorpreso quel che è riuscita a fare nostra figlia, ti sei solo preoccupato della macchina nuova.
L’uomo studia per un attimo la moglie e poi domanda: – Perché, Ra-chel, che cosa avrebbe fatto di tanto sorprendente Malika?
– Ma come, non ha ancora due anni e con un calcio è riuscita a lanciare la palla oltre la tua testa!
– Sì, me ne sono accorto, eccome. Ma ti assicuro che è normale. Sei tu che non ti rendi conto di com’è strana la vita… uno lavora con fatica la terra per anni e dopo sacrifici su sacrifici riesce a mettere da parte qualche soldo per comprarsi un fuoristrada come ha sempre sognato e il primo giorno rischia già di rovinare il cofano con un colpo di pallone della figlia.
L’uomo, mentre parla, s’avvicina alla macchina e con gesti affettati l’accarezza, toglie la terra rossa dell’impronta del pallone e infine le dà un bacio affettuoso sulla vernice lucida che riflette la luce rossa del sole al tramonto.
La donna scoppia e ridere e la bimba la imita felice. L’uomo con un balzo le raggiunge e le abbraccia, quindi, in uno slancio d’affetto le solleva da terra.
– Mettici giù, stupido – dice la donna poco convinta.
– No, no, no – dice al contrario la figlia – di più papà, di più.
– Di più? Davvero?
La bimba, ben sapendo che rispondere di sì significherà affrontare una nuova sfida, annuisce convinta.
– E allora più su – esclama il padre prendendo la bimba sotto le ascelle e lanciandola nel cielo rosso.
– Dai Philip smettila – prova a dire la donna seriamente preoccupata – lo sai che non mi piace quando la lanci così in alto.
– E cosa mai dovrebbe succedere? – Domanda divertito il marito ri-mettendo la bimba a terra dopo averle schioccato un bacio sulla guancia paffuta. Quindi, presi alcuni passi di rincorsa, si esibisce in una serie di ampi balzi concludendo la sequenza con una doppia capriola all’indietro.
– Bravo papà, bravo. – Esclama la piccola battendo le mani.
– Ecco lo sapevo. Philip, te l’ho già detto di trattenerti, non voglio che la piccola ti imiti.
– Capisco che tu non sia nata qui, ma prima o poi dovrai abituarti all’idea di andare a riprendere tua figlia sui rami degli alberi. Succede a tutti i bambini che vivono in campagna.
L’uomo, con fare sbruffone, non attende la replica della moglie e presi altri due passi di rincorsa si dirige verso la grossa quercia al centro del giardino e con un balzo va ad appollaiarsi sui rami a oltre tre metri d’altezza.
La moglie ha un diavolo per capello e pur cercando di non urlare da-vanti alla figlia, non riesce a trattenersi dal raggiungere il marito ai piedi dell’albero per dirgliene quattro sul muso.
Philip come suo solito non le dà soddisfazione e rivolgendole bonarie prese in giro si arrampica ancora più su.
Il battibecco tra i due va avanti per qualche minuto diminuendo s’intensità e assumendo sempre più i connotati di una baruffa tra innamorati fin quando il pianto lontano della bambina non li interruppe di colpo.
– Malika! – Esclamano entrambi preoccupati.
– Dove sei? – Urla la madre che non riesce a scorgerla.
