Questo racconto è tratto da una storia vera.
PresenzePrologoQuella mattina Mario era uscito sul terrazzo di camera sua per fumarsi una sigaretta in assoluto relax.
La vista dava sulla piazza centrale del suo piccolo paese sperduto tra i colli, Coldirodi, i cui abitanti passavano a malapena le tremila anime: le solite facce si presentavano fuori dai bar a giocare a carte, mentre alcuni ritardatari si accingevano a entrare in chiesa dove , a breve, si sarebbe tenuta la messa.
A un tratto, la campana iniziò a suonare a morto.
Alcune signore anziane, sedute a prendere il sole intorno alla fontana di pietra, iniziarono a chiacchierare con preoccupazione: il ragazzo non riusciva a capire bene di cosa stavano parlando, a causa della distanza, così decise di rientrare in camera sua per consultare la persona considerata una delle fonti di informazioni più ricca di Coldirodi.
- Mamma, sai chi è morto? - domandò Mario.
A voce bassa, mentre terminava di rifare il letto, lei rispose - Si, è morta Assunta: ti ricordi la nuora di Vincenzino, marito di Giuseppina, sorella della cugina di Giacomino? Me l'ha detto la Ilde, che ho incontrato andando a prendere il pane.
- Lo sai che con i nomi non ho buona memoria, sono quasi sempre in Francia, per lavoro. - spiegò per l'ennesima volta Mario. - Era malata?
- Ma si che la conoscevi: era sempre seduta lì di sotto a parlare con le amiche. Aveva un brutto male e stava in ospedale già da due mesi. - concluse la madre, prima di andare a preparare il pranzo.
Dopo un attimo di esitazione, Mario gridò - Mi stendo a dormire ancora un po', chiamami quando è pronto!
- Vedi di non disfare le lenzuola! - Urlò lei dalla cucina.
Prima di sdraiarsi sciolse la lunga coda di cavallo e i suoi capelli lisci scesero lungo le spalle.
Erano passate solo due settimane dalla morte della sua ex ragazza e sapeva che il tempo non avrebbe cambiato nulla: il ricordo di quanto successo al funerale gli avrebbe fatto visita a ogni suono di campana.
Qualche settimana primaLo spettacolo era appena terminato e Mario, in compagnia della sua nuova fidanzata, si accingeva a lasciare il teatro. Il pubblico aveva applaudito per quasi cinque minuti di fila, talmente era soddisfatto dall'esibizione.
- Allora, Cinzia, ti è piaciuto il musical?
- Si, tantissimo, adoro
Grease! Come ballavano bene. Peccato solo che fosse in inglese, avrei voluto capire meglio i dialoghi e le canzoni.
Il ragazzo guardò in alto come se stesse cercando la soluzione di un enigma millenario.
- Ti serve solo un po' di pratica, la teoria non basta. Potresti provare a farne un po' con me, ma siccome lo parlo come un cane rischierei di peggiorarti.
Lei sospirò, rassegnata di fronte all'evidenza. - Lascia stare amore, grazie lo stesso. Se solo provo a immaginarti come professore mi viene da ridere.
- Dici così perché sono più grande o perché passiamo la maggior parte del nostro tempo a casa nel letto?
- Scemo! - esclamò lei, infine, mentre uscivano dall'edificio.
Mario sorrise, poi la sua attenzione ricadde su un oggetto all'interno della sua giacca.
- Cosa c'è? - Chiese Cinzia.
- Aspetta, avevo inserito il vibra nel cellulare: durante lo spettacolo qualcuno mi ha chiamato e vedo che mi ha lasciato un messaggio in segreteria. Il numero è sconosciuto, fammi controllare un attimo.
Il giovane ascoltò con molta attenzione la voce, mentre il viso si faceva sempre più scuro.
“Ciao Mario, sono la Rita” la voce iniziava a singhiozzare “scusa se ti disturbo, purtroppo Francesca non sta bene, oggi è stata ricoverata in ospedale e il dottore dice che il tumore ha raggiunto uno stadio critico. Vedi, quel bastardo con cui usciva da un paio d'anni l'ha lasciata e non si vuol più fare sentire. Lo so di chiederti tanto, ma potresti venire a trovarla? Non resisterà molti giorni... lei ti ha sempre voluto tanto bene... le farebbe piacere. Un abbraccio.”
Chiuse il telefonino. L'ammirazione nei confronti di quella donna cresceva sempre di più: dopo tre anni di chemioterapie e risonanze, non aveva ancora perso la forza di sostenere la figlia malata.
