| LA DISCESA Di Alexandra
IERI ERAVAMO NELL’ARIA DOLCE E NON VIVEMMO La ragazza arriva nel parco con in mano una grossa scatola e il suo amico le va incontro:- Dunque, è arrivato tutto soltanto oggi-. Fa per prenderle di mano la scatola per vedere cosa c’è dentro, presagendo l’affare. - Giù le mani- lo previene lei –lo zio Seph ha mandato questi regali a me, ma si intende che li dividerò con te e Lionario-. La calura estiva non è nella norma. E’ uno di quegli anni roventi dove i contorni delle cose sembrano sciogliersi anticipando quello che sarà l’inferno. Nel caso di quei due, la situazione lascia già intravedere quello che sarà il loro destino. Non guardano le piante rare fiorite intorno a loro, non osservano la fontana con il mascherone a forma di pantera dalla testa incorniciata di foglie di vite e grappoli. Litigano per una serie di oggetti che, nelle intenzioni del giovane, devono servire alla sua avidità. La ragazza gli ferma la mano:- Piano con quella pipa, Morzi-. Lui replica, tirandola di nuovo fuori:- Cosa vuoi mai che sia, assomiglia a un narghilè come ne ho visti a centinaia nei negozi di Pulverburg-. Afferra il tubo di stoffa rosso e giallo e lo attacca al contenitore di vetro verde verniciato a spruzzi di vernice d’oro. Esamina il boccaglio di metallo dorato:- Sì, un discreto gingillo, se è per me, ma mi aspettavo di più, se devo venderlo al mercato nella città vecchia-. Lei inorridisce:- Come? Ma questi sono regali dello zio Seph, li ha raccolti fra i suoi ricordi più cari-. Morzi la guarda sogghignando:- Non guardi il tuo? Penso che dovresti farlo, visto che forse è un oggetto migliore di questo, assomiglia a un batìk-. Lei lo osserva sprezzante:- Non lo è, si chiama Pomeriggio fra i Bambù-. Gli spiega paziente che non è il titolo dell’opera dipinta sulla stoffa, ma è proprio quello che il drappo è. Glielo dispiega sotto gli occhi:- Non senti il profumo dei fiori e della frutta preparata nell’angolo riservato al pubblico?- Aspira con le narici:- E c’è anche la polvere di bambù mischiata a incenso per rallegrare il numero delle danzatrici-. Impossibile per lei non applaudirle, mentre eseguono la loro danza fatta di movimenti sinuosi e le loro tuniche di garza multicolore riflettono i colori delle stagioni che si susseguono da quando esiste la loro isola. -Guarda che bei colori, per lo zio ognuno di essi corrisponde a una virtù da coltivare, se solo potessimo vivere con intensità-. Morzi ride di lei:- Prova a fermare la metropoli, se ci riesci. Mi hai portato in questo mortorio di parco e io già ho nostalgia delle corse pazze in auto e dei locali pieni di musica-. E anche di tutto quello che il denaro può comperare, vero? Pensa lei. Se gli è amica, è perché non è immune dal difetto di non sapere vivere neppure lei. Le è rimasto nella mente il rimprovero dello zio Seph quando era piccola:- Tu sei troppo vanitosa, vuoi avere begli oggetti e mostrarti bella soltanto per ricevere applausi. Guarda questa Vanitas, non ti assomiglia forse un po’?-. E lei aveva capito Tanivasiaradagu: aveva visto il quadro che lui le aveva mostrato, la cortigiana giapponese dalla testa di volpe e con un teschio in mano immersa fra le boccette dei belletti e le stoffe preziose scambiandolo per un non senso. Aveva capito dopo che lo zio l’aveva chiamata vanitosa, ma non aveva mai più visto il quadro che lui aveva dipinto. Immagina che lo abbia venduto, visto che era opera sua. Riesce sempre tutto bene allo zio, vende quadri moralistici e dipinge porcellane per avere una professione che lo salvi dalla qualifica di Pittore Innovatore. Quando era piccola credeva fosse un brutto modo di essere, visto che per definirla usava la parola che lei si ostinava a capire come: Tanivasiaradagu. E si chiedeva sempre cosa indicasse in realtà: forse l’Inferno dove finiscono tutti i cattivi? Se lo chiede anche in quel momento, davanti alla tentazione che Morzi le agita sotto il naso. Tentazione mica male, che emana un profumo costoso al bergamotto ed è avvolta in un pacchetto di spessa carta color avorio da negozio di lusso. - Non sapevo che tuo zio potesse permettersi certi lussi- si stupisce Morzi –forse dovresti vedere cosa c’è dentro-. La ragazza scuote la testa:- A me il rischio e a te metà di cosa c’è dentro, eh?