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Skannatoio, SPECIALE#2, giugno 2014, attacco al potere

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view post Posted on 30/5/2014, 19:57
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Il Tospanico Polemico

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del tipo "ti va bene che non partecipi, altrimenti dovresti subire l'umiliazione di farti battere da me"

e infatti vilmente non ti batti a armi pari ma sfoderi roba dal cassetto. :p099:

Bravino si...

Battiti da uomo e fai estrarre delle specifiche a caso da uno dei partecipanti,
Se hai il coraggio. ;)

Ma se non ce l'hai non succede nulla eh? Ti capiamo sai... :P
 
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view post Posted on 31/5/2014, 08:01

Alto Sacerdote di Grumbar

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CITAZIONE (David G @ 30/5/2014, 20:57) 
CITAZIONE
del tipo "ti va bene che non partecipi, altrimenti dovresti subire l'umiliazione di farti battere da me"

e infatti vilmente non ti batti a armi pari ma sfoderi roba dal cassetto. :p099:

Bravino si...

Battiti da uomo e fai estrarre delle specifiche a caso da uno dei partecipanti,
Se hai il coraggio. ;)

Ma se non ce l'hai non succede nulla eh? Ti capiamo sai... :P

Perché, come tutti i cattivi che si rispettino, vi sottovaluto! :P
Quindi vi faccio competere col "me" di un anno fa, perché contro il me di adesso... beh... poveri voi u.u
:D
Dovresti ringraziarmi, altroché :1392391831.gif:
 
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view post Posted on 31/5/2014, 16:35
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Losco Figuro

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Finito.
È un po' lunghino, ma sono ampiamente nella tolleranza.
Domani rileggo e posto. ^_^
 
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Cattivotenente
view post Posted on 31/5/2014, 16:46




Ma come finito? Io non ho nemmeno cominciato a pensare a un embrione d'idea... Ma come cavolo fai?
 
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view post Posted on 31/5/2014, 16:47
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Losco Figuro

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CITAZIONE (Cattivotenente @ 31/5/2014, 17:46) 
Ma come finito? Io non ho nemmeno cominciato a pensare a un embrione d'idea... Ma come cavolo fai?

Colpa di Marco che praticamente mi scrive le specifiche addosso ultimamente. :shifty:
 
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view post Posted on 31/5/2014, 18:59
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CITAZIONE (CMT @ 31/5/2014, 17:47) 
CITAZIONE (Cattivotenente @ 31/5/2014, 17:46) 
Ma come finito? Io non ho nemmeno cominciato a pensare a un embrione d'idea... Ma come cavolo fai?

Colpa di Marco che praticamente mi scrive le specifiche addosso ultimamente. :shifty:

Anche a me. Ma io sto ancora alla seconda pagina!
 
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shanda0611
view post Posted on 31/5/2014, 21:20




Salve a tutti, voglio provarci anch'io, sì, ma per sfidare me stessa.
Vedo il Master come un maestro, appunto, al quale mostrare qualcosa in amicizia.
Mi sono temprata leggendo (anche di magia) e facendo lavori che richiedevano disciplina (ho fatto anche la scrutatrice elettorale: un'immersione nelle regole delle regole e poi ho trovato ispirativo rientrare a casa da sola alle quattro di notte. Ho un'idea per le Specifiche, ma è ancora nella mente).


Grazie per i tre punti. Spero di fare meglio questa volta. La storia ce l'ho. Domani, al lavoro.

Ringrazio anche per il punto in più come commentatrice esterna. Ne parlo a parte perché:
mi ha ispirato una storia: tipo, è il quarto punto che mi ha salvata dal selfie. Io, che non ho cellulari. Al massimo avrei fatto un tema. Magari mettendoci dentro quel che ho letto nella pausa come scrutatrice: ho finito Nemici, una storia d'amore di Singer. Poi, sono passata a qualcosa di giocoso. La biografia dei Beatles. John Lennon mi sta piacendo. E' passato da una fase confusa a essere un artista ispirato. Bello il suo horror stralunato Niente mosche su Frank.
 
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view post Posted on 1/6/2014, 10:27
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Losco Figuro

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A titolo di cronaca, il personaggio che appare nella prima parte, e che corrisponde ai parametri di questo Skannatoio, non è stato creato appositamente, ed è anzi già apparso in precedenza in questo stesso ruolo


L’Occhio di Moriana

I morti camminavano lungo la strada principale, occupandola per intero. Procedevano in una fila tanto ordinata quanto glielo consentiva la loro andatura incerta, conseguenza dei corpi irrigiditi e ormai inadatti alla deambulazione.
Alcuni erano cadaveri recenti, gonfi e violacei ma altrimenti integri, altri poco più che ammassi di carne in putrefazione. Tutti, indistintamente, procedevano verso un’unica direzione, come seguendo un pifferaio invisibile. I pochi viventi che erano rimasti in strada venivano aggirati e ignorati, trattati come parte dell’allestimento stradale. Nulla pareva turbare la macabra processione, almeno fino a quando l’enorme muso di un gatto nero comparve sullo sfondo, prendendo il posto dei palazzi.
«Miwar!» Il detective Stonehand sfiorò la sfera di cristallo sulla propria scrivania e interruppe la riproduzione, lasciando l’immagine ad aleggiare, come congelata, sopra lo strumento. Il gatto vi passò attraverso con passo felpato e vi si sedette davanti.
«Ho provato a chiamarti, ma non rispondevi,» disse il felino in tono superficiale.
Il nano si risistemo sulla sedia. «Hai provato a chiamarmi?»
«In effetti, no. Tanto sapevo che non avresti risposto, perché perdere tempo? Che stavi guardando?»
«Le riprese...»
«...dell’invasione degli zombie di ieri, volevo appunto parlarti di quella», lo interruppe il gatto.
Shim non trattenne un lieve grugnito. Miwar era un buon detective, ma non imparava mai a lasciar parlare la gente, nonostante tutte le volte in cui questa sua abitudine lo aveva messo nei guai.
«Perché ti interessa? Non mi sembra abbia a che fare...»
«...con la sezione furti e rapine? Non in senso stretto, se non fosse che questa mattina è stato denunciato un furto al Museo di Storia della Magia, e penso che i tuoi zombie potrebbero essere stati solo un diversivo.»
Aveva senso. I non morti avevano essenzialmente invaso il centro cittadino senza causare alcun danno, sfilando per le strade come una lugubre parata. Lugubre e innocua, ma aveva dovuto essere mobilitata l’intera centrale per riuscire a sbarazzarsene.
«Cosa...»
«...è stato rubato? Solo un oggetto in effetti, una reliquia chiamata Occhio di Moriana.»
«Ma è...»
«...un oggetto che sembra possa amplificare i poteri dei negromanti, esatto, per questo ho pensato subito che il caso dovesse essere di tua competenza».
«Aspetta un attimo, di mia competenza? Niente caso condiviso?» si stupì il nano. La negromanzia era proibita dal Codice Magico, e questo faceva rientrare la cosa nella sua giurisdizione, ma era alquanto insolito che il gatto non insistesse per partecipare all’indagine.
«No, vedi,» replicò Miwar balzando giù dalla scrivania, «l’invasione in effetti ha causato un’ondata di furti più, per così dire, normali, perciò ho già molti casi per le zampe e, ah, sono un tantino allergico ai negromanti».
Shim non poté che assentire. L’ultima volta che aveva avuto a che fare con la negromanzia ci aveva quasi rimesso una mano, e a stento si era salvato la vita.
Fu sul punto di aggiungere qualcosa, ma il collega era già scivolato via attraverso la porta semiaperta, e si ritrovò a fissare il vuoto.
Sollevò lo sguardo verso il fermo immagine dell’invasione. Sapendo del furto, iniziava ad avere un senso, ma questo non gli dava alcun ulteriore indizio. Era già ovvio che il colpevole fosse un negromante, perciò avrebbe dovuto indagare tra i soliti noti.
La prima cosa da fare, comunque, era un sopralluogo al museo.
Aprì del tutto la porta e face per uscire, ma si ritrovò la strada sbarrata da un paio di gambe in calzoni neri.
«Non ora, D’Run,» disse brusco, senza neanche alzare lo sguardo. L’orco si fece indietro, lisciandosi la giacca.
«Ma, capitano...»
«Detective, e non è davvero il momento», ribadì Shim. L’ultima cosa di cui sentiva il bisogno ora era l’ennesima predica sul perché la negromanzia avrebbe dovuto essere depenalizzata. «Anzi, già che è qui, dove si trovava ieri pomeriggio?»
L’altro esitò. «In che senso?»
«In quanti sensi ci si può trovare da qualche parte?»
«Ero... ma perché le interessa?»
«E lei perché non vuole dirmelo?»
«A casa», disse l’orco d’un fiato.
«Da solo?»
«Da solo. Ora tolgo il disturbo, visto che ha da fare», concluse D’Run voltandosi e imboccando il corridoio.
Questa era una novità, Mog D’Run che se ne andava senza aver insistito fino alla nausea su qualunque cosa avesse avuto da dirgli. Molto sospetto, ma inseguirlo era fuori discussione, non poteva fermarlo senza una buona ragione. Per adesso non c’era molto che potesse fare. Piuttosto, era il caso di andare a controllare la scena del crimine.