La voce preoccupata di Cinzia lo destò in maniera brusca dai suoi pensieri. - Allora?
Mario, con gli occhi pieni di lacrime, rispose. - Ti avevo detto che la mia ex era in cura a causa di un tumore benigno alla testa, vero?
- Si. E ricordo anche quando me la presentasti con il suo ragazzo, Stefano, al pub... era tutta contenta per come procedevano le cure. - rispose lei, portando lentamente la mano davanti la bocca. - Perché me lo chiedi?
- A quanto pare i dottori si sono sbagliati. Le restano pochi giorni di vita.
In pochi secondi era svanita l'euforia acquisita durante tutta la serata.
I due ragazzi si abbracciarono.
Il giorno dopo Mario andò a trovare Francesca all'ospedale.
Aveva provato in tutti modi a convincere i genitori ad andare con lui, ma loro, già testimoni in passato di eventi così spiacevoli, si erano rifiutati: preferivano ricordarsela bella e piena di vita.
Mario era carente in quanto a esperienza sul come comportarsi in una situazione simile; dopo un profondo respiro, aprì la porta ed entrò.
Rita era seduta a lato del letto, al suo fianco c'era la figlia più grande, Tiziana. Dopo un rapido saluto con il capo, il ragazzo si precipitò subito dall'altra parte per afferrare la mano di quella che era stata la sua ragazza per quattro anni: in quel preciso momento, lei, aprì gli occhi verde smeraldo.
- Ciao topolina. - Non aggiunse altro, per parecchi minuti.
Un grosso tubo le entrava nella bocca e non v'era modo che lei potesse rispondere. Il viso era gonfio. Lei continuava a guardarlo e a lui sembrava esser contenta di vederlo.
Tiziana ruppe il silenzio. - Grazie di essere venuto, Mario.
- Non devi ringraziarmi, avrei dovuto esserci già da molto tempo invece di fare finta di accettare che si trovasse bene con Stefano.
La ragazza strinse la mano di sua sorella minore. - No, anche se il male è stato scoperto dopo che vi siete lasciati, tu le sei rimasto vicino quanto bastava... ti sei semplicemente fatto da parte quando si è trovata un nuovo compagno. Nessuno poteva poi immaginare che quel maledetto rimanesse legato a lei solo per chiederle soldi in prestito. La sua vera natura è venuta fuori pochi giorni fa quando è sparito, abbandonandola.
Intanto, Francesca, seguiva con sguardo perso i discorsi dei due.
- A proposito, ho portato delle vecchie foto di noi due insieme, forse le farà piacere vederle. Cosa ne pensate? - disse Mario all'improvviso. - Tu cosa ne dici? Ti va? - concluse poi, con voce gradevole, girandosi verso la sua ex ragazza.
I movimenti di Francesca erano molto limitati, ma tutti, nella stanza, si accorsero di come iniziò a stringergli forte la mano, guardandolo intensamente negli occhi: era un chiaro segno di approvazione.
Non ci mise molto a passare in rassegna tutte le immagini e nonostante cercasse di farlo con cura e precisione, si rese conto che erano pochissime. Provò vergogna per non averne fatte di più.
Il tempo passava veloce, finché non giunse un'infermiera per effettuare un controllo. - Vi chiedo scusa, ma dovreste uscire tutti per una decina di minuti, sta per arrivare il dottore.
Rita, alzandosi, si rivolse alla nuova arrivata in una maniera che al ragazzo parve abituale. - Sembra che soffra parecchio, le darete di nuovo dei tranquillanti?
- Con molta probabilità si, credo che presto potrà dormire e riposare un po'. - Rispose la donna, mentre controllava il livello della flebo.
Mario si intromise nel discorso - Se è così, vorrei sapere se fosse possibile levarle per un attimo il tubo respiratorio, in modo da poterla salutare con un bacio.
- Si, fate in fretta ma non aspettatevi risposte: purtroppo i medicinali hanno fatto gonfiare la trachea e non c'è modo che riesca a comunicare con voi. - detto questo, l'infermiera iniziò a estrarlo.
Mario rimase stupito da quanto fosse lungo quell'arnese: gli sembrava impossibile respirare con qualcosa del genere infilato giù per la gola.
Terminata quell'orribile procedura, il ragazzo avvicinò le labbra a quelle di Francesca ed entrambi riuscirono a produrre uno schiocco acuto. Poi venne il turno di Tiziana e Rita.
