Forum Scrittori e Lettori di Horror Giallo Fantastico

Skannatoio, Settembre 2013, edizione XXII, Un infausto inizio
* Campionato aut-inv 2013, 1 di 12

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anark2000
view post Posted on 7/9/2013, 08:11




@white
Una storia nella metropolitana londinese in ambientazione cyberpunk...
 
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kaipirissima
view post Posted on 7/9/2013, 10:51




mi dispiace non ce la faccio, a parte impegni vari (del tutto imprevisti) non sono riuscita ad avere un'idea originale, perciò un in bocca al lupo a tutti e un saluto a Sol. :)
 
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view post Posted on 7/9/2013, 13:09
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Milena Vallero

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No, Kaipirissima... :(
accidentaccio, quasi agli sgoccioli e siamo solo in due... scrivete, gente, scrivete! :)
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 7/9/2013, 14:58




Scusate lo spot, ma è uscito Skan Magazine n.13 (settembre 2013)
Lo trovate come sempre in PDF sul sito http://skanmagazine.sf.net
Segnalate eventuali errori prima di lunedì
quando sarà diffuso su tutti i canali


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Sol Weintraub
view post Posted on 7/9/2013, 17:57




Poco più di un giorno alla scadenza e solo due racconti (anzi, tre, con quello di anark in arrivo).
Riusciremo a raggiungere il quorum?
 
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view post Posted on 8/9/2013, 12:36

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Ciao Willow78, hai centrato il racconto. Bella l'idea del detenuto vampiro-ratto rovinato dal liquido sintetico che non funziona e originale l'impiegato intraprendente con il suo arsenale chimico da paura (visto che succede a non collezionare francobolli? Ecco il lato nero dell'era elettronica).

Salve White Pretorian. Mi permetto di darti un suggerimento (ma sei tu che mi stai insegnando tante cose in realtà) cosa succederebbe a un tizio stile Re Kull di Valusia se per sua sfortuna si dimenticasse come si combatte? Gli si rompe la spada e da quel momento, non sa più maneggiare una lama (c'entra la vendetta di una donna respinta: non hai tempo per l'amore? E io ti faccio scordare quel che sei, poi ti mando gli Uomini Serpente). Qualcosa del genere, insomma. Dai che sei bravo con quelle trame lì. Oppure può perdere la memoria rintronato dal suono di un Arpista. Scusa se ho fatto confusione prima (non mi facevano entrare nel sito. Si sono dimenticati di me). Oppure, il tipo stile Re Kull ha la sfiga di voler leggere una formula magica per uscire da una galleria di specchi...ma si trasforma nel mago cattivo.
 
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view post Posted on 8/9/2013, 13:06

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Ehilà, White Pretorian. Mi chiederai, sì, ma e i freaks? Beh, quelli vengono di conseguenza: se parliamo de tizio Kull di Valusia che non sa più combattere, allora vedrà i compagni come scherzi della natura (sanguinari e coperti di cicatrici, mentre lui è diventato estraneo a quel genere di vita, totalmente). Vorrei anche darti un altro suggerimento (stavolta di science-fiction) e se un tizio assetato perde la sua tessera personale per l'assegnazione dell'acqua e corre alla sorgente montuosa vicina a casa sua per farsi fare un duplicato e come freak incontra l'ideatrice del razionamento idrico che non può uscire alla luce del sole a causa di un incidente deturpante causato dall'ultima acqua sgorgata (colpa degli alieni che gliel'hanno fatta arrivare dalla calotta di ghiaccio del loro pianeta, tipo Sedna 2): per la verità, i fornitori volevano omaggiarla dandole le loro fattezze (secondo loro i freak siamo noi).
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 8/9/2013, 15:39




Non per mettervi fretta, ma mancano solo 7 ore e 20!
 
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Sol Weintraub
view post Posted on 8/9/2013, 18:06




So per certo che anark post era non appena arrivato a casa. Se Albertine non scrive la picchio.
Confido in White, Callagan o GDN... vero ragazzi?!?
 
