Forum Scrittori e Lettori di Horror Giallo Fantastico

Skannatoio, giugno 2013, edizione XIX, Chiamatemi Ismaele
* Campionato pri-est 2013, 7 di 12

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Sol Weintraub
view post Posted on 3/6/2013, 18:59




Nemmeno io. Non critico mai niente. :p097:
Non faccio neppure polemiche... :shifty: vero Pollina?
 
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view post Posted on 3/6/2013, 20:00
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Arrotolatrice di boa

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non scherziamo! Sol non critica mai nessuno e se lo fa, cecra in ogni modo di addolcire la pillola! Lui é un diplomatico per natura... Il giorno in cui parteciperanno lui e CT insieme, io diserterò!! :)

Sollino sto partorendo or ora un mistery romance, che mi costerà la perdita totale della tua stima! Conto di finire in un paio di giorni, poi te lo mando! I'm sorry x l'OT!
 
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Sol Weintraub
view post Posted on 3/6/2013, 20:30




Cara, ho continuato a volerti bene dopo gli angeli innamorati, non smetterò di certo ora. :wub:
 
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Nozomi 2.0
view post Posted on 3/6/2013, 22:04




Ho scritto un pezzo molto splatter e psichedelico. Non è il mio genere ma tant'è. Non è adatto ai minori, avverto.


