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Skannatoio, giugno 2013, edizione XIX, Chiamatemi Ismaele
* Campionato pri-est 2013, 7 di 12

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Albertine
view post Posted on 2/6/2013, 23:41




AMMAZZATOPI di Arianna K.

Chiamatemi l'Ammazzatopi.
Se ho un nome? Certo, ma qui non ha importanza.
No, non me ne dispero. D'altronde è questo quello che sono: un assassino. Un genocida anzi, per essere precisi. Sistematico e scrupoloso. Un vero professionista.
Il migliore di Port Gréve.
Qui, tra le case ritorte bianche di sale, i topi sono una piaga. Peggio! Un flagello.
Sgattaiolano ovunque, rodendo ogni cosa: legno, cibo, bestiole, persone.
Ecco sentite? Se rimanete in silenzio potete sentirli anche ora rosicchiare.
Lo sa bene Madmoiselle Coco, la mia governante. Lo sapeva.
Era scesa giù in cantina a prendere dei pistacchi per guarnire la crema chantilly.
Mi ero appisolato sul sofà del salotto a sognare madelaine che, come barche, galleggiavano in un caldo mare di cioccolata, quando senti il tramestio dei loro denti.
Cric. Croc. Cric. Cric.
Tempo di girare il pomo d'ottone e della povera donna era rimasto solo il mignolino.
Seduto al mio tavolo d'angolo osservo il viavai del porto. Les Chatiments è pieno stasera, gli uomini bevono e ridono per scacciare la paura che corre per le strade, divorando ogni cosa.
Dal palchetto Maribelle mi sorride e stringe le labbra rosse a cuoricino. Canta e incanta cinguettando La foule mentre Cerdan fa tintinnare la catenella d'argento che le lega le caviglie.
Io bevo sciroppo d'acero e brindo alla solitudine. Non può esistere amore per chi, come me, porta sulla fronte il marchio rosso del cacciatore. Eppure a volte la sogno, Maribelle. Mi accarezza con le manine bianche.
La voce del capitano Melmoth mi strappa ai pensieri.
Si siede di fronte a me piantandomi addosso l'unico occhio. L'altro gliel'ha preso un topo nel sonno. Cric. Croc. Come un pezzo di formaggio.
Ordiniamo cannoli e boccali di mesh frizzante allo zenzero.
Porta campanelli d'oro alle orecchie che tintinnano a ogni parola.
C'è movimento a bordo della Lautréamont, mi dice. Ratti. Di quelli grossi.
Siamo in settembre e già la pioggia cade. Le balene presto attraverseranno le correnti del trait e lui vuole essere là a lanciare gli arpioni. Non si può aspettare.
Si pulisce i baffoni da forzuto e mi getta davanti un sacchetto ricolmo. Diamanti stella.
“E' fatta?” “E' fatta.”

La campana del faro suona oltre le onde alte.
Mi avvolgo nella cappa vermiglia per proteggermi dai flutti. La barchetta sfida la burrasca, osservando con timore gli scogli appuntiti che sorridono come denti a ogni reflusso di marea.
Il nostromo spinge i remi intonando una vecchia canzone che parla di giorni felici in un casetta tra i prati e di un fiore blu. E' un liviano dalla pelle verdastra e gli occhi di bragia, vecchio come una trave. Dice di chiamarsi Blanchot.
La nave è ancorata oltre i frangiflutti. A nessuna barca infestata viene permesso di attraccare per cui, nonostante la pioggia, ci tocca raggiungerla via mare.
Chiedo all'uomo quanti uomini sono a bordo. Mi guarda timoroso e scuote la testa. Non serve dire altro. Solo gli ufficiali hanno cabine protette da incensi d'ortica e fantocci trillanti, è la prassi.
Ma i marinai? Cric. Croc. C'è poco da fare quando capita un'infestazione se non raccomandare l'anima a Dio o, per i più coraggiosi, tentare la fortuna in mare.
E' già un miracolo che la nave sia giunta a terra.
E infatti eccola, con più buchi di un groviera laddove la carne non è bastata a saziare i branchi infami.
Cric. Cric. Sento oltre il frastuono del vento. Cric. Croc.
“Benvenuto Ammazzatopi” sembrano dire i dentini, sottocoperta “vediamo chi è il più furbo.”

Il castello di prua è pattugliato dalle creazioni Lumieré. Bambole meccaniche dai volti angelici sotto i boccoli di bronzo.
“Trallallà.” Suona la musichetta del carosello alla fiera. “Trillastrilla Lumieré. E il ratto è nel sacco.”
Il capitano Melmoth mi attende alla poltrona, guardando triste i flutti.
Non è solo per ripulire la nave che mi ha chiamato, mi confida.
Due giorni fa sua figlia Ovidie è scesa in cambusa. Grosso guaio.
La sua cagnetta Peregrine era scappata e lei è andata a cercarla, sfuggendo al controllo attento del padre.
Cric. Cric. Risponde un rumore lontano. Cric. Croc.
“Di Ovidie non rimarranno che i nastri.” Sentenzio spietato. “Non si scherza con i topi.”
Il capitano si asciuga il sudore con un pannetto di pizzo. Non è morta, mi dice.
La notte la sente cantare giù dabbasso, ma dove sia e perchè non torni non saprebbe dirlo.
Mi promette un anello di rubini. “Voglio anche gli orecchini tintinnanti.” Ribatto.
“E' fatta?” “E' fatta.”