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view post Posted on 8/9/2013, 18:47
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Il Tospanico Polemico

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Mah, vediamo se riesco a buttare giù qualcosa in questo paio d'ore che rimangono, tanto per rendere valida la sessione ...
 
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anark2000
view post Posted on 8/9/2013, 18:51




Chiaro di luna

RIMOSSO DALL'AUTORE

Edited by Jackie de Ripper - 20/1/2014, 15:56
 
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Albertine
view post Posted on 8/9/2013, 22:15




LA LUCCIOLA DI CAROLA di Arianna K.

Dedicato al mio amore, che è lontano. :cry:

Quella mattina, la città intera aprì gli occhi in una nuvola di zucchero.
Dalla Märchenstrasse, con le sue vetrine piene di balocchi, alla Sparkasse e ancora giù, fino al fiume, un profumo croccante avvolgeva ogni cosa.
I bambini, dimenticata la consueta pigrizia, correvano felici per le strade, assaporando l'aria; anche le comari interrompevano i pettegolezzi.
Odore di frittelle dolci e brioches; brezel e cannoli; strüdel e pan di zenzero. Sembrava che una fiera invisibile fosse giunta, nottetempo, per allietare i cuori.
Anche io mi svegliai, attirata da quell'inaspettato sentore di festa. Il sole era appena sorto, colorando le nuvole di confetto.
Senza fare rumore, per non svegliare fräulein Teufel e le sue manie sul decoro di una signorina, indossai la mantella sopra la camicia da notte e corsi fuori.
La prima neve” pensai, sorridendo al cielo in cui candidi fiocchi danzavano, cavalcando raggi pallidi. Tesi una mano e ne acchiappai uno al volo, tingendomi il palmo di nero.
Un attimo dopo le campane della chiesa iniziarono a suonare. Non erano rintocchi di festa ma un cupo, fatale battere a martello.
Fu come destarsi di nuovo. Solo allora vidi la colonna di fumo alzarsi, come un presagio, dal fondo della via.
Corsi, per quanto le mie piccole gambe lo permettessero, mentre i ciottoli ferivano i miei piedini nudi. Quando arrivai nella piazza la folla ammutolì, aprendosi come un sipario. Qualcuno mormorò parole sommesse.
Il balivo mi venne incontro con aria grave. Si mise in ginocchio, per guardarmi negli occhi, e poi mi strinse a sé.
È in pigiama” fu l'unico, stupido pensiero che riuscii a formulare, prima che le lacrime cancellassero lo spettacolo davanti ai miei occhi.
Dove prima sorgeva il forno di mio padre, non rimaneva che una montagna di cenere.

Mio padre era amato e stimato in tutta la contea e, al suo funerale, accorsero persone da ogni dove. Anche il margravio, per il quale aveva cucinato una splendida torta di nozze, inviò una lettera carica di dolore.
Trascorsi quei giorni come immersa in un bicchiere di latte, circondata da un tiepido velo che sfumava ogni cosa. Abbracciata ai miei pupazzi dormivo, rifiutandomi di vivere.
Mia madre era morta dandomi alla luce. Lei, bella e impetuosa come una fiamma, aveva lasciato al marito il fardello di un essere deforme.
Da piccola ero l'invidia di ogni mamma: boccoli color grano incorniciavano un viso di porcellana, splendido come una bambola.
“Guardate Carola, quanto è bella” pigolavano mentre, al parco, intrecciavo ghirlande di fiori. “Speriamo che anche mia figlia diventi come lei”.
Ma, con il passare del tempo, tutti capirono che sarei rimasta una bambola per sempre.
Le lingue tacquero e, a parlarmi, rimase la solitudine.
Papà mi trattava come fossi di vetro, proteggendomi dal mondo, e io crescevo in quel castello da fiaba in compagnia dei miei sogni.
Non ero preparata alla morte, ancora meno alla vita.