NOZZGORE


- Chiamatemi stronzo: non ho capito un cazzo.
Il Boss si tirò indietro sullo schienale della sedia portando gli stivali sulla scrivania facendo cadere, nel movimento, il ritratto in 3D di Miss Poppe di Finlandia 2003, che non si prese nemmeno la briga di raccogliere.
Poi ci fissò con fare da finto ingenuo attraverso la coltre di fumo generata da cancerose sigarette francesi arricchite da THC.
“Sei davvero uno stronzo”, pensai ricambiando lo sguardo. Le molecole di acido che mi galoppavano nel sangue come tanti Buffalo Bill esaltavano i bordi dell’immagine quasi fosse un cartone animato prima della singolarità tecnologica. I peli sul suo torace, nudo e villoso, si muovevano come tanti piccoli vermi adescanti, ognuno dotato di vita propria.
- Eppure è semplice, Boss - fece Vassilis, biascicando le parole, quasi tirandosele dietro come un sacco di merda. – Dentro la Zona X c’è qualcosa, qualcosa che fa come delle urla. Urla terribili.
Il Boss inarcò un sopracciglio smettendo per un istante di dondolarsi, tossì e cercò di afferrare il concetto quasi fosse una mosca appena decollata da una merda. Poi si accorse del ritratto di Miss Poppe Finlandesi, a terra. Lo raccolse con una manovra da yoga, e lo baciò con tenerezza, prima una tetta poi l’altra.
- Una così me la sono fatta, una volta. – Sorrise. Poi tornò a bomba. – Urla dalla Zona X. - Ripeté come stesse commentando una frase di una poesia che gli era piaciuta. Scoppiò a ridere, la poesia aveva qualcosa di sarcastico tra le righe.
- Già, proprio così. Come delle grida, ma non sono solo delle grida. Fanno ribrezzo, Boss, le abbiamo sentite… E come! Tutti e due. - Rispose Vassilis, annuendo, fissandomi e cercando conforto. Sembrava fiero del proprio lavoro, il greco, riferire il problema, questo lui doveva fare e lui l'aveva fatto, vaffanculo a tutto il resto.
Io non sapevo se ridere o dare giù di nervi. Ero stanca, purtroppo ancora abbastanza lucida, anche se l’acido con cui il mio cervello aveva stabilito una tregua mi teneva sotto briglia le tossine dei muscoli. Volevo solo tornare nella mia stanza a sbronzarmi con del rum e drogarmi ancora. Magari aggiungendovi una scopata a valle, per finire in bellezza. Non sarebbe stato difficile. Sulla nave c’era poco da scegliere, eravamo in cinque, tre uomini e due donne, e me li ero fatti tutti, compresa la donna.
Nei momenti in cui mi sentivo sola e fatta non avrei distinto il corpo di un uomo, o di una donna, da un casco di banane. Quello che importava era avere, in quei momenti, qualcuno da stringere, da far finta di amare, perché il nostro lavoro era una merda, l’oceano era immenso e ti sentivi troppo uno bello zero tondo.
Questo pensavo quando il Boss giocava a rimpiattino con le nostre problematiche, scivolandoci sopra come un surfista sulle rive australiane.
Il grande capo spense la sigaretta a terra e sorrise. Poi se ne accese subito un’altra, ovviamente anch’essa taroccata con il THC. Ma non subito, rollandola prima con arte, con gesti calmi e calcolati. La rollava lentamente, piano piano, facendomi venire una voglia così, m’ingrossava la clitoride a vederglielo fare, sbavavo come una scimmia, mi sarei fumata pure il suo cazzo per un tiro di fumo.
Fissò, intanto che rollava, Vassilis come se avesse intenzione di continuare a lungo quella manfrina. Il Boss era fatto così, amava il dialogo fine a se stesso, non tanto i contenuti. Dei contenuti se ne fotteva, lo conoscevo fin troppo bene. Una volta, in un altro dei nostri imbarchi del cazzo, nel 2000 o giù di lì, si era messo a parlare di figa quando i proiettili dei pirati malesi ci arrivavano a sfiorare il buco del culo, giù all'equatore, al largo della città aperta di Singapore. Per lui era importante più di tutto la forma. Era come un altro modo di tessere tossicodipendenza.
Sbuffai e tentai di afferrare una grossa mosca con delle ali rosa appena apparsa nella stanza.
Lui si accorse del mio gesto mentre leccava la canna, ma fece finta di niente.
- E che cosa sarebbero mai questi rumori strani? – Disse, rivolgendosi a me, come se Vassilis non avesse più capitolo in merito. Il Boss considerava Vassilis meno di un piccolo pezzo di merda secca, un idiota supremo, persino in quei rari momenti in cui non era fatto. Non lo faceva per odio, per disprezzo, nessuno odiava nessuno in quella fottuta nave, eravamo comunardi, fratelli e sorelle, figli dell'Europa socialista, ma per convinzione, mera e pura convinzione. Era come dire uno più uno vale due, una cosa così. E di certo, non potevo che essere d’accordo con lui. Invece, sapevo che mi apprezzava, non tanto per il mio cervello, quanto perché gliel’avevo data in più di occasione, gratis, l’ultima volta due giorni prima, appena salpati da Mogadiscio, scortati dalle corvette confederali.
- Boss, - dissi – forse ti sei perso il nocciolo della questione. Queste urla, come t’ha detto Vassilis, vengono dall’interno della Zona X… - Di nuovo fui distratta dalla mosca dalle ali rosa. Faceva strani disegni nell’aria lasciando strisce luminescenti, come quando si agita una piccola lampadina in aria al buio.
Il Boss annuì.
- Chiaro. Chiaro. Sei stata chiara. – Ammise, puntandomi contro l’indice. – E nella Zona X non si può entrare… Un bel rompicapo. - Ebbe un momento di esitazione e strabuzzò gli occhi. – O no?
- No, non si può entrare, Boss. Queste sono le regole d’ingaggio. – Convenni. Mi sentivo come se il mio corpo stesse diventando troppo grande e l’ambiente dove mi trovavo troppo piccolo. La mosca ingigantiva e sembrava stesse preparandosi a piombare addosso alla testa del boss per divorarne il contenuto.
Quando stavo per avvertirlo del rischio, Vassilis mi scosse con una manata.
- No! Non si può entrare! Cazzo, è proibito! Ma dentro c’è qualche cazzo che si muove e urla! Questo è il punto! Non è strano? – Era contento perché aveva riattizzato il problema come brace in un focolare, un altro passo verso la chiarezza della definizione. Noi tutti eravamo ottimi segnalatori di problemi, non risolutori di problemi. Amavamo, in fondo, far bene e a pieno il nostro lavoro, in una nave totalmente automatizzata di quasi un chilometro di lunghezza.
Il Boss si grattò la testa con fare pensieroso, fissando il greco come fosse un attaccapanni. Poi di nuovo posò lo sguardo su di me e sulle mie tette. Mi ricordai in quel momento che non portavo un reggiseno da due mesi e che dovevo trovarmi in pieno premestruo.
- Beh, statemi a sentire. Volete che vi dica il mio parere? Ve lo dico. Fatevi i cazzi vostri e tornate al vostro lavoro.
- I cazzi nostri, Boss? Ma nella stiva ci scendiamo sempre, ogni sei ore… E sentire quelle urla…Ecco, è brutto! – Fece il greco.
Ora la mosca si era trasformata in una sorta di Campanellino, quella di Topolino, ovviamente zoccola, nuda e lesbica, che mi ammiccava con fare sensuale.
- Cerca di essere propositivo, che cazzo! – Fece il Boss, rivolgendosi al greco. Niente lo faceva incazzare come metterlo agli angoli in questioni pseudosindacali o costringerlo a focalizzare il pensiero su un problema specifico. Lui preferiva sorvolare. Vassilis chiese scusa, non aveva certo un carattere competitivo, e abbassò la testa, cercando di capire dove avesse fallito.
Poi il Boss si ravvivò, fu preso da altri pensieri, e chiese. - Guzman e la Petersen, dove stanno?
- A scopare. – Feci. – Perché?
Il Boss mi fissò come l’avessi preso di sorpresa. Si aspettava, forse, che gli avrei detto “non lo so”.
- No, niente. Devo essere informato di tutto, io… - Poi si guardò attorno con aria spaesata, si alzò, fece un giro su se stesso e si rimise a sedere. Fissai nella manovra, il petto villoso e piatto. I suoi peli si erano agitati come una foresta nel vento. D’un tratto sentii che si alzava, appunto, il vento nella stanza, un tornado, eppure tutto era immobile, compreso Campanellino, la zoccola ex mosca dalle ali rosa.
- Ora andate, figlioli… e ricordatevi… - Ma non concluse la frase. Fissai i suoi occhi annacquati e annebbiati. Era evidente che oltre al THC circolasse nel suo sangue ben altro. Ne sentivo il ritmo, era come se le nostre molecole malsane pulsassero e generassero circuiti di mutua induzione. Chi è tossico comunica con il suo simile in modo quasi telepatico.
Appena usciti, Vassilis mi prese per la mano e mi disse:
- Senti un po’, ma dobbiamo per davvero fare gli gnorri?
Me lo fissai e gli risposi.
- Io voglio andare a vedere che cazzo c’è là dentro. Ci vado ora, e tu vieni con me.
Vassilis strabuzzò gli occhi e annuì. Qualcosa non gli tornava. Però aveva l’abitudine di obbedire. Sempre. Ecco perché era un ottimo marittimo della compagnia.
Pensai, per conto mio, che il mio primo e unico pensiero razionale della giornata fosse l’analogo di un aver appena scelto la direzione sbagliata dopo aver passato un bivio.



