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Skannatoio, Settembre 2014, edizione XXXIII, La saggezza

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view post Posted on 1/9/2014, 09:06
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Co-moderatore dello skannatoio
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Uhm... non ho ancora in mente cosa potrà accadere, ma le specifiche urlano "Pick e Loone!!!!" Bene bene :)
 
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Tonylamuerte
view post Posted on 1/9/2014, 10:16




Ok.
Grazie mille.
Essendo il mio primo scannatoio devo anche inviarti i miei dati, ho letto.
Provvedo.
 
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view post Posted on 1/9/2014, 13:01
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Alcune domande:

CITAZIONE (Marco Lomonaco - Master @ 1/9/2014, 09:28) 
a) Una massima di "saggezza popolare" dovrà avere un ruolo rilevante all'interno del racconto. Non importa che sia una massima "famosa" o realmente esistente, basta che sembri e suoni come saggezza popolare, quindi campo aperto a reinterpretazioni, giochi di parole, eccetera. Stupitemi pure. (per esempio, la storia di un barracuda che mangia la zampa di una micia e chiudete con "tanto va la gatta al largo che ci lascia lo zampino", è assolutamente ok)

Non ho capito bene: il motto può essere completamente inventato (basta che suoni come) o deve richiamare un motto conosciuto?

CITAZIONE
b) Una scarpa dovrà avere un ruolo rilevante all'interno del racconto. Rilevante non vuol dire per forza che il racconto debba girare attorno alla scarpa, vuol solo dire "non mettete una scarpa del tutto inutile su una mensola, ma fate in modo che serva a qualcosa o che abbia qualche particolarità utile alla storia, o anche solo a qualche scena.

Deve per forza essere una scarpa o valgono anche stivali / stivaletti / ciabatte / pantofole?

CITAZIONE

2) La coccarda "a mali estremi..." sarà assegnata alla migliore "soluzione drastica" a un problema. Per poter ambire a questa coccarda ci dovrà essere un'evidente sproporzione tra la dimensione del problema e la portata della soluzione. Valore: 3 punti.
(per ESEMPIO: una persona rompe la punta della matita e inventa un temperino laser che usufruisce di un acceleratore di particelle tipo CERN per stabilizzare la dinamica del bnsogh dgbhgdolhkd.)

Non ho capito se la soluzione deve essere applicata. Ad esempio se si cerca di distruggere un palazzo per risolvere un problema di infestazione ma non ci si riesce, vale lo stesso?
 
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view post Posted on 1/9/2014, 13:29

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CITAZIONE (reiuky @ 1/9/2014, 14:01) 
Alcune domande:

CITAZIONE (Marco Lomonaco - Master @ 1/9/2014, 09:28) 
a) Una massima di "saggezza popolare" dovrà avere un ruolo rilevante all'interno del racconto. Non importa che sia una massima "famosa" o realmente esistente, basta che sembri e suoni come saggezza popolare, quindi campo aperto a reinterpretazioni, giochi di parole, eccetera. Stupitemi pure. (per esempio, la storia di un barracuda che mangia la zampa di una micia e chiudete con "tanto va la gatta al largo che ci lascia lo zampino", è assolutamente ok)

Non ho capito bene: il motto può essere completamente inventato (basta che suoni come) o deve richiamare un motto conosciuto?

Non importa che sia una massima "famosa" o realmente esistente, basta che sembri e suoni come saggezza popolare.
Quindi fai quello che vuoi ;)



CITAZIONE
b) Una scarpa dovrà avere un ruolo rilevante all'interno del racconto. Rilevante non vuol dire per forza che il racconto debba girare attorno alla scarpa, vuol solo dire "non mettete una scarpa del tutto inutile su una mensola, ma fate in modo che serva a qualcosa o che abbia qualche particolarità utile alla storia, o anche solo a qualche scena.

Deve per forza essere una scarpa o valgono anche stivali / stivaletti / ciabatte / pantofole?

Scarpa, poi può essere strana/particolare/creativa quanto vuoi, ma scarpa dev'essere.

CITAZIONE

2) La coccarda "a mali estremi..." sarà assegnata alla migliore "soluzione drastica" a un problema. Per poter ambire a questa coccarda ci dovrà essere un'evidente sproporzione tra la dimensione del problema e la portata della soluzione. Valore: 3 punti.
(per ESEMPIO: una persona rompe la punta della matita e inventa un temperino laser che usufruisce di un acceleratore di particelle tipo CERN per stabilizzare la dinamica del bnsogh dgbhgdolhkd.)

Non ho capito se la soluzione deve essere applicata. Ad esempio se si cerca di distruggere un palazzo per risolvere un problema di infestazione ma non ci si riesce, vale lo stesso?

Sìsì, applicata!
 
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Callagan
view post Posted on 1/9/2014, 13:30




take it easy and free your mind :1392391935.gif:
 
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view post Posted on 2/9/2014, 09:20
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Milena Vallero

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Ciao! Domandina veloce: la massima deve comparire letteralmente o basta che sia suggerita dalla storia?Posso eventualmente usarla come titolo del racconto? Thanks ciao ciao! :)
 
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kaipirissima
view post Posted on 2/9/2014, 09:22




Voglio partecipare! Mi piace!
Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni! E queste specifiche hanno i tentacoli! :)
 
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view post Posted on 2/9/2014, 09:25

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CITAZIONE (willow78 @ 2/9/2014, 10:20) 
Ciao! Domandina veloce: la massima deve comparire letteralmente o basta che sia suggerita dalla storia?Posso eventualmente usarla come titolo del racconto? Thanks ciao ciao! :)


Deve comparire e sì, puoi usarla come titolo del racconto... ;)


CITAZIONE (kaipirissima @ 2/9/2014, 10:22) 
Voglio partecipare! Mi piace!
Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni! E queste specifiche hanno i tentacoli! :)

Bene, mi fa piacere! Bentornata, Kaipi ;)
 
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view post Posted on 2/9/2014, 11:03
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Milena Vallero

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Grazie boss! :) C U soon!
 