L'autunno trascorse e venne l'inverno.
Sulla tomba di mio padre i fiori non erano ancora appassiti quando gli amici di un tempo iniziarono a diradare le visite; per Santa Lucia anche la servitù ci aveva abbandonato. Solo fräulein Teufel rimase a lottare contro il vuoto che, stanza dopo stanza, divorava la casa.
La neve cadeva, ricoprendo ogni cosa: le strade, i tetti, anche il mio cuore.

Accadde la sera della Vigilia.
Pranzammo nel salone, addobbato come un tempo; il grande abete spendente d'oro e di luci. Lungo la via un coro cantava, accompagnato da zampogne festanti.
Dai vetri appannati vedevo i cantori esitare, scrutando il portico. Dove, l'anno prima, sorrisi e cioccolata fumante scaldavano il cuore, non rimanevano che rami contorti e silenzio.
Piluccai appena le delizie in tavola; anche le meringhe, che un tempo rubavo alla prima distrazione della cuoca, avevano sapore di cenere.
Il cucù aveva appena cantato le nove quando decisi di ritirarmi.
Stesa nel buio tendevo l'orecchio; sognavo, speravo, di sentire un rumore oltre le corti e vedere apparire un fantasma del Natale che mi portasse via, verso giorni più lieti.
Chiudevo gli occhi, pregando i Santi per quel dono ma, nel riaprirli, non mi aspettavano altro che ombre.
L'angoscia è un soffio freddo sul viso, un sussurro all'orecchio che intona una nenia di rimpianti.
Non saprei dire cosa mi spinse a uscire, o se fu il fato a non farmi udire dalla mia tutrice.
Mi ritrovai a camminare per le strade vuote. Dalle case filtravano luce e gioia. Strisciavo tra le ombre, come uno spettro, quasi quell'amore potesse sciogliermi.
Affondavo nella neve fino alle ginocchia, il freddo mi mordeva le spalle nude e, solo allora, mi resi conto di essere uscita senza neppure un cappotto.
Non avevo scelto una direzione, non in maniera cosciente, ma quando viti davanti a me la piazza e le pietre annerite che ancora sfregiavano le mura sentii le forze venir meno e, lasciatami cadere, rimasi immobile, aspettando la fine.
In cielo la luna brillava, trasformando la neve in coriandoli d'argento.