L’uomo si arrampica ancora più su e vede una piccola voragine tra le rocce che delimitano il campo di mais, il punto è lo stesso dove la settimana prima aveva spaccato il semiasse del vecchio pick-up e dagli urli sempre più disperati della figlia è chiaro che Malika c’è caduta dentro. Allora balza a terra e con una dozzina di falcate copre i cinquanta metri che lo separano dalla figlia.
La buca che aveva riempito dopo aver tirato fuori il furgone si è ria-perta, talmente profonda che nel crepuscolo non se ne scorge il fondo.
– Calmati Malika, sono qui, adesso ti tiro fuori.
L’uomo si cala dentro la buca e nella penombra si accerta che la figlia non si sia fatta nulla.
– Philip, tutto bene?
– Sì, Rachel. Adesso te la passo.
La madre prende la figlia dalle braccia del marito e nella luce morente del sole controlla che non si sia fatta male.
– Dai piccolina, hai solo un ginocchio sbucciato. Poteva finire peggio. Quante volte ti ho detto che non devi allontanarti così tanto dal cortile?
La bimba, dopo due singhiozzi spiega: – Ma la palla è volata via, allora l’ho rincorsa, non mi sono accorta di essere andata così lontano e poi… è finita lì dentro – quindi, dopo altri singhiozzi si guarda attorno e aggiunge – ma dov’è la palla? La palla! Voglio la mia palla.
L’uomo sta già uscendo dalla buca quando capisce dallo sguardo della moglie che farebbe meglio a tornare giù a recuperare il giocattolo. Questa volta si guarda attorno con attenzione e si rende conto di quanto è grande la voragine: una vera e propria grotta, non molto più grande della loro sala da pranzo con al centro, anziché il massiccio tavolo di legno, una specie di guscio metallico aperto in due del diametro di nemmeno un metro. La palla di Malika è lì vicino.
L’uomo riporta il giocattolo alla figlia, ma non riesce a resistere alla tentazione di tornare indietro a raccogliere anche il guscio.
Non è molto pesante e senza troppa fatica riesce a tirarla fuori.
– Ma che cos’è? – Chiede la moglie appena lo vede sbucare fuori.
– Non ne sono sicuro, ma ho una mezza idea, fammi controllare.
Proprio come aveva fatto per pulire il cofano dell’auto, con leggerezza e attenzione si mette a lucidare il guscio metallico rimuovendo la finissima terra rossa dalla superficie.
– Beagle 2. Il primo Beagle era la nave su cui Darwin girò il mondo e questo mi sa che è uno dei tanti mezzi che secoli dopo quella spedizione furono lanciati nello spazio.
– Una sonda?
– Sì, Rachel una sonda, proprio come il Phobos, il Viking, il Pathfin-der, il Nozomi…
– Ma allora… – dice la donna senza riuscire a terminare la frase per lo stupore.
– Credo di sì. – replica il marito tornando a fissare la scritta incisa sul guscio – questa è l’unica sonda di cui non si è mai trovata traccia. Se ne perse il segnale subito dopo il suo ingresso in atmosfera. Per fortuna le missioni successive hanno avuto successo.
I due si guardano in silenzio. Lui solleva la figlia, decisa più che mai a non staccarsi dalla sua palla e tutti e tre si stringono in un tenero abbraccio.
– Sei stata brava Malika, sai? – Dice il papà.
– Eh già – gli fa eco la mamma – hai ritrovato un pezzo importante della nostra storia.
– Sì – riprende il papà mentre la figlia sgrana gli occhi perplessa – è grazie a sonde come questa se l’uomo più di trecento anni fa è riuscito a colonizzare Marte.