Mario era appena uscito dalla chiesa per prendere una boccata d'aria, quando Elena lo raggiunse.
- Ti capisco cugino, anche a me fa impressione vedere, ai piedi dell'altare, l'urna con le sue ceneri e accanto la foto delle torri gemelle.
- Si: dal viaggio che abbiamo fatto a New York, quella città le era rimasta nel cuore. Avrebbe tanto voluto tornarci per studiare al Fashion Institute of Technology, peccato che non l'abbiano accettata per il suo scarso inglese. - Dopo una breve pausa, Mario si accese una sigaretta, poi continuò - Grazie per esserti presa l'impegno di accompagnare Rita in America. Ora le importa solo di esaudire l'ultimo desiderio di Francesca: spargere le sue ceneri nel mare di Manhattan.
- Ma figurati, lo sai che lo faccio con piacere. Anch'io ho dei bellissimi ricordi legati a quel periodo: tu e io a lavorare al ristorante, poi Francesca che è arrivata prima di Natale per il capodanno duemila e via! Tutti e tre a fare i turisti!
- Ricordo che il padre del tuo ex ragazzo non rimase molto contento di come lasciammo il lavoro sotto le feste.
- Si, ma alla fine ha capito la situazione ed è stato più che gentile a lasciarci divertire per un evento più unico che raro.
- Hai ragione. Comunque mi dimenticherei volentieri delle cadute fatte sulla pista di pattinaggio di Rockefeller Center, dove il mio fondo schiena è diventato blu come l'oceano. - commentò Mario.
- Che ridere però... che ci siamo fatti... aspetta un... - All'improvviso Elena si chinò leggermente toccandosi la fronte.
- Ti senti male? - chiese lui, spaventato.
La ragazza si portò entrambe le mani alla testa e chiuse gli occhi azzurri. Sembrava soffocare.
Il tutto durò pochissimi secondi. Poi tornò a calmarsi e a riprendere fiato.
- Elena?
- Elena adesso non c'è. - rispose lei. Si era appena rialzata di fronte a Mario: due grossi iridi verde smeraldo lo fissavano.
- Ma che diavolo sta succedendo... - Disse incredulo e incapace di reagire.
- Ora fai silenzio e ascolta come non hai mai fatto, perché questa possessione mi costa molta fatica e non ho tempo da sprecare in futili spiegazioni: non ti sarà facile credermi, ma sono Francesca. - la voce era proprio quella della sua ex ragazza. - Ti ringrazio per tutto il tempo che hai condiviso con me, topolino, sono stati gli anni più belli di tutta la mia vita. - sorrise. - Goditi la tua e non incolpare Cinzia per la superficialità con cui sta prendendo la situazione: è giovane e non ha esperienza. Ricordati di me e io ti resterò per sempre vicino. Ti amo.
Le campane della chiesa iniziarono a suonare per richiamare i fedeli alla cerimonia funebre e Mario si girò un momento a osservarle, con sguardo attonito; quando tornò a guardare la ragazza si accorse che i suoi occhi erano di nuovo azzurri.
- Che ridere però che ci siamo fatti... ma... che hai? Sembra tu abbia visto un fantasma... - concluse Elena.
Mario aveva appena chiuso la porta di casa e si apprestava a raggiungere il tabacchino, quando incontrò un gruppetto di ragazzini poco lontano dalla fontana. Tra di essi riconobbe suo nipote Andrea, il quale stava già venendo verso di lui.
- Ciao zio, dove te ne vai di bello?
- Ciao piccoletto, vado a fare una commissione per il nonno. Vieni con me?
- Va bene! - tutto contento, Andrea fece un gesto di saluto nei confronti dei compagni. - Dove stiamo andando?
- Al tabacchino, se vuoi ti prendo un pacchetto di caramelle. - rispose Mario, strizzando un occhio.
- Si! - esclamò il nipote. - Basta che non lo dici alla mamma, se no mi sgrida... - aggiunse poi, a bassa voce, girando lo sguardo intorno per controllare se ci fosse qualcuno che lo spiava.
- Stai tranquillo, mica sono scemo: sono io che te le compro. E se mia sorella lo scopre poi sgrida anche me. Fai attenzione tu a nasconderle bene. - lo avvertì lo zio.