La tempesta sbatte la Lautréamont come un uovo nella ciotola.
Sono pronto.
I tuoni si confondono con le mie grida di dolore mente mi pianto le unghie nel petto all'altezza del cuore e comincio a lacerare, prima la pelle, poi la carne. In uno schiocco di ossa rotte mi libero di questo costume e esco.
Mi prendo del tempo per leccare via il sanue dal mio bel pelo bianco. Stiro la schiena e faccio fremere i baffi.
Sulla nave ora aleggia il silenzio. Il mio miagolio risuona.
La caccia è aperta.
Mi lancio nel buio del corridoio, superando le difese trillanti e i fumi odorosi. Un attimo e sono nell'orrore.
Mi sono addosso come un mare. Stridono e rodono e graffiano.
Io estraggo gli artigli e comincio a colpire quel muro di carne e pelo. Per ogni caduto due, tre, cinque lo rimpiazzano. Ratti rossi come scarponi, e altrettanto puzzolenti. Topi grigi dagli occhi spiritati. Persino topini bianchi dai codini rosa. Nessuno mi risparmia e io faccio altrettanto in una mattanza senza freno.
Poi all'improvviso qualcosa risuona nell'aria, un fischio che mi attraversa le orecchie come un ago.
Sento il manto di corpi ritrarsi e sono di nuovo solo, nel buio del corridoio. Sento un canto, dolce. Una voce gentile e triste. Ovidie.
Incurante dei morsi che ancora bruciano sotto il pelo mi getto verso la stiva.
E' lì, le ginocchia strette al petto. Indifesa. Un soffione sotto il temporale.
Le mani delicate stringono le trine del corsetto. Il petto va su e giù tra i singhiozzi.
E io mi pento di aver chiesto rubini o campanelle dorate in cambio della salvezza di quel fiore.
Poi, da dietro di lei, emerge il mostro. E' grosso come un barile e nero come un pozzo. La coda squamosa striscia sotto le pieghe della gonna, carezzando le pallide cosce. I denti assaporano la spalla nuda e Ovidie strilla, pianendo più forte.
“Cric. Croc. Ammazzatopi.” Sghignazza il roditore.
Soffio, estraendo le unghie.
Attorno a noi il branco esulta. La sfida è lanciata.
“Solo io e te.” Soffio. “In palio è la piccola.”
“E' andata?” “E' andata.”

Ci gettiamo l'uno contro l'altro in quest'ultima ordalia di denti e artigli.
Le onde ci sferzano dai buchi dello scafo mentre l'urlo del mare reclama il suo tributo.
Quel demone è forte come mille di loro, come se ogni ratto di Port Gréve sia ora li a schiantarmi a terra.
Cric. Croc. Esultano i suoi fratelli.
Cric. Croc. Stride il legno attorno a noi. Cric. Croc. Cric. Cric.
La sua bocca è l'orrore e la serra sulla mia gola.
Chiudo gli occhi e accolgo la fine.

Rivivo ogni vita che ho perso.
La prima a Fort Napoléon, durante l'infestazione dei codemozze.
La seconda a Rubén, contro il tiranno di Bardòn.
La terza stupidamente, travolto da un carro, mentre inseguivo il vellonero di Valmont.
Poi ancora. La quarta, la quinta, fino ad ora, all'ottava, ucciso dal demonio della Lautréamont.

Un fremito mi scuote e io balzo alle sue spalle mentre esulta, rivolto ai suoi fratelli.
Gli artigli penetrano a fondo nella gola e lui si accascia.
Lo guardo e mentre la vita scivola via assieme all'acqua salmastra sussurra qualcosa, prima di tacere. E' un attimo. Realizzare il peso di quelle parole.
“Aveva detto...che doveva...essere...l'ultima...”
Mi volto, ma è troppo tardi. Unghie affilate mi trafiggono il cuore.
Il corpo umano di Ovidie giace a terra, floscio come un sacco vuoto e lei si erge davanti a me. Il pelo nero risplende alla luce della luna d'argento che ora fa capolino tra le nuvole scure.
Come impazziti i topi fuggono, gettandosi tra le onde. Sento i passi incerti del capitano avvicinarsi e lo vedo posare diversi sacchetti davanti a quella che, fino a poco tempo prima, era Ovidie.
“E' fatta?” “E' fatta.”
Quando rimaniamo soli lei avvicina il suo muso al mio, facendo leggere fusa.
“Solo uno può essere il migliore.” Miagola piano, poi si allontana.
Mentre l'ultima vita abbandona il mio corpo capisco che ho sempre avuto ragione: non può esistere amore per chi porta il marchio rosso del cacciatore.

Autorizzo Jackie de Ripper :wub: :wub: :wub:


Edited by Albertine - 3/6/2013, 01:07
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 3/6/2013, 09:42




CITAZIONE (Jackie de Ripper @ 2/6/2013, 19:27) 
Già due racconti e siamo
solo al 2 giugno. Muy bueno!

Già tre racconti e siamo
solo al 3 giugno. Très bien!
 