Autorizzo la pubblicazione su Skan Magazine

Sono convinto che questo racconto possa sorprendere, ma lo sto facendo leggere a gente che ha ben presente le specifiche, spero però che possa davvero stupirvi almeno un po'.
 
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Miksi
view post Posted on 15/2/2013, 20:03




Ciao ragazzi.. scusate la brutta formattazione ma ho avuto dei problemi con quella... speriamo almeno che il racconto sia leggibile!


Vita di N




"Mamma, posso andare fuori a giocare con Kari?"
"No, lo sai Nolimi, c'è ancora troppo vento per te"
"Ma mamma! Kari..."
"Non farmi alzare la voce, ho detto no. Tuo fratello pesa 8 ng più di te, potrai uscire con lui a giocare quando sarai abbastanza grosso da non farti portare via da raffiche come quelle di oggi"
Il piccolo uscì sconsolato dalla sala, a testa bassa, e si diresse in camera sua.
Un vento a 1800 km/h non è poi tanto forte, pensò.
Ai piedi delle scale notò la cassetta degli attrezzi di suo padre e gli venne un'idea. Sorrise come sorridono i bambini quando hanno trovato la soluzione più logica al proprio problema..

Nolimi abitava con la sua famiglia in prossimità della Grande Macchia Scura, nell'emisfero meridionale di Nettuno, uno dei punti più ventosi del pianeta e, con tutta probabilità, anche dell'intero sistema solare.
Era un bel bambino dalla carnagione celeste, aveva ereditato gli occhi viola della madre e i capelli a zig-zag del padre, ma dietro l'aria innocente nascondeva un temperamento ribelle.

"Mamma?"
"Che c'è, Noli?"
La signora Ter rispose senza alzare lo sguardo dalla rivista di moda che stava leggendo. Come fabbricarsi il proprio giubbino in roccia impoverita e resistere alle intemperie, recitava l'articolo.
"Ora posso uscire?", chiese il bambino, marcando ogni parola, con un tono che non ammetteva repliche.
La donna guardò il figlio e non potè fare a meno di scoppiare a ridere.
Sul torace e su ognuna delle sue quattro braccia il figlio aveva fissato con parecchi giri di nastro adesivo l'intero contenuto della cassetta degli attrezzi: cacciaviti a rombo, pinze quadridentate, chiodi a chiocciola, chiavi di Saturno.
Sembrava la mascotte di un negozio di ferramenta.
"Che c'è?" chiese Nolimi indispettito. "Peso come Kari, adesso, no?"
"Sì, tesoro mio", disse la madre trattenendo a stento le risate. Doveva riconoscere la sconfitta. "Ora puoi uscire, ma non allontanarti da Kari"

***

"Accidenti, Kari, fammi venire con te!"
"Non se ne parla fratellino, è troppo pericoloso"
"Oh, andiamo, non sono più un bambino"
"Forse, ma non sei nemmeno un uomo, ancora. Il viaggio su Tritone non è una passeggiata, ti ci porterò l'anno prossimo, magari"
"Come no, l'hai detto anche l'anno scorso" ribattè Nolimi in tono cupo.
"Se tu ti sbrigassi a crescere potresti cominciare a venire con me"
Kari, stretto in una tuta rossa a strisce argento, fece l'occhiolino al fratello.
Per tutta risposta, Nolimi deformò il viso in una linguaccia triforcuta

***

Nolimi Ter stringeva la mano destra inferiore del fratello.
Kari aveva gli occhi chiusi.
Poco distante un'infermiera piccola e graziosa spense metà delle luci del corridoio.
Guardò Nolimi e passò oltre senza dire una parola. L'orario di visite era passato da un pezzo.
Il ragazzo si alzò dalla sedia e si avvicinò alla finestra socchiusa della stanza.
Il cielo era sempre azzurro e nell'aria persisteva il consueto odore di metano misto ad ammoniaca, ma d'un tratto a Nolimi parve un mondo del tutto diverso.
"Cosa ti è saltato in mente?", mormorò diretto al fratello, "lo sanno tutti che la fascia di anelli esterna è tremendamente instabile. Ma tu volevi a tutti i costi provare la tua nuova navicella. Maledetto il giorno in cui hai guadagnato abbastanza per comprartela!"
Parlava piano, pur di non disturbare il profondo sonno in cui il fratello era immerso.
L'avevano recuperato appena in tempo, attraversato da una scarica improvvisa nei pressi di Lassel ovest.
"Stupido, volevi arrivare fino all'anello di Galatea o cosa?"
Si lasciò sfuggire una lacrima: di rabbia e di tristezza.
Kari mosse leggermente la testa sul grande cuscino color acquamarina. Emise un flebile gemito.
Il fratello gli fu vicino in un attimo.
Gli tolse i capelli dalla fronte: sferici e ribelli come quelli della mamma.
"Per tutta la vita", sussurrò Nolimi, "ho pensato che non sarei mai stato abbastanza grande per te". Fece una pausa per ingoiare il pianto.
"Ma ora devi farmi un favore, idiota di un Ter! Devi, e dico devi, dimostrarti abbastanza grande da restare con me"
Scrutò il fratello in cerca di una reazione, qualsiasi.
Ma Kari non aprì gli occhi, men che meno rispose.
Solo, dopo qualche secondo, mosse l'angolo della bocca.