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view post Posted on 3/9/2014, 09:32

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Giusto per esservi d'ispirazione

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view post Posted on 3/9/2014, 18:20
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Losco Figuro

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Frammenti

Essere una parte della mente di Saleria Lindir, Sacerdotessa di Fashia (guai a non specificarlo) era assai impegnativo, e di certo non alla portata di tutti.
Ogni neurone, ogni sinapsi aveva un compito preciso da svolgere, senza possibilità di errore.
L’area dedicata all’osservazione, ad esempio, doveva stare sempre allerta per cogliere ogni particolare, ogni dettaglio, ogni sfumatura, fosse questa un oggetto, una frase o anche un singolo rumore, perché Lei odiava l’idea di non essere al corrente di qualcosa. L’impegno più gravoso spettava agli addetti alla funzione “orecchie lunghe”, sempre pronti a risvegliare l’attenzione di tutto il reparto non appena in un qualunque luogo e momento qualcuno stesse parlando di Lei.
Non meno importante era il reparto rielaborazione, quello col compito di decidere che quanto appena riferito dal reparto osservazione era troppo noioso, e di conseguenza trasformarlo in una versione forse un po’ meno aderente alla realtà oggettiva, ma senza dubbio alcuno più interessante. Tra gli altri reparti girava voce che quest’ultimo avesse un qualche collegamento segreto con l’Universo per far sì che la realtà oggettiva tendesse invariabilmente ad adattarsi a ciò che inventava, tuttavia di questo non c’erano mai state prove certe.
L’area indubbiamente più invidiata era quella dedicata alla parola, libera di comunicare con l’esterno e, soprattutto, di dire più o meno qualunque cosa passasse da quelle parti.
Questa, d’altra parte, si sentiva messa molto in secondo piano dalla sua collega responsabile del movimento, soprattutto quando il movimento in questione riguardava meno l’andare da un punto A a un punto B e più il trasformare un uomo a caso in un maiale senza far ricorso a magie di sorta. Vero era che anche in quei frangenti il lavoro non le mancava, ma in sostanza, per dirla in parole semplici, qualunque cosa facesse dire alla bocca, nessuno la stava a sentire.
Comunque fosse, esistevano sempre degli attimi, delle particolari situazioni, in cui tutte le parti della mente di Saleria Lindir, sacerdotessa di Fashia, erano attente e concentrate su un unico evento, come, nella fattispecie, il racconto che stava giungendo loro attraverso le orecchie della donna, proveniente dalla bocca di una
[Osservazione: umana, di età piuttosto avanzata]
[Elaborazione: vecchiaccia con problemi di flatulenza]
seduta davanti a un camino in cui sobbolliva qualcosa di incomprensibile.
Fu solo quando l’eco delle ultime parole della vecchia si fu esaurita che, previo accordo con le colleghe, la sezione parola si rimise al lavoro.
«Un attimo, questa cosa non ha senso, come sarebbe a dire ‘di cristallo’?»
«Proprio così, proprio così», ripeté la donna, «ti dico che è di cristallo!»
La sezione parola lanciò fuori un’Espressione Tipica per guadagnare un po’ di tempo mentre Elaborazione le forniva una risposta adeguata: «Tsk! Sciocchezze!» La pausa fu pressoché impercettibile. «Si cammina malissimo in una scarpa di cristallo, figuriamoci ballare, sarebbe come provare a farlo con degli zoccoli da contadina».
«Anche le contadine ballano», obiettò la vecchia.
Parola non ebbe bisogno di supporto. «Ballano balli da contadine con gli zoccoli, non volteggiano in saloni ducheschi
[Controllo: Ma esiste “ducheschi”? Non è “ducali”?]
[Parola: Ma tu chi sei? Che vuoi? Chi ti ha chiamato?]
sotto lo sguardo estasiato dei nobili, anche se immagino che i nobili sarebbero molto contenti di vedere una ragazza che cerca di volteggiare con degli zoccoli da contadina, i balli nobiliari sono talmente noiooooosi...»
La vecchia si girò e prese a rimestare la
[Osservazione: minestra, probabilmente di verdure]
[Elaborazione: brodaglia immonda, vorrà usarla per avvelenare il marito ed ereditare la locanda]
con un cucchiaio di legno. «Oh, pensala come vuoi, ma resta il fatto che il duca sposerà la ragazza che riuscirà a indossare la scarpetta, i banditori lo ripetono da giorni».
«Ma è cieco o solo scemo?»
La vecchia la guardò sgranando gli occhi. «Ma chi?»
«Il duca».
«Il duca? Ma no, è tanto un bel giovane!»
[Osservazione: le due cose non si escludono]
[Elaborazione: no, le due cose non si escludono]
[Parola: sì, grazie tante, ci arrivavo anche da sola]
«Il che non toglie che possa essere cieco, o scemo, o tutte e due le cose assieme. Non farebbe prima a guardarla in faccia invece di badare a che numero di scarpe porta? Ah beh, certo, a meno che sia un feticista dei piedi, ce ne sono tanti in giro, ma in tal caso dovrebbe pur riconoscerli senza dover provare scarpe. Ah! Ho capito! Deve essere tutta una scusa per guardare i piedi a ogni ragazza che incontra!»
La sezione Movimento sottolineò la conclusione dell’intenso scambio tra Elaborazione e Parola arricciando le labbra di Saleria in un sorriso soddisfatto.
La vecchia non sgranò gli occhi solo perché l’unico modo per farlo più di così sarebbe stato rivoltarsi le palpebre dietro la testa. «Ma che...? Ma no...! Io non... Ma non ci va lui di persona!» farfugliò.
«Ah no? Allora è decisamente scemo. Ma cosa crede, che esista una sola ragazza al mondo col piede di una data misura? A meno che, ovvio, la scarpetta in questione non sia delle dimensioni di uno stivale da minatore, nel qual caso c’è il notevole rischio che il vostro duca debba aspettarsi una sorpresa la prima notte di nozze.»
La vecchia aprì la bocca come per dire qualcosa, ma non ne uscì alcun suono.
«Sai cosa ti dico? Ci penso io!»
A quelle parole, Movimento si mise in azione e fece scattare la donna in piedi, riuscendo in qualche modo a farlo comunque con una mossa sinuosa e aggraziata.
«Ma... a chi... a che...?» riuscì a dire la vecchia pur restando a bocca spalancata.
«A risolvere la situazione, che altro?»
Movimento attivò la modalità falcata e Saleria sparì dalla locanda in un istante, immettendosi nella strada principale del villaggio.
Priva di qualcosa da fare, Parola ne approfittò per riposarsi, lasciando il resto della mente al lavoro.
Osservazione, in realtà, stava battendo la fiacca a sua volta. Nei giorni spesi in quel posto dimenticato dagli dei
[Elaborazione: no, gli dei non l’hanno dimenticato, se lo ricordano benissimo, è per quello che lo evitano]
aveva ormai percorso ogni strada in lungo e in largo centinaia di volte, e il panorama era sempre lo stesso: brutte strade, brutti edifici, brutta gente che ciondolava senza niente di meglio da fare.
Più di tutti, erano brutti i signorotti locali, o, per meglio dire, le signorotte.
[Controllo: Ma esiste “signorotte”? Non credo che...]
[Osservazione: Ah, giusto, grazie.]
Le signorotte erano ovunque, ma in particolare erano per strada, davanti ai negozi
[Elaborazione: squallidi]
e a passeggiare per i giardini
[Elaborazione: sfioriti]
cercando di mettersi in mostra o di mettere in mostra la loro prole, in attesa di accalappiare un povero fesso