Braccia forti mi afferrarono, sollevandomi da terra, e subito sentii un tepore avvolgermi. Un uomo mi sorreggeva, stringendomi addosso un pesante mantello.
“Dovete essere impazzita a uscire così conciata con questo freddo” sentenziò, in tono perentorio.
Nel buio riuscivo appena a distinguere il suo volto. Un tempo doveva essere stato bello, ma la vita lo aveva deturpato con i segni di molte battaglie. Nel suo sguardo c'era qualcosa di fatale, come se osservasse la vita e la morte con lo stesso metro, bramandole e al contempo ignorandole entrambe.
Mi sentii piccola e stupida e, d'istinto, mi strinsi nel cappotto, vergognandomi più del mio aspetto che del gesto sconsiderato.
Lui, con una dolcezza che pareva non appartenergli, mi scostò i capelli dal viso.
“Cosa vi accade?” chiese, cambiando tono.
Fu come avvicinare un cero a della paglia.
In quella notte di magia e desideri, stretti e tremanti, raccontai a quello sconosciuto ogni cosa. Avrebbe potuto essere chiunque, un angelo come un assassino ma, mentre parlavo, sentivo il cuore destarsi e ricominciare a pulsare.
Quando infine tacqui, dalla cattedrale esplose lo scampanio della mezzanotte Santa.
“Ci fu un tempo in cui anche io amai” nel parlare l'uomo non si voltò a guardarmi, ma rimase immobile a scrutare la notte. “Credetti di poterlo fare per sempre. Poi venne la guerra, e la morte. Poi assaporai l'odio”.
La sua mano mi sfiorava il fianco, facendomi rabbrividire.
“E quando la guerra finì mi resi conto di non poterne più fare a meno”.
Nella mia vita nessuno mi aveva tenuta stretta a quel modo, tranne mio padre.
“Decisi di non ritornare a casa ma viaggiai alla ricerca di altre battaglie, di altro dolore. Affamato, assetato, insaziabile. Soffrivo e, nella mia sofferenza, pensavo che le urla dei miei nemici potessero coprire le parole che la mia anima continuava a urlare”.
Le sue parole erano un soffio nella piazza vuota, eppure le sentivo rimbombare tra i muri delle case.
“Quando capii che non serve a nulla far tacere il dolore ma che occorre dargli voce era troppo tardi, avevo disimparato a parlare. La mia anima era muta, e lo sarebbe rimasta per sempre. Credevo che sarei morto udendo il sussurro dei miei demoni. Poi, incontrai questa.”
Dalla tasca estrasse una piccola boccia di vetro, al suo interno una piccola luce brillava, rischiarandogli il palmo: era una lucciola.
L'uomo aprì il contenitore e l'insetto, incurante del freddo, volò all'esterno, posandosi su un dito.
“Non so se fu Dio a mandarla da me” riprese, aprendo la mano a coppa per proteggere la creatura “ma senza di lei ora non sarei qui”.
Osservavo quel bagliore rapita, incapace di parlare. L'uomo, all'improvviso, estrasse un coltello, facendomi trasalire. Prima che potessi realizzare il suo gesto, avvicinò la lama alla pelle facendo sgorgare un rivolo di sangue.
La lucciola si avvicinò alla ferita, iniziando a bere e la sua luce crebbe, fino a brillare come una piccola stella.
Poi, spiegate le ali, cominciò a cantare.

Quella notte la Luna andò all'appuntamento della notte accompagnata dal presagio, figlio prematuro del destino. Le stelle intonavano un canto malinconico, mentre le anatre del lago sognavano la pace nel loro sonno.
Non era la foschia a impedire di scorgere i contorni delle piante, ma l'ansia dell'anima.
L'ansia dell'anima che è più grande di quella della mente.
L'ansia dell'anima che vela lo scenario al nostro sguardo, e come il respiro lento del sonno imprigiona i nostri pensieri.
È falsa la gioia del raggio di luna che, riflesso dall'acqua, si riflette negli occhi tristi di una rondine sognatrice. Rievoca paesaggi nordici coperti da sterminati boschi, che mai più rivedrà. I suoi occhi fissano le ali segnate dagli anni.
Inesorabile è il tempo, una creatura perpetua dell'universo degli spettri, inevitabili mutamenti del dolore sulla vita. Inesorabile è il ricordo di piacevoli tempi che ora sogghignano, mentre si vorrebbe chiamare in aiuto il dolore passato. Ma, ahimè, il dolore e la gioia sono i grandi alleati della sofferenza


Il cantò cessò e io riaprii gli occhi.
Ero al caldo, nel mio letto, il sole del mattino ad accarezzarmi il viso.

La notte seguente tornai alla piazza e lui era lì, seduto sulla fontana ad aspettarmi.
La neve aveva coperto le macerie del forno.
Senza dire altro scostò il mantello e io mi strinsi a lui, come una bimba.
Di nuovo estrasse la lucciola e, nutrita con il suo sangue, questa ricominciò a cantare.

Sulla terrazza del suo palazzo di pietra, un giovane stava in piedi a guardare la luna. “Io sono il Re, il Faraone. Il mio regno non ha confini. Oltre l'orizzonte e oltre la morte. Piego al mio volere anche lei, la perfida Regina del mondo.
Io che sono tutto, posso essere schiavo del sentimento? Sacrilego chi osa chiamarmi servo, e sacrilego anche l'amore che mi rende tale! Amore, amore, che cosa sei?
Amore che hai carpito dal mio cuore le lacrime più intime: erano destinate a rendere fertile la mia solitudine, le hai mascherate d'angoscia, che s'è fatta padrona anche dei sogni. Oh, se la morte potesse distruggerti! Ma la morte non può nulla contro di me, né contro di te.
Anche tu, padre mio, nulla puoi contro l'amore? Amore, amore di che natura sei, che rendi schiavi anche gli dei? E l'Onnipotente, che dio è se nulla può contro di te?