2.
Io e Vassilis, e anche Guzman e Petersen, che si erano uniti all’avventura, uno accanto all’altra, uno più fatto dell’altra, uno più balordo dell’altra, senza speranze, sogni, niente.
Oltre a noi, attorno a noi, un ammasso di ferraglia lungo un chilometro, l’ultima frontiera del trasporto marittimo, orgoglio di quell’accozzaglia ipocrita di nazioni interagenti chiamata Stati Uniti Socialisti Democratici d’Europa, faro di perbenismo decadente in un mondo cibernetico devastato da guerre e carestie. E poi, ancora, la stiva, piena di oggetti metafisici, isocontainer sigillati dagli ignoti contenuti, presi e ceduti, ceduti e presi, da e per l'Africa, l'Asia, l'America, meraviglie ambite da un popolo dedito all’onanismo cerebrale, perle colorate per altri popoli, disperati, il vero motore silenzioso e affamato del mondo. E poi, ancora, la Zona X, l’inaccessibile, Ultima Thule Zona X e dentro di essa, il vaso di Pandora invalicabile che avevo appena de-sigillato con la mia consueta temerarietà.
- Posso dirti una cosa? – Mi fece Petersen con la sua caratteristica voce nasale con la quale le parole in inglese gli uscivano appena velate da un accento groenlandese. – Credo proprio abbiamo puntato i nostri culi sullo zero della roulette.
- Che bella immagine, - dissi immaginandomi la scena. Fissai prima Guzman, dagli occhi vacui desiderosi di ogni tipo di droghe e lussuria, poi la porta in cui, in sei lingue standard erano indicati i simboli internazionali fluorescenti di divieto d’accesso accanto alla bandiera blu e la corona di stelle gialle della confederazione.
Dietro la porta delle urla. Continue. Umane e disumane al tempo stesso. Come un richiamo ancestrale. Era stato Vassilis ad accorgersene durante il turno d’ispezione notturno. Qualcosa dentro di me si smosse.
- Fan culo. – Feci, grattandomi il mento. – Tanto l’ho preso in culo spesso, metaforicamente e non. Una in più, che vuoi che sia. Entro. Mi prendo io la responsabilità. Voi state qui.
Vassilis fece uno strano verso arricciando le labbra. Non riuscii a interpretarlo. Aprii la porta ed entrai, richiudendola subito dietro di me.

