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Skannatoio, SPECIALE #4, Gennaio 2015, La realtà supera la fantasia

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view post Posted on 17/1/2015, 18:51

Alto Sacerdote di Grumbar

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Organizzazione
Racconti in gara

  1. Sul filo di lana - Shanda06

  2. Reo confesso - CMT

  3. A bocca aperta - Bloodfairy

  4. Molti chili - Spoon_river

  5. Un buco dentro internet - Reiuky

  6. La speranza è l'ultima a morire - Ceranu

  7. Essere Dio per un decimo - White Pretorian

  8. ...


Commenti e classifiche

  1. ...





SPECIALE SKANNATOIO #4



Ha inizio la prova speciale #4 dello Skannatoio.
Molto spesso noto come la gente (sia scrittori che lettori) distinguano nettamente tra realtà e fantasia, etichettando e catalogando tutto in modo cieco. Ho sempre trovato questa cosa molto molto triste, realtà e fantasia sono due facce della stessa medaglia e a volte c'è molta più fantasia nella realtà e/o molta più realtà nella fantasia che viceversa.



1) Più di due giorni per scrivere il proprio racconto (consegna delle opere per le 18.00 di martedì 20 Gennaio 2015, i brani saranno accettati anche se postati con un massimo di 31 minuti di ritardo, ma incorreranno in una penalizzazione di 1 punto). I racconti devono essere pubblicati in questo thread. Provvedete a inserire i titoli insieme al testo del racconto;
2) 9 giorni (quindi fino alle 23.59 di giovedì 29 Gennaio 2015 - se i racconti fossero più di 15, attendete la suddivisione in gironi da parte del moderatore) per leggere, commentare e inserire in classifica i racconti altrui che non infrangeranno i limiti di lunghezza specificati. Leggete il REGOLAMENTO se non avete idea di come si devono votare i racconti;
3) al termine, l'ultimo concorrente ad aver consegnato commenti e classifiche provvederà a stilare la classifica finale.

Chi salterà anche una sola di queste fasi incorrerà nella sanzioni previste dal REGOLAMENTO.

Inoltre, chi partecipa per la prima volta allo Skannatoio deve inviare, pena l'esclusione dal concorso, i propri dati (nome e cognome, indirizzo postale e indirizzo email) in un PM ai supervisore (Marco Lomonaco - Master). Non è necessario farlo se si sono già forniti i dati contestualmente a uno qualsiasi dei concorsi organizzati dal forum de "La Tela Nera".

Chi volesse veder pubblicata la propria opera su Skan Magazine deve scrivere in calce al proprio racconto la liberatoria:
Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare questo mio racconto su 'Skan Magazine'.
Saranno pubblicati solo i migliori racconti accompagnati dall'autorizzazione.

LE SPECIFICHE

Lunghezza (globale). Minima: 4000 caratteri. Massima: 10'000 caratteri (spazi inclusi, escluso il titolo ed eventuale liberatoria). Tolleranza 10% (con penalità di 1 punto per chi, pur rimanendo nella tolleranza, sforasse i limiti di lunghezza indicati). Vale questo contatore come riferimento per il conteggio dei caratteri.
Genere: QUALSIASI (i partecipanti dovranno tenere conto nelle proprie classifiche dell'attinenza dei racconti ai generi elencati).

Particolarità:
a) Dovete scrivere un racconto realistico in cui succeda almeno un avvenimento davvero fuori dall'ordinario, ma che sia comunque verosimile e plausibile. Per esempio, un soldato che da solo ammazza 500 nemici nel giro di 3 giorni, armato solo di un cucchiaino e un elastico, va bene anche se sembra una cosa davvero fuori dagli schemi, il vostro compito sarà quello di renderla non dico credibile ma almeno verosimile. Quindi se volete inserire elementi fantastici mi sta bene, ma ricordate che devono risultare verosimili e credibili in un racconto realistico. Non è semplice, ma ho fiducia nelle vostre capacità.

(Per chiarire meglio da dove arrivi questa specifica, vi linko un articolo che ho letto qualche giorno fa e che mi ha fatto riflettere. Lo trovate QUI)

b) All'interno del racconto dovrà apparire anche del dentifricio. Non mi importa che sia proprio proprio centrale per la storia, ma ovviamente se lo sarà avrete gestito meglio le specifiche. Basta che non sia semplicemente un elemento inserito a cavolo in una descrizione e che poi non serva a niente.

Nelle loro classifiche, i partecipanti dovranno tenere conto delle specifiche e penalizzare, a loro insindacabile giudizio, i concorrenti che non si sono attenuti. Dovranno anche ignorare i racconti che supereranno in più o in meno i limiti previsti per la lunghezza, o altre richieste espresse esplicitamente.

Come vi avevo anticipato, questo speciale non avrà né Giorno del Giudizio né Torce e Forconi. E vi faccio notare che la classifica generale la stilerà l'ultimo che avrà consegnato la propria classifica.

Ultimo appunto: essendo uno speciale, potranno partecipare anche gli squalificati. Le squalifiche le contiamo solo sulle edizioni regolari. ;)
Spargete la voce.


Bene, è tutto, buon lavoro a voi e scusatemi per il ritardo, dispiace più a me che a voi! ;)

Edited by Marco Lomonaco - Master - 21/1/2015, 19:13
 
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view post Posted on 18/1/2015, 19:09

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Per questo racconto ho rimasticato letture come Il codice Rebecca, I tre giorni del Condor e la Caballah di Moshe Idel, edita da Adelphi. Questo, per spiegare i nomi di due personaggi (Alexander Wolff era la spia del Codice Rebecca. Il gruppo dei censori è una rielaborazione del gruppo dei lettori del libro di Grady mentre nella Caballah è citato lo studioso Ysàq Luria). Dopo avermi letta, ehm, lasciate un'unghia per l'autopsia.

SUL FILO DI LANA

Di Alexandra Fischer

Nella sede centrale della Censura di Stato passano ormai quasi esclusivamente e-book soggetti, come i loro avi cartacei, a controllo per vedere se nelle storie di pura immaginazione ci sono elementi che riguardano i messaggi subliminali e la manipolazione mentale.
Questo, non soltanto per mettere al bando testi in grado di indurre il suicidio, ma anche per fronteggiare la Maledizione di Kafka.
È un messaggio subliminale estremamente pericoloso, che ha già provocato diverse vittime fra tipi diversi di lettore.
E non solo; anche qualche traduttore ci ha rimesso la vita.
La Censura ha fatto in modo di alterare la verità sulle morti: ne è stata facilitata dal comportamento adottato dalle vittime negli ultimi giorni di vita.
Pianto, isolamento, ed ecco delle brutte depressioni dall’esito letale.
Solo negli ambienti dei servizi segreti la minaccia è nota.
Ogni tanto, sparisce qualche testo e tutto ricomincia, perché chiunque abbia ideato il messaggio subliminale colpisce in modo imprevedibile; non sembra una guerra fra superpotenze come ai tempi della CIA e del KGB.
All’epoca era facile scremare i libri gialli e di spionaggio, per capire se qualche impiegato si era lasciato sfuggire informazioni compromettenti sui dossier Top Secret.
Nel caso della Maledizione di Kafka, l’opinione dei Servizi Segreti era che si trattasse di cani sciolti, molto difficili da scovare proprio per via della loro capacità di svanire come ombre.


Katharina Wolff ha accettato il lavoro di scrematrice di testi dopo uno stage presso una casa editrice di fantasy ed esoterismo.
L’esperienza là, si era chiusa dopo che era venuto fuori il passato di famiglia; c’erano sempre problemi, per la nipote di Alexander Wolff, nota spia della Germania in Egitto. A qualcuno, però, quel passato interessava parecchio.
Come a una sua ex-compagna di università, che l’ha avvicinata proponendole il lavoro di scrematrice di testi.
Non era come fare le spie nei vecchi tempi, però il passato non moriva mai del tutto: ed eccole un dentifricio in regalo.
L’amica le aveva mostrato a cosa serviva in realtà: sul tappo del tubetto c’era una microcamera, per salvare i testi infettati dalla Maledizione di Kafka.
E nel tubetto, c’era qualcosa che l’avrebbe salvata in caso di pericolo, ma avrebbe dovuto farci molta attenzione.
Lei aveva accettato il dono, ma senza credere del tutto alle parole della sua ex-compagna di corso, Noor; pensava che l’essere rimasta troppo immersa nella lettura di storie fantastiche e di spionaggio le avesse acceso troppo l’immaginazione; tuttavia, le aveva dato retta riguardo alla necessità di tenerlo nella borsetta e di non separarsene per nessun motivo.
Il penultimo giorno di lavoro insieme, l’amica ha detto che voleva mostrarle un nuovo e-book, in apparenza un’edizione modernizzata della Caballah.
Qualcosa non vi quadrava.
Era ora di usare il dentifricio.
Katharina, una volta sbrigati i avori più urgenti, aveva riprodotto l’intero libro nella micro camera del coperchio.
Quando lei si era offerta di mandare il testo al solito indirizzo, l’amica le aveva detto di aspettare.
Ci avrebbe pensato lei alla prima occasione; che non era mai arrivata.
Katharina è ancora basita, mentre ci pensa.
Quel mattino era stato uguale a infiniti altri, con la solita miriade di e-book vistati come già letti e accompagnati dal giudizio di pericolosità.
Poi era uscita dall’ufficio lettura per la pausa pranzo, che lei preferiva trascorrere sbocconcellando un panino mentre passeggiava nel centro storico.
Era stata quell’abitudine, una costante di tutte le stagioni, a salvarle la vita.
Qualcosa di molto più terreno della Maledizione di Kafka aveva colpito l’intero gruppo di lettori.
Se n’è accorta a partire dalla porta di ingresso socchiusa e dai corpi che disseminavano il corridoio, morti in apparenza senza lesioni.
Ha cercato nel gruppo la sua amica, Noor, ma non l’ha trovata.
In compenso, uscendo di corsa dall’ufficio si è imbattuta in uno sconosciuto che dice di conoscere Noor e di averla portata in salvo.
No, non è necessario avvisare la centrale, lo ha già fatto lui.
Katharina scappa.
E riesce ad avvisare la centrale attraverso un’e-mail in codice mandata da un Internet Point: “Ho versato il caffè sulla tastiera. Mandate tecnico”.
Quando esce dal locale, però, le va male.
Qualcuno la tramortisce e lei si sveglia in un alloggio sconosciuto, seduta su un divano bianco.
Di fronte a lei ce n’è uno identico, sul quale è seduta la sua amica Noor, morta.
- Volevo che la vedessi – le dice uno sconosciuto.
Poi, bussa alla porta della sala e ne entrano un paio di tipi robusti che portano via il corpo della giovane donna.
- La tua amica era una doppiogiochista.
- Non so di cosa stia parlando – gli risponde Katharina.
- Eppure dovresti. Tuo nonno era la spia più in gamba dei tempi della guerra. Peccato che quelli dell’Abwehr gli abbiano fatto lo scherzo delle sterline false – riprende lui.
Vedere la vecchia ferita di famiglia riaperta da un estraneo, irrita la giovane donna.
- Non vedo come la cosa la riguardi.
L’uomo ride: - Ne fai parte anche tu.
- No, io appartengo al gruppo di lettura. Non credo esista più un’unità operativa.
- Sicuro – le dice lui abbassando la voce – non come un tempo. Oggi c’è la Rete.
Katharina ricorda il discorso sui cani sciolti che tentano di provocare guerre virtuali per vendicarsi di essere stati estromessi dal sistema.
E capisce di stare guardandone uno negli occhi.
- Lei chi sarebbe?
- Ysef Luria. Ho anch’io le mie parentele.
Ride.