Il Museo di Storia della Magia si trovava a pochi passi dal centro di Tejarak città. Era una costruzione tutto sommato sobria, anche se rispettava lo stile dei tempi andati: due soli piani e una pianta molto larga che si estendeva per l’intero isolato.
Shim superò i cordoni della polizia e raggiunse la sala principale, senza soffermarsi a guardare gli oggetti in esposizione e le targhe che ne illustravano la storia. Di fronte a una teca vuota, un elfo in doppiopetto stava discutendo animatamente con un paio di agenti in uniforme. Il nano si fece avanti.
«Detective Stonehand, Dipartimento di Controllo della Magia», si presentò.
«Oh, finalmente!» sbottò l’elfo. «Sarebbe così cortese da dire ai suoi agenti che non posso bloccare l’allestimento del museo in attesa che le indagini siano terminate? Stiamo perdendo già abbastanza così».
Shim rivolse un cenno ai due poliziotti per congedarli. Tecnicamente non erano suoi agenti, appartenevano alla divisione furti e rapine, ma non mossero obiezioni.
«Cercheremo di togliere il disturbo al più presto, il tempo di fare chiarezza sull’accaduto», disse senza promettere nulla di concreto. «Lei è?»
«Milar Selinar, sono il nuovo direttore».
Nuovo, giusto. Shim ricordava vagamente che il precedente era morto in circostanze poco chiare, non molto tempo prima. Le indagini erano ancora in corso, e visti i suoi rapporti con la squadra omicidi era improbabile riuscire a saperne di più. D’altra parte, non c’era motivo perché le cose fossero correlate.
«Che sa dirmi del furto?» domandò.
«Sono stato io ad avvertirvi. Il museo era chiuso, stavamo ancora allestendo la nuova mostra. Io ero qui a finire del lavoro...»
«Lavorava in un giorno festivo?»
«Lo faccio spesso, quando è necessario. Comunque stavo per tornarmene a casa, ma l’uscita per il personale era impraticabile, c’erano zombie ovunque per strada, così ho deciso di provare a passare dalla porta principale, ed è allora che mi sono accorto che l’Occhio era sparito.»
L’elfo parlava in modo affettato e affrettato. Sembrava quasi avesse urgenza di concludere la sua esposizione, forse per tornare a quel lavoro che, per il momento, non poteva portare avanti.
«Non avete un sistema di sicurezza?»
«Naturalmente,» rispose Selinar, dirigendosi verso l’altro lato della stanza, «ma non è scattato. Quando sono andato a verificare, l’ho trovato disattivato». Puntò il dito verso una gemma cristallina che emergeva dalla parete, al cui interno era visibile una vaga luminosità verdognola.
«Chi poteva spegnerlo?»
«I guardiani, e io ovviamente, ma non ne avevo bisogno per entrare e uscire, sono già stato riconosciuto».
«E il suo vice?»
«Anche lui certo, ma non da dove si trova ora.»
«Perché, dove si trova?»
«In giro per il mondo a recuperare gli ultimi oggetti dell’esposizione. È materiale delicato, non è opportuno farlo transitare attraverso un portale.»
Shim annuì, più di riflesso che per confermare le parole dell’elfo. «Che sa dirmi dell’Occhio di Moriana?»
«È una delle poche reliquie rimaste precedenti l’Epurazione, sarebbe stato il pezzo forte dell’esposizione.»
«Vale molto?»
«Materialmente no, è semplice ossidiana. Ma per un collezionista, certo, moltissimo. E, immagino, anche per un negromante, se quel che si dice sul suo conto è vero.»
«E lo è?»
L’elfo alzò lo sguardo al soffitto. «Tenente, il mio campo è la storia della magia, il lato pratico non mi riguarda. L’Occhio è importante per il periodo che rappresenta, non mi interessa se funzioni o meno».
«Detective», lo corresse Shim, voltandosi verso l’uscita. «Resti a disposizione, faremo tutto il possibile per recuperare l’Occhio al più presto».
«Lo spero bene, lei non ha idea dei danni che...» ma il nano si perse il resto della frase, avendo ormai superato la porta.
«Scoperto qualcosa?» domandò agli agenti che erano rimasti davanti all’ingresso.
«Niente di utile», gli rispose uno dei due.
«Nessuna traccia?»
«Troppe. La teca deve essere stata maneggiata da tutto il personale del museo, le tracce residue sono troppo confuse e sovrapposte.»
«Capisco,» sospirò il nano, «continuate con le rilevazioni, vi farò dare il cambio dalla mia squadra appena possibile», concluse, e si avviò lungo le scale che portavano in strada.
Le faccende legate alla negromanzia lo mettevano a disagio, e le sue conoscenze pratiche della materia erano insufficienti a farsi un’idea di cosa cercare. Avrebbe avuto bisogno di parlare con qualcuno che ne sapesse di più e fosse disposto a collaborare. Aveva anche una persona ben precisa in mente, ma nessuna idea di come contattarla. Non era esattamente qualcuno che facesse affidamento sui cristalli di comunicazione.
Era così assorto nelle sue elucubrazioni, che neppure si avvide della carrozza parcheggiata a un lato della strada fino a quando non le passò proprio accanto.
«Detective, quale lieta coincidenza imbattermi proprio in lei». La voce suadente e dall’accento nobiliare che provenne dall’interno del mezzo era inconfondibile, ma del resto non potevano esserci dubbi su chi andasse in giro in carrozza per le vie della città.
«Madame Blanchard», salutò lui, ricordandosi il titolo che la donna preferiva.
«Non è necessario essere così formale, detective, dopo ciò che abbiamo condiviso può sentirsi autorizzato a chiamarmi Vivienne».
«Rischiare di essere entrambi uccisi da un folle non è la mia idea di condivisione», borbottò il nano. «Cosa la porta da queste parti?»
«Stavo recandomi alla stazione di polizia. Avevo l’impressione che prima o poi mi avrebbe cercata, ed ho pensato che fosse opportuno risparmiarle il tedio. Vuole salire?»
Shim roteò gli occhi mentre la porta del mezzo si apriva, poi si arrampicò all’interno. Come sempre, la donna era fasciata in abiti neri come i suoi lunghi capelli, che facevano risaltare la sua carnagione pallida. Una grossa spilla all’altezza della gola reggeva quello che di sicuro era un lungo mantello, raccolto sul sedile dietro di lei.
Al suo fianco stava un individuo sconosciuto, alto e pallido e dai lineamenti scavati, che non si voltò neppure a guardarlo.
«Ha scoperto qualcosa di interessante?» gli chiese la donna.
«Meno di quanto potrà dirmi lei, immagino.»
«Lei mi lusinga, detective. Non so davvero immaginare se le informazioni di cui dispongo potranno esserle di una qualsivoglia utilità».
«Mettiamole alla prova. Immagino che sappia cosa è successo.»
«Si riferisce alla malaugurata esibizione di cadaveri deambulanti? Oh, ma certo che no, chiunque ne sarebbe al corrente, perciò presumo voglia riferirsi alla sparizione dell’Occhio di Moriana.»
Shim non disse nulla, la capacità di quella donna di accedere alle informazioni aveva smesso di stupirlo.
«Un’occorrenza quanto mai sfortunata,» proseguì lei, «non ne conviene? Un tale strumento nelle mani sbagliate potrebbe rappresentare un serio problema».
«Dunque lei pensa che le leggende sul suo conto siano vere.»
«Oh, detective, io so che sono vere. L’Occhio è appartenuto alla mia famiglia per generazioni, prima di andare perduto durante un malaugurato evento».
Il nano inarcò un sopracciglio, domandandosi se gli stesse passando quell’informazione di proposito per evitare che fosse lui a scoprirla, e dunque apparire innocente.
«Tuttavia,» aggiunse lei, «se avessi desiderato tornarne in possesso, avrei tentato di ricomprarlo, dispongo di mezzi sufficienti».
«E anche di potere sufficiente a mettere su uno spettacolo come quello di ieri», mormorò Shim.
«Oh, per carità, detective!» La donna arricciò il naso come se fosse stata investita da una zaffata di cattivo odore. «Gli zombie sono talmente volgari, non penserà davvero che mi abbasserei ad evocarne. E poi, sa bene che utilizzare la negromanzia senza una licenza sarebbe contro la legge».
Il nano ignorò l’ultimo commento. A onor del vero non aveva mai avuto prove che Vivienne avesse infranto la legge contro la negromanzia, se non l’unica volta che l’aveva fatto in sua presenza per salvare la vita a entrambi, e di certo non l’avrebbe mai incriminata per quello.
«Ma deve essere necessario un elevato livello di potere per evocarne così tanti, comunque».
«Renderebbe le cose più semplici, certamente, ma non lo definirei necessario. È possibile utilizzare un rituale alla portata di qualunque negromante che possieda un minimo di esperienza».
«Qualunque?»
«Certamente, detective. A condizione di potersi permettere il necessario».
«Che sarebbe?»
«Oh, per lo più ingredienti facilmente reperibili, con la sola eccezione del cuore di ghoul».
Shim non riuscì a trattenere un’espressione di disgusto.
«Non un cuore in senso letterale,» precisò lei, agitando una mano come ad allontanare l’idea, «si tratta di un’erba adoperata comunemente in alcune pratiche della negromanzia».
«Ed è difficile da trovare?»
«Non esattamente. Nelle quantità necessarie, tuttavia, richiederebbe molto denaro e un negozio ben fornito.»
Shim annuì appena e allungò la mano verso la portiera. «Grazie».
«Oh, non sia sciocco, detective,» lo apostrofò lei con un’altra sventagliata della mano, «non occorre che percorra la strada a piedi.» Bussò sul legno della carrozza, di fronte al sedile. «Ashton, portaci al Death Do Us Parts».
Il nano inarcò un sopracciglio e si lasciò andare sul sedile. Troppa collaborazione tendeva a renderlo sospettoso.