Il mattino seguente, scesa a colazione, mangiai con gusto sotto lo sguardo stupito e compiaciuto di fräulein Teufel. Il burro e il miele mi pizzicavano la gola, facendomi sorridere; il sole inondava il giardino spoglio ma io potevo sentire il profumo dei fiori.
“In primavera dovremmo piantare delle campanule” esclamai felice “e rododendri, glicini, oleandri”.
Avevo voglia di correre e danzare. Avevo voglia di vivere.
Trascorsi la giornata in attesa. Feci il bagno, mi acconciai i capelli e scelsi con cura il vestito per la sera. Per la prima volta mi sentivo normale. Mi sentivo bellissima.

Quando giunsi all'appuntamento l'uomo si alzò e mi venne incontro. Si chinò nella neve e mi prese il volto tra le mani.
“Sei stupenda, Carola”.
La notte chiuse il sipario sui nostri baci mentre la lucciola cantava, illuminando le mie lacrime.

Dagli occhi scuri del sovrano ogni lacrima usciva lenta, come la goccia sulla foglia che, baciandola, scivola via e sembra che dica “ahimé, fogliolina, le mie sorelle han poco garbo, e non danno teneri baci, ma battono a colpi di offese finché il tuo gambo non sarà umiliato”.
Mentre l'uragano d'ansia si manifesta con l'affannoso respiro, una lacrima cadde proprio sulla fronte d'una statua che, immobile, non aspettava nulla. Stava sotto il balcone del re.
Di fronte a lei un'altra statua era ritta. Raffiguravano un giovane e una giovane , due amanti che si guardavano attraverso occhi spenti.
Dalla fronte bianca e liscia, la gocciolina cadde nell'occhio e dall'occhio sulla guancia, sì che una libellula si fermò stupita.
“Come sei stato crudele, oh Dio, a dare l'anima anche alle statue” esclamò “io ho le ali per fuggire agli occhi dell'amato, ma lei è condannata a guardare chi non l'ama. Perché, gran Dio, hai dato a me l'abito di libellula e a lei così poco? Quale merito ho avuto per meritare tanto, e lei quale torto?”
Piena di collera volò via tra i cespugli, mentre il re aveva trovato pace nel nido del sonno.


“Non voglio più ritrovarmi sola, al mio risveglio”, gli dissi la sera seguente.
Lui sorrise appena, senza che tuttavia, la tristezza gli abbandonasse lo sguardo. “Questo sta a te deciderlo”.
Mi aggrappai a lui. “Io ho già scelto”.
Un vento freddo, tagliente, si era alzato. Le banderuole delle case stridevano, come urla lontane.
“No, Carola. Rimane ancora un canto da ascoltare”.

Il destino indugiò ancora un istante, prima di rendere al vento la dolcezza delle sere d'estate. E il vento sfiorò i capelli immobili della statua che ormai, intenerita dalla lacrime del re, dalla malinconia del suo stesso volto, poiché così la scolpì l'artista, e dal volere del destino, non potè che cominciare ad amare.
L'immobilità esclude il tempo, l'inizio da luogo al tempo. Non essere e ora essere.
Il cammino del tempo inizia dal nulla e non si ferma che al nulla.
Oh, nulla, esisti?
Il tuo corpo non c'è eppure da te hanno avuto inizio vita, sogni, amore, dolore e morte. Quale energia contieni, quale divenire strano, misterioso possiedi se l'inizio ha potuto essere?
La bianca statua non si chiedeva tutto ciò, ma l'angoscia che sentiva e che non conosceva fremeva nel suo essere: ma ella già avvertiva che il divenire porta e trascina, e sperava che qualcosa di più bello potesse esistere.