Noli giurò, negli anni a venire, che quello fosse stato un sorriso.
Kari, dal canto suo, affermò sempre di non conservare memoria alcuna dei giorni passati in stato di semicoma.


autorizzo jackie all'eventuale pubblicazione su skan magazine
 
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view post Posted on 15/2/2013, 20:51

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SALUTI DA CERERE

Di Alexandra



Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare il mio racconto su Skan Magazine

Il capitano della nave stellare tamburellò sulla consolle, osservando sconsolato la mappa astrale.
Quanto tempo ci voleva per arrivare a Cerere?
Lui ci stava portando un carico molto importante, cibo alla greca dalla Terra per la tavola di Asterope Goulandris.
Lei e il fratello Aristarco non andavano per niente d’accordo, di lì la decisione di questi di risiedere sulla Terra mandando lei a vivere nello Spazio Profondo, ossia a Cerere, uno dei satelliti di Giove che era andato bene per il nuovo giro d’affari degli armatori di astronavi.
I migliori erano stati i greci: a tutti loro era ancora bene impressa la crisi del 2012, e la volontà di riscatto era molto forte anche a distanza di parecchi anni.
Le altre nazioni potevano aver creato la Federazione Spaziale, accogliendovi anche le “voci nuove”, provenienti dalle emissioni radio captate dal Progetto SETI, ma per seguire i buoni consigli degli alieni per migliorare la Terra, ci volevano equipaggiamenti, navi, e in questo la Grecia era diventata imbattibile.
Merito di Asterope Goulandris, che aveva trasformato Cerere in una stazione idroponica, con le coltivazioni agricole di tutti gli ortaggi e la frutta della Terra per dare inizio alla Grande Colonizzazione Spaziale.
Su Cerere si poteva vivere grazie alla cupola geodetica che riproduceva il clima mediterraneo greco, molti terrestri ne avevano approfittato per sfuggire alla Terra, divenuta sovrappopolata e inquinata.
Quanti di loro mandavano cartoline vocali attraverso la radio di Cerere: i saluti erano pieni di ottimismo.
Non c’era solo lavoro per i contadini e i tecnici, ma anche per gente di spettacolo, visto che Asterope aveva voluto contrapporsi alla società dell’immagine usando la radio.
Quante commedie venivano di là, dallo spazio profondo; potevano ben dirsi eterne, le musiche e le voci degli attori rimbalzavano per tutti i sistemi della galassia, allietando in particolar modo gli alieni del progetto SETI, i quali avevano chiesto di sentire anche le voci dei terrestri, dopo averli presi in simpatia leggendo la tavola d’oro con il nome e l’indirizzo della Terra.
Perché il capitano della nave cargo Almatea era così triste, allora?
Semplice, quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio prima della pensione, una brutta notizia che gli era arrivata poco prima di partire dalla bocca di Aristarco.
Ne ricordava bene il tono rammaricato:”Mi dispiace di fare a meno dei vostri servigi, Capitano Holz, ma vedete bene voi stesso che siete stanco. Siete svenuto alla festa di mia sorella, al palazzo di Cnosso, da allora avete avuto degli incubi, questi sono sintomi di Male dello Spazio. Vi pagherò un premio per aver resistito finora”.
Rheinart Holz non soffriva di nessun male, spaziale o meno che fosse.
Si era reso conto con orrore che la vera malata era Asterope, lei sì, aveva perso da alcuni mesi il contatto con la realtà.
Il colpevole di questo era stato lui, involontariamente.
Stupido, si maledisse.
Per prima cosa non si sarebbe dovuto concedere quella vacanza di servizio nel villaggio accanto al palazzo, poi avrebbe dovuto evitare di curiosare fra le rocce, durante le pause del lavoro altrui.
Maledetta curiosità.
Cos’aveva creduto di fare, il penultimo giorno di vacanza?
Aveva trovato una gemma fra le rocce di Cerere, durante alcuni lavori di sistemazione per il quartiere turistico che sarebbe dovuto sorgere poco lontano da Cnosso.
La pietra, molto simile all’acquamarina, aveva una particolarità, una riga di luce bianca che si ingrandiva e rimpiccioliva alla luce come le pupille dei gatti.