3.
Una luce azzurra, diffusa, proveniente da lampade al cobalto. Attorno a me, come dei tavoli, dietro delle teche in vetro di due metri per due. Centinaia, forse migliaia. E dietro di esse, esseri con degli organi fuori dal corpo, alimentati da insalubri macchinari pompanti liquidi di ogni colore. Questo c’era dietro la porta. Un orrore inesplicabile, ancestrale, viscerale.
- Ma che cazzo… - Mormorai, affascinata.
Mi avvicinai al primo tavolo, quello più vicino a me. C’era un uomo di colore. O meglio, una parodia di un uomo di colore. Gli organi erano stati estratti e spostati all’esterno, pur restando attaccati al corpo con delle appendici organiche, forse vasi sanguigni e muscoli artificiali, avvolti in un viscido liquido melenso e apparentemente nauseabondo, che gocciava e sgocciolava. Un fegato, dei reni, il cuore, i polmoni, l’intestino srotolato per metà, mezzo dentro e mezzo fuori. E poi, gli occhi e il cervello.
La testa, aperta in due, si muoveva come un diapason, da destra a sinistra e da sinistra a destra, comandata da quel cervello esterno, assurdo, assieme alla lingua, che circoscriveva degli strani giri attorno alla bocca divaricata, senza denti.
Avanzai ancora, con le lacrime agli occhi, cercando di lottare contro l’orrore, appena mitigato dalle droghe che avevo in circolo. Mi chiesi, in un anelito di lucidità, cosa avessi fatto, come mi sarei comportata, se solo fossi stata appena un po' più sobria.
Percorsi alcune decine di metri, fissando le teche. Uomini, donne, centinaia. Fegati, reni, milze, pancreas, cervelli, cuori, occhi. Uomini e donne vivi, aperti come dei libri, esposti come un orribile gioco di prestigio anatomico.
Era troppo. Mi girai per tornare indietro, quando un urlo scoppiò alle mie spalle. Un essere avanzava verso di me, apparso dal nulla, trascinandosi dietro i suoi organi, portandosi tra le mani il suo cervello, come fosse un mazzo di fiori. Era collegato a una serie di protuberanze oscene, organiche, che lo seguivano passo passo, senza staccarsi da lui, allungandosi fino a una teca di vetro rotta, sporca di sangue e di uno strano muco, per metà verde e per metà giallo. E l'essere urlava. E le urla erano deformate da corde vocali esposte, che vibravano come vermi impazziti.
Non potevo muovermi, ero letteralmente terrorizzata dall’orrore. L’essere avanzava verso di me, lentamente. Notai che i suoi due occhi, posti a decine di centimetri dalla sua testa, tenuti appesi dai muscoli oculari, mi fissavano con odio. Il suo cervello verdognolo, appoggiato in una sorta di busta organica a una spalla, quasi pulsava, come se potesse avvertire la mia presenza senza l’ausilio di altri sensi. Qualsiasi cosa fosse diventato, quell’uomo, ammesso fosse un uomo ora, aveva solo uno scopo. Dilaniarmi, uccidermi. Lo sentivo. Non solo. Forse voleva fami diventare come lui. Ne ebbi la certezza.
Terrorizzata, umiliata nella mia stessa umanità, dalla mia normalità, rimasi paralizzata, inconsciamente affascinata da quell’orrore, desiderosa di farne parte. L’orrore, nella sua perfezione, aveva raggiunto vertici sublimi ed io ne ero caduta vittima, inghiottita come in una voragine vorticosa. Una parte di me voleva fossi posseduta da quell’essere, soffocata da quegli organi esposti. Volevo essere smembrata, sezionata, l'essere uccisa o divorata non mi sarebbe bastato.
Volevo diventare il mio orrore.
Quando l’essere stava per toccarmi, avvertii un rumore di tuono. Uno sparo. Fu come risvegliarmi. Urlai con tutte le mie forze nel vedere il cervello dell’essere spappolarsi, le gambe, con le arterie femorali fuori dal corpo, afflosciarsi su se stesse come reperti anatomici esausti. Mi voltai. Il Boss aveva il fucile sulla spalla, canna in aria, una sigaretta in bocca e mi guardava con aria paterna.
- Non ti avevo detto di lasciar perdere? Sei proprio una pompinara del cazzo. – Disse, mentre cadevo ai suoi piedi, vomitando. Finalmente vomitando.