La carrozza percorse le vie della città, inoltrandosi anche in vicoli che si sarebbero detti troppo stretti a una prima occhiata. Di questi tempi non si poteva certo considerare un mezzo di locomozione veloce, ma Shim la trovò ben più gradevole dei vari veicoli volanti ai quali riteneva che non si sarebbe mai abituato.
Il vicolo che dava accesso alla loro destinazione, comunque, si rivelò davvero troppo stretto, e il nano fu costretto a scendere per poterlo imboccare.
Si guardò indietro, aspettandosi di essere seguito, ma dall’interno della carrozza non giungeva alcun movimento. Di riflesso, e senza un reale bisogno, alzò gli occhi al cielo. Il sole era ancora ben visibile, niente di strano che Vivienne volesse restarsene al sicuro nel buio dietro le sue tende scure.
Senza perdere tempo ulteriore, Shim si diresse verso il negozietto dai vetri neri, ornato di mercanzie esoteriche che lo facevano assomigliare all’incrocio tra un bazar e una polleria. Superò la scritta tracciata in un pessimo finto sangue che lo identificava e aprì la porta, venendo quasi aggredito dal proprietario non appena ebbe messo piede all’interno.
«Detective Stonehand, non può seriamente pensare che io sia coinvolto nel furto al museo!» gli sibilò contro l’ometto segaligno, dagli occhi in perpetuo movimento.
«Non lo pensavo fino a un attimo fa», ribatté lui.
«O con gli zombie, non c’entro nulla neppure con gli zombie», proseguì l’uomo come se non l’avesse neppure sentito.
«Ma saprebbe come evocarli», affermò il nano.
«Lo saprei, certo, ma non vuol dire che l’abbia fatto. Lei sa come sparare alla gente, ma non significa che spari a chiunque incontra».
«Se non me ne danno ragione...»
«Esatto, deve avere una ragione», proseguì l’uomo, ignorando del tutto il sarcasmo, «giusto, non basta saper fare una cosa per farla, quindi non capisco perché lei pensi che io possa aver invaso la città con degli zombie».
Shim sospirò. «Ricominciamo daccapo. Qualcuno è venuto a comprare un grosso quantitativo di cuore di ghoul, di recente?»
L’uomo rizzò la schiena, si torse le mani. «Per evocare gli zombie, certo!»
«Sì?» domandò il detective, stupito.
«Sì! No! Voglio dire, serve per evocare gli zombie, ma non solo per quello, non è detto che...»
«Sì, lo so, ma qualcuno ne ha comprato?»
«È... possibile.»
«Posso dare un’occhiata ai registri?» domandò lui dopo un altro sospiro.
L’uomo si chinò sotto il bancone e ne emerse un istante dopo con un massiccio volume rilegato in pelle, che poggiò sul piano davanti a sé. Shim gli rivolse un’occhiataccia, ma evitò di domandargli perché avesse ancora registri compilati a mano, onde evitare un’altra serie di giustificazioni preventive.
Tirò giù il tomo, poggiandolo sul pavimento in mancanza di una soluzione migliore, e lo scorse in cerca delle ultime pagine compilate, per poi iniziare a sfogliarle al contrario. L’unica menzione recente di cuore di ghoul in grande quantità era accanto a un nome che conosceva molto bene.
«Dove si trovava ieri pomeriggio?» domandò alzandosi, mentre iniziava a raffigurarsi il suo prossimo interrogatorio, sperando di non doverci arrivare.
«Lo sapevo che me l’avrebbe chiesto», strepitò l’uomo.
«E quindi?»
«Ero qui in negozio, e sì, lo so che era chiuso, era festa, ma stavo facendo l’inventario, devo approfittare delle feste per farlo, o i clienti non mi permetterebbero di lavorarci».
Shim si guardò intorno domandandosi di quali clienti parlasse, ma evitò di commentare. «Da solo?» chiese.
«Da solo, certo, con chi altri avrei dovuto essere? Ha idea di quanto costi assumere qualcuno al giorno d’oggi? Non posso certo permettermelo, non con tutte le restrizioni sulle vendite che applicate!»
«Quindi l’Occhio di Moriana sarebbe molto utile...» suggerì il detective.
«E per farci cosa? Non sono un negromante io!»
La risposta sorprese Shim al punto da distoglierlo dal filo dei suoi pensieri. «Ma... ha una licenza per la negromanzia».
«Mi serve per gli affari, e per accedere ai corsi di aggiornamento, ma non la pratico, è per poter vendere.»
«Appunto, l’Occhio sarebbe un’ottima vendita, dico bene?»
«No, no, troppo rischioso, troppo riconoscibile, e poi non saprei a chi venderlo.»
Shim inarcò un sopracciglio. Non credeva davvero che Lacken avrebbe corso un simile rischio, ma l’ultima affermazione aveva dell’incredibile. «No? Con tutti i negromanti che vengono qui?»
«Se vengono qui hanno una licenza, sanno che non gli venderei niente senza una licenza, quindi vengono qui perché rispettano la legge».
«O perché non ci sono altri fornitori in città.»
«Anche, sì, anche, ma soprattutto perché non sono criminali.»
Il nano decise di lasciar perdere, quella conversazione non lo avrebbe portato da nessuna parte. Si chinò a raccogliere il registro per restituirlo, e l’occhio gli cadde su un nome che aveva già sentito.
«Milar Selinar... non è il nuovo direttore del museo?»
«Non saprei. Non lo conosco. Perché dovrei conoscerlo?»
«Perché è scritto qui,» sbuffò il nano, issando il volume sopra il bancone. «Gli ha venduto un libro».
«Può darsi, certo, se c’è scritto,» l’uomo guardò l’annotazione, seguendo la scrittura con un dito, «un volume sulla storia delle arti negromantiche, è legale, non occorre una licenza per comprarlo».
«Ne sono certo. È un libro raro?»
«No, no, per nulla, l’ho comprato in stock, se vuole le mostro la ricevuta».
«No, grazie», rispose il nano alzando le mani e voltandosi verso l’uscita. Doveva vedere una persona, ma poi avrebbe dovuto tornare al museo; era curioso di capire perché il direttore fosse andato proprio lì a cercare quel libro, e cosa avesse di così interessante.
La carrozza di Vivienne Blanchard era ancora fuori, e la donna non fece una piega quando le chiese di accompagnarlo verso la tappa successiva.
Quando raggiunsero la clinica Elmond, la più rinomata della città, Shim scese senza guardarsi indietro, entrò e andò dritto al banco della reception.
«La dottoressa è...» lo accolse la segretaria, interrompendosi quando la porta dello studio di Grace Elmond, la proprietaria, si aprì. Disse dell’altro dopo, ma Shim non la sentì, distratto dalla scena di un orco in giacca e cravatta che si chinava per uscire dalla porta.
Non appena Mog D’Run lo vide, chinò il capo e accelerò, passandogli accanto senza dargli il tempo di dire nulla. Il nano si voltò appena in tempo per vederlo sparire oltre l’ingresso.
«Suppongo cercasse me, Stonehand.»
Si voltò di nuovo. Sulla porta era apparsa la dottoressa Elmond in persona, in camice bianco e con la solita espressione seccata, intenta a sciogliersi i capelli biondi con una mano.
«Che voleva da lei quell’orco?» le chiese avvicinandosi.
Lei sbuffò. «Soldi, come sempre. Continua a chiedermi di sponsorizzare la sua causa per i diritti dei negromanti».
«E la cosa non le interessa?»
«Perché dovrebbe?» ribatté lei, voltandogli le spalle e tornando nella stanza senza neanche invitarlo a seguirla. «Io ho faticato per ottenere la mia licenza, che lo facciano anche loro, invece di intasare le strade coi loro cortei e impedire alla gente di lavorare.»
«Intasare le strade,» mormorò il nano tra sé, andandole dietro. «A questo proposito, cosa sa dirmi dell’invasione di zombie di ieri pomeriggio?»
«E cosa vuole che possa saperne? Ho altro da fare che occuparmi di certe cose. È il suo mestiere, non il mio.»
«Non mi sembra poi così impegnata...»
«Si risparmi le insinuazioni. Sa bene che quella faccenda del falso guaritore ha fatto calare i miei affari, ma sa anche benissimo chi è che l’ha risolta, e come sarebbe finita se non fosse stato per me e quella sua amica.»
Amanda, certo. Perché prima o poi tutto doveva finire per girare attorno ad Amanda?
«E comunque,» proseguì lei, «non vedo perché avrei dovuto mettermi a giocare con degli zombie».
«Però ha acquistato una partita di cuore di ghoul di recente.»
La donna spalancò gli occhi. «E con questo? Mi serve per lavoro! Non so se essere più offesa dalla sua accusa o dal fatto che ritenga che avrei bisogno di quella roba per animare qualche cadavere!»
«”Qualche” è riduttivo,» continuò lui imperterrito.
«Lei mi sottovaluta, Stonehand. Vuole che le dia una dimostrazione pratica?»
«Sta dicendo che sarebbe in grado di ripetere un’invasione come quella di ieri?»
«Lo intenda come vuole, ma mi lasci lavorare se non ha intenzione di arrestarmi.»
Shim la guardò. C’era qualcosa in lei che non lo convinceva del tutto, ma non aveva motivi fondati per crederla colpevole, ancora. E poi c’era un altro dettaglio che doveva verificare.
Si congedò e tornò in strada.
Nella penombra del crepuscolo, la carrozza passava quasi inosservata, ma non si era mossa da dove l’aveva lasciata.
Questa volta, Vivienne si azzardò a mostrare il volto quando gli aprì.
«Sa, detective, ho notato una cosa che potrebbe ritenere interessante. L’orco che ha lasciato l’edificio poco dopo il suo ingresso, mi perdoni il termine volgare, puzzava».
Shim alzò lo sguardo verso il volto di lei, ma non vi trovò niente che facesse sospettare una presa in giro. «Anche se fosse, perché dovrebbe riguardarmi?» domandò. Fino a prova contraria, il dipartimento non si occupava dell’igiene degli orchi.
«Perché puzzava in un modo ben determinato, come qualcuno che fosse stato a stretto e prolungato contatto con del cuore di ghoul».
Il nano trasalì. «Non poteva dirlo subito? Ha visto dove è andato?»
«No, ma con la scia che emana ritengo non ci siano particolari difficoltà a seguirlo, lei permette?»
Allungò la mano con un gesto fluido, e Shim si ritrovò a porgerle il braccio per aiutarla a scendere. Mentre lei apriva un parasole bordato di pizzo nero, l’altro occupante della carrozza scese a sua volta, e le si accodò quando iniziò a camminare lungo la strada. Il nano si affrettò a seguirli.
C’era di sicuro qualcosa di strano in D’Run, e un suo coinvolgimento nella faccenda non gli appariva così improbabile. D’altra parte, non gli aveva mai dato l’idea di poter commettere un furto – era un disturbatore più che un vero criminale – e l’unica prova su di lui al momento era un odore che solo Vivienne aveva percepito. La donna si era dimostrata molto utile in passato, ma continuava a non fidarsi del tutto di lei. Per quanto ne sapeva, potevano essere diretti ovunque, anche verso una trappola mortale, per improbabile che fosse: lei non ne avrebbe avuto alcun bisogno, se avesse voluto ucciderlo.
Dovette ricredersi quando scorse D’Run uscire da un vicolo con aria furtiva, reggendo un sacchetto di carta tra le mani.
La donna stava continuando ad avanzare verso di lui, e dovette accelerare per pararsi davanti a lei e fermarla.
«Piano,» le sussurrò a voce quasi inudibile, sicuro che l’avrebbe sentito comunque, «vediamo dove sta andando». Poi alzò lo sguardo verso lo spettrale individuo che non si era allontanato da loro di un solo passo. «Ma dobbiamo per forza portarci dietro anche lui?»
«Non si preoccupi, detective, è un fidato servitore. Guardi, l’orco si allontana.»
Era vero, e chi dovesse o non dovesse partecipare al pedinamento passò in secondo piano.
Mentre si affrettava per tenere il passo degli altri due, che dal canto loro non sembravano avere alcun problema a confrontarsi con le falcate dell’orco, Shim prese dalla tasca il suo cristallo di comunicazione e inviò telepaticamente una richiesta di rinforzi alla centrale, aspettandosi il peggio.
Fu quando vide dove l’orco si stava dirigendo, che capì che non sarebbero mai arrivati in tempo: stava per entrare nel night club dei Dvoran.
«Maledizione, devo fermarlo!» esclamò, sfilandosi dalla cintura la bacchetta d’ordinanza. Non sarebbe arrivato a portata di tiro per tempo, e lo sapeva, ma doveva provarci.
«Tranquillo, detective», lo apostrofò Vivienne, mettendogli una mano sulla spalla che gli impedì di lanciarsi verso il suo obiettivo. «Gusthar».
Shim ebbe a stento il tempo di chiedere «Che...?» prima di udire un fruscio e uno spostamento d’aria. Poi, in qualche modo, l’uomo magro e pallido si trovava dietro D’Run, e lo teneva fermo, con un braccio piegato dietro la schiena, apparentemente senza sforzo, nonostante questi fosse alto un terzo più di lui e largo il triplo.