-. Il pacchetto è ancora in fondo alla scatola e già si vede l’Ira. Il terrore superstizioso del folletto che sbuca dalla scatola le congela la mano a mezz’aria. Afferra il narghilè di Morzi, scuotendo il tubo:- Almeno impara a usarlo, visto che devi venderlo. Non tenerlo lì come un gatto rincitrullito-. Gli tende il boccaglio:- Su, fuma, mostrami i tuoi sogni-. Fra le spire color blu metilene compaiono cornucopie che versano monete di tutti i tipi e banconote che si allungano come stringhe di liquirizia. - Tutto qui?- gli domanda lei sbadigliando. Morzi replica:- Questa è la vita che ci è toccata a Pulverburg e non penso sia molto diversa altrove, sai, Schatzi?-. Lei si innervosisce parecchio, sia per come lui vede la vita, sia per come ha chiamato lei:- Io sono Gerdi, non il tuo tesorino-. Morzi ridacchia, scostando il ciuffo da canaglia seducente e scuote il pacchetto:- Qualunque cosa contenga ci renderà ricchi e in una casa come piace a te, magari con le tappezzerie di seta con la storia di Tsu-Hsi-. Scappa con il pacchetto, mentre lei lo rincorre con la scatola, dove ha riposto il pezzo di stoffa:- Attento con quella pipa, altrimenti la romperai-. Non succede. Passano accanto al chiosco degli spuntini e a quello dell’orchestrina e non sentono alcun suono né aspirano alcun profumo. La vanità e l’avidità li hanno privati del gusto e della vista, così rimangono, per il resto delle loro vite laccate e coperte di ghirlande di estratti conti dagli attivi sempre più vertiginosi. Finiscono in tombe che nessuno va a vedere, ignorando che Leonario li ha preceduti in quello che è l’Inferno.
L’INFERNO
OGGI
Ecco Leonario camminare su e giù in una squallida soffitta dalla finestra della quale si vedono affiorare pochi tetti di case nere. Il suo peccato? L’ingenuità. Ha fatto male a fidarsi di Gerdi e a non prendere subito il pacchetto di Seph. Questa è la sua pena. Deve camminare in una soffitta da pittore appena svuotata guardando una città coperta di lapilli, il cui cielo grigio è solcato di tanto in tanto da comete nere, che la fanno tornare com’era prima e poi scompaiono, lasciando che se la cavi da sola durante l’eruzione peggiore di quella del 79 d.C., ma lui non può farci nulla. E’ già morto e morirà ancora mille volte per via dei vapori dell’eruzione e verrà schiacciato mille volte per poi rialzarsi. Sa già com’è la storia, non scappa neppure più giù per le scale quando sente gli avvisi degli altoparlanti che invitano la popolazione a evacuare la città. Tanto sa già che cadrà giù a metà rampa e il suo compagno nella soffitta lo raccoglierà, riportandolo nella stanzetta che occupa in quel momento. Ma eccolo che entra, magro e incurvato dagli anni e con sottobraccio un quotidiano bianco. -Non ci provi neppure, a dipingere?- gli domanda Leonario –io se fossi in te baratterei quella roba per una bella tela, eh? Ci passeresti il tempo e io con te, ti farei magari da critico-. L’uomo deforma il volto in un rictus che vorrebbe tanto essere una risata, ma che non lo è più:- No, il mio peccato è stato di aspirare troppo l’odore dei colori e dell’argilla fino a riempirmi la casa di oggetti di viaggio che poi dipingevo come un ossesso ed eccomi qui. Sai qual è stata l’aggravante alla mia pena? L’aver fatto da moralista a mia nipote e al suo caro amico, poi diventato suo coniuge-. Leonario sbadiglia:- Sempre la stessa storia. Dimentichi anche la parte che hai dato a me nella tua vita. Sei stato ingenuo come me, a credere che potessero cambiare-. Poi sospirando per la parte peggiore della pena, cioè ignorare per l’eternità cosa c’era nel pacchetto destinato a lui, gli domanda:- Sono già arrivati?-. Il pittore scuote il quotidiano, che si riempie di lettere di fuoco:- Sicuro, leggi qui. Questo arriva dal Girone delle Lingue Lunghe-. L’ex-amico di Gerdi legge l’articolo:” Nuovi Arrivi Nel Circo Dei Recidivi per la Stagione Delle Ustioni. Sono venuti a far parte del nostro girone due personaggi d’eccezione di Pulverburg, uno, Morzi l’affarista, ci divertirà con il numero del narghilè esalatore di incubi. La sua metà, non più dolce di una scolopendra, ci sta mostrando quanto possano fare paura i pomeriggi in mezzo al bambù devastato dalla pioggia nera e abitato da danzatrici dal muso e dagli appetiti di scarabei stercorari. Riuscirà a uscire dal bosco? Forse la soluzione è nella scatola misteriosa che continua a smarrire”.