[Elaborazione: beh?]
[Osservazione: pensavo dovessi intervenire]
[Elaborazione: no, no, “povero fesso” va benissimo com’è]
da impalmare.
La peggiore di tutte era
[Elaborazione: un attimo eh! Nomenclatura?]
[Nomenclatura: sì, eccomi, che c’è?]
[Elaborazione: com’era che le avevamo chiamate?]
[Nomenclatura: Sfinteria, Agilulfa e Malagrazia]
donna Sfinteria, una possidente acida e snob che se ne andava in giro portandosi dietro le figlie in età da marito, Agilulfa e Malagrazia, come due cagnolini. Le poverine, peraltro, avevano tante probabilità di trovare marito quante ne aveva un serpente di indossare un paio di collant: la prima era brutta da spaventare l’Uomo Nero, e la seconda sembrava un pulcino bagnato, timida e impacciata com’era. Decisamente gente da evitare.
[Controllo: e allora perché stiamo andando proprio verso di loro?]
[Osservazione: eh?]
Osservazione riprese di colpo a fare il suo lavoro, rendendosi conto che in effetti Saleria Lindir, sacerdotessa di Fashia, puntava proprio al terzetto intento a pavoneggiarsi di fronte a un qualche nobiluomo a cavallo.
[Osservazione: Movimento, ma dove ci stai portando?]
[Movimento: guarda che non decido io dove andare, mi limito ad andarci magnificamente]
[Parola: shh! non fate confusione, che tocca a me e non riesco a concentrarmi]
Saleria si piantò nel mezzo della strada, rivolse solo un’occhiata di sfuggita al cavaliere e poi puntò lo sguardo, un dito, e la relativa unghia perfettamente laccata verso la donna più anziana del terzetto, una signora segaligna che il pomposo abito nero faceva sembrare più magra di uno spaventapasseri a dieta.
«Tu, Sfinteria, dov’è?»
La donna la guardò come avesse appena visto un escremento di cane proprio nel punto dove stava per mettere il piede.
[Controllo: non ti sembra di esagerare? dovresti colorire il modo in cui Saleria Lindir, sacerdotessa di Fashia, vede il mondo, non quello in cui gli altri vedono lei]
[Osservazione: in effetti... È uno scassaballe, ma quando ha ragione ha ragione]
[Elaborazione: va bene, va bene, scusate...]
«Madama Sfin...» attaccò con aria sussiegosa, per poi realizzare e interrompersi, «Uh? Come mi avete chiamata? E comunque chi siete voi? E dov’è cosa?»
«Io sono
[Tutti in coro: Saleria Lindir, sacerdotessa di Fashia]
e voglio sapere dov’è il messo del duca».
L’uomo a cavallo tossicchiò. Saleria lo ignorò.
[Osservazione: ha tossicchiato]
[Elaborazione: lo so]
[Osservazione: e non fai niente? Magari è lui il messo]
[Elaborazione: probabile, ma Lei ancora non vuole saperlo, fidati]
«E per quale ragione lo chiedete a me, di grazia?»
«Che domande, perché hai la faccia da ficcanaso, e perché se c’è la possibilità di far sposare qualcuno o qualcosa a tua figlia non c’è da dubitare che sarai in prima linea. E, a proposito», aggiunse, voltandosi a guardare Agilulfa, «smettila di fargli gli occhi dolci, quel cavallo non ti chiederà mai di uscire».
La ragazza sollevò lo sguardo perplessa, puntando un occhio su di lei e l’altro verso un punto indefinito dell’universo. Sua madre si irrigidì come uno stoccafisso. «Ma come vi permettete di rivolgervi a me e a mia figlia in questo modo!» sbottò, dimenticandosi che la sua avrebbe dovuto essere una domanda.
«Che modo?» chiese lei di rimando. Movimento le stampò sul volto un’espressione di candida innocenza.
«Con accuse, calunnie e vilipendio!»
«E, di grazia,» Parola sottolineò l’inciso con un tono sarcastico, «quali sarebbero le calunnie? Pensi forse che tua figlia uscirà col cavallo?»
«Cosa? Certo che no! Ma come...?»
«E non vuoi che le tue figlie si sposino?»
«Ovviamente, come qualunque buona...»
«... donna, sì, e non sai dov’è il messo del duca?»
L’uomo tossicchiò di nuovo.
[Osservazione: ha tossicchiato di nuovo]
[Elaborazione: aspetta, aspetta]
«Sì, ma...»
«Allora nessuna calunnia, ho detto solo cose che rispondono al vero.»
«Avete anche detto che ho la faccia da ficcanaso!»
«Risponde al vero anche quello, ma non è colpa tua.»
L’uomo tossicchiò ancora.
«Oh insomma!» sbottò Saleria, «non c’è bisogno di fare tanto rumore, lo sappiamo tutti che sei lì! Non ti ha detto la mamma che non ci si intromette in una conversazione tra sign...» Si bloccò. Guardò il trio. «No, d’accordo, capisco, intromettiti pure. Immagino tu sia il messo del duca.»
[Elaborazione: visto?]
«Per servirvi» disse lui.
«Ma se lo sapevate, perché me l’avete chiesto?» protestò Sfinteria.
«Be’, perché andare da un uomo a cavallo e chiedergli se è il messo del duca non sarebbe stato educato», sentenziò lei, per poi tornare a rivolgersi al cavaliere. «E dunque hai trovato il piedino di fata?»
L’uomo arrossì. «Ehm...»
«Ma hai la scarpetta?»
«Sì, be’...»
[Osservazione: penso che sia il momento di un “su, su”]
[Parola: provvedo subito]
«E allora vediamola, che stiamo aspettando, su, su!»
L’uomo si guardò intorno, come se temesse di poter essere visto da qualcuno. Poi, con aria rassegnata, infilò la mano in una bisaccia e ne produsse una scarpa di cristallo.
Che fosse di cristallo era evidente: era rigida, trasparente e brillava alla luce del sole.
Che fosse una scarpa era altrettanto ovvio, con tanto di punta e
[Osservazione: tacco]
[Elaborazione: suola, se quello è un tacco io sono il sommo sacerdote di Tetranor. Dove sono gli altri quindici centimetri?]
Ciò che decisamente non si poteva dire che fosse, era una scarpetta: da un’estremità all’altra misurava non meno di trenta centimetri.
[Osservazione: “Ha?”]
[Elaborazione: “Ha”]
[Parola: “Ha!”]
«Ha!» sbottò Saleria vedendola. «Lo sapevo io, altro che piedino da fata».
L’uomo tentò di riprendere un contegno. «Volete provarla, mia signora?» domandò con aria professionale.
[Osservazione: pronti col tormentone, Movimento, Parola, ci siete?]
[Movimento: pronto]
[Parola: pronta]
«Perché, ho forse l’aria di una che va in giro a provare le scarpone altrui?» domandò la sacerdotessa. Poi, afferrato lo specchietto che portava al collo, simbolo della sua fede, vi si rimirò per assicurarsi di non avere l’aria di una che andasse in giro a provare le scarpone altrui. Constatato che no, non l’aveva, sorrise soddisfatta.
«La provo io, la provo io!» si offrì Agilulfa.
Saleria la guardò storto, ma questo non impedì alla ragazza di prendere la scarpa dalle mani del messo, sfilarsi la sua e infilarvi il piede, che vi affondo dentro fino al collo e non andò oltre solo perché la caviglia glielo impediva.
«Ma benedetta ragazza, non lo vedi che dei tuoi piedi là dentro ce ne starebbero due?» osservò Saleria, tutto pensando fuorché che l’altra potesse prenderlo come un suggerimento, cosa che puntualmente fece. Sfilatasi anche l’altra scarpa, Agilulfa infilò il piede rimasto sotto il primo, come uno strano calzascarpe, riuscendo se non altro a riempire lo spazio disponibile.
«Ecco, vedete, le calza», commentò Sfinteria, riuscendo in qualche modo a mantenere un’aria di serietà.
Saleria alzò lo sguardo e diede un buffetto sul naso della ragazza. Questa oscillò indietro, avanti, indietro, poi cadde come un birillo tra le braccia della madre, sul cui volto si dipinse un’espressione scandalizzata.
«Madamigella?» offrì il messo, rivolto a Malagrazia, che se ne stava rattrappita in un angolo dietro la madre, come se temesse di poter essere aggredita se solo si fosse sporta un po’ più avanti. Questa, per tutta risposta si addossò ancor di più alla parete.
«Oh, ma per piacere!» Saleria si piegò di scatto e altrettanto di scatto si rimise in piedi tenendo la sedicente scarpetta in mano e nell’altra una caviglia della ragazza, che non si ribaltò all’indietro solo perché era già contro il muro. «Vedete che piedini? Questa poverina non potrebbe mai ballare con queste scarpe, al massimo potrebbe ballarci dentro! Suvvia, andate, andate, qui non c’è nessuno che faccia al caso vostro».
Così dicendo, porse la scarpa al messo, che tentò due o tre volte di afferrarla mancando completamente il bersaglio, lo sguardo perso in un punto precisato.
Movimento prese il controllo, e fece sì che Saleria si aggiustasse la scollatura della tunica, senza peraltro che ciò servisse minimamente a ridurre la quantità di seno esposto,
[Movimento: e quando avrei detto che intendevo ridurla?]
poi le fece afferrare il polso dell’uomo, piazzandogli la scarpa nella mano.
«Allora? Su, su!» lo esortò.
Non senza una certa esitazione, il messo diede di sprone alla sua cavalcatura e procedette lungo la strada, aggirando il gruppetto. Agilulfa, ancora a piedi scalzi, li guardò allontanarsi con un occhio sognante e l’altro deviante, facendo ciao ciao con la manina, probabilmente al cavallo.
Nel silenzio generale che si venne a creare, si udì una specie di mugolio soffocato.
[Osservazione: credo che Malagrazia abbia appena detto “Io so di chi è”]
Lo sguardo della sacerdotessa si puntò sulla più giovane delle figlie di Sfinteria.
«Sai di chi è?»
A quella domanda, tutti gli sguardi conversero sulla ragazza, che si fece ancora più piccola ma, in qualche modo, riuscì ad accennare un sì con la testa.
Lesta, Saleria si chinò verso di lei. «Dimmelo in un orecchio, tesoro, non temere», disse con voce melliflua.
La ragazza esitò, poi si fece avanti e le sussurrò qualcosa.
[Osservazione: oh cielo!]
[Elaborazione: c’era da aspettarselo]
Saleria si rizzò di scatto, afferrando il polso di Malagrazia.
«Oh, ma questo cambia tutto, andiamo, andiamo, su, su!» esclamò, partendo di gran carriera e tirandosela dietro.
«Ma... ma... dove?» protestò lei senza troppo impegno.
«A casa tua, dove altro? Devi spiegarmi tutto per filo e per segno!» sentenziò la sacerdotessa, senza voltarsi un istante a guardare Sfinteria che tentava di seguirla, rallentata da Agilulfa che saltellava nel tentativo di infilarsi le scarpe lungo il cammino.