«Allora, come sei finito in affari con i Dvoran?» domandò Shim quando ebbero portato l’orco a distanza di sicurezza dal night club.
I Dvoran erano tra i peggiori criminali della regione, ma non c’erano mai state prove per incastrarli per le loro attività di strozzinaggio e ricettazione. Ufficialmente, gestivano alcuni locali in città, in un’assoluta parvenza di legalità. Di fronte alla possibilità di trovare qualcuno che testimoniasse contro di loro, il furto della reliquia diventava di secondaria importanza.
«Lei non capisce,» protestò D’Run, «deve lasciarmi andare o... non so cosa potrebbero farmi».
«Rispondi alla domanda e vedremo che posso fare,» lo incalzò lui, tranquillo.
«Non sono in affari con loro è solo che... avevo bisogno di soldi...»
«Per comprare il cuore di ghoul, indubbiamente», si intromise Vivienne. Shim la guardò storto, ma non disse nulla.
«E va bene, sì, lo ammetto... per convincere il negoziante a vendermelo senza licenza ho dovuto pagarlo il triplo, ma non avevo abbastanza denaro per farlo...»
Shim si annotò mentalmente di dover fare un’altra visitina a Lacken. «Quindi sei stato tu a evocare gli zombie».
«Sì, volevo dimostrare che non sono necessariamente pericolosi, che i negromanti possono essere innocui. Stamattina l’avrei detto in una conferenza stampa, ero venuto a dirglielo...»
Shim lo interruppe. «E già che c’eri ne hai approfittato, pensando di poter saldare il debito con...» gli strappò di mano il sacchetto e ci guardò dentro, sgranò gli occhi, «... dei cioccolatini?»
«Quando sono nervoso mangio cioccolata», si giustificò l’orco.
«Che ne hai fatto dell’Occhio di Moriana?»
«Niente, non sono stato io a prenderlo. Stamattina, quando ho capito che durante la parata era successo qualcosa, ho pensato che se avessi parlato sarei stato accusato anche di quello, per questo sono andato via. Ma non so nulla di nessun occhio, sul serio».
Per qualche ragione, al detective la cosa sembrava credibile. Se non altro perché, avendo l’Occhio, l’orco non sarebbe andato allo sbaraglio armato di dolci.
«E quindi pensavi di risolvere la faccenda offrendogli questi?» domandò restituendogli il sacchetto.
«No, stavo... andando a trattare per recuperare tempo. Quando ho preso i soldi, pensavo che con la pubblicità degli zombie avrei trovato dei nuovi sponsor per l’associazione, ma non potendo dire nulla... Volevo che aspettassero finché non si fosse risolta l’altra faccenda, qualunque cosa fosse».
La storia stava in piedi, ma gli serviva a poco. Arrestare D’Run per un reato minore non lo avrebbe aiutato a ritrovare la reliquia, e meno che mai a incastrare i Dvoran.
«E poi,» proseguì l’orco, che ormai aveva preso il via, «ho tentato anche con la dottoressa Elmond, ma non c’è stato verso, e quando ho visto che lei era lì pensavo mi stesse cercando, e se fossi finito in carcere niente più sponsor e... capitano, la prego, non voglio fare la fine di quel poveretto!»
«Det... che poveretto?»
«Tizio, coso, il vecchio direttore del museo.»
«E adesso lui che c’entra?»
«Non lo so, è che quando sono venuto qui a chiedere il prestito... be’, ho visto che lo trascinavano fuori dal locale... e sa com’è finita... fortuna che non mi hanno notato.»
«Un attimo, un attimo, chi lo trascinava fuori dal locale?»
«Due buttafuori. E un elfo.»