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view post Posted on 3/6/2013, 09:50
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Arrotolatrice di boa

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postate a distanza regolare, che voglio vedere che altre lingue tira fuori la dama oscura!m:)
 
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view post Posted on 3/6/2013, 15:09
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Arrotolatrice di boa

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Questo racconto non nasce qui, non nasce ora.
Ovviamente è stato rimaneggiato quel tanto da permettergli di rientare nelle specifiche, ma la cosa importante è che non mi convince del tutto. E vorrei capire perché. Quindi lo pongo umilmente al vostro giudizio!
P.S.
So che sembro non aver centrato una delle specifiche, ma se ci pensate bene, non è così! ;)

Il sonno e il tempo
«Chiamatemi il nostromo.» Il giovane marinaio abbassa la testa deferente e sparisce tra le ombre del ponte. La nebbia è tanto densa da sembrare compatta, Sitka si passa le mani sulle braccia, ritrovandosele bagnate, tenta di scrutate oltre il timone, attraverso la coltre ma senza risultato.
Solo la sua esperienza e il benvolere di qualche demonio permette alla piccola flotta di procedere.
Il ragazzo riemerge dal buio qualche secondo più tardi, seguito dal nostromo, «eccolo signore.»
«Avete spento tutte le lanterne esterne?»
L'uomo, ormai avanti con l'età, annuisce, lo sguardo perplesso intuibile anche attraverso il velo d'oscurità. Il suo comandante sorride, benevolo, «non sarebbe un attacco a sorpresa se ci vedessero arrivare, non credi, amico mio?»
«Potente Sitka, qualunque cosa per te, ma navigare con queste tenebre e in un mare quasi sconosciuto è una follia.»
Il guerriero stringe più forte il legno tra le dita e offre il volto al vento, «non sareste nella mia ciurma altrimenti.»
Qualche minuto di veleggiamento alla cieca, in cui Sitka impartisce gli ordini con un fil di voce, nessuna risposta, se non i rumori consueti a indicargli che il comando è stato eseguito.
Finalmente, tra le tenebre, la luce giallastra del faro gli indica la via.
Sincronizzato come un sol uomo, l’equipaggio ammutolisce, smette di respirare, quasi. I vogatori lasciano le loro postazioni e in silenzio preparano gli archi lunghi.
Quando il ragazzo di vedetta al porto avvisa dello sbarco imminente, Sitka è già pronto: con la spada sguainata, si è portato sulla prua. Gli occhi fissi sulle linea d’orizzonte costellata dalle fioche luci del villaggio costiero.
Gi uomini di guardia al muro di cinta vengono uccisi prima ancora dell’approdo, investiti dall’impietosa pioggia di frecce che sembravano vomitate direttamente dai flutti scuri.
Quando i piedi dei conquistatori toccano terra, la battaglia è già vinta.
L’avamposto viene falciato in pochi minuti, gli sparuti avversari non hanno nemmeno il tempo di dare l’allarme, le gole lacerate da mani esperte. La vita scivola loro via dagli squarci, prima ancora che i corpi tocchino terra.
Anche fossero sopravvissuti, anche avessero potuto suonare il corno, sarebbe stato inutile. Nessuno nelle terre del nord può contrastare l’armata di re Markut, signore di Karta. Nessuno può fronteggiare le sue flotte, soprattutto se comandate dal suo primogenito, "Sitka il coraggioso".

Sitka lascia ai suoi uomini il compito di prendere il villaggio, mentre lui e due dei suoi più fidati compagni corrono per il ripido pendio che porta alla rocca del barone. Quando scavalcano l’ultima muraglia, il crepitio impetuoso dei fuochi appiccati a valle li raggiunge, come un inno all'imminente vittoria.
Sono veloci, forti e spietati. Come sempre.
Il guerriero si porta davanti al grande portone di legno e metallo e grida, rivolto a una delle feritoie nella parte più alta del palazzo. «Sono Sitka di Karta! Abbiamo preso il villaggio, se vuoi che ne risparmi gli abitanti, arrenditi e giura fedeltà al mio Re.»
La stessa brezza leggera che accarezza i lunghi capelli del campione, dipana la nebbia. L’aria densa e lattiginosa scivola lenta sui corpi dei guerrieri e il vecchio barone non ha scelta.
Mentre il nuovo vassallo esce dalla rocca, seguito dalla famiglia e dalla sua piccola corte, una lunga fila di uomini e donne con i polsi legati viene indirizzata a forza su per la collina.
Quando finalmente la foschia svanisce del tutto, lo spettacolo che il villaggio offre di sé è solo distruzione e terrore.
I pianti dei bambini fanno eco a quelli delle donne. Tutti legati insieme, senza distinzioni o pietà.
Il barone si avvicina al guerriero, malfermo sulle gambe ossute. Lo sguardo implorante dritto sul volto algido del conquistatore.
«Potente Sitka, mai mi sarei opposto all’avanzata di tuo padre, come avrei potuto? Sono stato obbligato dai conti del sud, miei alleati.»
Gli occhi color ghiaccio del guerriero, si fermano solo un istante sulla bella figlia del suo nuovo prigioniero, poi tornano sul vecchio.
«Re Markut ti aveva offerto l’annessione spontanea e tu hai rifiutato.» Si avvicina al primo degli ostaggi, lo strattona verso di sé facendolo cadere carponi. La spada poggiata sulla nuca. «Capirai che ora la sua offerta non può essere la stessa.» Il vecchio barone si porta le mani nodose alla bocca, il mento scosso da tremiti convulsi che gli impediscono quasi di parlare, «ti prego, potente signore, lasciali vivere e accetterò qualsiasi condizione.»
Sitka volta lo sguardo sulla piccola corte al seguito del barone, fermandolo sulla giovane figlia.
«Lei è chi credo io?»