E il nome Luria fa rabbrividire Katharina, perché ricorda dove lo ha letto.
- Vieni, se conoscevi Noor, mi puoi essere utile.
Ysef Luria la porta nel suo studio, a due porte dopo la sala.
Entrando, Katharina nota la finestra al piano terra; dunque, il fanatico si crede al sicuro.
Fuori, però compaiono almeno quattro sorveglianti con cani da difesa al seguito.
La giovane donna prende nota della sorveglianza e poi cambia espressione, fingendosi dalla parte di Luria.
- Volete davvero continuare con i vostri messaggi subliminali?- gli domanda lei.
- Sicuro. Questo è un sistema corrotto, ci ha estromessi ingiustamente e noi lo faremo saltare con un racconto di Kafka. Davanti alla Legge. Sì, ma preso da qui – le indicandole il portatile acceso.
E aggiunge: -L’e-book con la dottrina cabalistica era solo un assaggio.
Luria la invita a leggere il testo kafkiano.
Quando lei lo fa scorrere con il mouse, rimane interdetta: in effetti, la successione di lettere ha qualcosa di ipnotico, che la spaventa molto.
È molto peggio del malessere che l’ha colta leggendo il testo mostratole da Noor.
- Qualche cosa in più lo fa, soprattutto a chi ha già letto il testo precedente, vero?- le domanda L’uomo con soddisfazione maligna.
- Ho visto i colori dello spettro ballarmi davanti agli occhi - ammette lei, spaventata.
- Vorrei andarmene da qui, per favore – lo implora
- Non puoi – le dice lui, con fare minaccioso – ti metterò sotto una sorveglianza peggiore di quella che c’è lì fuori.
La sua arma è un rotolo di carta inspessita, dall’odore di sottobosco; la sta per srotolare sotto i suoi occhi.
E le sue labbra si stanno muovendo, in anticipo sul testo.
- Ma ho deciso di farlo – ribatte lei, mentre la paura e la nausea la fanno vacillare ancora di più, mentre la sua mente forma la parola: ipnosi.
Non deve credere a quello che vedrà, dice a se stessa, mentre sente il rumore di gente che entra nella stanza e lo zampettare dei cani.
- Anche lei è diventata inutile – lo sente dire all’accozzaglia – portatela via. Sì, sì. Stesso trattamento dell’altra.
Mentre il fanatico impartisce istruzioni ai suoi, Katharina agisce molto in fretta.
Il notebook di Luria è ancora acceso e lei estrae la scatolina di dentifricio nella borsetta.
Tira fuori il tubetto e svita il coperchio, dominando le vertigini e la vista sdoppiata.
Il piccolo tappo le cade di mano, ma la sua presa è salda sul tubetto di plastica.
Lo schiaccia e la pasta si sparge sulla tastiera e sullo schermo.
Sulle prime, sembra non succedere nulla, ma la giovane donna, ricordando l’avvertimento di Noor, si getta in un angolo.
Il notebook si copre di schiuma bianca e poi comincia a fondere e a deformarsi.
Una volta che la sostanza corrosiva arriva alle batterie, l’apparecchiatura esplode.
I presenti fuggono, Luria compreso e lei ne approfitta per scappare dalla finestra.
Il tappeto della confezione di dentifricio è andato perduto, purtroppo, ma Katharina sa che cosa dire alla centrale operativa: massima attenzione a tutti gli e-book con i racconti kafkiani, in modo particolare a Davanti alla Legge.
Dubita che quella sul notebook fosse l’unica copia mostratale da Luria.
C’è un’organizzazione molto ramificata, nella quale lei spera di non imbattersi più; se l’è cavata sul filo di lana già così.

Autorizzo Jackie de Ripper all’eventuale pubblicazione su Skan Magazine
 
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view post Posted on 19/1/2015, 14:13
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Losco Figuro

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Reo confesso

L’aula di tribunale era animata da un brusio costante, irradiato come una sorta di cappa sonora dalle numerose persone riunitesi per assistere al processo. I posti a sedere erano tutti occupati, e c’erano perfino qualcuno piedi accanto alla porta, disposto a restar lì pur di non perdersi gli sviluppi.
Ci vollero due tentativi perché il silenzio tornasse a regnare all’ingresso della corte.
Dal fondo della stanza, una voce annunciò: «Caso 3972, lo stato contro Carl Meekely, presiede…»
«Mi dichiaro colpevole, vostro onore».
Tutti gli occhi si voltarono sull’ometto che stava in piedi, in una rigida posa quasi marziale, dietro il banco degli imputati.
«Non gliel’ho ancora chiesto», tuonò il giudice, che stava ancora tentando di accomodarsi sulla sedia, un paio di misure più piccola del suo maestoso deretano, a stento coperto dalla toga nera.
«Mi perdoni vostro onore,» riprese l’ometto, «volevo farle risparmiare tempo».
L’idea non dovette sembrare del tutto malvagia al giudice, i cui lineamenti si rilassarono. «Ha dunque raggiunto un accordo con l’accusa?» domandò, sorvolando sull’irregolarità della procedura.
«No vostro onore, vorrei appellarmi alla clemenza della corte».
«Lei è conscio della gravità delle accuse?» proseguì il magistrato, azzardando una domanda il cui tono lasciava intendere quanto volesse essere retorica.
«Lo sono, vostro onore, chiedo solo di avere l’opportunità di esporre alla giuria come si sono svolti i fatti».
Il giudice si sistemò meglio sulla sedia. «Tutto ciò non è molto regolare, ma dato che si è già dichiarato colpevole non vedo che male possa esserci. Concesso».

Come ogni giorno, il cielo aveva i colori tenui dell’aurora – notte con una promessa di giorno a venire – mentre Carl rincasava col passo pesante ma deciso di chi ha camminato fin troppo ma sa che gli manca poco per arrivare a destinazione. Un tempo, lo spettacolo offerto da quel crepuscolo inverso lo affascinava, ma ormai vi era tanto abituato da non notarlo neppure, se non come un elemento in più della sua ben definita routine.
Giunto al portoncino dello stabile in cui abitava, estrasse un mazzo di chiavi da una tasca e scelse quella bordata di rosso, che infilò nella serratura.
Mentre saliva le due rampe di scale che lo avrebbero condotto al suo appartamento, col passo che si faceva via via più lento e cauto, già stava selezionando la chiave bordata di verde, quella della porta d’ingresso.
Aprì la porta con movimenti lenti e studiati, per evitare che la serratura scattasse troppo rumorosamente, e con altrettanta cura se la richiuse alle spalle, restando poi un istante fermo e in silenzio ad ascoltare. Nessun suono: Kate non si era svegliata.
Si sfilò le scarpe, riponendole su un tappetino a lato della scarpiera, e a piedi scalzi raggiunse la cucina, lasciandosi andare su una sedia. La nottata in ospedale era stata più stressante del solito, e non vedeva l’ora di mangiare qualcosa e andare a dormire.
Si costrinse a rimettersi in piedi prima di iniziare ad abituarsi troppo alla comodità, e in due passi fu al frigo, la cui apertura gli palesò davanti agli occhi uno spettacolo di asettica desolazione. Sul lato della porta c’erano alcuni vasetti degli yogurt dietetici di sua moglie e una bottiglia di latte semivuota. Sul ripiano più alto, l’unico occupato da qualcosa, due sandwich incellofanati, ancora con la crosta, poggiati su un piattino da frutta.
Carl sospirò, spostò il piatto sul tavolo e scartò uno dei panini, affondandovi i denti senza darsi neppure pena di vedere con cosa fosse farcito. Il pane asciutto gli si modellò contro il palato con una capacità adesiva di cui qualunque dentiera sarebbe andata orgogliosa. Il ripieno, qualunque cosa fosse, gli scivolò dritto in gola mentre tentava senza successo di staccare il pane con la lingua, e si ritrovò a soffocare una serie di colpi di tosse nel tentativo di non svegliare Kate, possibilmente restando vivo nel tentativo. Aveva la salivazione azzerata – o forse era il pane che gliela drenava – e un’irrazionale sensazione di soffocamento che lo spinse a cacciarsi due dita in bocca e staccare il mezzo sandwich a forza, impiastricciandosi la mano con una melma biancastra che un tempo era stata pane. Presumibilmente, un tempo molto lontano.
Riprendendo fiato, si gettò sul frigo e afferrò al volo la bottiglia di latte, tracannandone in un sorso il contenuto. Si rese conto solo troppo tardi dell’odore, e ancor più tardi del sapore rancido che gli invase la gola.
Riprese a tossire, stavolta senza contenersi, e sputacchiò nel lavandino quel poco che gli era rimasto in bocca, cosa che non contribuì minimamente a migliorare la situazione.
La voglia di mangiare gli era passata. Quel che gli serviva ora era lavarsi al più presto i denti per cancellare quel misto di sapori orrendi, e poi forse sarebbe riuscito a dormire.
Appena accese la luce nel bagno, lo sguardo gli cadde sull’orrore poggiato sulla mensola dello specchio.
Quel che restava del tubetto di dentifricio era una massa informe, spremuta in ogni punto possibile fuorché quello corretto. Un rigonfiamento amorfo, circa a metà di quella scultura di arte moderna, lasciava intuire la presenza di un residuo di pasta pressoché inaccessibile. Dove fosse il tappo, poi, inutile perfino domandarselo.
Poco desideroso di combattere con quella mostruosità, aprì il mobiletto alle sue spalle, dove quattro scatole di dentifricio immacolate erano impilate con cura su un lato.
Afferrò la prima con più vigore di quanto avrebbe dovuto, tanto che gli sfuggì dalle mani e ricadde sul pavimento quasi senza rumore. Insospettito, si piegò e la prese tra due dita, soppesandola prima di raccoglierla. Era più leggera di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi, e non dovette neppure aprirla per capire che era vuota. Rivolse uno sguardo in tralice al muro oltre il quale sua moglie dormiva beata, schiacciò la scatola con cura, ripromettendosi di metterla assieme al resto della carta da gettare via in un secondo momento, e prese la seconda.
Vuota.
La terza.
Vuota.
Guardò l’ultima come se avesse potuto far materializzare un tubetto al suo interno – o quantomeno impedire la smaterializzazione di quello che avrebbe dovuto contenere – con la sola forza del pensiero, ma non fu sufficiente: era vuota anche quella.
Lo sguardo gli tornò al tubetto abbandonato sulla mensola.
Non aveva altra scelta.
Lo prese tra due dita come temesse che potesse scattare e morderlo. Lo studiò sotto la luce, tentando di comprenderne le assurde geometrie e individuare la più semplice zona d’accesso. Infine tentò di stenderlo e ridargli una forma umanamente accettabile, riuscendo solo ad appianare qualche grinza e graffiarsi le mani nel tentativo.
Per un attimo pensò di cedere le armi, ma no, non sarebbe andato a letto con quel sapore osceno in bocca.
Tentò dunque di fermare la bocca del tubetto tra indice e medio, e spremere col pollice la parte ad essa più vicina, sperando di ricavarne almeno una misera quantità di prodotto. Premette, e premette, e premette, ma non ottenne altro che un pollice dolorante. Intanto, la gobbetta se ne stava ferma lì, a metà strada, come a sottolineare che non tutto era perduto, ma avrebbe dovuto faticare per ottenere qualcosa.
E allora avrebbe faticato!
Disfece alla meglio i danni che aveva causato col primo tentativo e prese ad arrotolare l’altra estremità del tubo. In condizioni normali era il metodo più pratico per recuperare i residui di pasta, ma pieghe e bozzi la resero un’impresa più difficile del previsto e, giunto alla tanto agognata vena, il tubetto le si arrotolò semplicemente intorno, rendendola, se possibile, ancor meno accessibile.
Snervato, Carl andò nello studio, in cerca di qualche arnese che potesse aiutarlo.
In un angolo della scrivania, ben allineato con altri strumenti che usava nel poco tempo libero, vide il suo tagliabalsa e venne folgorato da un’idea. Lo afferrò ed estrasse la corta, ma affilata, lama.
Tagliare esattamente nel punto cruciale era escluso, non gli andava di mettersi in bocca del dentifricio che fosse entrato in contatto con la lama, e non aveva certo tempo, o voglia, di mettersi a sterilizzarla. Così, tenendo fermo il tubetto con una mano, con l’altra tentò di inciderlo poco sotto la testa. Premette la punta sull’alluminio e zac, la lama scivolò, senza neppure intaccarlo, e gli tagliò in due il polpastrello del pollice.
A questo punto, la collera e la frustrazione erano tali che neanche sentì il dolore, limitandosi a imprecare in silenzio per i risultati mancati, più che per le conseguenze ottenute.
Deciso più che mai ad averla vinta, poggiò l’odiato dentifricio sulla scrivania, e al diavolo se si fosse rovinato il ripiano, e lo pugnalò col tagliabalsa, staccando metà del corpo dall’imboccatura. Bene! Ora non doveva far altro che spremere!
Si mise al lavoro con impegno, incurante del sangue che gli sgorgava dal dito, per quanto questo gli rendesse viscida la presa. Premette, spinse, premette ancora, ma quella dannata gobbetta se ne stava sempre lì, come a irridere i suoi tentativi.
Alla fine, al colmo della frustrazione, si mise a torcere il tubetto come un panno da strizzare, spruzzandosi sangue sui vestiti e tutt’intorno senza badarci. Giunse a ridurlo a una sorta di punta ritorta che avrebbe fatto bella figura sulla fronte della scultura di un unicorno con la mania dell’igiene dentale e, quando abbassò lo sguardo, vide che finalmente il rigonfiamento era giusto alla base, appena fuori portata.
Premette un’ultima volta e splat!, un misero blob di dentifricio misto a sangue volò attraverso la stanza e finì nel bel mezzo del tappeto.
Fu in quel momento che Kate irruppe nello studio con l’aria bellicosa di un lottatore di sumo, in perfetta sintonia col suo fisico, guardandolo senza neanche vederlo. «Si può sapere che fine ha fatto tutto il dentifricio che c’era in questa casa?» gli urlò.