O dei rettili, pensò Rheinart in quel momento, con il senno del dopo.
L’aveva consegnata ad Asterope considerandola un portafortuna per il satellite.
La sorella dell’armatore l’aveva ribattezzata Pupilla dello Spazio, dopodiché l’aveva collocata nella sala principale del Palazzo, in una teca illuminata, su un cuscino di velluto nero.
Era diventata l’attrazione di tutte le sue feste.
E l’aveva fatta impazzire.
Nessuno sulle prime, aveva fatto caso ai discorsi di Asterope: ebbrezza da Usu, avevano pensato tutti.
Sì, di certo il liquore all’anice e i vini resinosi davano alla testa, nell’atmosfera rarefatta di Cerere.
Facevano venire idee grandiose.
Durante l’ultima festa, lui stesso aveva cercato di fare ragionare la donna:-Non dovete ripetere che noi terrestri diventeremo imperatori dello spazio, le orecchie dei nostri amici del progetto SETI sono sensibili. Finora sono stati buoni con noi, perché hanno ammirato il meglio della nostra civiltà. Non deludeteli.
La donna aveva scosso i riccioli scuri, fronteggiando l’alto capitano tedesco dal suo metro e sessanta:-Come vi permettete? Vorreste vedere la vostra Germania dominare lo spazio? Vi piacerebbe un Reich delle stelle?-.
Rheinart posò il bicchiere di Arrak, divenutogli imbevibile, poi si avvicinò alla teca, da dove la gemma mandava i barbagli malefici:-Credo- le sussurrò –che dovreste mettere via questa pietra, non vi fa bene guardarla, né tenerla fra queste mura.
Asterope alzò un sopracciglio, mentre l’incarnato olivastro del suo volto si deformava dall’ira:-Ma se è un vostro regalo, indovinato, per giunta. Sono migliorata, sapete. Ho ricevuto le coordinate dei nostri amici, come li chiamate voi, penso che dovremmo andare a conoscerli, mostrare loro altre parti della nostra civiltà.
Rheinart si era opposto:-Li lascerete dove si trovano, darete loro da ascoltare le opere dei grandi filosofi greci, come da programma. Io mi riprendo questa.
Il capitano sessantenne spaccò la teca, il suo sangue macchiò la pietra, che lo bevve come un gattino berrebbe una scodella di latte.
Infine, afferrò la gemma, grande come un mandarino, ma in quel momento pesante come un peso di piombo.
Voleva difendersi, la maledetta.
Per un attimo, fra il capitano e la pietra si stabilì un contatto, nel corso del quale egli vide un futuro fatto di guerre e fame, con la distruzione di civiltà splendide.
Roba da far diventare la distruzione del Nuovo Mondo a opera dei conquistadores una farsa.
Poteva permetterlo, lui, Rheinart Holz?
No: sbriciolò la gemma sotto il tacco dei pesanti stivali.
Nel ricordo, il disgusto che aveva provato, quasi avesse schiacciato una vipera, tornò a colpirlo alle viscere nel momento dell’atterraggio.
Aveva portato il suo ultimo carico, aveva diritto a un giro su Cerere, il palazzo di Cnosso svettava sulla cima della roccia più alta, ben visibile dalla finestra dello spazio porto, ma decise di restare dov’era.
La porta dietro di lui si aprì, una figura di donna entrò, con il volto provato.
Riconobbe a stento Asterope in quella maschera da tragedia greca.
Le andò incontro:-Questo è il mio addio a Cerere, se siete ancora offesa...-
-Ma no- disse lei –devo ringraziarvi, meritereste di lavorare ancora per noi, ma mio fratello ha ragione. Dovete andare in pensione, ufficialmente, ma tenete d’occhio Cerere, è successo una volta che io perdessi la testa per colpa della hybris. Questa volta ha assunto l’aspetto di una gemma, la prossima non lo so. Mi aiuterete?-.
Rheinart le strinse la mano ben curata, priva di anelli:-Farò del mio meglio. Dove abitate, ora?-
Lei gli indicò una delle ville che si trovavano nel quartiere turistico:-Il palazzo non è più sicuro, ignoro io stessa cosa ne farò-.
Il capitano le disse:-Tenetelo, come monito a quanti vi parleranno di guerra. Raccontate a tutti la storia della gemma-.
Asterope gli chiese:- Secondo voi cos’era? Un esame da parte dei nostri amici del progetto SETI?-.
Egli scosse la testa:-Può darsi, oppure chissà, forse erano i saluti dei nostri predecessori su questo pianeta. Alieni guerrafondai, estintisi proprio per questo.
 