4.
Dopo molte ore, osai tornare dal Boss. Era solo. Gli altri si erano defilati, rifugiati nei loro paradisi artificiali per non contemplare l’esistenza dell’orrore. Rollava una canna con il suo solito fare. Non mi aveva detto niente fino a quel momento, non una parola. Niente.
Quando mi vide entrare, mi fissò solo per un attimo, poi tornò a rollare la canna.
Mi sedetti, feci il vuoto dentro di me, sospirai e dopo diversi minuti gli chiesi.
- Ma che cazzo stiamo trasportando su questa nave, Boss? Che stiamo facendo?
Lui mi fissò a lungo. Capii che in quei pochi istanti era stato sobrio. Maledettamente sobrio. Avrebbe voluto dirmi tante cose. Troppe. Proprio per questo, indicò del rum sul tavolo accanto e rispose:
- Fatti i cazzi tuoi, ti ho detto. E passami quella bottiglia.
Ci ubriacammo. Ci drogammo. Facemmo l’amore. E dimenticammo.


Autorizzo JDR, in caso di selezione, a pubblicare il racconto su edizioni LTN
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 4/6/2013, 11:40




Siamo solo al 4 giugno e
già 5 racconti postati.
Gara valida. とても良い
 
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view post Posted on 4/6/2013, 12:02
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CITAZIONE (Jackie de Ripper @ 4/6/2013, 12:40) 
Siamo solo al 4 giugno e
già 5 racconti postati.
Gara valida. とても良い

Ti adoro!
 
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anark2000
view post Posted on 4/6/2013, 19:25




いいです, però inizierei col chiamare questa edizione "Skannatoio di giugno" , altrimenti dovrò scrivere "Ripetizione" ^_^

@Polly: era un esempio di pignoleria :P
 
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view post Posted on 4/6/2013, 20:46
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no, no... In questo caso di attenzione! :)
 
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jef truman
view post Posted on 4/6/2013, 20:54




Ok, ecco il mio. Visto che mostro è da intendere in senso ampio provo così. Un mostro interiore, o forse no? Lascio un po' di mistero... Non vi immaginate una nave normale. Sono racconti di fantasia in fondo ;) :p091: un po' di pietà per la nuova arrivata! :lol: Ho già mandato il mp a JDR!

OSSESSIONE
"Chiamatemi pazzo: è quello che sono,giusto? La verità è che i folli siete voi! Lui è qui: non vedete che ride di voi? Che ride di me, del mio corpo inerme? Continuate pure a fissarmi, a studiarmi anche adesso, a ripetervi che sono una perdita di tempo; aspettate ancora se volete, ma quello che avrete da me è solo il silenzio ora che sono morto".

Diario di bordo: Rotta Kandlos - Anno ^1820 - Quarantottesimo giorno di viaggio.
Luna crescente, è auspicio di un buon avvenire. Dal piccolo foro tra le lamiere d'ottone non vedo altro.
Ieri notte abbiamo passato Isola 5. Se avessi avuto la possibilità di scegliere mi sarei fermato ad ammirare il sorgere del sole dalla sua costa: i riflessi che i raggi della stella creano, quando si mescolano ai vivi colori delle nuvole in quella zona, si dice siano tra i pochi fenomeni naturali rimasti che valga la pena vedere. Già, se avessi avuto la possibilità di scegliere.
Mancano poche ore e arriveremo a Kandlos; la stiva inizia ad essere fin troppo vuota, anche i topi stanno morendo di fame e hanno incominciato ad avvicinarmisi in maniera inquietante. Vengono sempre più vicino...