Il ritorno da una campagna vittoriosa è sempre un momento lieto, i soldati vogano con maggiore forza, sognando il profumo dei corpi caldi delle loro donne. Anche il vento sembra volerli aiutare, gonfiando le grandi vele nere.
Sitka non ha contato i denari, né ha catalogato le merci: lui è un guerriero e la gloria di una nuova vittoria gli dona linfa sufficiente.
La bella figlia del barone, parte del tributo, gli ha massaggiato le spalle vigorose e ha cucito le due ferite più profonde, una sul braccio e una sull’addome.
«Sei brava, come hai imparato?»
Lei non ha sollevato lo sguardo dalla pelle bianca dell’uomo, «se vivi perennemente assoggettato da un padrone a un altro devi imparare a fare ogni cosa ti salvi la vita. Quale che sia il tuo rango.»
«Tuo padre ha detto che i conti sono vostri alleati.»
«Dirà lo stesso di re Markut, al prossimo che verrà a conquistarci.»
La nave rolla lenta, il viaggio è breve. Meno di due giorni di mare prima di tornare a Karta, la capitale.
«Cosa farai di me quando saremo arrivati?» Lui si volta su un fianco, scoprendo due lunghe cicatrici trasversali, «non sarò io a deciderlo, tu fai parte del tributo. Il Re ha chiesto personalmente di averti. Quindi credo vorrà tenerti con sé.»
«Quando dici: il Re, intendi tuo padre?»
Il guerriero si fa serio in volto, i lineamenti delicati oscurati da un ombra di sconforto. «Intendo: il Re.»
«Quindi le voci sono vere, non sarà “Sitka il coraggioso” a succedere al trono di re Markut.»
Si solleva a sedere allora, lo sguardo di nuovo fiero saetta su quel corpo esile, «qual è il tuo nome?»
«Saphia, signore.»
«Se hai sentito queste voci Saphia, avrai anche appreso che non è intelligente indispettirmi.»
La ragazza abbassa di nuovo lo sguardo, fissando un’increspatura del lenzuolo e rimane in silenzio, tra le dita sottili, arrotola e stropiccia un pezzo di garza.
L’alito del drago dei venti è benevolo con i vincitori e sospinge la flotta su onde leggere. Prima che il sole tramonti sul secondo giorno di navigazione, la costa di Karta appare all’orizzonte.
Sitka ha indossato gli abiti migliori e il mantello da cerimonia, ha ordinato alla sua prigioniera di acconciarsi i capelli e le ha donato un caldo mantello di pelliccia.
Alla prima lacrima della ragazza le concede un sorriso, delicato e quasi stonato su un volto tanto algido. Con due dita le raccoglie la goccia salata da sotto l’occhio destro, «non temere, il Re non ti vuole in sposa, se è quello che temi. Quattro mogli e tre figli sono sufficienti. Vuole il tuo potere, non te.»
«Non piango per paura, signore. Solo per nostalgia; non credo che rivedrò più mio padre, né la mia famiglia una volta che arriverò a corte.»
Il guerriero stringe i lacci del mantello intorno al collo della ragazza e con entrambe le mani ne pettina il pelo. «Non posso rassicurati su questo ma se può esserti di consolazione, sappi che è abitudine del Re lasciare piena libertà ai vassalli tributari. Quando le acque si saranno calmate credo che nulla impedirà a tuo padre di venirti a trovare. L'importante è che tu esegua i suoi ordine, re Markut non ama essere contraddetto.»

Una folla festante accoglie i soldati vincitori, il collo di Sitka viene ornato con collane di fiori, e petali rossi vengono sparsi al suolo lungo tutto il pontile. L’osanna al suo nome echeggia nella piazza e in ogni vicolo della città non si parla che del suo ritorno glorioso.
Una nuova vittoria, un nuovo vassallo per il più potente tra i regni del nord.

L’intera città sorge intorno al porto, e proprio davanti a esso, circonda la piazza il maestoso palazzo reale; le cui alte mura si ergono imponenti, sfidando il cielo.
Dalla scalinata principale, re Markut in persona si affaccenda sugli scalini.
Il passo più veloce che l’età gli consente, dritto verso i suoi guerrieri, mentre la folla si apre a ventaglio al suo incedere.
Sitka ha tentennato, ha deglutito sonoramente e ha mosso un passo nella direzione del vecchio sovrano, solo quando lui lo ha superato senza guardarlo, ha abbassato gli occhi. Il Re si guarda intorno, appare quasi incerto, poi si volta verso suo figlio, gli occhi cristallini e acquosi fissi in quelli del guerriero. «L’hai portata? Dov’è la Donna del Tempo?»
Sitka si discosta, in modo che le sue ampie spalle non celino oltre la figlia del barone. «Eccola mio signore, abbiamo portato anche…» Gli occhi grigi del vecchio scintillano, accesi da nuova fiamma. Prende la ragazza per un polso e senza altro indugio si ritrae alla volta del palazzo.