Mentre affrontava la scalinata, Shim non riusciva a non sentirsi un tantino a disagio nell’avere al seguito un orco in abiti formali, una donna ammantata, con in mano un parasole che non aveva ragion d’essere, e un uomo scheletrico e silenzioso che aveva fermato l’orco di cui sopra a mani nude, ma cercava di sembrare comunque sicuro di sé.
Superato il portone principale, ancora aperto, con un cenno di saluto agli agenti del suo dipartimento che avevano preso lo stabile in consegna, si fece indicare l’ufficio del direttore e vi si recò a passo spedito, spalancando la porta senza bussare.
Selinar, seduto alla scrivania, alzò lo sguardo verso di lui, con un’espressione di sorpresa sul volto.
«Ma cosa...? Che bisogno c’è di fare irruzione in questo modo?»
Il nano non lo degnò di risposta. Si voltò e guardò in alto verso l’orco, rivolgendogli una muta domanda. D’Run si chinò per guardare nell’ufficio e annuì con convinzione.
«In che rapporti è con i Dvoran, direttore?» chiese allora il nano.
«Di che parla? Io non...»
«Deve loro dei soldi? O è semplicemente loro complice? Ha partecipato all’omicidio del suo predecessore?»
«Non tollero queste accuse!» ruggì l’elfo poggiando le mani sul piano della scrivania e scattando in piedi.
«Mi faccia causa. Dopo che sarà stato processato per furto e complicità in omicidio. Devo dire che è stato un tocco di classe sottolineare che lei era in grado di superare l’allarme senza problemi, rendendolo troppo ovvio perché si pensasse che era proprio quello che aveva fatto.»
«Non può dimostrare nulla di tutto ciò.»
«Posso se ho un testimone. Farsi vedere in compagnia di certe persone è poco consigliabile, ancor meno se si è l’unico a sapere cosa hanno fatto. Proprio ora, una squadra di agenti sta arrestando Mikel Dvoran e famiglia, assicurandosi che sappiano che qualcuno ha assistito all’omicidio del precedente direttore. Le conviene confessare, Selinar, o potrebbero pensare che quel qualcuno è lei.»
L’elfo lo fissò con uno sguardo di sfida, senza dire nulla. Si voltò a destra, a sinistra, poi scattò all’improvviso verso la parete alle sue spalle, lanciandosi con un movimento fluido oltre la finestra che dava sulla strada.
Shim non fece un solo passo. Si limitò a voltarsi verso i suoi accompagnatori.
Vivienne abbassò la testa e increspò le labbra nell’ombra di un sorriso.
«Gusthar», sussurrò.
 