La casa di Sfinteria era nel centro della città, dove le casupole dimesse lasciavano spazio ai templi e alle magioni nobiliari e dei possidenti. Nel caso della donna, il possidente di turno era stato il defunto marito
[Osservazione: che di certo aveva ammazzato di proposito]
[Elaborazione: come se fosse necessario, si sarà suicidato dopo la prima notte di nozze]
[Controllo: e come ha fatto a farci due figlie allora?]
[Elaborazione: ma tu non hai mai impegni da qualche altra parte? Tipo un altro piano di esistenza?]
che le aveva lasciato tutto dopo essere passato a miglior vita.
Saleria raggiunse spedita l’ingresso e bussò alla porta con foga, o almeno con quanta foga le era possibile senza rischiare di spezzarsi un’unghia.
Quando andò ad aprirle un maggiordomo in livrea, lo squadrò da capo a piedi come se avesse voluto prendergli le misure. Quindi, con aria sussiegosa, enunciò: «Oh, Petolfo, alla buon ora! La signora sta arrivando, va’ a darle una mano, su, su!»
L’uomo rimase un secondo interdetto, borbottando qualcosa che poteva suonare come «Pe-chi?», finché notò la ragazza che lo osservava con la solita aria imbarazzata e dovette concludere che la presenza della donna era legittima. Non appena si avviò sulla strada per raggiungere la sua padrona, Saleria entrò, sbatté la porta e la chiuse a doppia mandata.
«Dov’è la tua stanza? Di sopra? Andiamoci, svelte!» trillò, affrontando le scale con la grazia di uno stambecco che trascina una bambola di pezza.
La camera di Malagrazia si rivelò essere un trionfo di trine e rosa confetto.
La ragazza, frastornata, si gettò su un letto a baldacchino che avrebbe potuto ospitare tre persone,
[Elaborazione: anche di più in caso di orgia d’emergenza]
e rimase lì imbambolata.
Saleria le si sedette accanto.
«Allora, raccontami tutto.»
«Io... beh... ecco...»
«Oh dei, così non andrai da nessuna parte! Suvvia, prendi un bel respiro, metti assieme le parole e poi giù, buttale fuori d’un fiato!»
«Era la sera del ballo in maschera e io proprio non ci volevo andare, anche se mia madre ci teneva tanto» esclamò la ragazza, bloccandosi poi di colpo. Sorpresa dalla sua stessa parlantina, si mise una mano sulla bocca, incredula, come a voler verificare che le parole fossero davvero uscite di lì.
[Osservazione: fa progressi]
«Fai progressi,» Saleria le sorrise, «vai avanti».
«Volevo nascondermi, perciò sono salita all’ultimo piano, dove alloggia la servitù, perché mia madre non ci va mai, ed è lì che ho visto questa strana donna vestita di celeste...»