La sera ha regalato onori e festeggiamenti agli eroi, il vino ebbrezza: ma è solo la notte che concede a Sitka conforto.
Il gallo non ha ancora cantato quando Ebiur, uno dei suoi fratelli, irrompe nella stanza circolare. «Nostro padre ha estorto la prima premonizione alla Donna del Tempo, non si partirà per la campagna contro le contee.»
Il guerriero si è sollevato sui gomiti, il petto possente freme. «Perché?»
«Lei dice che saremmo sconfitti, quindi nostro padre ha rimandato la partenza. Questo sarà il tuo vero problema: stasera ci sarà la cerimonia della megara,» il sorriso malevolo del ragazzo dal viso sottile, si compone tra le ombre dell’aurora, «e tu stavolta non hai una scusa per disertarla!»
Sitka è veloce, il più veloce.
Ebiur non ha il tempo di smettere di sorridere e i suoi denti bianchi si riflettono sulla lama che il fratello gli punta alla gola, dopo averlo atterrato. «Quello che concedo al Re è per suo appannaggio, e suo soltanto. Mancami di rispetto un’altra volta e non avrai più una bocca con cui deridermi.» Quando lo lascia il ragazzo si tocca la gola prima di guardarsi la mano sporca di rosso. Arretra per qualche momento ancora seduto sul pavimento. Solo quando ritiene di aver messo una distanza sufficiente tra sé e il fratello si alza e si dirige verso il pesante tendaggio che delimita la camera, «sarai tu a dovermi portare rispetto. Io succederò a quello che tu non puoi più chiamare padre. E allora vedremo di chi si canteranno le gesta.»
Il resto della mattina, Sitka lo trascorre tra le pieghe del lenzuolo e di un sonno agitato. Incubi, e ricordi anche peggiori, non gli concedono il riposo che agognava.
Decide di uscire che il sole è già alto. Un cerchio chiaro sopraffatto dalla foschia.
Non è abituato alla città, né al palazzo. Il chiacchiericcio dei corridoi e le lagnanze delle donne gli fanno abbassare il capo biondo grano, mentre la sua mente vola al mare. Procede spedito superando le stanze, le porte, le vie e le piazze e senza accorgersene è arrivato al porto.
La piazza centrale è stata ricoperta di sabbia ocra le navi che sorreggeranno l'arena galleggiante già posizionate a semicerchio e gli spalti sono quasi ultimati. Nel tramestio dei preparativi scorge la Donna del Tempo. Eterea e bellissima, affacciata dal pontile.
«Hai mentito, non ho mai perso una battaglia e gli eserciti delle contee sono piccoli e mal riforniti.»
Lei non distoglie lo sguardo dal blu intenso del mare, fisso nella direzione dove crede essere casa sua.
«Non sono io a decidere quando la magia avviene. È la predizione che viene da me, non posso invocarla.»
«Quindi non sai davvero cosa sarebbe successo se fossimo partiti?»
Finalmente si volta, mostrando il grande livido violaceo sotto l’occhio destro e quelle labbra perfette spaccate da un lato. «Tuo padre sa essere convincente e una bugia che non avrebbe portato dolore a nessuno è quanto ho potuto offrirgli.
Ora diglielo, se credi. Non ha importanza.»
In modo del tutto inaspettato il guerriero si avvicina di qualche passo, le sposta con un garbo inadatto alle sue grandi mani, i capelli dal viso. «Ho dell’unguento lenitivo nelle mie stanze e la tua terra non si avvicinerà di certo, anche se continui a guardare in quella direzione.»