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view post Posted on 1/6/2014, 12:02
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Uh... che figata il detective Stonehead!

Indovina un po' chi ci sarà nel mio racconto?

Bravo: il detective Stonehead!

Per la cronaca: tempo fa scrissi un racconto ambientato nell'universo di CMT, inserendoci, tra gli altri, Stonehead. Per motivi vari, ho dovuto rivedere l'ambientazione per staccare i miei racconti dal suo mondo, ma ho deciso di lasciare il detective Stonehead come citazione.
 
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shanda0611
view post Posted on 1/6/2014, 13:56




IL FERMACARTE
Di Alexandra Fischer
La piccola pantera di legno color nocciola se ne stava acquattata sullo scrittoio in attesa di spiccare il balzo su una preda che poteva vedere soltanto lei.
Alla destra della predatrice dalle zanne scoperte fino alle gengive, c’era un telefono di bachelite nera con il filo staccato, alla sinistra un calamaio con un pennino e un foglio di carta ingiallita che mandava odore di sottobosco.
Come e perché quegli oggetti fossero rimasti lì negli anni senza che nessuno avesse mai pensato a metterci le mani, rimane un mistero anche per me.
Io vengo da parte dei Moskanthal e dovrei sgomberare quello che era il vecchio ufficio di Leev.
Invece, non posso farlo.
Ci ho riprovato, questa è la terza volta in due settimane; entro nello studio con il mio scatolone, ma qualcosa mi blocca.
La pantera mi gela con il suo sguardo famelico e io mi sento inerme.
A quel punto devo proprio uscire dallo studiolo e consolarmi con il pensiero che il resto della casa è sgombero, come vogliono quelli della Sauber Haus.
Chi l’avrebbe detto, che sarebbero arrivati anche qui?
Eppure, ci sono riusciti grazie alla Rete: sanno cosa è rimasto dell’epoca dell’anteguerra e vogliono mandarlo all’inceneritore cittadino, affinché la gente possa di nuovo dormire.
Io non credo che la colpa sia delle poche Scatole del Tempo rimaste a documentare un periodo che trovo stranamente rassicurante.
Così torno indietro, dopo aver chiuso la porta con molta circospezione.
L’ultima volta che ho provato a mettere via qualcosa nello scatolone, ho sentito dei passettini legnosi dietro di me e anche un ringhio simile a quello che potrebbe emettere una grossa belva chiusa in un armadio.
E non mi si dica che le impronte che ho visto sulla scrivania polverosa sono quelle di un topo, perché so riconoscere la differenza.
La pantera mi ha seguito una volta, mettendomi in guardia dal mancare di rispetto ai beni del padrone defunto e io non voglio sfidarne la collera ancora.
Anche un fermacarte può essere pericoloso e quello di uno come Leev Moskanthal lo è in modo particolare.
Nessuno sa di preciso cosa avvenne di lui, quando la guerra scoppiò e la sorte della sua razza era segnata già allora, ma non era il tipo che scompare e basta.
Io so solo che i suoi schedari erano zeppi di materiale: vendeva liquori di ogni tipo e la gente li prediligeva in modo particolare.
Sull’armadietto ci sono ancora dei campioni di quelle passate delizie, ormai divenute imbevibili.
Ne indovino le tinte viola scuro e blu azulene e adoro le etichette, ispirate alla pantera che vedo sullo scrittoio.
Leev era anche un artista, amava realizzare lui stesso le etichette dei liquori che produceva e vendeva.
E io, quando contemplo troppo a lungo una di quelle etichette, provo la sensazione di perdermi lungo un sentiero fitto di boscaglia riarsa dove sento un ringhio cupo e un gnaulio famelico.
La mia attenzione è distolta dal richiamo del mio collega Oskaar, il quale sbraita contro di me.