L’imputato si lisciò le pieghe della giacca e smise di guardare la giuria, per tornare a rivolgersi al giudice.
«Onestamente, vostro onore», concluse, «lei che avrebbe fatto?»
 
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A BOCCA APERTA

di Laura Palmoni


Flavio si sentiva a suo agio, anche il dolore pareva essersi attenuato. La notte non lo lasciava dormire, di giorno gli spaccava in due il cervello, caldo e freddo erano ormai solo delle variabili inutili. Il trattamento sperimentale del dottor Bradley era l'unico rimedio che funzionava e dopo di lui ne aveva visti di medici! Per un male che nessuno riusciva spiegare, solo quell'uomo sapeva dargli sollievo, anche se per pochi mesi.
«Mi scusi, è libero?»
Flavio si riscosse. Un donnone robusto pressato in un ridicolo abito rosso, indicava il posto sul divano dove lui aveva appoggiato la giacca. L'afferrò e se la mise sulle gambe, abbozzando un sorriso.
«Sì» rispose. Lei si lasciò cadere pesantemente sul sofà, Flavio si tenne al bracciolo per non affondare.
«Allora, com'è questo dentista?» chiese la signora con voce lamentosa. «Dicono che sia veramente bravo.»
«Direi di sì» rispose il ragazzo, sperando in cuor suo che la tipa non iniziasse a scaricargli addosso tutta l'apprensione della sua prima volta. La donna era sudaticcia, ansiosa e, per suo disappunto, aveva una gran voglia di parlare.
«Ho i denti sensibili, sa» diceva «sono una vera persecuzione. Qualsiasi cosa io mangi o beva, tutto non fa che causarmi dolore.»
Flavio si guardò intorno, abbozzando un sorriso distratto.
«Sono stata da dentisti molto bravi, ma non ho trovato soluzione. Una mia amica mi ha parlato di questo medico. Mi ha accennato anche ad un trattamento particolare.»
«Sì... usa un macchinario per la misurazione della sensibilità dentaria.»
«Ed è doloroso?» chiese con voce impaurita la signora.
«No, è praticamente indolore» disse il ragazzo, sperando di non dover fornire una completa descrizione dell'intero procedimento. Si maledì per non essere abbastanza stronzo da dire a quell'oca starnazzante di lasciarlo tranquillo, o quantomeno da spaventarla e farle passare la voglia di fare domande. «E' una specie di protesi collegata ad un computer, con questa stabilisce una diagnosi e la cura. Ma è anche una sorta di massaggio, è difficile da spiegare... Da' un incredibile sollievo.»
«E la carie?»
«La carie cosa?» chiese Flavio, sbuffando «Usa i metodi tradizionali, ovvio... Ma la macchina è un ottimo rimedio al dolore, non stressa il paziente e lo mette in condizioni di essere curato nel migliore dei modi.»
«Sì ma... fa l'anestesia con l'iniezione?»
«Certo, se occorre...»
«E allora cos'ha di diverso?» sbottò la signora con aria offesa e delusa. Flavio fu sul punto di perdere la pazienza. Solo una che non aveva mai avuto le cure attente del dottor Bradley poteva parlar male del dottor Bradley... Avrebbe potuto star zitto, ma sentì suo dovere difendere l'uomo che tanto magistralmente sapeva alleviargli il dolore.
«Questo dentista ha le mani d'oro, la farà rimanere a bocca aperta, mi creda.»
La signora alzò le spalle, prese distrattamente una rivista e iniziò a sfogliarla. Risentito per quell'improvviso disinteresse per la questione, s'inalberò: «E poi c'è il dentifricio, la sua amica non gliene ha parlato?»
La donna alzò gli occhi dalla figura slanciata e succinta che occupava la copertina del settimanale. «Quale dentifricio?» chiese, scettica.
«Quello per i suoi pazienti. Lo applichi dove hai il dolore e questo sparisce. Non puoi farne meno. E' un prodotto promozionale, non si trova in commercio, ce l'ha solo lui.»
«E costa molto?»
«Lo regala.»
«Il signor Mauri?» La voce della segretaria richiamò Flavio che si alzò dal divano, il volto sollevato. L'attesa era finita.
«Eccomi» annunciò. Un breve saluto alla signora e sparì oltre la porta. Sentì su di sé gli sguardi invidiosi degli altri pazienti, per i quali non era ancora giunta l'ora.

«Allora, signor Mauri, come andiamo?»
«Abbastanza male, grazie» ironizzò.
«Il dolore si è ripresentato?»
«Praticamente ogni notte da un mese e quando ha dei picchi altissimi non riesco a dormire.»
«Ho visto che è venuto da me tre mesi fa.»
Flavio annuì. «Ho notato anch'io che l'intervallo tra una visita e l'altra è sempre più breve.»
«Mi ha detto che le lastre non rivelano nulla di anormale.»
«Solo una progressiva perdita di dentina, ma questo non giustifica un dolore così forte. Avevo pensato al suo dentifricio... Lo uso spesso quando sento male, non vorrei...»
«La pasta è assolutamente naturale» lo interruppe il dottore «Diamo un'occhiata.»
Flavio respirò a pieni polmoni l'aria fresca dello studio medico. Si sentiva a suo agio, disteso sul comodo lettino, inondato dalla luce del sole che filtrava attraverso le tendine bianche, circondato da tele dipinte in colori caldi e brillanti. Da piccolo era spaventato dagli attrezzi e dai macchinari del dentista di famiglia, ma il dottor Bradley aveva delle mani uniche, delicatissime, un tocco leggero che avrebbe infuso sicurezza anche nel più ansioso dei bambini. Se un giorno avrò dei figli li porterò da quest'uomo, pensò. Mentre gli applicava il 'Dentometro', ( un giorno aveva sentito il medico chiamarlo così ) gli parlava per metterlo a suo agio. Il macchinario misurava i suoi denti, il sibilo leggero si confondeva con la musica che usciva dalla radio accesa. Un fievole formicolio gli solleticava le gengive ma Flavio non ne era disturbato, anzi, era immediato il sollievo che la pressione del marchingegno gli procurava nel cavo orale. L'applicazione durò qualche minuto, quindi Flavio sciacquò la bocca e del dolore non c'era più traccia. E con un po' di fortuna sarebbe durata un po' più di tre mesi, stavolta...
«Ecco il dentifricio miracoloso» il medico gli sorrise, porgendogli il prezioso tubetto rosso. Flavio lo prese con un'innaturale smania.
«Grazie dottore.»
«Mi raccomando, non ne abusi. Lo applichi una volta al giorno, preferibilmente la sera prima di andare a letto.»
Flavio assentì. Si sentiva rinato. Passò dalla segretaria e pagò i 40 euro della visita con la stessa gioia che se li avesse intascati lui. Quando uscì nella sala d'attesa, incrociò gli occhi vacui della donna vestita di rosso e le sorrise.
«Come si sente?» chiese quella, con fare dubbioso.
«Da Dio!» rispose Flavio, strizzandole l'occhio. La signora parve rinfrancata.