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view post Posted on 16/2/2013, 01:23
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Magister Abaci

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Ora potete stilare le vostre classifiche: commentate quanto basta per non dimezzare il punteggio.
Una settimana di tempo! Buone letture!


"Un eroe, forse" di Polly Russell #entry526852978
"Buon San Valentino, Tony Chan" di T.W.F.K.A.N. #entry526958805
"Furto interspaziale" di anark2000 #entry526967605
"Il cimitero degli elefanti" di Sol Weintraub #entry526972825
"La buca" di Rovignon #entry526999664
"Vita di N" di Miksi #entry527038674
"Saluti da Cerere" di Shanda06 #entry527043596
 
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Sol Weintraub
view post Posted on 16/2/2013, 12:19




Commenti in versione breve per questo speciale.
Ho notato come la mia tastiera abbia un problema sulla S, se trovate quindi qualche parola orfana della lettera del fuoco sapete il motivo. :B):

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UN EROE, FORSE di Polly Rusell

Ciao Pollicina, dopo lo Skannatoio regolare eccoti tornata in gran forma.
Ci troviamo davanti a un racconto profondo, introspettivo, sensoriale, quasi mistico.
Amica mia, hai uno stile e delle capacità notevoli ed è per questo che alle volte storco il naso di fronte ad alcuni tuoi racconti che reputo non all'altezza della scrittrice (e non vice versa); questo non è il caso!
"La nebulosa si fa strada nel buio. Si gonfia e si contrae, luminosa e calda. Pulsa. Come vulva ancestrale. Madre del cosmo. Sembra respirare piano, mentre i Pilastri della creazione spingono e si ergono, dentro di lei. Creatrice.", questa frase dice tutto, intrisa com'è del senso di Sacro calato nella Creazione.
Magari non era quello il tuo intento, magari hai inteso la cosa diversamente, ma mi piace pensare che la bestiolina sia sì ammaestrata ma che la sua coscienza, il uo intelletto, i sia rivegliato dopo il salto, come se l'anima mundi, fino ad allora sopita, avesse reagito alla visione dell'infinito.
In tutto questo, a mio parere, le ultime righe stonano. Strappano il lettore all'estasi ributtandolo nella realtà e, dal punto di vista narrativo, spezzano il ritmo. E' solo questo che ti ruba il primo posto.
Magari è stata proprio una tua scelta, magari volevi interrompere così bruscamente il sogno, ma se davvero un'anima si è destata allora preferisco pensarla ancora in viaggio tra le stelle.
Citando Bernardino Corio: è bello, dopo il morire, vivere anchora (si, scritto proprio così ;) ).

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BUON SANVALENTINO, TONY CHAN di TWFKAN

Oh Regina delle mie notti insonni, per la cui bellezza io, fauno, ho suonato i miei flauti. Per te una citazione heavy metal che ti sfido a riconoscere. Buon San Valentino. :wub:
Detto questo, e beatomi ancora per alcuni istanti del tuo ritorno (che mi ha costretto a scrivere di corsa nel cuore della notte, non sia mai che mi lasciassi sfuggire l'occasione di venirti a molestare), inizio subito a bastonarti.
Dov'è la scena di sesso? Un tuo racconto senza sesso è come una carbonara senza panna: ricetta più corretta, più salutare ma assolutamente meno appagante.
A parte tutti gli scherzi, ho trovato questo racconto asolutamente sotto i tuoi standard, privo della connotazione personale che contraddistingue le tue produzioni.
Non parlo della componente erotica (ovviamente scherzavo) ma di quella commissione di weird ricercato, spirito on the road e atmosfera J-Pop che ti hanno reso la mia kokeshi letteraria.
Quando leggo un tuo pezzo lo immagino sempre a colori luminosi, intensi, come un film di Tetsuya Nakashima. La tua capacità sta nel dare la medesima impronta a storie semplici come Maldive Noir o a meraviglie oniriche come Porn S&M Nozomi Flip Flop (posso diventare il tuo bibliografo?).
Qui tutto sembra stinto, e non perché siamo su Marte, ma perché la forza evocativa dei tuoi personaggi appare sopita, sciacquata.
Tutto appare artificiale, anche quel filo invisibile di sentimenti che lega la nostra tenera protagonista al rozzo Tony. Ed è un peccato perché l'ambientazione c'è, eccome: un Marte alla Red Faction con la sua Ultor Corporation... peccato manchi Parker a spaccare tutto.
Forse al di fuori de concorso potresti, se ti va, rivedere il tutto lavorando sull'emotività dei personaggi, sulla loro psicologia.
Quello che sei riuscita a fare trasparire bene, ritengo volutamente, è un diffuso senso di tristezza, anzi, di malinconia interiore che, spero, rimanga all'interno del racconto.
Dottor Teo a Grazia. Chiudo.