2

Io, che sono il fermacarte di Leev Moskanthal, mi sento ancora come quando venivano i clienti e mi spostavano per gioco, quando lui aggiornava i registri contabili oppure consegnava loro le bottiglie che avevano ordinato.
Provavo molto fastidio sotto le loro dita, visto che mi trasmettevano tutta la loro superficialità.
Vedevano la mia apparenza, non la sostanza.
Per la verità, io sono una predatrice viva e vegeta, chiusa in un sarcofago di legno.
Davanti a me, c’è l’armadio con i registri e la campionatura, sì, so pensare come un essere umano, merito della mia vita con Leev.
Grazie a lui, ho imparato molte cose nuove e ho continuato la mia vita da pantera.
La mia specie è assetata di sangue e carne, ma io, dal mio punto di vista, ho acquisito anche quella delle anime.
Mi piace l’idea di dilaniare quelle dei curiosi che vengono qui cercando di derubare il mio padrone.
L’ultima in ordine di tempo, tuttavia, la trovo troppo interessante per procedere al solito gioco di appostamento e attacco a sorpresa.
La osservo, curiosa, visto che anche nel suo caso l’apparenza è ingannevole.
A prima vista, si direbbe quella di un giovane.
Difatti, l’ho sentito chiamare Angel dai suoi colleghi.
In realtà, è di Angela che si tratta.
Lui non può ricordare la sua vita precedente per intero, ma io sì.
Era una ragazza graziosa, una volta.
Mi piaceva la sua crocchia tenuta insieme da mollette e trovavo che le donasse molto il grembiule nero.
Lavorava qui come segretaria di Leev, prima che cominciassero le telefonate.
Da allora, sentii predominare la paura.
Non credevo che anche gli esseri umani potessero vivere come la mia razza dai lunghi artigli, ma è così.
Alcuni di loro sono la mia versione fatta e finita, nascondono molto bene la ferocia facendo le fusa, per poi usarla quando le prede non possono più difendersi.
Io non voglio che Angela ricordi quello che è successo qui dentro, perché impazzirebbe e allora gente meno scrupolosa verrebbe qui e mi porterebbe via.
Cosa inaccettabile, per me, visto che sullo scrittoio sto così bene, perché posso rievocare il passato a piacimento.
A volte, lascio vagare la mente e immagino di vagare ancora nella boscaglia in cerca di preda.
Io stessa ho ispirato a Leev le sue etichette, trasmettendogli le sensazioni che provavo quando occupavo ancora un corpo vivo e pulsante.
Non sono morta del tutto, perché vivevo nella mente dell’illustratore che mi raffigurò nel suo libro.
Ricordo ancora che si paragonava a un certo Pigafetta e confrontava la sua opera con quella intitolata il Regno del Congo.
Vagare nella sua mente mi piaceva, perché mi sentivo meno sola, una volta che i cacciatori mi ebbero strappata via dal mio corpo.
Poi, amai molto entrare in quella dello scultore che fece di me il fermacarte che giunse fino a Leev.
Di cosa sapevano le loro anime, che straziai quando terminarono i miei ritratti?
Di sangue e sole, ne sono sicura.
Perché non feci lo stesso con quella di Leev?
Lo dico subito, era un procacciatore di spiriti superficiali e gustosi come carne grassa.
Quanto ad Angela, ebbene, morì qui dentro, per avere coperto la fuga del padrone.
Vennero qui dei figuri e la interrogarono, ma lei non sapeva proprio cosa ne fosse stato, di Leev.
Quella sera, temetti per me stessa, quando il manrovescio del figuro più robusto si abbatté su di lei come il maglio del macellaio.
Povera ragazza, cadde e batté la tempia contro lo spigolo dello scrittoio, facendomi sobbalzare, quasi fossi stata in grado di balzare addosso agli aggressori; ma non ne avevo né le dimensioni né la forza.
Soltanto il mio spirito aveva ringhiato contro di loro e i miei occhi di legno si erano impressi le loro immagini per l’eternità.
In seguito, straziai le loro anime con appostamenti notturni, perché se anche ero irrigidita in una scultura legnosa, il mio spirito era rimasto agile e letale.
Le divorai con rabbia e posso dire con certezza che avevano un sapore affumicato, anche troppo, tanto che non le terminai tutte.
Qualcuna si reincarnò, come è successo a quella di Angela e ho visto con raccapriccio che è venuta di nuovo a casa di Leev.
Ufficialmente, con l’intento di sgomberare le stanze per conto della famiglia di Leev, in realtà, con l’intento di cancellare le prove del delitto.
Furono molto efficienti nel portare via il cadavere di Angela.
Niente sangue sul pavimento.
Ma è rimasto l’angolo scheggiato dello scrittoio e c’è una macchiolina rossa che non vuole sapere di andarsene via.
Io non voglio che Angel tocchi quell’angolo, perché ricorderebbe tutto di quella sera e reagirebbe con una ferocia peggiore della mia.
Ho visto troppi lampi di riconoscimento nei suoi occhi, mentre girava in questa stanza e so per certo che Angela è nascosta nella sua mente e sta cercando il modo per uscire fuori e vendicarsi del suo carnefice; un momento, sento delle voci venire dalla veranda che si trova qui fuori.
A quanto pare, neppure il mio tentativo dissuasorio di oggi è servito a molto.
Angel e il collega sono determinati a rientrare nell’ufficio e fare quello che la Sauber Haus ha ordinato loro per conto della famiglia Moskanthal.
Non posso irrigidirmi più di così e sono fin troppo acquattata sullo scrittoio.
Vorrei poter entrare nella mente di Angel e dirgli di inventarsi qualcosa per distogliere l’attenzione del collega da questo posto.
Come fare?
Non posso scoprirmi troppo, altrimenti metterebbe insieme tutti gli indizi che già gli si affollano nella mente e ritroverebbe la sua vita precedente, finendo nella follia.
Posso solo trasmettere la paura alla mano estranea che sta armeggiando con la porta.
Il bruto crede che sia l’umidità renderla tanto difficile da aprire, ma è il mio spirito a farlo; la sto tenendo chiusa con la stessa forza che avevo quando possedevo ancora un corpo.
E le mani dell’energumeno mi appaiono familiari: grosse, da picchiatore, allora gli apro.

