| Vabbe', passiamo alle faccende serie.
Bruciando nella notte
L’esplosione non infranse il silenzio, lo dissolse, rendendolo simile al vago ricordo di un sogno interrotto. Guardando le fiamme che già avevano avvolto l’edificio nel loro caldo abbraccio, quasi avessero voluto proteggerlo dal freddo della notte piuttosto che ridurlo in cenere, era impossibile credere che solo un istante prima tutto fosse stato immobile e tranquillo. Solo l’uomo nel vicolo osservava imperterrito il suo lavoro. Ammantato nelle ombre cangianti proiettate dal fuoco, lasciava che il suo sguardo si perdesse nella danza delle fiamme, scrutando le forme irreali che si agitavano al loro interno come mitiche salamandre, e quelle ben più concrete che tentavano, senza successo, di sfuggire alla distruzione definitiva che esse portavano. Si godeva, nel familiare ruggito dell’incendio, quell’attimo di calma irreale, prima delle telefonate, delle sirene e della gente che scendeva in strada a osservare, morbosamente attratta da ogni disgrazia che non si fosse abbattuta sulle loro teste. Avrebbero urlato, commentato, pianto – c’era sempre qualcuno che piangeva, anche quando la cosa non aveva il minimo senso – perfino fatto qualche foto o video. Poi sarebbero tornati alle loro case, dimenticando tutto dopo qualche giorno. Nessuno si sarebbe posto le domande giuste, o avrebbe mai saputo la verità. Nessuno tranne lui. «È questo che pensi?» La frase, pronunciata in un sussurro alle sue spalle, lo colse di sorpresa, portandolo a voltarsi di scatto. Non aveva neppure completato il movimento che già due lame erano come apparse dal nulla tra le sue mani, rese sanguigne dai bagliori riflessi, ma nessun bersaglio si offrì loro nel vicolo deserto. Dietro di lui, lontana ormai dal suo sguardo, una forma indistinta si staccò dal tetto dell’edificio in fiamme, allontanandosi sulla spinta della corrente come un pezzo di carta bruciata, confondendosi in un istante nel buio. Ignaro dell’accaduto, l’uomo concentrò i propri sensi a sondare la notte che lo circondava, nel vano tentativo di individuare il misterioso interlocutore. Misterioso. No, l’identità di chi aveva parlato non era affatto un mistero. Conosceva quella voce, fin troppo bene. L’aveva ascoltata ogni giorno della sua vita negli ultimi dieci anni. Nove anni, dovette correggersi, il decimo era quello in cui non aveva più potuto udirla, così come era impossibile che l’avesse udita adesso. Lei era morta, in una notte proprio come quella, in un incendio proprio come quello, salvo che quella notte lei era dentro il palazzo in fiamme, e non fuori assieme a lui a guardarlo bruciare. Rinfoderò le lame. Un anno, era trascorso un anno esatto, anche se fino a quel momento non lo ricordava. La sua mente doveva aver deciso di regalargli un promemoria inatteso e indesiderato, riproducendo quella voce, quella frase che lei tanto adorava ripetere, come se davvero l’avesse udita. Non esistevano altre spiegazioni. Lei non era lì, non solo perché non avrebbe potuto, ma perché non la sentiva, non percepiva la sua presenza come sempre aveva fatto, come fosse stata un’estensione del suo essere. In lontananza, il lamento delle sirene dei pompieri aveva iniziato a mescolarsi al canto del fuoco. L’uomo rivolse un’ultima occhiata alle sue spalle, poi si inoltrò nel vicolo, lasciandosi dietro l’incendio. Dall’alto di un tetto vicino, occhi che non avevano nulla di umano seguirono il suo incedere sicuro, attendendo il momento giusto per agire. Un momento che non giunse mai. Vi fu un lampo, un singolo bagliore, tanto silenzioso quanto fragorosa era stata l’esplosione poco prima, e tutto parve congelarsi nel tempo. Perfino l’aria parve restare immobile, almeno finché una figura luminosa non si palesò, facendola vibrare con una voce più simile a un tuono: «Hai ucciso la tua ultima preda, cacciatore».