Saphia è bellissima, un corpo da dea e il profumo del mare in tempesta. Si siede su un mucchio di pelli accatastate in un angolo del pavimento e solleva il viso, porgendolo al guerriero.
Lui fa scorrere le dita, madide d’unguento, sulla pelle martoriata. È delicato, quanto non sarebbe sembrato.
«Tu non sei come gli altri.»
«Vuoi dire che sono debole?»
«Voglio dire che sei caritatevole.»
Non le risponde, si alza e raccoglie il suo mantello dalla catasta di pelli poi lo indossa facendolo roteare. Le porge la mano infine. «Dobbiamo andare. La cerimonia inizia tra poco e il Re non è uomo che ami aspettare.»
La conduce per mano per i lunghi corridoi del castello, superano la piazza addobbata e salgono su una delle piccole imbarcazioni che facevano da spola tra il porto e l'arena.
Saphia sembra ancora più minuta accanto al guerriero, si stringe nelle spalle e gli si appoggia contro in cerca di calore. Lui sposta il mantello e la accoglie, abbracciandola, «hai freddo?»
«Non nel corpo.»
Procedono sospinti dalle braccia dei due vogatori, finché il rumore del ghiaccio che cozza contro il legno viene superato dal vociare della folla. Sitka aiuta la ragazza a salire sull'enorme chiatta e la accompagna agli spalti centrali. Quando si siedono le copre le spalle esili con il proprio mantello.
Qualche scalino più in alto suo padre ha già preso posto, accompagnato dalle due mogli più giovani e da Ebiur.
Il brusio della folla che va aumentando è un sottofondo continuo, crescente, finché nella zattera trasformata in arena fa il suo ingresso il giovane Davio, il minore tra i figli del Re.
Sitka ha un moto di commozione che non riesce a celare, vedendo entrare quello che ritiene ancora un bambino e, nell’esplosione delle grida di incoraggiamento la sua voce ha un tremito che solo Saphia riesce a cogliere.
Il ragazzino si sposta verso il centro dell’arena seguito da uno splendido esemplare di megara blu. L’imponente felino si struscia sulle gambe del ragazzo e lui inizia il rito.
Si porta di fronte alla fiera creatura e con un gesto deciso della mano le comanda di abbassare le grandi ali per permettergli di montare, subito dopo inizia il volo.
Agli occhi di Saphia mai uomo e animale erano parsi più uniti, due ampie evoluzioni a ridosso delle gradinate per la gioia della folla, una sincronia talmente perfetta che uomo e bestia sembravano anche respirare allo stesso tempo. Davio dirige la megara sopra gli spalti reali, le si stringe ancora di più e quel corpo flessuoso sembra quasi accoglierlo, come se fossero stati creati per vivere abbracciati. Compiono assieme un giro completo su loro stessi. Un evoluzione mozzafiato, degna dei migliori guerrieri. Al cenno del Re, Davio la riporta delicatamente a terra, in uno sbuffo di polvere.
La creatura abbassa il capo possente per permettere al ragazzo di smontare, poi inizia un mugolio sommesso e compiaciuto.
«Ora figlio, rendimi fiero.»
Il vecchio sfila dal fodero un pugnale rituale riccamente decorato e lo lancia nell’arena conficcandolo nel legno chiaro.
«Che succede? Non capisco.» Saphia cerca lo sguardo di Sitka e lo trova: gonfio di dolore. «Adesso deve uccidere la sua megara e mangiarne il cuore.»
Lei si alza in piedi afferrando il braccio del guerriero, il petto ingrossato dall'affanno, mentre il giovane Davio esita: pugnale alla mano davanti al bellissimo animale, «perché? Perché?» Gli chiede.
«Tutti i tuoi sentimenti di bambino: amore, compassione, paura. Sono cresciuti insieme alla megara che hai allevato per dieci anni. Uccidendola dimostri che puoi liberarti del fardello dell’amore e diventare un uomo. Mangiandone il cuore che seppellirai la compassione, diventando un guerriero.»
Lei non riesce a togliere gli occhi dal piccolo Davio che ora sembra ancora più giovane dei suoi tredici anni e dal coltello tenuto con mani tremanti.
La megara si sdraia davanti al ragazzo rotolando sulla schiena, gli concede le zampe anteriori, vogliosa di gioco.
«Cosa aspetti? Vuoi rinunciare anche tu a essere mio figlio,» il Re volta la testa di scatto, verso il seggio più basso, verso Sitka. Il volto livido dalla rabbia e un tremito nella voce, mentre lo indica. «Anche tu vuoi umiliarmi, come il mio primogenito?»
Saphia si volta verso il suo accompagnatore e affonda il viso nel suo petto. Un istante. Il grido della folla la coglie di sorpresa e quando torna a guardare l’arena, la bellissima creatura giace a terra con la gola squarciata.
«Vieni, andiamo via.» Mentre le cinge i fianchi con la destra, la voce stonata di Ebiur li raggiunge. «Non ce la fai a rimanere Sitka? Il bello viene adesso.»

Nessuna imbarcazione li avrebbe riportati a terra fino alla fine della cerimonia. Quindi Sitka decide di portarla nella sua nave, ancorata tra le altre a semicerchio attorno all'enorme zattera. Saphia non ha smesso di piangere finché non sono arrivati nella cabina del guerriero e anche lì ha dovuto fare appello a tutta la sua forza per riuscire a farlo. Lui è alla finestra, le urla della folla arrivano ovattate e distorte ma è chiaro che Davio ha appena mangiato il cuore della megara.
Chiude le pesanti tende scure e si appoggia alla parete.
«È per questo che non chiami “padre” il Re. Perché non hai ucciso la tua megara?»
Lui socchiude gli occhi, e appoggia la testa al legno mentre scivola a sedere.
«Sura, si chiamava così. Me l’avevano consegnata che non aveva ancora gli occhi aperti.» Il suo bel viso dai lineamenti delicati si illumina di un sorriso, cullato dall’onda dolce del mare e del ricordo ma solo per un momento, «sono stato sciocco. Conoscevo la legge. Ho perso tutto: l’onore, il rispetto, l’amore di mio… del Re. E non l’ho nemmeno salvata.
Quando mi sono rifiutato di ucciderla, il Re lo ha fatto per me. Come prevedono i testi.»
«Questo che vuol dire che non sei degno di essere chiamato “uomo”?»
I rumori dall'esterno vanno scemando, il rituale deve essere giunto al termine, Ebiur avrà un contendente per la successione.
«Comunque si è assicurato che potessi essere un guerriero.»
Non le permette altre domande, spostandosi verso la porta. «Davio, adesso avrà bisogno di me. Tu rimani, se vuoi stare tranquilla. Non credo ti verranno a cercare qui. E prima che salgano a bordo per sganciare l'arena ti riporto a palazzo.»