Quando Saleria tornò di sotto, fu accolta da un’apoteosi di tonfi e da un vociare sguaiato.
[Osservazione: qualcuno sta bussando alla porta e chiedendo di entrare]
[Elaborazione: non ci saremmo mai arrivati, sai?]
[Osservazione: ehi, è il mio lavoro!]
Si avvicinò alla porta, ruotò velocemente la chiave nella serratura e la aprì di botto, facendo rovinare al suolo Sfinteria e Agilulfa, colte di sorpresa, mentre Petolfo se ne stava in piedi, impassibile, dietro di loro. Non diede alle due il tempo di protestare dopo essersi rimesse in piedi. «Che ci fate ancora lì? Santo cielo, ma devo fare tutto io? Andate a chiamare il messo del duca prima che sia tardi, muovetevi!»
Stordita dal fiume di parole, la ragazza le puntò addosso un occhio mormorando «Cielo, messo, tardi, cavallo...»
Sfinteria dimostrò una maggiore resistenza. «Che ci fate voi in casa mia, piuttosto! Io...»
«Organizzo il matrimonio, che altro? Certo, tendenzialmente sarei contraria, ma i giovani, sai... no, ovviamente no, sei nata vecchia, non importa».
«Ma come vi...» riattaccò la donna, poi si fermò di botto. «Matrimonio? Quale matrimonio, di grazia?»
«Non di Grazia, di Malagrazia, tua figlia sposerà il duca.»
La donna si voltò verso Agilulfa. Saleria fece una smorfia. «Ma no, non quella, sarà cieco e scemo ma a tutto c’è un limite, e che cavolo!»
«Ma...»
[Osservazione: certo che è noiosa questa Sfinteria]
[Parola: ci penso io]
«Ma! Ma! Ma! Insomma, cambia terminologia, usa dei sinonimi, erudisciti, ma soprattutto sbrigati a recuperare quell’uomo o non se ne farà più nulla!»
L’ultima affermazione fece rizzare la donna come una molla, mentre Parola gongolava tra sé.
Saleria dal canto suo non se ne diede pesò: ruotò su se stessa e si richiuse la porta alle spalle.
Un attimo dopo irruppe nuovamente nella stanza di Malagrazia, trovandola proprio dove l’aveva lasciata.
«Oh beh, dobbiamo sbrigarci anche noi, c’è tanto da fare», sentenziò.
«Da fare?» domandò lei.
«Ma certo, non vorrai fidanzarti col duca conciata così, vero?»
«Io? Il duca? Ma... ma... non...»
«Oh, taci, mi sembri tua madre!»
«Ma non mi vorrà mai, io sono così... ordinaria.»
«Tsk!» Saleria la afferrò per le spalle, facendola alzare in piedi e risedere di fronte alla sua toletta. «Non dire sciocchezze. Non conosci la fiaba della papera racchia?»
«La papera racchia? Io... credo di no.»
«Ma sì, andiamo!» proseguì la sacerdotessa afferrando una spazzola e iniziando a cercare di mettere ordine nella massa di capelli biondi della ragazza.
[Osservazione: trecentosessantasette...]
[Elaborazione: ma che stai contando?]
[Osservazione: i nodi, da queste parti sembra che usino le spazzole come soprammobili]
«Quella papera che quando nasce è così brutta che tutti la prendono in giro, ma poi crescendo...»
«... scopre di essere uno splendido cigno!» concluse Malagrazia, radiosa.
«Ma certo che no!» proseguì Saleria, stizzita. «Una papera racchia resta una papera racchia, ma scoprì che anche le racchie possono valorizzarsi, e che dopo un po’ gli uomini ci fanno l’abitudine, basta che gliela... no, una vera signora non le dice queste cose, le pensa soltanto».
[Elaborazione: e questa dove l’hai pescata?]
[Parola: ma via, è un’Espressione Tipica]
[Elaborazione: no, non quella, la faccenda della papera racchia]
[Controllo: giusto, mi pareva che fosse diversa la storia]
[Parola: non l’ho messa in mezzo io, me l’avranno mandata da su, dalla memoria]
[Memoria: no, no, per carità, io non ti ho mandato giù niente, me la ricordo bene la fiaba]
[Generatore di assurdità estemporanee: no, scusate, sono stato io, è che mi annoiavo...]
Durante la discussione nella sua mente, Saleria era rimasta in silenzio, intenta a lavorare sull’aspetto dell’altrettanto silente ragazza.
Quando ebbe finito di pettinarla, truccarla, imbellettarla e vestirla, tentò di farle compiere una giravolta davanti allo specchio, ma questa si bloccò a metà, guardandosi estasiata.
«Oh, suvvia, chiudi quella bocca, che non sta bene tenerla aperta se non la stai usando. Che te ne pare?»
«Ma sono bellissima!»
«Adesso non esagerare, sei carina. Comunque sia, ora che ti sei sistemata, non mi sembra il caso di continuare ad andare in giro facendoti chiamare Malagrazia...»
«... ma io veramente...»
«... dobbiamo trovarti un nome più adatto, magari...»
«Gaia?»
«Gaia? Oh, be’, io pensavo a qualcosa di più efficace, tipo Salanundra, ma in mancanza di meglio andrà bene anche Gaia.»
«Ma è il mio...»
«Sì, sì, come ti pare, ma ora scendiamo, su, su. Se tua madre ha fatto il suo dovere, anche se non capisco perché avrebbe dovuto cominciare proprio ora dopo tanti anni, ci staranno già aspettando».
Strano a dirsi, le stavano aspettando.
Il messo ducale era da un lato, in piedi, con l’aria nervosa. Di fronte a lui, immobile, c’era Petolfo, mentre davanti alla porta stavano Sfinteria e Agilulfa, quest’ultima abbarbicata al collo del cavallo che se ne stava sull’uscio.
«Allora, cos’è questa storia?» esordì la donna.
«Mi dicono che mi volevate», fece eco il messo, più pacato.
«Ma certo, ho trovato la persona che sposerà il vostro duca», commentò Saleria radiosa, e con un gesto teatrale indicò la scala alle sue spalle. Tutte le teste, inclusa quella del cavallo, si voltarono a guardare.
Gaia stava scendendo uno scalino alla volta, raggiante in un abito da sera che ne valorizzava le forme
[Elaborazione: vabbe’, le forme...]
[Osservazione: ho detto forme, non ho mica detto che forme sono]
mentre una cascata di ricci biondi le ricadeva sulle spalle, e un velo di trucco le faceva risaltare il colorito. Gli occhi le brillavano come diamanti incastonati in un diadema.
[Osservazione: e qui non staremo esagerando un tantino?]
[Elaborazione: la pubblicità è l’anima del commercio]
Il primo a riprendersi dalla sorpresa fu proprio il messo.
«Ma se non erro avevate detto che la scarpa non le sarebbe mai andata bene» obiettò.
«Infatti io ho detto di aver trovato la persona che sposerà il duca, non la persona a cui entra quella scarpa. Anche se, in effetti, ho trovato anche quella. Petolfo, il piede per cortesia.»
Un’altra serie di occhi sgranati e bocche spalancate seguì il percorso della sacerdotessa mentre sfilava la scarpa di vernice del maggiordomo e gli infilava quella di cristallo, che si rivelò calzare perfettamente.
«Ma... ma...» balbettò Sfinteria.
«Oh cielo, ancora!»
«Tuttavia... tuttavia...» si corresse la donna.
«Gaia, spiega.»
La ragazza si schiarì la voce.
«La sera del ballo ero salita al piano della servitù, e ho visto Pet... ehm... Ambrogio con indosso un abito da donna celeste e ai piedi delle scarpe di cristallo. Gli ho chiesto cosa facesse vestito così, e mi ha detto che era il suo costume per il ballo in maschera, poi, quando ha saputo che non volevo andarci, mi ha convinto a farlo, dicendomi che era il posto migliore dove essere qualcun altro, almeno per un po’, e che nessuno avrebbe badato a chi ero o come apparivo».
«M... cioè... da quando parli così tanto?» domandò Sfinteria, sbalordita.
«Così poi sono scesa, e siamo andate al ballo, ricordi? Ma alla fine non me la sentivo di stare nella sala con tutti gli altri, e sono andata in giardino. Lì ho incontrato il duca, e abbiamo ballato tutta la notte tra le siepi.»
«E sventuratamente intende davvero dire ‘ballato’» si sentì in dovere di precisare Saleria, non senza un certo disappunto nella voce.
«Ma eravamo al buio, e credo che lui non ci veda neanche troppo bene,»
[Elaborazione: Ha!]
[Osservazione: Shhh! Fammi sentire come va a finire!]
[Memoria: ma lo sappiamo già]
[Osservazione: sì, ma voglio sentirlo lo stesso]
«così, quando mi ha invitata a rientrare, ho avuto paura che guardandomi meglio, alla luce, avrebbe capito che non ero come si aspettava, e sono scappata via. Lui penso abbia cercato di inseguirmi, solo che...»
Il maggiordomo tossicchiò. «... ha incrociato me, che andavo via di fretta perché l’orologio stava già scadendo la mezzanotte».
«E perché? Che succedeva a mezzanotte?» domandò Sfinteria.
«Mi scadeva il noleggio dell’abito signora, non avete idea delle multe che applicano per i ritardi. Ho capito che c’era qualcosa che non andava quando ho sentito che qualcuno mi correva dietro urlando: “Tesoro, non fuggire, non lasciarmi così”, ma non avevo tempo di fermarmi a indagare (e poi la cosa era un tantino preoccupante). Anzi, per la fretta ho finito per perdere...»
«La scarpetta!» cinguettò Agilulfa, accompagnata da un nitrito del cavallo.
«Vabbe’, scarpetta...» le risposero in coro tutti i presenti fuorché il maggiordomo.
«Visto? Tutto risolto. Non resta che tornare dal duca con Mal... Gaia e presentargliela come si deve.»
«Resta un problema, però» annunciò il messo, cupo. «Il duca è tanto una brava persona, ma è un po’ tonto alle volte»
[Elaborazione: Ha!]
«e se ha deciso che la prova è la scarpetta, sarà difficile spiegargli la faccenda».
«Oh, che peccato!» esclamò Saleria.
«Ma come che peccato!» ruggì Sfinteria. «Bisogna convincerlo, bisogna spiegargli!»
«Oh, taci! Non dicevo che peccato per quello», la zittì la sacerdotessa riprendendosi la scarpa di cristallo, «Dicevo che peccato per questo». E la scagliò contro la parete, mandandola in mille pezzi.
«Ma... la scarpa!» protestò debolmente il messo.
«Come dicevo, è un vero peccato che mentre accompagnavi Gaia a palazzo sia caduta dalla bisaccia e si sia rotta, e che Gaia non possa mostrare che la indossa, ma del resto qui» passò in rassegna con lo sguardo i volti di tutti i presenti «sono tutti testimoni che le calzava a pennello, non è così?»
Tutti, cavallo incluso, annuirono solennemente.