Fili sciolti: - Il fuggitivo del palazzo in fiamme: è un vampiro che è riuscito a sfuggire al massacro (il palazzo era, per inciso, pieno di vampiri), e che perseguiterà il protagonista nel seguito della vicenda. - La voce nel vicolo: come si potrebbe a questo punto intuire, apparteneva all’amata del protagonista, morta, tuttavia, in un incendio dopo essere stata vampirizzata, sacrificandosi finché ancora era lucida per distruggere l’ennesima tana. Oppure no, ma può un vampiro tornare come fantasma? - La creatura sul tetto: sarebbe logico pensare che si tratti di un ulteriore vampiro, ma no, è un essere ferino di tutt’altro genere, che ha dedicato la propria vita (dietro adeguato compenso) a sterminare i cacciatori di vampiri, e la sua presenza in quel preciso momento sarà determinante per gli eventi che seguono immediatamente il cliffhanger
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Il Castello Nero
Pur tra svolte e deviazioni, il sentiero si inoltrava imperterrito tra gli alberi del bosco, incurante delle piante e delle radici che di quando in quando tentavano di invaderne il dominio. Allo stesso modo procedeva la donna che vi camminava sopra, il cui incedere leggiadro e impettito non veniva ostacolato da nulla. Né dalle irregolarità del terreno, né dai tacchi al di là di ogni possibilità di misurazione, né dall’immane zaino nel quale trasportava i propri abiti e accessori, nonché, a giudicare dalle dimensioni, un divano da salotto. Certo non andava trascurato il fatto che lo zaino in questione si trovasse non sulle sue spalle, ma su quelle di un omone che non avrebbe sfigurato in un circo itinerante nel ruolo del fratello grosso del forzuto. Nella realtà dei fatti, era il fratello grosso del biondino atletico che, suo malgrado, chiudeva la fila, in compagnia di una ragazza altrettanto bionda e magra. Già abituato a non sapere dove stessero andando, quest’ultimo si ritrovava ora nella posizione di non vedere letteralmente la strada davanti a sé, potendo scegliere tra guardare lo zaino ballonzolante di Saleria o i piedi di Jorn che a stento spuntavano al di sotto. La posizione, però, aveva l’innegabile vantaggio di tenerlo separato dalla proprietaria dello zaino in questione, tanto che, caso strano per lui, non se ne stava neppure lamentando. Sarebbe stato tutto perfetto, se solo fosse riuscito anche a eliminare quel fastidioso prurito alla base della nuca. Purtroppo niente al mondo – forse neppure la perforazione volontaria dei timpani, iniziava a pensare – poteva tenerlo fuori del raggio d’azione della voce squillante della sacerdotessa di Fashia. «Andiamo, tenete il passo ragazzi, non vorrete arrivare a notte fonda, su, su!» «Arrivare dove, tanto per cominciare?» domandò il biondino. Senza smettere di camminare, Saleria si voltò, sebbene la presenza di Jorn le impedisse di vedere il suo interlocutore. «Ma Darnel, caro, a Faro di Tyr, lo sai bene che è lì che stiamo andando». «In generale, sì, ma visto che non ci saremo ancora per settimane, preferirei sapere dove stiamo andando ora», sottolineò lui. «Verso Faro di Tyr, ovviamente», puntualizzò lei. «Uh... se le guardie ci fanno passare», aggiunse Jorn, puntando un dito davanti a sé. Saleria tornò a guardare la strada, e i due uomini a cavallo che la sbarravano, non troppo distanti. Oltre a montare stalloni neri, indossavano armature nere e mantelli neri con cappucci neri. Avevano perfino delle mascherine nere sul volto, e per qualche istante, senza alcuna ragione logica, Saleria si ritrovò a pensare che dovessero essere in missione per conto di un dio. «Oh, be’, certo», commentò, «perché non dovrebbero? Vedrete che staranno cercando un criminale, o soldi per un orfanotrofio, roba così». «Alt! In nome del Barone Nero!» intimarono le guardie un istante dopo, puntando loro due balestre nere. «Monocromatici», sbuffò Saleria. «Pedaggio!» «Ecco, appunto!» borbottò Darnel, grattandosi dietro il collo. «Appunto cosa? Si vede che i soldi per l’orfanotrofio li vorranno da noi. Date loro qualcosa, su, su!» «E cosa? Ho dovuto donare gli ultimi soldi che avevo al tempio di Tar!» «Io ho speso i miei per le provviste», aggiunse Jorn. «E tutta la mia roba è rimasta alla Casa dei Sette», disse la ragazza bionda. Poi, accertatasi di essere nascosta alla vista delle guardie dalla mole del suo uomo, si sfilò un anello dalla mano sinistra. Rassicurata dal fatto che non l’avrebbe certo fatta ingrassare, si fece coraggio e lo inghiottì senza pensarci due volte. «Ah be’, allora non c’è problema», sentenziò Saleria. «Sentito, signori, non abbiamo niente per pagarvi, quindi potete anche lasciarci passare». Le guardie si scambiarono uno sguardo confuso. «Non funziona così», spiegò una delle due, quasi in imbarazzo. «Ah no? Nessun problema, sono sicura che ci sarà qualcosa che possiamo darvi in cambio...» proseguì lei in tono languido, ammiccando con fare provocante.