Quando Ebiur piomba nella cabina del del fratello la trova addormentata su un mucchio di pelli chiare. La sveglia arpionandole il collo con la destra. La steetta è tanto forte da mozzarle il respiro. «Voglio sapere chi sarà a succedere al trono.»
Lei tossisce, cercando di prendere fiato. «Non posso decidere delle mie visioni.»
La presa si fa più forte, «non stai parlando con quel rammollito di mio fratello, Donna del Tempo. Se non rispondi alle mie domande, il ricordo di quello che ti ha fatto mio padre ti sembrerà piacevole!» La afferra anche con l'altra mano e la solleva, solo per sbatterla con violenza a terra.
Lei annuisce e inizia a massaggiarsi il collo.
«Solo chi ha compiuto il rito è degno di succedere al trono, e io ero convinto che nemmeno Davio ce l'avrebbe fatta, invece ora la cosa si complica, quindi devi scrutare il futuro per me e dirmi cosa deciderà mio padre.»
La ragazza tossisce ancora un paio di volte, poi si appoggia a una paratia e si alza in piedi. «Le vostre tradizioni sono ridicole...» Non le permette di continuare e la colpisce col dorso della mano, scaraventandola contro la scrivania. La afferra per i capelli subito dopo e le schiaccia il viso sulle carte nautiche, imbrattandole di sangue e inchiostro. «Come ti permetti? Sei solo una serva.»
«Tuo fratello non è forse il più temuto guerriero del nord? Eppure non ha ucciso la sua megara, né ne ha mangiato il cuore!»
Il principe allenta la presa e le permette di alzarsi.
«E chi dice che non lo abbia fatto? Dopo sei giorni di digiuno nelle prigioni, quel cuore putrefatto deve essergli sembrato dolce come il nettare! Ora guarda il futuro per me.»
Incapace ormai, di trattenere le lacrime, Saphia si copre il viso con le mani, «non posso...» sussurra tra i singhiozzi.
«Tu non hai capito con chi hai a che fare!» Di nuovo la afferra per i capelli e la scuote, incurante delle sue suppliche la spinge sulla scrivania. Con una bracciata libera lo scrittoio dall'ingombro delle carte e degli attrezzi, obbligandoci sopra la ragazza. Le torce entrambi i polsi dietro la schiena e li afferra con una mano, mentre con l'altra le solleva le vesti.
«Ora puoi anche stare zitta, me lo racconterai dopo.»
«Cosa mai dovrebbe dirti?» Il contatto della lama fredda sulle terga nude lo costringe a fermarsi, Sitka è apparso alle sue spalle come una visione, la spada stretta in pugno, appoggiata fra le sue natiche. «Lasciala.»
Ebiur allenta la presa sui polsi, poi la lascia del tutto. Si scosta dalla ragazza e arranca qualche istante per ricomporsi. «È stata portata qui per questo, per le sue visioni.»
«Se non sei il re, non hai potere su di lei, tantomeno su di me. Quindi esci, o sfidami.»
Il fratello minore raccoglie la cintura che aveva lasciato cadere pochi attimi prima e la allaccia in fretta. «Verrà il giorno in cui mi dovrai obbedienza.»

«Ti ha fatto del male?» Le domanda con trepidazione non appena suo fratello lascia la cabina.
«Non ne ha avuto il tempo, ma non potrai proteggermi per sempre, domani non sarai nemmeno qui. Ho visto le vostre prossime battaglie. Le ho sognate.
Che io lo comunichi o meno a tuo padre, domani partirai con tutta la guarnigione. Andrete a est, nelle terre dei Vissi.» Si solleva sulle punte per arrivargli alle labbra e sfiorarle con le proprie. «E come sempre, vincerai.»
«Come sai che le tue visioni sono esatte?»
Saphia aggrotta le sopracciglia poi il viso si fa pensieroso. «Non lo so in effetti ma non è mai accaduto nulla di diverso da quello che ho sognato.»
«Potrei non partire e tutto il futuro cambierebbe. Potrei decidere di non andare.»
«Cosa ti farebbe tuo padre?»
«La stessa cosa che farebbe a te per una previsione sbagliata.»

La luna ha salutato i picchi innevati ed è salita alta nel cielo, illuminando i resti della megara lasciati seccare al vento. Rischiarando le acque calme del mare, riflettendo sull'ultima neve della stagione, donando una tenue luce perlata al corpo nudo di Sitka.
Le dita sottili della donna ricorrono la linea netta dei muscoli del suo torace, accarezzano le spalle tornite, le braccia muscolose e cariche di vene.
Sta per dire qualcosa ma lei gli poggia un dito sulle labbra, «non ora. Questa notte è nostra, tuo padre ti indicherà la missione solo domattina.»
«Voglio che tu venga con me.»
«Tra pochi giorni il Re stabilirà chi sarà a succedergli al trono, e io sarò presente. Ma non è di me che devi preoccuparti. Tuo fratello Davio, il futuro Re sarà in pericolo, ho visto Ebiur: infilerà una serpe grigia nelle sue stanze.
Adesso però concediti del tempo e concedilo a me.»

Il sole del mattino li trova abbracciati, avvolti in una spessa coperta di pelliccia. «Svegliati Saphia, voglio partire prima che le navi da guerra siano pronte.»
«Per andare dove?» Lui sorride, «dicono che a sud oltre il mare, ci siano terre dove splende sempre il sole. Potremmo andarci insieme.»
Il timido pallore del mattino ha già rischiarato la cabina, i ghiacci ormai quasi del tutto disciolti permettono all'odore di salsedine di pervaderli. Saphia ha raccolto i suoi indumenti, il vociare della ciurma già allertata la spinge alla fretta. «Dobbiamo portare Davio con noi.»
«Lo so.»
Si affacciano sul ponte, poco dopo, la zattera non c'è più e il veliero rolla lento, alla fonda.
Un marinaio si avvicina al guerriero con aria deferente, «è tutto pronto, secondo i vostri ordini, signore.»
Sitka gli concede un sorriso e una pacca sulle spalle, «non avevo dubbi.»
La ragazza che era rimasta indietro lo raggiunge, prima che si avvicini alla scialuppa, «dove stai andando?»
Lui fa scivolare una ci,a tra le dite, stringe e lascia a piccoli intervalli regolari, «ho dato ordine che non lascino salire nessuno, nemmeno il Re in persona. Aspettami torno tra poco. »
Seguendo le indicazioni del suo uomo, Saphia si dirige verso cabina. Un uomo della ciurma la scorta e le apre la porta con garbo, mentre le comunica che se ne sarebbero andati da lì a pochi minuti.