“Bene, un’altra proficua giornata di lavoro”, dissero le varie parti della mente di Saleria Lindir, sacerdotessa di Fashia, in un coro asincrono, dandosi l’un l’altra pacche virtuali sulle ancor più virtuali spalle.
[Controllo: e cosa abbiamo appreso oggi?]
[Osservazione: eh, ma che palle!]
[Controllo: su, lo sapete che un giorno non è un buon giorno se non ci miglioriamo in qualche modo. Che abbiamo imparato?]
[Osservazione: che il duca è scemo e anche un tantino cecato]
[Controllo: sì, ma non è rilevante. Che altro?]
[Elaborazione: che anche una papera racchia può sposare un duca se ci mette un po’ di impegno]
[Memoria: ma questo già lo sapevamo!]
[Controllo: infatti, checché se ne dica, le papere racchie sono quelle che impaperano più papaveri. Nessun altro?]
[Parola: abbiamo imparato che l’apparenza inganna e che l’abito, o in questo caso la scarpa, non fa il monaco; Malagrazia, anche coi suoi modi dimessi e l’aspetto sciatto, è colei che il duca voleva davvero, e Petolfo, nonostante la scarpaccia di cristallo, era pur sempre Petolfo]
Seguì un lungo istante di silenzio.
[Controllo: ma non ti starai prendendo un po’ troppo sul serio?]
[Riposo: va bene tutti, può bastare, Lei sta per addormentarsi. Lasciate spazio al turno di notte. Movimento, chiudi tu]
Nel letto della sua stanza alla locanda, Saleria si voltò su un fianco, facendo frusciare le lenzuola inamidate. Si avvolse sinuosa le braccia attorno al corpo, e si addormentò con un sorriso sulle labbra.
 
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Callagan
view post Posted on 3/9/2014, 18:47




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shanda0612111
view post Posted on 3/9/2014, 20:39