Il vento era cessato, lasciando spazio al silenzio.
Tra le nuvole di panna l'alba stendeva le dita, sfiorando i tetti della città addormentata.
L'uomo si alzò in piedi, la lucciola posata delicatamente sul palmo. Allungai la mano, prendendola su di me.
Le pietre annerite del forno erano ormai scomparse sotto il manto bianco.
Inspirai profondamente, l'aria profumava di legna, dolci, pane appena sfornato.
“Grazie” mormorai appena. Poi affondai il coltello del petto.

Quando il gelsomino sboccia lo fa in silenzio; con garbo e umiltà, senza vantarsi che il suo polline potrà trasformarsi in miele, se la bella ape andrà ad amarlo.
Anche l'amore nasce in silenzio.
In silenzio, come crescono e muoiono i pensieri.
Pensieri da chi pensati e posti nella mia mente fanno che io dica “Io sono”? Amore da chi sentito, e posto nel mio cuore, come l'ape porta di fiore in fiore il seme della vita.
Amore e pensieri da chi voluti?
Eppure quando l'amore nasce lo fa piano piano e quasi non ti accorgi che prima non era e ora è.
La statua era immobile, ma non immobile era il suo sentire; e sentiva l'angoscia che la circondava, e sentiva la tristezza, a tratti la gioia, che premevano ai suoi confini, poiché tali cose le rendevano il suo vero aspetto.
No! La statua non è statua perché vuole esserlo, sono le mille sensazioni che ognuno sprigiona a conferire la forma, e chi non compete è sopraffatto.
Oh, statua, perdona il mio cuore che ti costringe nella tua immobilità.
Ma l'alba di un sentire nuovo ha toccato il mio cuore, e si scioglie quel dolore oscuro che lo imprigiona nella fissità del male.


Autorizzo Jackie a pubblicare il racconto sulla rivista.
 
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view post Posted on 8/9/2013, 22:41
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Il Tospanico Polemico

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Beh , in fretta e furia ... Ma almeno la sessione è valida :D
Mi scuso in anticipo per i turpiloqui, ma credo siano in linea con i personaggi.

Al solito a volte le righe sono troncate a metà a volte ce ne sono due in fila ... Mah

Metro e Venti di David Galligani



Una fitta di dolore mi esplode in testa e mi risveglia dal torpore.
Metà della mia faccia sembra appartenere a qualcun'altro, l'altra metà mi fa male da morire.
Riapro gli occhi sullo squallore della stanza per gli “interrogatori”... con le pareti verdoline, la muffa e la triste luce al neon, è quasi più inquietante delle due caricature di esseri umani con cui ho condiviso diversi anni di attività criminale che mi stanno davanti.
-Ascolta nano di merda, dicci dove hai nascosto i soldi o questa volta ti prometto che ti mandiamo nel mondo dei sogni per sempre– mi ringhia in faccia Il Biondo, mentre Dimitri si massaggia le nocche con quello stupido ghigno da ritardato.
Legato gambe e braccia a una sedia la mia situazione potrebbe non sembrare tra le migliori.
-Non so dove sono i soldi- mento – e poi perché dovrei essere stato io e non uno degli altri che hanno collaborato al colpo?
-Perché di te non mi fido, non mi sono mai fidato, sei un cazzo di scherzo della natura e se fosse stato per me saresti rimasto al circo.
-Al circo! Gha, ha,ha – ripete l'altro.
-Si ma non sei te che comandi, perché di certo non ne hai le cap...
Un pugno in faccia mi interrompe bruscamente.
Lascio cadere la testa in avanti e fingo di essere svenuto di nuovo per guadagnare un po' di tempo, dovrebbe essere quasi ora.
Con la lingua controllo che il piccolo seghetto sia ancora al suo posto sopra le gengive.
Devo dire che non pensavo ci andassero giù cosi pesante sin da subito, di solito non lo fanno, è evidente che sottovalutavo il loro odio nei miei confronti.
Spero di non aver sottovalutato anche la loro stupidità, altrimenti invece di essere un nano ricco sarò un nano morto.