«Il mio zaino! Non ci posso credere che si siano presi il mio zaino!» «Neanche io, poveri cavalli», disse Jorn annuendo. «Non ci crederanno neanche loro,» aggiunse Darnel, «quando lo apriranno e vedranno cosa ci hanno guadagnato. Spero che gli piacciano i vestiti da donna con più scollatura che vestito e le scarpe con più tacco che suola». «E la marmellata», grugnì Saleria. «Uh... la marmellata?» chiese Jorn. «Quella marmellata?» reiterò la ragazza. «Certo, quale altra?» «La marmellata che serviva a togliere la maledizione e per la quale mi hanno quasi ammazzato?» insistette Darnel. «Tesoro, non vado in giro piena di marmellate, anche se una volta sono andata in giro coperta di miele, ma sono cose che non puoi capire. Ovvio che era quella!» «E tu la tenevi nello zaino?» «E dove altro avrei dovuto tenerla? Ti pare che io abbia delle tasche in questo vestito?» «Non mi pare neppure che ci sia del vestito, in quel vestito», grugnì lui. «Quindi ora non solo siamo senza un soldo in mezzo al nulla, ma dobbiamo anche recuperare il tuo dannato zaino, o tutto quello che abbiamo passato finora sarà stato inutile. Splendido, splendido, non so davvero come potrebbe peggiorare questa giornata». «Oh, caro, ci sono tanti modi. Ad esempio, qualcuno potrebbe lanciarci contro una palla di fuoco». E fu in quel preciso istante che qualcuno lanciò loro contro una palla di fuoco.
Fili sciolti: - Il prurito di Darnel: è in realtà l’avvisaglia della presenza di un ospite a lui ignoto, un mutaforma che gli si è gentilmente attaccato addosso in forma di pulce nel già menzionato tempio di Tar, e si rivelerà solo in un secondo momento - Il Barone Nero: lungi dall’essere l’antagonista principale della storia, si scoprirà essere il tiranneggiante padrone del titolare Castello Nero, che in realtà è rosa confetto ma chiamarlo così non faceva figo, dove Saleria e i suoi saranno costretti a recarsi per recuperare la marmellata - L’anello di Spaturnia (la biondina, sì, anche se nel testo non c’è scritto che si chiama Spaturnia, e comunque non si chiama Spaturnia, è Saleria che le ha appiccicato il nome): è un cimelio di famiglia della ragazza, l’unica cosa rimastale dopo la disavventura alla Casa dei Sette, e non è rilevante ai fini della trama principale, ma lo è ai fini del vero, e finora ignoto, lignaggio della ragazza, che sarà costretta a rivelare giacché è difficile non dover dare spiegazioni quando si è costretti a espellere un anello in un certo modo e si va in giro con una donna che non ha idea di che significhi la parola privacy. (in effetti ce ne sono anche altri, ma non li menziono perché sono a largo respiro e non dovrebbero riannodarsi in questo stesso racconto).
Edited by CMT - 7/3/2014, 16:06
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