Siamo arrivati, la nave sta rallentando. A questo punto le vele più piccole dovrebbero essere state ammainate e sosituite da una gloriosa bandiera raffigurante l'emblema del mio Quadrante: un grande ingranaggio che fa da sfondo a una ricca e simmetrica foglia di acanto. Quelle piante così rigogliose! Perchè mi mancano in questo modo? Il loro odore, il fruscio provocato dal passaggio di navi vedetta, il colore dei fiori... Credo sia colpa di questo posto. Non l'avevo mai visto da così vicino, per così tanto tempo. Un tempo che sembra infinito. Questo odore di marcio misto alle feci di ratto, il freddo e sporco metallo, l'oscurità e il silenzio interrotto solo dai sibili quasi impercettibili dei meccanismi mi circondano da un numero eccessivo di ore.
Dopo quarantotto giorni di buio finalmente siamo giunti a destinazione. Non dovrei essere contento, in fondo qui sarò processato. Per colpa sua, solo e unicamente per colpa sua. Se solo la smettesse di restare lì, appoggiato con le spalle alle scale. Sembra quasi voglia assicurarsi che nessuno scenda qui sotto a liberarmi. Chi potrebbe farlo? Sia maledetto! Lui, stupido essere perverso e malato. Ma nessuno crederà che sia stato io. Dirò cos'ha fatto e sarà punito come merita. Giuro che gli farò pentire di avermi seguito, di non essersene andato prima o di non avermi ucciso subito.
Bene, stiamo atterrando. Sento il soffocato e discontinuo soffio delle caldaie che rallentano la loro corsa. Ho passato interi anni ordinando io stesso alla ciurma di aprire i portelloni principali per permettere al vapore di uscire (è l'unico modo per diminuire la pressione e scendere di quota); ora, invece, assisto alla manovra automatica dal ventre della mia nave.
Gli ingranaggi cigolano e stridono, si confondo con lo squittio dei topi. Quei roditori sono sempre più vicini, troppo vicini. Mi chiedo se non sarebbe meglio morire, adesso, mangiato vivo da innocenti e indifesi animali che chiedono solo un pasto sostanzioso. No, perchè mai? Non avrebbe senso, tutti devono sapere che non sono stato io.
Avverto un lieve sussulto del piccolo vascello e odo voci lontane; diversi uomini urlano sulla banchina.

Diario: Cella 4 – Anno ^1820 - Attracco
Mi hanno portato via con inaudita violenza. Può un uomo incolpevole, essere trattato in questo modo?
La prima cosa che ho sentito, mentre mi trascinavano via dalla nave, è stata la brezza primaverile e l'odore pungente del Jagat, la tipica grappa di Kandlos a base di bacche bianche. Appena questa storia finisce devo assolutamente berne un goccio. Meglio due, forse tre, con una porzione di carne Hacis. Ho bisogno di levarmi dalla bocca questo sapore amaro lasciato dal cibo, leggermente avariato, che sono stato costretto ad ingurgitare per non morire. Poveri topi, come capisco il loro tormento!
Attendo l'interrogatorio, lieto che tutto stia per concludersi.

Diario: Cella 4 – Anno ^1820 - Decimo giorno
Non ho avuto il mio tanto agognato Jagat, ne la carne. Solo purea di verdure e acqua.
Non so neanche più perchè scrivo. A cosa serve, se non ascoltano nemmeno le mie parole? Forse lo faccio per non pensare a lui. E' diventato la mia ossessione. Maledetto! Maledetto! Che sia maledetto!
Mi tengono rinchiuso in questa cella da giorni e cercano di estorcermi una confessione. Dicono che nessun'altro era a bordo tranne me. Ma lui c'era! Mi ha legato perchè non dirottassi la nave, sapeva che era programmata in modo da terminare la sua corsa a Kandlos in caso di ammutinamento o grave perdita di equipaggio. Solo qui avrebbero esaminato il motivo di eventuali scomparse. E' una mia invenzione: anni di lavoro spesi ad elaborare un modo per legare a me la mia già fedele ciurma e la mia creatura.
Ho passato un'intera settimana cercando di convicere chiunque che non sono stato io, come avrei potuto? Erano la mia famiglia! I miei fedeli compagni, amici, fratelli...io...
Lo odio! Continua a fissarmi. Come loro. Mi studiano, mi esaminano attentamente. Maledizione, possibile che non facciano nulla?! Lo lasciano lì, seduto in un angolo a tormentarmi con la sua presenza: quel mostro con le mani ancora sporche di sangue, la barba lunga e sudata, i vestiti imbrattati e sudici, con quel pugnale che sporge così evidentemente dalla tasca dei pantaloni, resta lì fermo davanti a me e sogghigna trionfante, orgoglioso e soddisfatto di avermi incastrato. Perchè?
Vorrei sapesse che non ha vinto lui. Che presto vendicherò la mia ciurma. Lo ucciderò. Quando nessuno mi vedrà, quando smetteranno di oservare ogni mio minuscolo movimento, quando la finiranno di trascrivere tutte le frasi che pronuncio ad alta voce. Lo farò.