Mi arriva alle narici il tanfo dell'alito del Biondo e lo sgradevole odore del gel da due lire che usa.
Mi tira su le testa per i capelli.
Deve essere molto vicino al mio viso. Mi piacerebbe dargli una testata, ma non posso.
-Beh, la mezzasega è andata un'altra volta. Andiamo a pranzo Dimitri, mi sono rotto le palle, continuiamo dopo.
-Bene,tanto dove va ? Gha, ha, ha – ridacchia il demente.

Finalmente... Come tutti i giorni, alle ore tredici, pranzo al Bar Adriatico.
Oggi il solito menù prevede pasta scotta al pomodoro, pollo affogato nell'unto, vino annacquato e caffè.
Serviti su tavoli di formica mangiucchiati da un tipo untuoso con quattro peli in testa.
Tutto per soli 8,99 €.

Un'ora esatta per tutta la banda per mangiare, un'ora esatta per me per portare a compimento il mio piano.

È importante avere delle certezze nella vita.

Dopo che i due se ne sono andati, mi rilasso un paio di minuti e cerco di riprendermi un po' . Poi comincio a spostare con piccoli colpi di reni la sedia a cui sono legato, fino ad avvicinarmi a quella dove stava seduto il mio aguzzino.
Una volta vicino, facendo la massima attenzione, sputo il piccolo seghetto che tenevo nascosto in bocca, in modo che cada sulla sedia non troppo lontano dal bordo.
E di nuovo, piano piano, giro la mia sedia fino a poter afferrare con le mani il seghetto sull'altra.
E ancora poco a poco, comincio a segare il nastro adesivo.
Anni di fenomeno da baraccone al circo a qualcosa mi sono serviti... quando ero più piccolo mi divertivo a farmi spiegare i trucchi dal prestigiatore, trucchi con le carte, come far scomparire oggetti o come liberarsi dalle catene, per esempio.
Lui si immergeva incatenato in una teca piena d'acqua, e in bocca nascondeva la chiave del lucchetto.
Io invece, sapendo che mi avrebbero legato con nastro adesivo o laccetti da elettricista, ho preferito un piccolo seghetto per aprire le fiale.

Un quarto d'ora, venti minuti forse... e sono libero.
Mi massaggio i polsi indolenziti, dopodiché mi dirigo verso la grata di areazione in un angolo della stanza. La smonto e la rimuovo.
“È passato di qua”, penseranno... dopotutto è quello che ho sempre fatto, passare da posti stretti e bui per arrivare dove gli altri non potevano.
Come conferma di ciò troveranno un'altra grata smontata che dà sull'esterno dell'edificio.
Anche perché, cos'altro avrei potuto fare? Nella stanza non c'è niente se non due sedie, un tavolo, e un bidone della spazzatura con le ruote, di quelli grandi, da giardinaggio.
Nel caso avanzino dei pezzi di qualcuno sottoposto a un “interrogatorio”.

Sollevo il bidone e controllo che sotto, attaccate col nastro adesivo, ci siano ancora sia la piccola calibro 22 che la chiave della porta.
Me le metto in tasca, mi infilo dentro il bidone, richiudendo il coperchio sopra di me, e attendo.
Il tempo sembra non passare mai, i minuti si fanno lunghissimi, e il cuore mi batte forte per la tensione… Rinchiuso dentro il sacco di plastica comincio ad avere caldo, e il puzzo è tremendo.
Con i sensi amplificati dall'oscurità finalmente mi pare di udire il lontananza il rumore del portone che si chiude.
Poi il sopraggiungere di passi.
Risa.
Adesso posso riconoscere perfettamente le voci.
Il rumore della porta che si apre.