3

- Avanti, idiota, non vedi che si è aperta? – scattò Oskaar.
Angel lo seguì, scatolone alla mano e un senso di delusione che lo tormentava.
Non era così che doveva finire.
Gli sembrava di profanare un luogo divenuto simile a un cimitero.
Cose morte vi stavano continuando una non esistenza crepuscolare.
Ne avvertiva la presenza.
Una era di certo la pantera, ma non era sola.
Sembrava a guardia di qualcos’altro, che non riusciva a identificare, ma c’era.
Dove si annidava?
Fra gli schedari polverosi, oppure era chiuso in qualche bottiglia campione?
Non lo sapeva, ma l’idea di mettere gli oggetti di quella stanza nello scatolone lo straziava.
Lo disse a Oskaar.
L’omaccione lo spinse nell’ufficio.
- Vai, ora – gli gridò contro – non sia mai che deludiamo un cliente.
- Io non credo…- si giustificò Angel.
Oskaar gli fece un gesto osceno e si precipitò verso lo scrittoio.
C’erano un paio di cassetti chiusi, che lui forzò facendo sobbalzare la pantera.
- No – si oppose Angel – non così.
- Come? – lo rimbeccò Oskaar beffardo, mentre li richiudeva con mano altrettanto pesante.
- Tanto non c’era nulla – gli disse – così farò prima a portarlo fuori.
Angel si sentì morire a quella prospettiva.
Gli venne lo strano scrupolo di assicurarsi che la pantera non patisse altro.
Quei colpi non dovevano certo averle fatto bene.
La sua mano si tese verso la piccola scultura, ma Oskaar la fermò con un colpo di taglio.
- Io ti rompo le ossa – gli urlò – pensa piuttosto all’armadio dell’archivio. La Sauber Haus ci paga per gli sgombri, non per giocare ai periti d’arte.
L’uomo più magro si allontanò massaggiandosi l’arto, ma senza perdere di vista la pantera.
- Lasciamela prendere – gli domandò di nuovo.
- Come mai ti interessa tanto? – si incuriosì malignamente il bruto.
Angel tacque.
Le grida, il colpo alla mano, gli sembravano appartenere a un ricordo familiare.
Qualcosa gli arrivò sulla testa.
Sulle prime si era spaventato credendo che la pantera si fosse animata per davvero, poi, quando si fu riavuto per il colpo, vide che era soltanto una scultura di fattura squisita che si trovava per terra, non più con le zampe tese in un agguato, bensì in quella che sembrava una supplica a non condannarla alla distruzione.
Si era salvata soltanto grazie alla durezza del legno.
Angel la mise da parte.
- Ma guarda, il buon samaritano della paccottiglia – lo schernì Oskaar.
Ancora debole per il colpo, il giovane cominciò a raccogliere i documenti nello scatolone, trovandoli via via sempre più familiari.
Gli sembrava persino di sentire la voce di Leev, mentre glieli dettava.
Lo ricordava persino, calvo, occhialuto e dal bonario faccione tondo.
Un nuovo grido di Oskaar gli fece interrompere quel lavoro, proprio mentre stava per mettere al sicuro la pantera in cima ai documenti.
Maneggiandola, si era sentito attraversare da una scossa che gli aveva stravolto la personalità.
Avvertiva un senso di minaccia, che lo spingeva a osservare Oskaar come un nemico dal quale guardarsi.
- Ho cambiato idea, aiutami con lo scrittoio, piuttosto.
Il giovane si affrettò a obbedirgli, ma mancò la presa.
L’omaccione mosse apposta il mobile per colpirlo con lo spigolo.
Per quanto aggressivo fosse, non era da lui comportarsi così, ma in quel momento, qualcosa lo spingeva a tramortire per uccidere.
Non sapeva neppure lui da dove gli venisse tutta quella cattiveria tutta insieme contro Angel.
Ma durò poco.
Qualcosa, dal mobile archivio, gli balzò contro, alleandosi con il collega, non più così mite e facile da maltrattare.
C’era qualcosa di folle e familiare, nei suoi occhi.
Oskar ricordò il passato come un lampo, prima che la sua anima finisse a brandelli, seguita da tutto il resto.

Angel si svegliò in corridoio, su una barella.
Aprì gli occhi e notò alcuni camici bianchi insieme alle divise verdi della polizia e decise di fingersi ancora svenuto.
Non osava parlare, non dopo quello che aveva sentito nell’ufficio di Leev.
Aveva ancora le grida di Oskaar nelle orecchie, insieme al rumore di masticazione di un grosso predatore.
Sentì uno scambio di battute fra due camici bianchi.
- Questo se la caverà. Mi dispiace per il collega.
- Vorrei sapere cosa gli ha sbriciolato la scatola cranica.
- Di qualunque animale si tratti, non ha risparmiato neppure il resto. Lo ha sbatacchiato per la stanza come un pupazzo.
Arrivò una terza persona.
Uno dei medici la interpellò:- Trovato altro?
- No, sempre le stesse impronte insanguinate lungo il mobile archivio. Devono essere di un topo, o qualcosa del genere, anche se mi stupisco di come abbiano sporcato la statuina sulle zampe e sul muso.
Angel non ebbe bisogno di aprire gli occhi per capire quanto fossero perplessi tutti quanti.
Anche lui si sentiva così e non capiva come mai gli fosse venuto in mente un certo alloggio nel quartiere costruito prima della guerra.
Perché sentiva proprio il nome sulla targhetta?
Lui non era certo Angela Voll.
Oppure sì?

Dal mobile archivio, la pantera teneva gli occhi sbarrati nel suo eterno agguato, sentendosi a disagio: la cosa che non doveva accadere si era verificata e ne era ancora sconvolta.

Autorizzo Jackie de Ripper all’eventuale pubblicazione su Skan Magazine
 
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view post Posted on 1/6/2014, 14:23
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Ma che vi è preso oggi? due racconti ed è solo il primo del mese?
 
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view post Posted on 1/6/2014, 15:01
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CITAZIONE (reiuky @ 1/6/2014, 15:23) 
Ma che vi è preso oggi? due racconti ed è solo il primo del mese?

Io e Shanda non facciamo testo :1392239811.gif: , abbiamo il grilletto facile. :1392239812.gif:
 
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view post Posted on 2/6/2014, 07:52

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Shanda ha del patologico. Una volta se non sbaglio è riuscita a postare PRIMA delle specifiche.
 
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view post Posted on 2/6/2014, 08:56
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CITAZIONE (Smilodon @ 2/6/2014, 08:52) 
Shanda ha del patologico. Una volta se non sbaglio è riuscita a postare PRIMA delle specifiche.

Come cavolo ci è riuscita?
 
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view post Posted on 2/6/2014, 10:49
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