LA FALSA PORTA

Di Alexandra Fischer

La donna in grigio inciampa sulla soglia della casa di legno ricoperto di piantine minuscole , simili a macchioline vellutate.
- Accidenti – impreca, rialzandosi con in mano l’oggetto che le ha fatto perdere l’equilibrio – di nuovo la chincaglieria di Parynne.
Fra le mani regge infatti un sandalo metallizzato grigio che concede poco alla vanità, malgrado la falsa apparenza di lusso: a guardarlo bene, è fatto con una suola spessa, due strisce orizzontali che proteggono il piede e nient’altro.
Mancano le cuciture, perché il materiale con il quale è fatto non è animale, bensì metallico.
- Vorrei sapere cosa c’entro io con i suoi avvertimenti – borbotta fra sé, mentre socchiude la porta e poi tira dentro la calzatura.
Tanto sa che non patirà alcun danno; quel metallo, il Soffio Stellato, è noto per la flessibilità, la resistenza e la capacità di irradiare frescura e sanare le escoriazioni.
Di sicuro, Parynne non ha patito alcuna fatica durante il suo viaggio lungo le salite piene di sassi e liane Schlyngoj di Fontakvo; di certo quelle brutte piante azzoppa viandanti si saranno ritirate per la vergogna al suo passaggio.
Peccato che sia arrivata prima del previsto; le sembra che il viaggio della sua maestra sia durato troppo poco, per i suoi gusti.
Eh, già, ma come si dice, non esistono pasti gratis.
Si aggiusta la frangia castana e già che c’è si risistema la treccia; in quel momento, i suoi capelli ricciuti, sfuggono alla costrizione del legaccio dello stesso cuoio grigio della calzatura che le ha dato fastidio poco prima.
E questo è un guaio, perché deve precederla nella Casa dei Cercatori di Soffio Stellato.
L’unica autorità in grado di farsi obbedire, si trova in fondo al quartiere, nell’edificio di legno fucsia che sta minacciando di cedere sotto il maglio degli anni e delle stagioni.
Oggi è il primo giorno di calma relativa, riguardo alle precipitazioni atmosferiche.
La donna si stiracchia, prima di passare sotto l’arco di ingresso della casa.
Non c’è nulla di ufficioso, nella visita governativa, ma è giusto così, dopotutto, la Mideira è stata una sua compagna di studio e ogni tanto ama tornare nella Casa dei Cercatori di Soffio Stellato, visto che l’edificio dispone di una locanda fornita di spume inebrianti che vengono da regioni lontane dalla loro.
Infatti, quando entra nell’ampia sala piena di tavolini bassi di legno bianco ricoperte da listelli di Soffio Stellato e disseminata di cuscini di stoffa traslucida verde chiaro, la vede subito alle prese con un bicchiere esagonale, dal quale trabocca spuma azzurrognola.
La Mideira le fa cenno:- Meurisia, vieni pure. Ti stavo aspettando. Novità dalla Lhiftoj salterina?
È il loro scherzo preferito; nella lingua dotta di Malvarma Perlo, Lhiftoj è il nome che indica “ l’amico dei sotterranei”, una creatura di fondamentale importanza per la regione, visto che vive nei pressi delle miniere di Soffio Stellato.
Ha anche la particolarità di avvertire l’insorgere di minacce come epidemie e sbalzi climatici violenti.
Chiamano così Parynne, perché la donna è stata la prima del gruppo dei sapienti ad avvicinare le Lhiftojj durante una ricerca del metallo.
Anche a lei, all’epoca, erano apparse a tutta prima come bozzoli di filo metallico luminescente dalla forma vagamente cilindrica, ma non si era lasciata fuorviare dalla somiglianza con gli avanzi di Soffio Stellato che si trovavano nei pressi: quelli erano cilindri veri e propri e non mandavano luce, né pulsavano, lasciando scorgere una piccola macchia rosso fuoco in movimento.
Aveva preso alcuni di quei cilindri e se li era portati nella comunità dei saggi di Fontakvo; inutile dire, che dopo qualche tempo, erano uscite delle creature grandi come mani, dal corpo allungato, protetto da quella che sembrava una conchiglia a cono rivestita di piastre metalliche.
A quel punto della crescita delle Lhiftoj, dai lati della conchiglia spuntavano ali di aspetto gelatinoso ma robuste, in grado di farle volare.
Erano creature mansuete, che Parynne era riuscita ad addomesticare meglio dei suoi predecessori; difatti, non si era limitata a comunicare con esse telepaticamente maneggiando il Soffio Stellato, ma era riuscita a farsi insegnare da loro come entrare nel gruppo.
In breve: la donna poteva diventare una Lhiftoj per tutto il tempo che serviva allo “stormo” delle creature e a lei.