-Cazzo, “Metro e Venti” è scappato!- è la voce del Capo.
-Ma guarda 'sto stronzo di nano... Aspetta che gli metta le mani addosso... - risponde Il Biondo.
-Ce le aveva già, maledetto coglione...
Adesso o lo ritrovi o te le metto io, le mani addosso.
-Beh almeno adesso non abbiamo dubbi su chi sia stato a prendere i soldi – esclama il fenomeno di Dimitri.
-Che cazzo dici, magari è scappato solo perché lo stavate pestando, imbecille. Guarda, la grata è stata rimossa. È passato di lì. Dateci un'occhiata, e poi vi voglio tutti fuori a cercarlo! Con cinquanta centimetri di gambe non può certo essere andato lontano. Anche voi, Santo, Yuri, e Strazio, tutti! Forza!
-Si capo- risponde mestamente Il Biondo.
Me li immagino, grandi e grossi a testa bassa, con la coda tra le gambe, e il capo incazzato come una belva.
Non posso trattenere un ghigno di soddisfazione.

Li sento armeggiare con la grata. Bestemmiano.
E poi la porta sbatte.
Aspetto ancora un minuto e finalmente esco.
Per la prima volta, dopo anni, il capo è solo.
Le sue inseparabili guardie del corpo sono fuori a cercarmi...
certo mi sono dovuto far pestare come un sacco da pugilato, ma dopo infinite angherie potrò avere la mia vendetta.

Non hanno chiuso la porta, quindi la chiave non mi serve.
Apro leggermente, controllo con un'occhiata che non vi sia nessuno in vista nel corridoio e mi dirigo verso l'ufficio del capo.
Ho le mani molto sudate, nella destra stringo la pistola, nella sinistra la maniglia.
Aspetto un momento, respiro profondamente, e apro.
Il capo è seduto alla scrivania, davanti al portatile.
Sgrana gli occhi nella sua faccia grassa.
-Porca puttan... - esclama
-Stai zitto stronzo- gli intimo, puntandogli contro la 22.
-Hahaha! Che cazzo credi di farmi con quel giocattolo, mezzasega?
-La mezzasega ti ha rubato mezzo milione di euro, e si è scopata tua moglie per mesi. Almeno ha il cazzo che funziona – gli rispondo
Il ciccione si infuria e fa per alzarsi.
-Crepa, pezzo di merda! – ringhio, e premo tre volte il piccolo grilletto.
Tre piccole chiazze rosse appaiono sulla camicia di Armani.
Lo stronzo mi guarda con aria molto sorpresa... si vede che non si aspettava di morire.
Cade prima in ginocchio e poi con un tonfo finisce faccia a terra.
Un calibro 22 non avrebbe fatto grande danno di per sé, ma indebolendone la camiciatura ho trasformato le munizioni in proiettili a punta cava, che frantumandosi hanno straziato i suoi organi interni.

Per pura soddisfazione personale gli assesto un calcio in testa, con tutta la forza permessa dai cinquanta centimetri delle mie gambe.
Velocemente ritorno nella stanza degli interrogatori e questa volta mi infilo nella grata del condotto di areazione.
L'hanno già controllata, e non lo rifaranno.
E quando uscirò, me ne andrò lontano, e con tutti quei soldi non sarò più un nano di merda, ma un distinto signore “diversamente alto”...



Autorizzo Jackie the Ripper a pubblicare questo racconto su 'Skan Magazine'.
 
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Jackie de Ripper
view post Posted on 8/9/2013, 23:32




Caspita! Il titolo "un infausto inizio" stava per
avere conseguenze catastrofiche. Mi pare che
a cinque si sia arrivati: la bella notizia è che
tutti i partecipanti potranno godere del
Giorno del Panda! ;)
 
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Albertine
view post Posted on 8/9/2013, 23:35




yuppi!!! :woot:
 
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88 replies since 29/8/2013, 06:10   1700 views
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