Lo sciabordio dell'acqua sembra più forte, almeno all'orecchio di Saphia, attento a ogni rumore. Tra le dita tremanti tiene stretto un coltello. Sul ponte gli uomini sono pronti a partire, i remi già in acqua. Un vociare più forte la mette in allerta, si avvicina alla porta e si affaccia. Sitka è di nuovo a bordo e sta impartendo ordini ai suoi marinai, qualche passo indietro riesce a scorgere anche Davio. Spalanca la porta allora e lo chiama. Lui le concede un sorriso e afferra il timone.

Saphia apre gli occhi di colpo, solo pochi istanti per capire se è giorno o ancora notte, poi i delicati colori pastello della sua stanza la rassicurano.
Un forte e inaspettato odore di bruciato invade l’aria.
Repentina si leva dalle coltri, per correre alla finestra, metà del suo villaggio sta bruciando e la luce del faro è spenta.
Raggiunge la sala grande in pochi minuti, il tempo di indossare la veste, suo padre il barone, è seduto davanti al grande portone, pensieroso.
Si affaccia da una delle feritoie, mentre un bellissimo guerriero dai capelli color grano sta gridando le condizioni di resa a suo padre.
«Saphia mia pupilla, l’esercito di re Markut sia arrivato fino a noi, che gli dei ci proteggano che cosa mai possiamo fare? Il tempo non ha parlato con te?»
Lei ha la voce calma, sorride al padre e gli sfiora la spalla, rassicurandolo.
«Lasciali passare.»


Ovviamente autorizzo la Jackie!
 
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view post Posted on 3/6/2013, 15:25
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@Polly
non l'ho ancora letto, ma se ti riferisci all'incipit "con le virgolette" secondo me non c'entra... per due ragioni: Jackie dicendo "senza virgolette" intendeva che bisognava obbligatoriamente mettere quel che era dentro virgolette escluse e non che andassero escluse le virgolette a priori. E poi perchè se il tuo incipit fa parte di un discorso diretto, necessita di essere riportato tra virgolette!!!

Se il tuo problema invece era riguardo agli altri due paletti, beh, allora dovrai aspettare ancora qualche giorno :P
 
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view post Posted on 3/6/2013, 15:33
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Arrotolatrice di boa

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No Rovi, non è per quello, ma credo che qualcuno lamenterà che subito dopo il "chiamatemi" non ci sia un nome proprio. Invece di usare il "chiamatemi" come un "voglio essere chiamato..." Io lo ho usato come un "andate a chiamare per me tal..." Peró sono più che sicura, data la meraviglia della lingua italiana e delle sue sfaccettature, di essere comunque entro i paletti! :)
 
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view post Posted on 3/6/2013, 15:48
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@Polly
A dire il vero io non credo che questo possa incorrere in obiezioni e se non l'ho notato è proprio perchè anche io iniziando a pensare al racconto avevo preso in considerazione anche questa possibilità!!!

Vediamo come la pensano gli altri e, soprattutto, Jackie! ;)
 
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view post Posted on 3/6/2013, 16:04

il gattaro

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Guarda Polly, io sono esperto nell'infrangere proditoriamente le specifiche. L'importante è il contenuto, a mio avviso e il tuo incipit non influirebbe assolutamente sulla mia valutazione. Io stesso inizio il racconto con un discorso diretto un po' sui generis
 
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view post Posted on 3/6/2013, 16:08
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Arrotolatrice di boa

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parteciperete anche voi? Dai! Un super skanna come ai "vecchi tempi"! :)
 
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view post Posted on 3/6/2013, 16:20

il gattaro

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il canovaccio c'è. Vediamo se riesco a buttarlo giù per il 7... poi il 9 ho la finale della RR e il 15 Le Tre Lune...

cmq tiro fuori di nuovo Severus Reese e il setting de "Il canto di Nerina"
 
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view post Posted on 3/6/2013, 17:13
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Orcu can le tre lune!! Me lo ero dimenticato... Mi sa che glisso.
 
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view post Posted on 3/6/2013, 17:48

il gattaro

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la cippa, ho un'idea troppo buona per lasciarmela scappare
 
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view post Posted on 3/6/2013, 18:00
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Il Terrore delle Pizzerie
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Siete belli presi! :D
 
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Blood-mary
view post Posted on 3/6/2013, 18:10




CITAZIONE (Jackie de Ripper @ 2/6/2013, 19:27) 
Già due racconti e siamo
solo al 2 giugno. Muy bueno!

:( io ho dimenticato di mettere l'autorizzazione :( :p095: :cry: :cry: :cry: :cry: :cry: :cry:
 
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Blood-mary
view post Posted on 3/6/2013, 18:29




Oddio ho già letto i racconti postati dopo il mio :p093: solo a pensare che mi tocca commentare mi vien il panico!! ho letto le edizioni precedenti per darmi un idea di come fare, ma dramma dei drammi non ne sono capace, ho abbozzato su foglietti dei commenti ma sono pessimi!!!! non aspettatevi da me commenti costruttivi perchè non ne sono capace :( spero di non essere penalizzata per questo, non ho mai critiche per nessuno io :(
 
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168 replies since 31/5/2013, 11:00   2918 views
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