L'ultimo cliente uscì dallo studio con l'aria più gaia che mai, ciò indicò all'uomo con la valigia che era giunto il suo turno. Dopo un breve cenno di saluto, questi entrò nello studio, rivolgendo appena uno sguardo alla segretaria in procinto di vestirsi ed andarsene.
«Buonasera signore... Buonasera sera dottor Bradley, a domani!»
«A domani, signorina de Carli!» le rispose il dottore. L'uomo col cappello entrò e chiuse la porta alle sue spalle. Quando sentì il pesante portone d'ingresso chiudersi, il dottore si rilassò e andò incontro all'uomo. Questi ignorò la mano che il medico le tese: «Come sono andati i prelievi oggi?»
Il medico tossicchiò. «Bene direi» e indicò il computer.
L'uomo si accostò, aprì uno sportellino laterale del macchinario ed estrasse un contenitore pieno di un denso liquido giallo. Lo sigillò in un altro contenitore e lo mise in una grande borsa termica.
«Ho bisogno di dentifricio» continuò il dottore, cercando di assumere un tono disinvolto.
L'uomo in nero lo scrutò con aria severa. «Mi sembra che finisca troppo rapidamente. Credo che debba stare attento all'uso che ne fa.»
«Le richieste sono sempre più numerose. I clienti sono triplicati nel giro di sei mesi. D'altra parte è proprio l'effetto del dentifricio che li riporta da me, senza quello non potrei procurarvi ciò che vi serve.»
Ci fu un attimo di silenzio, giusto per lasciargli il tempo di chiedersi se sarebbe vissuto un altro giorno o se magari quello l'avrebbe fatto fuori all'istante.
«Domani o dopodomani al massimo avrà una buona scorta.»
Bradley rilassò i muscoli contratti. «Ah, quasi dimenticavo... Lo studio dei componenti come va? C'è un paziente che sta sviluppando una forte allergia, i dolori stanno aumentando e ha bisogno di dosi massicce. Non reggerà per molto.»
«I nostri scienziati ci stanno lavorando» replicò l'uomo. «Mi serve nome e indirizzo dell'uomo.»
Il dottore deglutì. «Che gli farete?»
«Non credo che la cosa la riguardi, dottore.»
Ma Bradley era curioso. «Lo ucciderete?»
«Non prima di aver compiuto i nostri studi. Soddisfatto adesso?»
Non proprio, rifletté Bradley. Alla fine, però, non è che dovesse preoccuparsi di tutti i suoi pazienti! Il suo passato da odontoiatra era piuttosto insignificante, ma ora la sua notorietà era su larga scala, contava almeno trenta pazienti al giorno e le entrate erano sufficienti a farlo vivere nel lusso per tutta la vita. I suoi sogni si stavano avverando. Era tentato di chiedere a quell'individuo cosa ne facessero della dentina estratta ai suoi pazienti, ma temeva che a far troppe domande avesse tutto da perdere e nulla da guadagnare. Quando gli avevano offerto soldi e notorietà in cambio di quel lavoro sporco, Bradley era stato sul punto di scoppiargli a ridere in faccia, ma quando si era trovato faccia a faccia con quei mostri, aveva capito di avere due scelte: o impazziva e finiva in manicomio o accettava la proposta. La seconda opzione gli era parsa più divertente e conveniente della prima. Senza contare che non sapeva cosa potesse capitargli se avesse rifiutato...
L'uomo si aggiustò il cappello, mise tracolla la borsa termica e riprese la sua valigia. Gettò al medico un'occhiata, Bradley non capì bene se fosse più disgustato o impietosito.
«Buonanotte, signor Bradley.»
«Buonanotte, signor...» il saluto rimase a metà. In più di un anno, da nessuno di loro aveva sentito pronunciare dei nomi. Del resto, l'individuo si dileguò abbastanza in fretta da non permettere ulteriori curiosità. Pazienza. «Sopravviverò» Per un attimo pensò al povero signor Mauri. Immaginò la sua faccia e quella dei suoi clienti se avessero saputo la verità. Da lasciarli a bocca aperta. Sorrise. Infilò il cappotto, spense le luci e si avviò a piedi verso casa. Alzò gli occhi al cielo stellato, pensando che da qualche parte un grosso quantitativo di dentina terrestre viaggiava nello spazio. Non si sapeva con quale scopo, ma a che serviva preoccuparsi? Alla fine non era mica la sua!

Autorizzo Jackie de Ripper alla pubblicazione su Skan Magazine
 
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Spoon_river
view post Posted on 19/1/2015, 17:01




MOLTI CHILI


Volendo parlare di Ralph Wittaccher, quell'omone tripla xl e sartoria fatta a mano, dovremmo iniziare dicendo che aveva trentanove anni. Sì, circa quell'età lì. E che viveva nel New England, Connecticut, dove l'estate uscire di casa anche solo per andare al supermercato significava farsi letteralmente una doccia di sudore. Per Ralph Wittaccher poi, coi suoi centoventinove chili di uomo che sa il fatto suo sparso un po' su bacino, fianchi e cosce, andare fuori porta era come scalare il monte Rushmore con solo un sacchetto di carta per il vomito. Washington e gli altri scolpiti lassù si sarebbero quasi certamente presi gioco di lui, del suo respiro grasso e unto e del rumore che procurava lo sfregare continuo delle sue cosce sudate. Perfino la vecchia vicina di casa, la signora Ann, settantacinque anni suonati e diabetica, quando non riusciva a fare le valigie per andare a trovare il figlio in Europa, lui che un climatizzatore ce l'aveva, si piantonava in casa dei Wittaccher guardando quella strana forma d'uomo crescere in salotto. Poi parlava alla madre di Ralph, la povera vedova Sue Wittaccher, in questo modo:
-Dovresti farlo controllare Sue, diceva. Oppure:
-Ralph è un bravo ragazzo amica mia, ma la sua salute potrebbe peggiorare. O ancora:-Oh Santo Cielo ragazza, saranno più di duecento chili quelli lì. Devi fare qualcosa per tuo figlio. E si rinforcava tondi occhiali tartarugati sul naso adunco, squadrando Ralph da capo a piedi, chiaramente disgustata.
Poi andava via dalla porta sul retro lasciando agli insofferenti Wittaccher tutta la calura di quelle stupide estati. Passava qualche giorno, poi arrivava puntualmente qualcun altro.
Anche Jaquline Roberts, Mary Alice Nicholson o Monica Stride della chiesa metodista di St Paul erano preoccupate per la salute di Ralph e pensavano chiaramente fosse opera del diavolo. Quel venerdì di Agosto, Mary Alice, la più diplomatica del gruppo, le aveva detto: -Non c'è più niente di umano cara Sue. Anche quei peli sparuti sotto il mento. Credo di non averlo mai nemmeno visto con della barba nutrita quel tuo povero ragazzo. Mi preoccupa Sue, Ossignore quanto mi preoccupa.
E poi, non curante, aveva ripreso a piegare golf e maglioni mettendoli in grossi scatoli di carone per la beneficenza. Sue a sentire quelle parole s'era allarmata ed era subito corsa a casa a benedire il brasato di manzo per la cena.
Zanzare a parte insomma restare a casa sotto le correnti del ventilatore a soffitto sembrava quindi, per molte estati, l'unica soluzione accettabile a quel caldo torrido.
Sua madre, la buona e cara Sue, ci aveva preso il callo a vedere quel bulldozer lì parcheggiato in salotto davanti alla tv a tutte le ore del giorno. Anche quando provava a schiodarlo con la scusa della pioggia lui sapeva che rispondere.
-Oh, accidenti mamma. E si guardava le caviglie gonfie come pane lievitato.
-Pensi davvero possa uscire con queste due robe attaccate ai piedi?
Detto questo poi passava in rassegna tutti i canali della cavo. Da Santa Barbara a La ruota della Fortuna. Immerso in un divano a fiori e scodelle di cibo ipercalorico.
Sue, nei mesi successivi, era riuscita solo a vedere suo figlio Ralph ingigantirsi sempre di più, assumendo rotondità con eccessiva fretta, sino ad arrivare alla soglia dei duecentocinquanta chili. Tondi tondi. Anche saltando i pasti Ralph Wittaccher acquistava peso, inspiegabilmente. Pesante, enorme, riposava sotto le pale spente del ventilatore col rantolo umido e bisunto di un cinghiale braccato. Quando arrivò la tormenta di neve era già metà Febbraio. Erano tre giorni filati che centimetri di neve si rovesciavano dal cielo sul Connecticut. Gli spalatori avevano raccolto dossi di neve ai margini delle strade e sparso sale sui viottoli di casa sino a quando il vento siberiano e il ghiaccio permisero ancora di mettere il naso fuori di casa. Arrivò un momento però, quando il vento cominciò a soffiare basso dal mare e la neve prese a indurirsi per strada, in cui non fu più possibile nemmeno uscire a fare la spesa. Anche i trattori meccanici si fermarono, bloccati dal gelo. La fioccata non accennava a smettere di venir giù in precipitosi rovesci, e per più di due giorni Sue e suo figlio Ralph Wittaccher rimasero bloccati in casa da quasi un metro e mezzo di neve, senza energia elettrica e acqua calda. Sue aveva provato a chiamare l'oratorio della chiesa di St. Paul, ma le comunicazioni andavano avanti a singhiozzi quando le linee non erano del tutto interrotte e fu impossibile quindi parlare con qualcuno.
La casa s'era ammantata di buio via via che il ghiaccio si compattava come marmo sulle finestre e sugli stipiti dell'ingresso. In cucina, con un fornello da campeggio a gas, Sue aveva riscaldato fagioli già pronti e consumato l'ultimo boccone di formaggio. In frigo il bricco del latte e dell'acqua erano pieni a metà. Dopo quasi ottantaquattro ore di ininterrotta nevicata Ralph Wittaccher era diventato irascibile. Si aggirava lento tra le piccole stanze dell'abitazione come un fantasma, andando a sbattere contro le cose, in un su e giù delirante tra i cassetti della credenza che lasciava aperti e il frigo che s'apriva senza luce. Mentre lo si incrociava per casa lo si sentiva borbottare rumorosamente. A volte Sue pensava fosse il suo stomaco. Un rantolo acuto che sembrava risalire dalle profondità delle sue viscere. Alto quasi due metri si trascinava ricurvo come un orso bruno soffocato dai rantoli della sua immensa fame.
-Tesoro, vedrai che ne usciremo vivi. Lo rassicurava Sue, appesa alla cornetta muta del telefono.-Qualcuno verrà a tirarci fuori da questo pasticcio.
Forse sarà stato un mercoledì, o un giovedì, Sue non ne era più tanto certa. Fuori nevicava ancora, lo si vedeva dai piccoli buchi liberi aperti nelle finestre, lì dove il ghiaccio non aveva attecchito. Un lungo ululato s'allargò d'un tratto per tutta la casa. Corsa in salotto, Sue vide Ralph Wittaccher tentare di aprirsi un varco nella porta con una vanga.
-Oh Santo Cielo tesoro, cosa diavolo vorresti fare. Ai primi pesanti colpi di vanga gli stipiti cedettero e la neve, come una slavina, invase subito l'ingresso, investendoli. Ralph era in preda al delirio. Rivoltandosi goffamente nel ghiaccio provò a scavare a mani nude nella sabbia gelida. -Non c'è più aria. Tiratemi fuori di qui. Non respiro.
-Oh Santo cielo Tesoro. Sue, incastrata sino alle ginocchia nel manto bianco, provò a placarlo, cercando di sottrargli la pala ma inutilmente. Ralph, fuori di sé, ansimava dalla rabbia. E proprio come un orso bruno, in un secondo, si lanciò incollerito al collo di sua madre. Sue Wittaccher crollò di spalle nella neve. Sopra di lei suo figlio le chiudeva attorno al collo le sue mani da gigante. La donna provò a divincolarsi, ma la mole di Ralph che le gravava addosso la faceva sprofondare nel gelo, lasciandola senza scampo.
-FAGIOLI. Disse poi lei, con un filo di voce.
Ralph quasi mollò di colpo la presa. Era pallido e freddo e una bava di saliva gli pendeva dalla bocca appena aperta.
-Hai fame vero tesoro? Sue adesso era quasi libera. Ralph annuì. Come un cane retrocedette. Respirava a fatica.
-C'è ancora del cibo in casa. Dei fagioli. Vuoi i fagioli Ralph? Ti scalderanno vedrai.
Lui disse sì una seconda volta. Ancora più convinto. Sue si massaggiò il collo indolenzito liberandosi dalla neve. Prima a quattro zampe e poi finalmente in piedi Sue riuscì a raggiungere la cucina. I fagioli in scatola stavano nel pensile più alto, dove Ralph non avrebbe saputo cercarli, insieme al dentifricio e la candeggina che utilizzava per smacchiare le posate. Lei recuperò tutto con l'aiuto di una piccola scala e li mise a scaldare sul fornetto a gas, i fagioli insieme al dentifricio e la candeggina.
Quello strano giovedì, insomma, Sue fece la zuppa di fagioli. Ralph la divorò con avidità seduto sulla neve nell'ingresso. Giù in gola, masticando forte come un tritarifiuti. Sue lo assistette sino alla fine, sino a essere certa che il piatto fosse vuoto. Quando ebbe finito raccolse il piatto e raggiunse la cucina. Lì aspettò. Lì pensò a un mucchio di cose. Alle amiche della chiesa metodista, alla premurosa vicina Ann, al suo caro Edward scomparso d'estate. Oh, quanto le mancava suo marito. Poi, d'improvviso, ci fu un rantolo provenire dal salotto, come una sfiatata di gas da una bombola e un tonfo sordo. Sue, come se qualcuno l'avesse vista, si asciugò con una manica gli occhi lucidi. Tirò su col naso e raggiunse l'ingresso. Su una montagna di neve sporca di fango e indurita l'enorme corpo di Ralph Wittaccher riposava senza vita. Coricato da un lato i suoi occhi di plastica scrutavano il vuoto davanti a loro. Del sangue vivido e fresco da quella bocca piccolissima si era allargato tutto intorno. Se solo si fosse avvicinata un po' avrebbe potuto udire lo sfrigolare degli organi del suo bambino liquefarsi nelle caverne sottopelle, dove non avrebbe osato nemmeno buttare un occhio.Fu in quel momento che il rumore di un nuovo colpo di ascia la fece sobbalzare. Questa volta però proveniva dall'esterno. Ci furono poi altri rumori in successione, come di legno fresco appena tagliato e una voce. -Signora Wittaccher. MI SENTE SIGNORA WITTACCHER. La prego signora Wittaccher se mi sente si faccia avanti, siamo venuti a tirarla fuori da qui.

Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare questo mio racconto su 'Skan Magazine'.
 
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view post Posted on 19/1/2015, 19:39
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Un buco dentro internet
di Nazareno Marzetti


Alice spense, sbuffando, la televisione. Con più di trecento canali le pareva impossibile che non ci fosse niente da vedere. Rimase ancora un po' raggomitolata nel plaid, prima di alzarsi controvoglia. Lentamente per non farsi prendere di nuovo dalle vertigini. L'aspirina stava facendo fin troppo effetto: la testa pareva vuota e sul punto di rotolare. Era arrivata in cucina. Che ci era andata a fare? Decise che non le importava e prese un bicchiere di succo d'arancia. Ne bevve un sorso e tornò in camera sua, dove si rigirò un po' sul letto. Controvoglia andò in bagno, dove studiò le occhiaie e diede una ravviata ai capelli. Quel pisolino fuori programma non era riuscito a portarsi via neanche mezz'ora. Scartò l'idea di fare zapping, né aveva voglia di mettersi in pari con i compiti. Così ricominciò a girovagare per casa, trascinandosi dietro il fido plaid.
Nello sgabuzzino c'erano le vecchie cose lasciate lì dallo zio prima che scomparisse: pochi scatoloni pieni di cianfrusaglie e un computer a cui il tempo aveva dato un malato colore beige. Uno degli scatoloni conteneva una cinquantina di CD impilati uno sull'altro, ciascuno con la sua brava etichetta. Fece spallucce e li portò in camera sua.
La maggior parte contenevano film in bassissima risoluzione, alcuni per leggerli avrebbe dovuto scaricare qualche programma apposito, altri parevano ripresi dalla sala di un cinema. Negli altri CD c'erano vecchi programmi che non volevano saperne di installarsi. L'ultimo della pila venne immediatamente sputato fuori perché illeggibile. L'etichetta diceva solo “Internet hole”. La cosa la incuriosì un po', ma, secondo google, non esisteva nessun film o programma con quel nome. Anzi, non esisteva proprio niente con quel nome.

«E poi?» chiese Matt con la bocca piena.
«E poi cosa?»
«Che hai fatto?»
«Mi sono rimessa a guardare la tv» rispose Alice facendo spallucce.
«Che fine ha fatto quel vecchio CD?»
«L'ho rimesso a posto, con le altre cose dello zio. Perché ti interessa così tanto?»
«Non sai che è l'internet hole?»
«Non te lo avrei chiesto altrimenti» rispose Alice scocciata.
«Se ne è parlato tanto verso la fine degli anni novanta, poi è caduto tutto nel dimenticatoio della rete, ma se cerchi bene trovi qualcosa.»
«Hai intenzione di girarci intorno ancora a lungo?»
«Pare che ci sia un modo, attraverso internet, di contattare una dimensione parallela.»
Alice smise di mangiare fissando il suo amico. «Che puttanata.»
«Così si dice...» si giustificò Matt «Senti... portami quel cd. Voglio vederlo.»
«Ma è illeggibile.»
«Va bene lo stesso. Dai, che ti costa?»

«Ce l'hai?» fu la prima cosa che Matt le chiese appena varcò la soglia di casa.
«Sì. Buon pomeriggio, signora.»
«Andiamo in camera mia. Dai, sbrigati. Che stai aspettando?»
«Eccomi.»
Pochi minuti dopo Matt esaminava il CD che il suo computer aveva appena rifiutato.
«Te l'ho detto» commentò Alice, senza smettere di copiare dal quaderno dell'amico.
«È solo graffiato.»
«Appunto.»
Matt corse in bagno e tornò subito dopo con un dentifricio e un rotolo di carta igenica.
«Che stai facendo?» chiese Alice quando il ragazzo ne spalmò un po' sul disco argenteo.
«È un vecchio trucco» sorrise il ragazzo. «Il dentifricio riempie i graffi, basta rimuovere quello in eccesso... et voilà!» concluse, mostrando con orgoglio la finestra il contenuto del CD.
«Che sono?»
«Uno è un motore di chat mirc. Niente di che... Questo invece...» La finestra che si aprì era la più brutta che Alice avesse mai visto: piccola, con caratteri grossi e seghettati. Alcune parole parevano in qualche dialetto inglese, seguite da numeri e lettere senza senso.
«Sembra arabo...» commentò Alice.
«No... sono... è... cavolo, devo provarlo subito.» La ragazza ebbe una fugace visione del menu dei programmi, prima che sul monito apparisse una seconda finestra, ancor più brutta della prima, con lo sfondo nero e i caratteri bianchi. L'aveva vista in qualche telefilm, ma non credeva potesse veramente esistere. Matt ci scriveva a una velocità impressionante quelle frasi senza senso, alle quali seguivano altre frasi che Alice non faceva in tempo a leggere.
«Cos'è? Che stai facendo?»
«Questi sono i comandi per raggiungere il nodo fantasma!» rispose, continuando a leggere e copiare righe di codice.
«Nodo fantasma? Di che stai parlando?»
«Del buco su internet!»
Alice afferrò le spalle dell'amico e lo costrinse a voltarsi verso di lei «Spiegami che ti prende, prima che chiamo la neuro.»
«Il dono fantasma, capisci? È la porta di accesso all'internet hole!»
Alice scosse la testa.
«Ti ricordi che ti ho detto che attraverso l'internet hole è possibile contattare una dimensione parallela?»
«Fai finta di parlare con qualcuno che non ha la più pallida idea di cosa tu stia dicendo.»
«Nei verso la metà degli anni '90 in diverse chat, parlando di fatti storici, alcuni utenti asserivano che... tipo che la seconda guerra mondiale finì nel '47, o che nessuna strega venne bruciata a Salem.»
«Dei troll?»
«Molti pensarono di sì. Altri che venissero veramente da un universo parallelo in cui i fatti storici si sono svolti in modo leggermente diverso.»
«E poi?»
«Dopo alcuni mesi scomparvero. Si continuò a parlare per un po' della cosa. Qualcuno ipotizzava che il passaggio con l'altra dimensione era stato trovato e quindi chiuso. Dopo pochi anni qualcuno disse che aveva scoperto che esisteva questo collegamento... un particolare nodo di internet. I pacchetti che passavano per quel nodo venivano persi e da quel nodo partivano pacchetti che nessuno aveva inviato. Quell'utente scomparve e si cominciò a parlare del nodo fantasma.»
«Credo di aver capito neanche metà delle cose che hai detto.»
«Lo chiamano fantasma perché è stato escluso dal traffico. Questi comandi servono per raggiungere quel nodo.»
«E dove si trova quel nodo?»
«Nessuno lo sa.»
«Ma come, se hai le indicazioni per raggiungerlo...»
«Per raggiungerlo attraverso la rete, non fisicamente. Sai come funziona internet?»
Alice rimase interdetta. Non voleva rispondere di no, ma qualunque altra risposta sarebbe stata sbagliata.
«E come fai allora a raggiungerlo?»
«Conoscendone il nome e mascherando l'indirizzo.»
«Non è possibile. Se fosse così facile...»
«Ma non è facile! Se non si conosce il nome del nodo è impossibile trovarlo, proprio perché è stato escluso da tutti i DNS!»
Dopo qualche secondo di silenzio, Alice provò con un'altra domanda «Come è possibile che questo... nodo sia in grado di connettersi a un'altra dimensione?»
«È questa la cosa bella: pare che sia un nodo della vecchia arpanet, un server di un centro di ricerca che, durante la guerra fredda, faceva esperimenti sulle distorsioni dello spazio tempo. Ne avrai sentito parlare!»
«Su qualche vecchio film...»
«Ecco... pensa se fosse tutto vero!»
«Sarebbe assurdo.»
«Sarebbe fantastico! Pensa... parlare con un'altra dimensione...»
«Se fosse tutto vero» commentò Alice.
«C'è un solo modo per saperlo!»
Matt riprese a digitare i codici e, dopo alcuni minuti di tentativi, mostrò soddisfatto lo schermo all'amica.
«È questo?»
«Sì» rispose orgoglioso.
Alice studiò a lungo quella finestra che compariva sullo schermo. Un solitario “ciao” compariva nella finestra altrimenti vuota. «Che cos'è?»
«Una chat.»
Lei inclinò la testa «Con chi stiamo parlando?»
«Be'... non c'è nessuno.»
«Bella fregatura. Abbiamo una chat aperta in un'altra dimensione e non c'è nessuno con cui parlare.»
«Be'... è un canale chiuso da più di dieci anni... non è così strano.»
«E adesso?»
«La lascio aperta. Magari qualcuno...» Matt venne interrotto da un blip. Un secondo “ciao” era apparso a far compagnia al primo. I due ragazzi si guardarono incerti. «Cosa gli diciamo?»
«Non lo so.»
Un altro blip e “So che sembrerà una domanda strana, ma...”
Un terzo blip “Quando è finita la seconda guerra mondiale?”
Matt si affrettò a scrivere “Nel 45”. Rimasero in silenzio ad aspettare il successivo messaggio.
«Avanti, chiediglielo!» lo spronò Alice.
“So che sembrerà ancor più strano ma... risponderesti anche tu alla stessa domanda?”
Dopo qualche secondo comparve la scritta “47”.
 