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FURTO INTERSPAZIALE di anark2000

Caro Anark, che non ci fossi tutto con la testa lo avevo ipotizzato, ma ora ne ho la conferma. Ed è una cosa fantatica!
Comincio a considerarti il mio contraltare, la mia versione mondana.
Perché il tuo è, a tutti gli effetti, uno scrivere esoterico: un profondo esoterismo pop.
In nemmeno cinquemila caratteri ci delizi con una valanga di citazioni: dai manga a Blade Runner, da Mass Effect a Terminator, passando per Yattaman, FF VIII e Civilization.
Lo stile è fluido, gli errori (pochi) trascurabili. Forse abbiamo poca psicologia ma, che diamine, è un cartone animato degli '80! Eppure anche qui ci colpisci perché nell'ultima scena, con Deckard che guarda l'astronave allontanarsi, ho colto un'eco di quel sentimento di amore-odio-ammirazione che, nel Cat's Eye originale legava il povero Toshio (il Metthew della versione europea) a Hitomi (Sheila) e le sue sexissime sorelle.
Insomma, gira gira c'è poco da dire: bello, divertente, originale.
Bravissimo!

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LA BUCA di Rovignon

Ciao Ale. Noto sempre con piacere come, a ogni tuo racconto, il tuo stile cresca, migliori, smussi gli angoli. Questo pezzo è davvero ben scritto, curato in ogni sfumatura, sia semantica che stilistica.
La storia è semplice, lineare eppure godibile; una fantascienza molto classica che stringe l'occhio a Bradbury, Ballard e il Vonnegut delle Sirene di Titano. Non c'è molto da dire o da conigliare, il pezzo è fatto e finito, aggiungere o modificare qualcosa, a mio parere, ne rovinerebbe la verve.
Non amo molto le storie di vita vissuta, sulla Terra o su Marte che siano, perché a mio parere lasciano il tempo che trovano, ma questo è un gusto personale che esula dagli elogi che merita il pezzo. Per questo lo premio, per ciò che è, non per ciò che vorrei fosse. Come è giusto.
Arrivando alla tua domanda finale "il racconto stupisce?". Si e no, ma vado a spiegare.
Che la famiglia sia su Marte è lapalissiano quai da subito, almeno per chiunque abbia letto Burroughs (o visto il recente film di Stanton); bello invece, e molto, il ritrovamento del Beagle, un plusvalore che da al tuo racconto una dimensione storica. Mi ha ricordato un po' la scena del divertente Rally 'Round the Flag, Boys! (film del '58 di McCarey con Paul Newman e una bellissima Joanne Woodward), tratto dal romanzo di Shulman.
Insomma Ale, per tirare le somme, un ottimo lavoro su tutti i fronti.