- Che brutta cosa- commenta Leonario –eppure mi è arrivata la lettera di scuse di Gerdi, speravo di meglio per lei, avrebbe potuto avere il parco vuoto con la fontana rotta e il drappo strappato, nel vuoto di una solitudine ma sarebbe stata sempre estate per lei-. Seph ride sgangheratamente:- Ah, lo sconto della pena? Questo prova quanto meriti la tua, sei sempre il solito ingenuo. Ho letto anch’io la lettera, ho sentito mentre mi chiamava zietto, tutte scuse, difatti il Burocrate Capo l’ha sbattuta nel penultimo girone-. Leonario gli chiede:- Già, come hai fatto a finire qui? Siamo a metà girone, avresti meritato di peggio, accettando i regali del Principale-. Seph replica:- Ho trascinato dentro anche lei, è un peccato separare le famiglie, ti pare?-. Leonzio rilegge la lettera di Gerdi, in fondo è un bel passatempo vista l’eternità che lo aspetta, ogni giorno a rivivere sempre la stessa catastrofe: “Fu l’anno in cui Morzi e io ci incontrammo per l’ennesima volta nel parco. Entrambi avevamo deciso di tenerci la scatola arrivata in regalo a me dallo zio Seph. Conteneva un sacco di belle cose, dalla pipa di vetro completa di tubo di stoffa e boccaglio con tutto il necessario per evocare i Sogni Blu metilene e il drappo di seta verde con su dipinto il Pomeriggio delle Danzatrici fino al pacchetto avvolto in carta spessa color avorio. Ricordo che bastava dargli un’occhiata intensa per respirare il profumo dei fiori e degli incensi e sentire la musica delle cannucce di metallo fine che accompagnavano il loro ballo. Fu un attimo, nell’estate di allora sentirsi sicuri e immortali, tanto da tradirti, così ci tenemmo anche la tua parte. Rivedo ancora Morzi soppesare il pacco destinato a te. Doveva proprio passare al più ingenuo di noi? Ti ha chiamato così, caro Lionario, non io. Vorrei tanto che non fosse accaduto, sai? Immagino sia tardi pentirsi di averti tradito, ora che siamo condannati senza appello all’inferno. Trovi strano che io possa scriverti ancora? Sono i piccoli privilegi dovuti alla mia condizione di nipote prediletta dello zio Seph, il quale non ha voluto che finissi nel fondo dell’inferno. Laggiù ci finirà Morzi di sicuro, visto che è stato lui a darmi l’idea di tenere il pacchetto. Non so cosa ne sarà di zio Seph, visto che quei suoi regali mi sembrano sinistri, ora che ho visto che hanno soltanto esaltato la mia Tanisgurada…questo ignoralo…Vanità, ecco, questo è stato il mio peccato e te lo ribadisco ora che sta per iniziare il sorteggio per l’assegnazione ai gironi infernali. Davvero ci hanno messo anche te? Ma cosa puoi aver fatto tu, a parte continuare a sperare che gli altri cambiassero e si mettessero a pensarla come te? Tu, che hai sempre creduto nell’amicizia malgrado i colpi bassi?”. Leonario ripiega il foglietto:- Credevo mi avesse chiesto perdono-. Seph scuote la testa:- Lei? Non è stata capace neppure di chiederne a se stessa, fidati. Quanto a me, sono il peggiore di tutti-. Fuori, ricominciano gli avvisi alla popolazione e l’aria diviene infuocata e acre di zolfo. Dalla finestra entrano i detriti della prima eruzione. Leonario fugge di nuovo giù per le scale e a metà rampa Seph lo afferra:- Sempre il solito ingenuo. Chi vuoi trovare in strada? Non puoi vivere l’avventura del fuggiasco, bisognava vivere quando si poteva, nell’aria dolce-.
Salve a tutti, ci ho riprovato, nonostante il tempo infernale di oggi (o proprio per questo?) visto che acquazzone? Aspetto di leggere e commentare le vostre prove: Sol, non desistere e neanche tu, Smidolon. Bella l'idea di Golconda, Anark2000, sapevi che si chiamava così il diamante rosa di Barbara Hutton?
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