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Ceranu
view post Posted on 19/1/2015, 23:49




La speranza è l'ultima a morire


di


Francesco Nucera




Seduta sulla poltrona, Chiara osservava la luce del mattino illuminare i tetti delle case vicine. Poco alla volta il buio della stanza lasciava posto al sole. Quando la luce carezzò il volto di Ivan la madre si alzò.
“Si comincia!” pensò.
«Buongiorno amore!» disse Chiara poggiando le labbra sulla fronte del figlio. «Come vedi è una bellissima giornata.» Afferrò il lembo del lenzuolo e scoprì completamente il ragazzo. «Oggi è giovedì.» Batté le mani e le sfregò. «Giorno di fisioterapia.»
Attese qualche istante come se dovesse arrivare una risposta, ma gli occhi di Ivan, fissi sul soffitto, non si mossero. Chiara sospirò, tutte le mattine era la stessa storia, sperava di vederlo alzarsi da quel letto per salutarla. Immaginava che le sorridesse e le chiedesse cosa aveva preparato per colazione. Così non fu.
Afferrò la sacca marrone sul comodino, la agganciò alla piantana da cui ne pendevano altre due trasparenti, e la collegò a un tubicino che si andava a infilare nelle narici del figlio.
«Spero che almeno abbia un sapore questa roba.»
Inumidì un asciugamano in una bacinella e, delicatamente, cominciò a frizionarlo.
«Quanto mi piaceva farti il bagnetto. Certo, eri proprio una peste, potevo scordarmelo di vederti così immobile. Correvi da una parte all'altra della casa. Papà e io impazzivamo cercando di acciuffarti.» Sorrise. «Quanto ridevi, era così bello sentirti. Da solo riempivi la casa.»
Indugiò all'altezza del ginocchio, sulla prima delle svariate cicatrici che deturpavano il suo ragazzo.
«Sei sempre stato un amore. Se ci fosse papà racconterebbe delle tue prime pedalate. È così orgoglioso. Pensa d'essere stato lui a insegnarti ad andare in bici, ma noi lo sappiamo da chi hai imparato.» Chiara fece l'occhiolino al figlio. Per un attimo l'osservò. Gli occhi le si riempirono di lacrime, il petto di dolore. Si trattenne, non piangeva davanti a lui, perché suo figlio era ancora vivo dentro quel corpo immobile.
«Oppure ci direbbe dei sacrifici che ha fatto per seguirti quando giocavi a calcio. Tutte le domeniche era con te, attaccato alla rete dietro la porta degli avversari. Quante volte hai rischiato di prendere le botte perché non riusciva a stare zitto. Per tuo padre eri un piccolo campione. Continuava a ripetere: “Vedrai che un giorno qualcuno lo vedrà e ce lo porterà via. Andrà a giocare in Serie A.”»
Cambiò asciugamano e riprese a frizionare dal collo.
«Oggi, quando lo vado a trovare, gli dico che stai bene. Che anche se non giochi in Serie A non te la passi male. Potrei anche dirgli che ci giochi, tanto non farebbe in tempo a chiedere conferma.» Si sollevò e portò indietro la testa. Serrò gli occhi cercando quelle energie che venivano sempre meno. Si morse il labbro ed espirò tutta la tristezza che aveva in corpo. Andò al comò, poggiò l'asciugamano e aprì un cassetto. Frugò sotto i pannoloni, estrasse lo spazzolino e due tubetti di dentifricio. Il primo rosso con un castoro che sorrideva, il secondo bianco che raffigurava Winnie Pooh. «Fragola o banana?» Li soppesò, guardò il figlio e si rispose: «Fragola, so che lo preferisci.»
Con lo spazzolino in mano tornò a chinarsi su Ivan. Le faceva male la schiena, tutti quegli anni avevano messo a dura prova il suo corpo non più giovane, ma per fortuna aveva la mano ancora ferma. Con la sinistra sollevò leggermente il labbro del figlio e con la destra iniziò a spazzolare, facendo ben attenzione a non toccare il tubo di plastica.
«Anche questo dev'essere un nostro piccolo segreto. Se lo scopre l'infermiera mi uccide.» Spostò lo sguardo severo verso il figlio e corrucciò la fronte. «Non fare come la volta del motorino. Tuo padre ti aveva chiesto di non parlarne con nessuno e invece andato a raccontarlo alla zia Sabrina. Lei corse subito da me. Non ti dico quanto gridai contro quello stupido. Sapevate entrambi che non ti avrei mai fatto guidare una moto, sai quanto mi fanno paura.» Distolse lo sguardo dal figlio e si perse fuori dalla finestra. Quante preoccupazioni inutili c'erano state nella sua vita. Non far questo, non far quello. Tanti divieti e alla fine?
Per qualche minuto rimase in silenzio. Nella stanza si sentivano solo le setole contro i denti sempre più neri e quel insistente rumore; il pallone si gonfiava e sgonfiava allo stesso ritmo da più di un anno. Era un metronomo pronto a scandire il tempo che passava inesorabile, allontanando la speranza di vederlo sveglio. Ma lei era una madre e nulla l'avrebbe convinta a smettere di pregare.
Dalla base del letto Chiara afferrò il piede sinistro del figlio, lo sollevò piano e lo portò all'altezza del seno. «Ti farà un po' male, ma lo sai che lo faccio per te. Così quando ti sveglierai faticherai meno a metterti in piedi.» Portò delicatamente il peso in avanti e, aiutandosi con la mano destra, gli piegò il ginocchio. «Solo venti volte per parte, poi facciamo le braccia e per oggi abbiamo finito» disse sorridendo. Arrivati quasi a metà il telefono di casa iniziò a squillare. Chiara sbuffò. «Scusami, torno subito.» Adagiò piano l'arto del figlio e corse a rispondere.
«Pronto.» Dall'altra parte del ricevitore si sentiva un gran baccano.
«Parlo con la signora Vanti?»
«Sì, sono io.»
«La chiamo dall'RSA Garofani. Dovrebbe venire subito qui.»
Un presentimento pessimo aggredì Chiara che si mise a sedere a terra. «Ora non posso, sono con mio figlio. È successo qualcosa?» Sapeva che era così. Ogni chiamata di quel posto corrispondeva a un mese d'ospedale per Francesco.
«Signora Vanti, non riesce proprio a venire?»
«Come tutti i giorni verrò nel pomeriggio, quando mi sostituisce qui un'infermiera» rispose scocciata. «I medici del reparto lo sanno. Mi faccia parlare con loro.»
Ci furono alcuni istanti di silenzio, poi partì la Primavera di Vivaldi.
«Signora Chiara, mi scusi per l'attesa.»
Chiara trasalì, non si aspettava che rispondesse veramente il medico. Le volte precedenti la segretaria si era limitata di riferire cos'era successo e dove lo stavano portando.
«Dottor Coni, cosa sta succedendo?» La voce di Chiara tremò.
«Purtroppo suo marito ha avuto un attacco cardiaco. Mi dispiace. Non siamo riusciti a salvarlo.»
Il mondo, che fino a pochi attimi prima si reggeva su pilastri immaginari, crollò sulle fragili spalle di Chiara.
«Mi faccia una cortesia. Nel suo armadio c'è un vestito nero, gli faccia mettere quello. Io verrò appena possibile.» La voce della donna era stranamente composta, tanto da spiazzare il medico.
«Sì, sarà fatto. Non vuole sapere nient'altro?»
«È morto?»
«Sì.»
«Mi basta sapere questo. A dopo.» Chiara chiuse la comunicazione, piegò le ginocchia fino a sfiorarsi il mento e scoppiò a piangere.

Seduta sulla poltrona completamente illuminata, Chiara osservava il volto del figlio. Non aveva ancora avuto il coraggio di dargli la notizia. Guardò l'orologio e si fece coraggio. Meno di un'ora dopo sarebbe arrivata l'infermiera. Si alzò di scatto. “Probabilmente non sentirà nemmeno”. Per la prima volta pensò al figlio come a qualcosa di inanimata. Il dolore aumentò ancora. Il marito era ricoverato da più di sei mesi, eppure gli aveva dato la forza di andare avanti. Poggiò il palmo della mano sulla fronte di Ivan e lo accarezzò. «Dobbiamo tagliare i capelli» disse tirando su col naso.
“Cosa ti succederà quando non ci sarò più io?”
Si guardò le dita raggrinzite, gli anni erano passati inesorabili. Dieci dall'incidente in auto.
Fece un paio di passi vero il comodino, aprì un cassetto e estrasse un blister pieno di farmaci.
“Lo faccio per noi.”
Guardò il piccolo monitor del respiratore e scoppiò a piangere per l'ennesima volta in quel maledetto giorno.
«Magari se ti avessi fatto comprare la moto avresti evitato quel palo.»
Spense il macchinario, si chinò sul volto di Ivan e iniziò a sfilare il tubo che gli permetteva di vivere.
«Perdonami, sono stata egoista. Avrei dovuto farlo prima.» Poggiò le labbra su quelle libere del figlio. «Ti voglio bene bambino mio.» Con lo sguardo fisso sul petto di lui liberò le pillole dalla loro prigione argentata. Portò la mano alla bocca e le ingoiò una alla volta. Alla fine ne contò dodici. Diede un ultimo sguardo a Ivan e sorrise.
«Tra poco correremo insieme da papà.»
La stanza girò improvvisamente, gli occhi si fecero pesanti. Arrancò fino alla poltrona e ci si abbandonò. Quante notti lo aveva fatto, ma quella sarebbe stata l'ultima volta. La vista si appannò, tanto da fargli credere di vedere un movimento provenire dal letto. Le palpebre si chiusero, la testa divenne troppo pesante per poterla sostenere. L'inerzia la spinse contro il poggiatesta.
La stanza era finalmente silenziosa. Il fastidioso rumore del respiratore non c'era più. Chiara sentiva la vita allontanarsi. Il clacson di un auto, che passava sotto casa, le fece capire che non era ancora in paradiso, ma poco ci mancava. Sentì un sospiro profondo, come se qualcuno prendesse fiato dopo una lunga apnea. Pensò che probabilmente fosse il suo ultimo respiro e attese felice. Il buio era quasi totale.
«Mamma!» disse una voce disarticolata che arrivava da lontano.
“Arrivo Ivan” pensò.
«Mamma, mamma! Aiuto, non riesco a muovermi.»
“Arrivo.”
Buio.

Autorizzo Jackie de Ripper alla pubblicazione su Skan Magazine

Edited by Ceranu - 30/1/2015, 08:49
 
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view post Posted on 20/1/2015, 09:35

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più di 8 ore alla consegna e siamo già oltre lo sbarramento. Bene. Così si fa! ;)
 
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view post Posted on 20/1/2015, 09:42
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CITAZIONE (Marco Lomonaco - Master @ 20/1/2015, 09:35) 
più di 8 ore alla consegna e siamo già oltre lo sbarramento. Bene. Così si fa! ;)

Come per l'altra volta, sto preparando il documentino con tutti i racconti, pronto per essere stampato e letto offline.
Lo posto appena arrivano le 18:30
 
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view post Posted on 20/1/2015, 15:28
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Ma quanta bella gente per questo speciale ^_^
Salutoni a tutti.