Mario si accorse che quel giorno la piazza, a parte gli amici di Andrea, era stranamente deserta; lo trovava molto inconsueto in quanto, alle sei del pomeriggio, molti dei suoi compaesani prendevano l'aperitivo fuori dai bar.
- Che tranquillità oggi. Vero, Andrea? - ma dal nipote, che in quel momento passeggiava al suo fianco, non giunse risposta. - Allora, non mi hai sentito? Parlo con te, ometto.
- Ti ho sentito, topolino. - la voce del bambino, all'improvviso, si era trasformata in quella di Francesca. - Dovresti mettere la testa a posto: non solo fai vedere a tuo nipote che ti compri le sigarette, nonostante lui sappia che tuo padre non fuma, ma gli insegni anche a raccontare le bugie alla mamma... cattivo Mario! - lo rimproverò lei.
- Che hai detto? - balbettò lui, incredulo.
- Farò attenzione, zio. - disse Andrea, tornato normale. - Te lo prometto.
EpilogoQuella sera faceva veramente caldo e Mario non riusciva a dormire bene, così decise di uscire sul terrazzo per godersi almeno una buona sigaretta.
Il cielo era chiaro, l'alba si stava avvicinando e qualcuno era già in piazza: lo spazzino intento a pulire con la sua scopa di saggina, provocando quel fastidioso rumore che gli ricordava i suoi primi anni di lavoro nelle cucine; la ragazza del bar di fronte che preparava i tavoli e le sedie nel dehors, mentre inveiva contro lo spazzino accusandolo di aver lasciato sporco in quella zona; due persone, di cui non ricordava il nome, in tenuta da muratore che si avviavano verso il tabacchino.
Si accorse dell'arrivo di sua madre solo quando la vide al suo fianco.
- Oggi non lavori, come mai già in piedi? - chiese lei, che poi non era lei.
- C'è troppa umidità, topolina, è tutta la notte che sono sveglio.
- Dai, vedrai che tra poco ci riuscirai. E poi puoi restare nel letto fino a mezzogiorno.
Mario fece un lungo tiro con la sigaretta e trattenne qualche secondo l'aria; soffiò via il fumo verso le stelle ancora visibili.
- Potresti evitare di palesarti nel corpo di mia mamma? Mi fa davvero strano, sai?
La signora si appoggiò al davanzale, guardò su nel cielo, e disse. - Lo sai che posso venire a trovarti solo usando il sangue del tuo sangue, per quanto esso sia presente anche in piccola quantità. Vuoi forse che usi di nuovo tuo padre?
- No, grazie. La tua voce non gli dona proprio. - commentò lui. - Piuttosto, non credi che sia arrivato il momento di andare per la tua strada? Ormai è passato un anno.
- Perché? Non sei felice di poter continuare a parlare con me? - domandò lei, mentre il viso si faceva triste.
- Da un lato lo sono, ma dall'altro mi chiedo come posso riuscire a godermi la vita: sei stata te a dirmi di farlo, la prima volta che ti sei fatta... viva. - sentenziò Mario, con un mezzo sorriso.
- Hai ragione anche te, ma poi ho iniziato a prenderci gusto. Facciamo così: tu mostrami di essere maturato e di aver messo la testa a posto e io me ne andrò via. Basta amanti, basta alcol e basta sigarette.
Il ragazzo si fermò a riflette per qualche secondo, prima di darle una risposta. - Ti ho già chiesto scusa parecchie volte, mi sembra, per averti tradito qualche volta nel periodo in cui stavamo insieme.
- Non è sufficiente. Mi dispiace molto per Cinzia e vorrei che smettessi di approfittare della sua fiducia. In lei rivedo il tradimento che ho subito anch'io, il motivo per cui ti ho lasciato, e se continui ancora la storia si ripeterà.
- Ci proverò.
- Ci dovrai riuscire. E dovrai persistere, oppure io ritornerò.
I due restarono in silenzio per qualche minuto a contemplare le stelle che svanivano nelle prime luci dell'alba, finché la campana della chiesa non suonò a morto.
La donna guardò Mario, gli occhi verde smeraldo più intensi che mai, e concluse. - Chissà a chi la dedica questa, il parroco. Quasi quasi vado a controllare.
Lui si girò e, con asprezza, rispose. - La morte di qualsiasi uomo ci sminuisce, perché noi siamo parte dell'umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te.
Sull'ultimo rintocco, sua madre tornò cosciente. - Vado a mettere su il caffè, vuoi far colazione, Mario?
Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare questo mio racconto su 'Skan Magazine'.