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VITA DI N di Miksi

Ecco di nuovo la nostra giovane Veronica, lanciata con rinnovato vigore alla conquista dello Skannatoio.
Partiamo da titolo: non so se la tua idea fosse omaggiare Yann Martel ma, retrocedendo di una lettera, a me ricorda molto il mio pensiero quando, al mattino, la mia vecchia schiena mi da il buongiorno.
Chiarita questa visione intimista passiamo al pezzo. ;)
Per te, mia cara, vale un discorso simile al buon Rovi: stile preciso, costruzione impeccabile, trama classica da golden age of Sci-Fi.
Stessa sensazione per quanto riguarda la vita vissuta: ben resa ma lontana di miei gusti. Apprezzo il voler ricreare quelle atmosfere un po' '50-'60 in cui, passato il perioso dei robottoni valvolari alla conquista del mondo, immaginavamo le stelle come mondi simili al nostro, fatte di casalinghe e pacifiche villette a schiera, forse per esorcizzare lo spettro atomico della Guerra Fredda.
Da un vecchio volpone come Ale o da un membro onorevole dell'areopago geriatrico come me mi aspetto un'ottima resa di tematiche simili, ma il fatto che ci sia tu dietro una storia simile ti fa doppiamente onore.
Purtroppo una classifica deve essere stilata e quindi le sexy ladre con gatti fotonici e le scimmie trascendenti hanno la meglio (le prime quantomeno per le forme) ma, credimi, il tuo racconto non ha nulla che non vada.
Continua così, senza smettere mai di lavorare al tuo stile, vedrai che ti aspettano grandi soddisfazioni.

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SALUTI DA CERERE di shanda06

Last but not least la nostra new entry, giunta recentemente a impreziosire lo Skannatoio.
Cara Alexandra, mi rammarico nel dire che tra questo racconto e i tuoi precedenti (conto anche quelli proposti in Sotto la lente) c'è un vero e proprio abisso, sia di stile che di contenuto.
So che non è bello fare paragoni ma in questo tuo lavoro evidenzio i problemi che altri utenti hanno invece notato nel tuo precedente su Ribiez: costruzione caotica, stile altalenante, punto di vista confusionario. Gli eventi iniziano in maniera chiara, ritmata, per poi prendere la china travolgendo il lettore in una serie di riferimenti all'ambientazione e flashback.
Quando racconti la scena del ritrovamento della Pupilla dello spazio e poi quella della sua distruzione vi è una continuità narrativa che spiazza. Mi sono ritrovato a chiedermi: ma sta succedendo o è già successo?
L'idea non è malvagia, anzi. Quando racconti della pietra e della follia alla quale induce Asterope mi è venuto in mente Tigri blu dell'immortale Borgés.
Credevo, speravo, in un finale onirico e delirante. Scadiamo invece in una moraletta pacifista che lascia il tempo che trova, dove gli alieni del SETI appaiono inseriti a forza giusto per creare una controparte plausibile.
E' un peccato, perché le premesse c'erano.
Abbiamo Asterope di d'annunziana memoria, che blandisce gli ascoltatori extraterrestri attraverso l'arte; non so se sia voluta ma ho visto nel suo delirio violento una citazione del mito che vede la pleiade unirsi con Ares.
Abbiamo Aristarco, omaggio all'astronomo di Samo. Bello. Bellissimo.
E' come se ti fossi voluta trattenere dall'osare di più, forse per paura di rendere il tuo racconto troppo visionario, troppo di nicchia (ho notato che nell'edizione regolare hai penalizzato chi, a tuo parere, non ha scritto per il grande pubblico).
Sarò di parte ma penso ci siano già troppi "scrittori" che violentano l'arte con una scrittura di intrattenimento che nulla pretende perché nulla da'.
Viviamo nel paese di Campana e Pavese, ma anche in quello della Troisi e di Francesco Dimitri i cui libri sono sì uno spregio alla carta stampata.
Parere mio, non temere di essere capita da pochi.
Per citare un caro amico: c'è un esercito di occaionali là fuori, non serve che corriamo a portargli rinforzi.

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CLASSIFICA:
1°)FURTO INTERSPAZIALE di anark2000 6 Punti
2°) UN EROE, FORSE di Polly Russell 5 Punti
3°) LA BUCA di Rovignon 4 Punti
4°) VITA DI N di Miksi 3 Punti
5°) BUON SAN VALENTINO, TONY CHAN di TWFKAN 2 Punti
6°) SALUTI DA CERERE di shanda06 1 Punto

Edited by Sol Weintraub - 16/2/2013, 15:12
 
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