Essere Dio per un decimo

Duke Zed fece il suo ingresso nella breccia, scortato da venti dei suoi più massicci combattenti.
A sbarrargli il passo era rimasto solo Max, indebolito dalle ferite e dalla lunga lotta.
Iron Golem, Hyena e gli altri Riders erano morti e lui era l’ultima difesa che si frapponeva tra i banditi e gli inermi abitanti di New Heaven.
Il predone lo squadrò con aria ironica, poi cominciò ad applaudire.
- Sai, non pensavo che avreste resistito così tanto. – disse, togliendo il sigaro dalla bocca e sbuffando una lunga nuvola di fumo. - Si, sapevo che eravate cazzuti, ma, porca miseria, noi eravamo migliaia! Insomma, mi sono detto “Mandiamogli contro quella feccia Scravengers, che tanto ce n’è fin troppa.”. Mi aspettavo una cosa veloce, e invece…
La sua mano indicò la massa di cadaveri che si intravedeva attraverso la breccia.
- Poi mi sono detto: “Saranno stanchi: basterà attaccare con una sporta di gente e la battaglia sarà vinta.” Così vi ho mandato contro i Cobra, i Red Shields e i Direction: cazzo, messi assieme erano più di novecento!
Gli spalti ingombri di corpi parlarono al posto suo.
- Così ho perso la pazienza e ho dato fondo al meglio. E cosa c’è di meglio di due camion ripieni di esplosivo? Se poi sono seguiti da duecento veterani Blitzkrieg e Sardaukar, teoricamente nulla dovrebbe restare in piedi… o quasi.
Rise, poi applaudì di nuovo.
- Complimenti: avete distrutto più di due terzi delle Bande del Deserto, ma ora è finita. E, per dirla tutta, forse è meglio così: in questo modo, noi Uruk Knight non dovremo spartire il bottino con nessuno!
Ma Mel Max non indietreggiò di un passo.
- Non mi fai paura, Duke: feccia come voi posso massacrarla anche da solo.
Gettò via la spada spezzata e mise le mani nelle tasche per cercare altri coltelli. Ma l’unica cosa che trovò fu il dentifricio che Hyena gli aveva dato per lavarsi i denti quella mattina.
- Mi và bene anche questo! – urlò, impugnando il tubetto – Voi siete già morti!

Sconvolto dalla citazione casuale nel finale, chiudo di scatto gli occhi, sperando che ciò che ho appena letto sia stato solo il frutto di un’allucinazione o di embolo celebrale.
Quando li riapro però, il libro è ancora al suo posto.
- Paolo! Paolo, vieni qui!
Devo sbraitare per qualche minuto prima che il faccione di Paolo si decida a fare capolino dalla porta del mio ufficio.
- Che c’è?
- Paolo, cosa diavolo è questo?
Il mio collega segue la linea del mio dito e individua il libro maledetto.
- È il numero di “Postapocalyptic Max” dello scorso bimestre: cosa c’è di strano?
- C’è che non mi trovo con la trama. Non dovevamo cominciare la saga delle Torri Nere? Avevamo preparato le bozze prima che partissi per Cuba.
Paolo assume un’aria imbarazzata, agitando la testa come se fosse un pupazzo a molla.
- Il Capo ha deciso di dare spazio a Leonardo. Non te ne avevo parlato al telefono mentre eri in vacanza?
Da Cuba ho portato tanti ricordi, ma ho del tutto rimosso le telefonate inopportune di Paolo. Per sicurezza, faccio comunque un timido segno di assenso.
- É solo un riempitivo. Tu prepara una conclusione decente e partiamo subito con le Torri Nere.
- Un riempitivo? – esclamo, furibondo. – Due terzi dei personaggi principali morti; l’Harley di Max distrutta; New Heaven messa a sacco dai predoni… Questo non è un riempitivo: è la fine della serie!
Il porpora sulle sue guance si fa più marcato.
- Al Capo dispiaceva interrompere il lavoro creativo di Leonardo. Sembrava così entusiasta…
Detto questo, si affretta ad allontanarsi.
Rassegnato, prendo le bozze e provo a vedere in che modo il genio che mi ha preceduto avrebbe voluto che terminasse la sua storia.
Tutto si riduce a una sola riga in calce.
“ Max prende il tubetto di dentifricio e fa il culo a tutti.”
Stupendo! Magnifico! King e Martin non avrebbero saputo inventare un finale più denso di significato e di pathos!
- Maledetto raccomandato ignorante…
Sbotto, accendendo il computer e immergendomi nel desolante vuoto della pagina Word intonsa.
Una chiara rappresentazione di ciò che adesso c’è nella mia testa.
Rileggo il finale del libro precedente, sperando che salti fuori qualche idea, ma l’unica cosa che ottengo e di restare intrappolato nella frustrazione.
Scrivere, prima ancora che un lavoro, è la mia più grande passione. Che si tratti di un libro impegnato o di un racconto per adolescenti brufolosi, l’ispirazione creativa è sempre stata una fonte di puro piacere.
Quando mi siedo davanti al computer, creo universi infiniti e vivo le stesse emozioni che trasmetto ai miei personaggi.
È come essere Dio, anzi, forse è anche meglio, perché nessuna delle mie creature potrà mai sognarsi di discutere il destino che le ho imposto.
Purtroppo, a meno di chiudere i propri racconti in un cassetto, chi scrive deve sempre farlo con la consapevolezza di dover presentare il proprio racconto a un pubblico e deve adattare la propria creazione alle opinioni dei lettori.
Quindi, è come essere Dio solo a metà, ma a me è sempre andato bene.
In questo caso, ciò che è stato scritto nel numero precedente mi pone così tanti paletti che posso considerarmi Dio per un terzo, anzi, per un decimo. La mia inventiva può andare a farsi benedire.
A furia di stimolarlo, però, il mio cervello sembra funzionare e salta fuori un’idea.
Anche se non ne sono molto convinto, provo a buttar giù qualcosa:

Il tubetto di dentifricio si spaccò sotto il fendente di Duke. La lama gli mozzò le dita e Max cadde a terra.
“È finita.” Pensò.
Abbassò il capo e si preparò a ricevere il colpo mortale. Ma non sentì nulla.
Confuso, aprì gli occhi, scoprendo di trovarsi ancora nella sua stanza. Hyena, sdraiata nuda accanto a lui, si era addormentata sulla sua mano, che ora aveva perso qualunque sensibilità.
Aveva quindi sognato tutto?


Leggo un paio di volte l’abbozzo, poi lo cestino, senza darmi nemmeno l’incombenza di provare a migliorarlo.
A essere sbagliata è proprio l’idea del sogno, forse il cliché più abusato della storia della letteratura. Non che non abbia il suo fascino, ma buttarlo giù così, giusto per rendere totalmente inutile tutto ciò che è stato letto prima, è il modo migliore per farsi mandare a quel paese da svariate migliaia di lettori affezionati.
Scartata questa ipotesi, ritorno al punto di partenza. Stavolta provo un approcciò diverso. Mi rilasso, chiudo gli occhi e lascio libero sfogo alla creatività più sfrenata.

- Questo non è un comune tubetto di dentifricio! – urlò Max, alzando il pugno al cielo. – Questo è il Potere dello Sciame!
Svitò il tappino e si schizzò il liquido biancastro sul petto. I predoni risero, ma quando videro le nano-macchine ricoprire il corpo del loro avversario, furono costretti a ricredersi.
Quando fu rivestito dalla sua sfolgorante armatura, Max ne provò la potenza, generando, con il semplice incrocio dei pugni, un’onda d’urto che quasi mando a terra i suoi nemici.
- Allora – fece, mettendosi in guardia, - chi è il primo che vuole morire?


Apro gli occhi e rileggo quello che ho appena scritto. Dopo averlo fatto un paio di volte, scoppio a ridere di gusto. È un pezzo carino, di quelli che fanno godere quasi sessualmente il lettore più desideroso di intrattenimento, ma sono costretto a cancellarlo.
Purtroppo, non posso fare altrimenti: per quanto bella, l’idea di un’arma simile cozza totalmente contro il livello tecnologia che abbiamo stabilito per questa serie. Certo, si potrebbe sempre inventare un ritrovamento fortunoso in qualche laboratorio militare, ma aprirebbe una quantità industriale di buchi nella trama della storia, il banchetto ideale per quella di gente che sembra comprare i libri solo per poterli criticare.
Lettori simili, stanano un’incongruenza con lo stesso fiuto infallibile con cui i maiali scovano i tartufi…
Abbandonato anche questo approccio, vengo inghiottito dalla pagina vuota. La mia mente è un turbinio di idee impraticabili che cozzano tra loro e si confondono l’un l’altra.
Alla fine, sono talmente travolto da questa situazione che non mi accorgo di essere in compagnia fino a quando non sento una mano che si appoggia sulla mia spalla.
È Lui. Il Capo.
- Mi avevano detto che stavi lavorando sul finale della storia di Leonardo, ma qui vedo solo una pagina bianca. C’è qualche problema?
- Non so come continuare. – dico, imbarazzato – Il precedente numero è terminato in modo così… pittoresco.
Il Capo ignora l’accento particolare che metto su quel “pittoresco” e si fa passare il libro. Dopo aver riletto un paio di volte il finale e la famigerata bozza del dentifricio, scoppia a ridere.
- Tutto qui? Ma è facilissimo! So perfettamente come deve finire.
Stupito da una simile intraprendenza , lascio il posto al Capo, che subito comincia a scrivere:

Proprio quando sembrava tutto perduto, una luce infuocata squarciò il cielo, accecando tutti per qualche istante. Prima che Max potesse rendersi conto di cosa stava succedendo, ci fu una tremenda esplosione, che lo scaraventò a diversi metri di distanza. Quando si rialzò, Duke Zed e i suoi tirapiedi non erano altro che cenere, macchie confuse sul fondo di un cratere fumante. Lo squarcio di un meteorite.

- Un… meteorite? – faccio io, stupito come non mai – I cattivi vengono uccisi tutti da un meteorite?
- Oh, ma certo che no: solo il capo dell’orda e la sua scorta. Gli altri si limiteranno a darsi alla fuga terrorizzati.
Il Capo lo dice candidamente, ma io non sono convinto.
- C’è una possibilità su sei miliardi di morire in modo così assurdo! Perché dovrebbe finire così?
- Perché si. – mi risponde lui, mettendomi nuovamente una mano sulla spalla. – E se non ti sembra una ragione sufficiente, prova a riflettere sul senso della vita. Ti renderai conto che persino a Nostro Signore, di tanto in tanto, piace rispondere in questo modo.
Annichilito dalle sue parole, cado sulla sedia. Prima che abbandoni la stanza, riesco a formulare un ultimo dubbio.
- E il dentifricio?
- Max lo userà per lavarsi i denti. Dopo tutto quello che ha passato, vuoi forse negargli il diritto di avere una corretta igiene orale?

Autorizzo alla pubblicazione nello Skanna.
 
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view post Posted on 20/1/2015, 18:38
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Come promesso, il link al doc che raccoglie tutti.

https://drive.google.com/file/d/0B3x4G4Gks...iew?usp=sharing
 
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view post Posted on 20/1/2015, 18:45

Alto Sacerdote di Grumbar

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bene, tempo scaduto... potete cominciare a leggervi e commentarvi! ;)
Intanto posso dire che diversi di voi han scelto dei bei titoli!
 
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view post Posted on 20/1/2015, 20:06
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Losco Figuro

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Sul filo di lana - Shanda06

Specifiche: non sono del tutto convinto. Intanto le specifiche parlano della presenza di “dentifricio”. Nella tua storia c’è un tubetto di dentifricio, che però non contiene dentifricio. Anche sulla verosimiglianza degli eventi ho qualche dubbio, da un lato non sono eventi improbabili (è una spia, lavora per un dipartimento segreto, entrare in contatto con dei terroristi, o quel che sono, mi sembra abbastanza normale), dall’altro alcune cose sono poco plausibili, o almeno poco comprensibili (ad esempio come facciano i lettori a notare la presenza di messaggi subliminali).