La dottoressa Cal posò i fogli scritti dal capitano Marengo sulla scrivania e allontanò gli occhiali dal volto. Rimase in silenzio qualche istante, poi alzò lo sguardo verso il Governatore:
«Signore, davvero non vedo cosa potrei fare», si alzò lentamente e avvicinandosi alla vetrata della nave ne scostò la tenda per fare entrare più luce nella cabina.
«Signorina Cal, ha per le mani la confessione di un uomo che dice di volerne uccidere un altro per vendicarsi di un fatto orribile. Questo uomo era il capitano Marengo, questo uomo era l'unico in grado di fermare quella nave; il suo Quadrante è l'unico ad aver sviluppato una tecnologia così avanzata da permettere alle navi di eseguire manovre senza una ciurma a bordo; solo lui sapeva come funzionano. Se è vero che c'era qualcun altro con lui lo dobbiamo trovare! Forse può dirci quacosa. Quella nave, senza il suo capitano, sta distruggendo ogni luogo in cui abbia possibilità di arrivare! Deve cercare di aiutarmi, mi dia un qualunque indizio che possa identificare colui che viene accusato di aver sterminato la ciurma! Lei conosceva bene Marengo. Insomma, dottoressa, abbimo un assassino in circolazione e una nave fuori controllo!»
«Con tutto il rispetto, Signore, non vedo assassini in giro, soltanto un povero uomo che ha passato troppo tempo a navigare per questi cieli sconfinati ed è uscito di senno. È chiaro che era convinto di vedere qualcuno, ma non a caso dico era convinto. Vede... », proseguendo con le spiegazioni, la dottoressa Cal indicò al Governatore i fogli di diario ritrovati «in questo punto definisce questo misterioso uomo la sua "ossessione",qui lo chiama "mostro" e ne segue una descrizione che corrisponde esattamente alle condizioni in cui è stato trovato lo stesso Marengo. Converrà con me, Signore, che non vi siano dubbi a riguardo».
La giovane donna prese il biglietto sporco di sangue trovato vicino al corpo del capitano e lo consegnò nelle mani del suo corpulento interlocutore. "Chiamatemi pazzo: è quello che sono...", ne seguiva una confusa serie di lettere e sbavature rosse.
«Forse si era accorto di ciò che aveva fatto, della sua doppia personalità o del fatto che quello che vedeva non era altro che una proiezione mentale di sè stesso. Mi creda, mi ferisce dirle queste cose, sa bene che ero molto legata al capitano, ma non posso aiutarla. Mi dispiace». Detto ciò, si allontanò dalla cabina e si diresse sul ponte. Una lacrima le rigava il candido viso. "Maledetto!"

Autorizzo JDR a pubblicare il racconto sullo Skan Magazine
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 5/6/2013, 10:15




Siamo a 6 ed è solo il 5. Molto bene!
Ehi, chi avesse inviato il
proprio racconto a maggio
si ricordi che può riproporlo!
 
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view post Posted on 5/6/2013, 13:03
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CITAZIONE (anark2000 @ 4/6/2013, 20:25) 
いいです, però inizierei col chiamare questa edizione "Skannatoio di giugno" , altrimenti dovrò scrivere "Ripetizione" ^_^

@Polly: era un esempio di pignoleria :P

@Anark ma perchè lo dici a me? Ti ho dato del pignolo di recente? :unsure:
 
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Sol Weintraub
view post Posted on 6/6/2013, 06:45




@Jackie/Tetra: per raggiungere la specifica vale utilizzare due navi differenti?
 
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view post Posted on 6/6/2013, 07:56
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Io ne ho utilizzate due o tre!

Sto sanguinando sullo schermo, ma non potevo resistere!!
 
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Sol Weintraub
view post Posted on 6/6/2013, 08:02




Che Tela sarebbe senza Pollina. :wub:
 
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view post Posted on 6/6/2013, 08:08
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CITAZIONE (Sol Weintraub @ 6/6/2013, 09:02) 
Che Tela sarebbe senza Pollina. :wub:

Infatti è proprio su una tela di ragno che sto scrivendo... :cry:
 
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