La Mideira condivide con Meurisia il ricordo dell’apprendistato con Parynne; la spuma azzurrognola che ha fatto portare anche a lei, aiuta la loquacità e dà allegria, con il suo retrogusto fruttato.
In esso, tuttavia, c’è una punta amara che induce Meurisia ad abbassare il bicchiere quadrangolare e a dire all’amica:- Senti, io non so come mai Parynne sia così in ritardo, oggi. Ho sentito il solito odore di legno marcio.
- Di nuovo? – le domanda la statista, con gli occhi lucidi per la bevanda inebriante – pensavo che dovesse prendersi degli intervalli, fra una trasformazione e l’altra. Accidenti, a noi le Lhiftoj hanno allungato la vita e preservato un aspetto presentabile e lei….
A quel punto, una figura piccola entra nel locale, trascinandosi appresso quello che, a tutta vista, sembra un fagotto penzoloni composto da una veste maschile lunga fino ai piedi e una sopravveste senza maniche.
Alla donna manca un sandalo e saltella su un piede nudo, reggendo in mano la calzatura.
Ha sentito le parole della Mideira e dice:- Non esistono pasti gratis.
Dopodiché, scuote il fagotto, dal quale spunta una testa e poi un busto; il corpo è scheletrico e attraverso la pelle, si vedono i vasi sanguigni.
- Per acchiapparlo ho quasi perso questo – si lamenta Parynne, scuotendo il sandalo come un’accusa.
- Che cosa è successo? – le domanda Meurisia, sentendosi avvampare, perché si è pentita di aver buttato malamente la calzatura attraverso la porta della sede della comunità dei saggi.
- L’ho preso mentre tentava la Trasmutazione Lhiftoj. Ragazzaccio. L’ha sbagliata, sai?
La giovane saggia osserva l’uomo accanto alla Cercatrice di Soffio Stellato e ha un lampo di riconoscimento.
- Morgei? – sussurra, rivolta alla figura a malapena sorretta dalla maestra.
- Io. Volevo apprendere il rituale. A furia di vederglielo eseguire, mi è venuta la curiosità di tentarlo.
La statista lo rimprovera:- Ma tu dovresti essere nel Consiglio, a quest’ora.
- Perdonate, Mideira – replica lui, chinando il capo – ma ho visto quanto Parynne è stanca e ho pensato a cosa sarebbe successo se ci avesse lasciati prima di insegnarlo a un’altra persona. Inoltre, mi pare che le Lhiftoj siano troppo deboli e proteggano sempre le stesse zone. Così mi è venuto in mente di far apprendere loro il resto della mappa.
Meurisia si irrita con Parynne:- Cosa sono questi favoritismi? A me non hai mai insegnato nulla del genere.
- Perché ho preferito insegnarti il rituale che annulla la Trasmutazione in caso di errore…stavo formando degli allievi, prima che arrivasse lui.
- Allora non resta che sbrigarsi – le dice la giovane saggia, alzandosi in piedi e sciogliendosi la treccia.
Dal nastro crepita una luce giallastra che si trasferisce sulla punta delle dita di lei.
E già le sue labbra stanno componendo la formula, quando Parynne dice:- No, deve essere processato secondo le leggi.
Poi rivolge un’occhiata supplichevole alla statista:- Mideira, tenete conto che Morgei ha agito per il bene di Malvarma Perlo.
- Oh, sì e non annullerò i decreti del mio predecessore. Qui vige la parità perfetta.
Poi si avvicina a Morgei:- Bene, hai provato a far meglio di una di noi e hai dimostrato la demenza della tua categoria, ma lasciamo stare. Meriti l’arresto e la detenzione con una sistemazione adatta al tuo rango. Ed è già molto che ti abbia lasciato in vita.
Meurisia, che ha annullato il rituale, salta in un angolo; la porta è saltata, spandendo schegge di legno e l’intelaiatura è affollata da creature gelatinose in volo radente; alcune, travolte dalle compagne, strisciano, come a supplicare la Mideira di ripensarci.
Non basta.
Le Lhiftoj si avventano sui bicchieri di spuma inebriante del tavolo delle due donne e poi guizzano in cucina, per berne ancora.
Parynne osserva, rivolta a Morgei:- Questa mi giunge nuova, da quando hai insegnato loro a bere?
- Non lo so. Forse hanno preso qualcosa da me durante il rituale. L’ho fallito quando ho sentito quel passo all’ingresso.
- Ma cosa dici? Eravamo tutti di sopra. Io e gli altri nella camera verso strada e tu in quella che dà sulle scale.
- Eppure, qualcuno ha socchiuso la porta e fatto un passo, interrompendomi la concentrazione. Le Lhiftoj non ci hanno capito più nulla.
Meurisia è in collera , ma riesce a dominarsi e propone a Parynne:- Adesso basta. Posso imparare il resto del rituale e poi annullare il suo.
- Troppo tardi, non impareresti. Hai chiesto tu stessa di apprendere il lato distruttivo del rituale. Penserò io a come riparare la situazione con lui. In fondo, c’era quasi riuscito. Vorrei sapere chi stava per salire di sopra.
La Mideira, alla quale non è sfuggito il trepestio che arriva dalla dispensa, dice alle altre due:- Presto, la gente non è abituata alle Lhiftoj.
Per allontanarle, Parynne si trasforma in una delle creature e le guida fuori, senza dimenticare di ricostruire la porta.
Meurisia sa cosa deve fare: Prende una scatola di Soffio Stellato ed esegue una variante meno distruttiva del Rituale di Annullamento.
Un bozzolo di luce e metallo avvolge il corpo di Morgei, ma resta fuori un lembo di stoffa della sopravveste.
- Accidenti, non deve vedersi – commenta la giovane donna, infuriata con se stessa per essersi trovata al momento sbagliato nella comunità dei saggi.
- Tutto lì, il problema? Strappalo – le ordina la statista, ma Meurisia, usando tutta l’energia che può, raddoppia il bozzolo, rimpicciolendo quel che c’è dentro.
E Morgei a tutta prima, sentendosi slogare tutte le ossa, non sta certo zitto; finché, diventato simile a gelatina, tace, stremato.
- Mi pare che tu abbia esagerato – commenta Parynne – sarebbe bastato qualche filo per portarlo nel deposito dei bozzoli a Fontakvo.
- Non lo so – dice Meurisia spostando l’involucro che contiene Morgei - io mi sento più sicura così .
La saggia si avvicina alla porta distrutta :- Guarda qui che disastro.
Dopo qualche passo, è costretta a indietreggiare:- Pazzesco, ora non si potrà più neppure mettere fuori gli arrestati per i custodi.
Difatti, alcune liane si insinuano attraverso l’intelaiatura e si avvinghiano ai tavoli, arrivando anche a quello dove si trovano ancora Parynne e la Mideira, fortunatamente in piedi e dissetate.
Le liane sfiorano infatti i bicchieri, ritrasformandoli in sabbia multicolore, mentre la spuma filtra attraverso il legno del tavolo, dal quale spuntano tante pianticelle.
- Dubito che siano i polloni dell’albero bianco – osserva la Mideira, mentre si chinava per esaminarne una.
Poi, con una nota di amaro compiacimento, annuncia:- Queste sono piante del deserto di Tohodwal.
Meurisia si volta verso di lei:- Ma guarda, la sabbia che componeva i bicchieri fino a poco tempo fa, viene di lì. Credo che i nostri amici gelatinosi vogliano farci pagare l’errore di qualcuno.
Dà un colpetto al doppio bozzolo e poi lo fa rotolare fuori, rientrando subito dopo, ben sapendo che le fibre di Soffio Stellato, cariche della sua energia negativa, dirameranno il suo messaggio fino a Fontakvo.
Nota che il cielo, pur essendo grigio, presenta squarci color ocra.
Si augura che i custodi mandino presto qualcuno a ritirare il cattivo avvolto nel doppio bozzolo.
Sì, perché non c’è altro modo per definire l’individuo che ha offeso le Lhiftoj.
Appena rientra nel locale stravolto dalle creature, nota che il personale della locanda è seduto a tavola.
Neanche a farlo apposta, si trovano nello stesso punto occupato poco prima dalla Mideira.
Parynne è in piedi, quasi fosse occupata in una delle sue lezioni ai nuovi Cercatori di Soffio Stellato.
Sta dicendo loro:- Escludo che la colpa sia di Meurisia. Al contrario, i suoi miglioramenti mi hanno stupita. Padroneggia molto bene l’energia negativa che la anima. Difatti, ha trasformato questo posto in un luogo di riposo, per quello che ci aspetterà fuori.
Il mescitore delle spume, pizzicandosi il mento domanda:- Sono così incollerite da toglierci la loro protezione?
- Sì – gli rivela Parynne, sbirciando l’arrivo di Merurisia – e non basta aver arrestato Morgei e averlo impacchettato quasi sotto vuoto.
- Ma cosa dobbiamo fare? – le chiede la Netta Bicchieri .
- Aspettare istruzioni da Fontakvo prima di uscire, là vedranno cosa è successo meglio di quanto non faremmo noi.
La Mideira l’approva:- Sì, hanno un osservatorio con la doppia lente polita di Soffio Stellato, vedranno se c’è qualche segnale delle Lhiftoj. Torneranno presto, credo. Intanto, sarete tutti miei ospiti a Trylm.
La prospettiva del viaggio nella capitale disseminata di sorgenti e alberi colorati dalle bacche e dalle spighe dei quali si ricavano le spume, non entusiasma nessuno.
Fuori, il cielo è diventato completamente ocra.

A Fontakvo, i due osservatori rimettono a posto la doppia lente:- Ci vai tu o ci vado io?- domanda il più grassoccio al compagno.
- Meglio se ci vedono tutti e due. Ho paura di quello che sono costretto a dire loro e c’è anche la Mideira.
- Ormai dobbiamo contare su noi stessi. L’unica cosa buona è che quello nel bozzolo, sì, sai di chi parlo, Morgei, è rimasto tranquillo. Non ha fiatato.
- Forse è morto. Hai controllato?
- Fidati, è vivo. Io queste cose le sento. Ho studiato con Parynne, più a lungo di te.
Si avviano senza indugiare, mentre la vegetazione comincia a rinsecchire e creature dai carapaci appuntiti scivolano da sotto i sassi.

Nella locanda, Meurisia vede brillare un oggetto caduto sotto il tavolo vicino.
Non se lo lascia sfuggire, malgrado scotti e stia per rotolare via; è una dimenticanza delle creature un tempo amiche di Malvarma Perlo.
- Guarda qui – dice a Parynne – c’è una chiave. Penso di sapere cosa apre.
- No – ribatte la donna – lascia perdere. Quella è una falsa porta e non ti dico di dove. No. Aprirla, richiederebbe un prezzo troppo alto. E non esistono pasti gratis.

Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare il mio racconto su Skan Magazine
 
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view post Posted on 4/9/2014, 09:05

Alto Sacerdote di Grumbar

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Tonylamuerte
view post Posted on 4/9/2014, 15:39




A pochi gg arrivo pure io. Sono in fase di revisione.
Ps: fermo restando che l'importante è la storia, si può linkare una colonna sonora nel post con il racconto?
Grazie.
 
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200 replies since 28/8/2014, 14:43   3231 views
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