Forma e Stile: c’è qualche refuso, ma niente di che. Questa volta non ti sei lasciata andare troppo allo stile, mantenendoti più sul concreto, e il risultato è una storia che si capisce dall’inizio alla fine, e non rimanda a cose che il lettore non ha alcun modo di sapere.

Trama: Come dicevo, la storia si capisce, ma la trama non è esattamente solida. Ad esempio, di preciso perché Katharina ha bisogno del dentifricio? Voglio dire: lei lavora per un dipartimento il cui scopo è individuare i messaggi subliminali, ha un ufficio apposta, non è che vada in giro per biblioteche (peraltro non le servirebbe, visto che si tratta di e-Book), quindi tutti gli altri lì presenti fanno la stessa cosa e sanno cosa lei sta facendo… quindi a che scopo dover usare una microcamera nascosta dentro un tubetto di dentifricio per passare le informazioni? Alla peggio, se proprio serve una microcamera (e non serve, sono e-Book, potrebbe girare i file) potrebbe averne una che sembri una microcamera, non deve mica agire di nascosto. Anche il contenuto del tubetto mi sembra assai strano. Noor dice che potrebbe salvarle la vita, ed è vero, ma in effetti solo perché si trova nell’esatta situazione in cui della pasta corrosiva (capace di sciogliere la plastica di un portatile ma non la plastica del tubetto che la contiene?) è effettivamente utile, e io riesco a pensare a ben poche situazioni in cui questo sia vero. Se (come è molto più probabile che accada) le avessero puntato una pistola contro, a che le sarebbe servito il dentifricio corrosivo? Inoltre non mi è chiaro perché si prendano la briga di rapirla, visto che non ha alcuna utilità per loro.

Personaggi: non sono particolarmente caratterizzati, tuttavia non era neanche indispensabile per la storia.

Conclusione: credo che la forzatura del dentifricio ti abbia portato un po’ fuori strada, creando un particolare che non è davvero spiegabile nella storia (peraltro, anche ammesso di voler dare a qualcuno un oggetto da spia, chi penserebbe a un dentifricio? A me verrebbe più logico darle, che so, un rossetto, che almeno in una borsa passa inosservato). Togliendo quella e rivedendo un po’ il flusso degli eventi, sarebbe un buon racconto breve.

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
per vedere se nelle storie di pura immaginazione ci sono

più corretto “ci siano”

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
La Censura ha fatto in modo di alterare la verità sulle morti: ne è stata facilitata

Perché quel “ne”?

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
per capire se qualche impiegato si era lasciato

“si fosse”

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
L’esperienza là, si era chiusa

Virgola tra soggetto e predicato

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
L’amica le aveva mostrato a cosa serviva in realtà: sul tappo del tubetto c’era una microcamera, per salvare i testi infettati dalla Maledizione di Kafka.

Ma hai detto che sono e-book, non avrebbe più senso un dispositivo USB o simili?

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
E nel tubetto, c’era qualcosa

La virgola così è di troppo, a meno che ne aggiungi una prima di “nel”

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
nella micro camera del coperchio.

“microcamera” attaccato. Nel caso di un tubetto è solo tappo, non coperchio

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
Quando lei si era offerta di mandare il testo al solito indirizzo, l’amica le aveva detto di aspettare.

Perché dalla narrazione al presente sei passata al trapassato?

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
Ci avrebbe pensato lei alla prima occasione; che non era mai arrivata.

Metterei punto invece che punto e virgola

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
Poi, bussa alla porta della sala

Chi?

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
Vedere la vecchia ferita di famiglia riaperta da un estraneo, irrita la giovane donna.

virgola tra soggetto e predicato

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
L’uomo ride: - Ne fai parte anche tu.

Ci va il punto, non i due punti.

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
Ride.

E il nome Luria fa rabbrividire Katharina, perché ricorda dove lo ha letto.

perché lo spazio? Non c’è né un salto temporale né un cambio di scena

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
Fuori, però compaiono almeno quattro sorveglianti con cani da difesa al seguito.

serve una virgola dopo “però”

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
Sì, ma preso da qui – le indicandole il portatile acceso.

O c’è un “le” di troppo o manca un “dice”

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
le domanda L’uomo con soddisfazione maligna.

perché quella “L” maiuscola

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
- Ho visto i colori dello spettro ballarmi davanti agli occhi - ammette lei, spaventata.
- Vorrei andarmene da qui, per favore – lo implora

Meglio non andare a capo, se no sembra che sia dell’uomo la seconda battuta,

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
Il notebook di Luria è ancora acceso e lei estrae la scatolina di dentifricio nella borsetta.

“dalla borsetta”

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
Tira fuori il tubetto e svita il coperchio,

“tappo”

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
I presenti fuggono, Luria compreso e lei ne approfitta per scappare dalla finestra.

Serve una virgola dopo “compreso”

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
Il tappeto della confezione

Ehm… tappeto? ^__^;

CITAZIONE (shanda06 @ 18/1/2015, 19:09) 
Dubita che quella sul notebook fosse l’unica copia mostratale da Luria.

No, decisamente è l’unica copia che lui le ha mostrato, al più dovrebbe dubitare che è l’unica copia, punto.

--

A bocca aperta - Bloodfairy

Specifiche: niente da dire sul dentifricio (anche se non mi è proprio chiarissimo perché sia la causa del ritorno dei pazienti: dalle parole del dottore sembra che in effetti causi il dolore, però i pazienti lo usano perché provano dolore, quindi si causa già da sé, in apparenza), ma non riesco a considerare molto verosimili degli alieni che vengono sulla terra e forniscono a un dentista (e poi perché uno solo?) un marchingegno che preleva dentina dai pazienti. O_o Dovrebbe trattarsi di eventi molto improbabili ma plausibili, a me sembrano solo molto improbabili.

Forma e Stile: poco da dire, la lettura scorre bene e non ci sono intoppi, lo stile è adeguato alla narrazione, e le correzioni formali, pur necessarie, sono comunque poca cosa.

Trama: interessante, in effetti molto interessante, e originale, talmente tanto che no, sul serio, ma la verosimiglianza? :-? Perché tolto quello mi è piaciuta, a parte un dialogo finale forse un po’ troppo spinto sulle spiegazioni (ma niente di eccessivo).

Personaggi: non hanno una forte caratterizzazione, ma del resto è un racconto breve, e anzi riesci anche in questo a dare una cera tridimensionalità almeno al protagonista e alla signora in sala d’aspetto (laddove l’alieno è giustamente enigmatico, e il dottore appare un tantino amorfo se vogliamo)

Conclusione: un buon racconto, migliorabile con un po’ di editing ma molto buono, anche se poco attinente.

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
Il trattamento sperimentale del dottor Bradley era l'unico rimedio che funzionava e dopo di lui ne aveva visti di medici!

metterei una virgola dopo “funzionava”

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
Un donnone robusto pressato in un ridicolo abito rosso, indicava il posto

a meno che aggiungi una virgola dopo “robusto”, quella che c’è sta in mezzo tra soggetto e predicato

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
«Sì... usa un macchinario per la misurazione della sensibilità dentaria.»

Dovrebbe essere “dentale” credo

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
Si maledì per

“maledisse”

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
Da' un incredibile sollievo.»

l’accento

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
«La carie cosa?» chiese Flavio, sbuffando

manca il punto alla fine

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
«Questo dentista ha le mani d'oro, la farà rimanere a bocca aperta, mi creda.»

Fuor di commento: non conosco dentista che non lasci i pazienti a bocca aperta :-D

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
Risentito per quell'improvviso disinteresse per la questione, s'inalberò: «E poi c'è il dentifricio, la sua amica non gliene ha parlato?»

E il soggetto?
I due punti non ci vanno, “inalberarsi” non è un verbo che introduca il dialogo

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
La voce della segretaria richiamò Flavio che si alzò dal divano, il volto sollevato.

serve una virgola dopo “Flavio”

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
Flavio annuì. «Ho notato anch'io che l'intervallo tra una visita e l'altra è sempre più breve.»
«Mi ha detto che le lastre non rivelano nulla di anormale.»

E perché gliel’ha detto lui? Dovrebbe essere il dentista a esaminare le lastre, non certo prendere la parola del paziente in merito.

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
«La pasta è assolutamente naturale» lo interruppe il dottore

manca il punto alla fine

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
( un giorno aveva sentito il medico chiamarlo così )

non ci vanno gli spazi tra le parentesi e il testo

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
E con un po' di fortuna sarebbe durata un po' più di tre mesi, stavolta...

Ma non è durata tre mesi neanche stavolta, visto che senza l’uso del dentifricio continuava a provare dolore, a quanto ha detto

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
«Mi raccomando, non ne abusi. Lo applichi una volta al giorno, preferibilmente la sera prima di andare a letto.»

E da quando il dentifricio si applica? ^__^;; Non è mica una pomata.
E poi non era lui che aveva tranquillizzato Flavio quando lui temeva di averne abusato? E ora gli raccomanda di non abusarne? :-?

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
Passò dalla segretaria e pagò i 40 euro della visita

Meglio “quaranta”

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
Questi ignorò la mano che il medico le tese: «Come sono andati i prelievi oggi?»

“gli tese”.
Non ci vanno i due punti, ma il punto, il narrato non introduce il dialogo.

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
«I nostri scienziati ci stanno lavorando» replicò l'uomo. «Mi serve nome e indirizzo dell'uomo.»

È nel parlato per cui può essere errore suo, ma per scrupolo: “servono” (nome e indirizzo)

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
Bradley era stato sul punto di scoppiargli a ridere in faccia, ma quando si era trovato faccia a faccia

Ci sono un po’ troppe facce da queste parti ^__^;; Magari “scoppiare a ridere” basterebbe

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
Senza contare che non sapeva cosa potesse capitargli se avesse rifiutato...

“sarebbe potuto capitargli”

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
mise tracolla la borsa termica

manca una “a”

CITAZIONE (Bloodfairy @ 19/1/2015, 16:15) 
«Sopravviverò»

Manca il punto

---

Molti chili - Spoon River

Specifiche: rispettate, il racconto è realistico e vi accadono degli eventi eccezionali, ma plausibili

Forma e Stile: nota dolente. La forma ha molto da rivedere, tra formattazione vera e propria (specie nei dialoghi) e punteggiatura (anche se meno che altri racconti di questa stessa tornata), ma soprattutto a livello di narrazione, che risulta confusa e ben poco lineare, con soggetti che si perdono qua e là ed eventi che spesso sembrano disconnessi tra loro, senza seguire un filo non dico logico ma almeno cronologico. Tanto per fare un esempio: inizi parlando del caldo, poi parli di Ralph, poi torni a parlare del caldo come se non avessi mai smesso, e poi vien fuori che è un discorso inutile, perché in realtà a muovere la tua vicenda è l’inverno con la neve. Il dentifricio c’è, ma non ha alcuna vera funzione, sembra messo lì solo perché ci doveva essere.

Trama: il racconto è realistico, vero, ma la trama è ben poco credibile. L’idea che Sue, senza alcuna ragione (è la prima e unica volta che il figlio dà fuori di matto, e non è che possa essere un granché pericoloso considerata la sua mole) decida di punto in bianco di uccidere Ralph, quando poi probabilmente i fagioli sarebbero davvero stati sufficienti a calmarlo, è difficile da digerire. Altrettanto difficile è accettare che, per quanto affamato, Ralhp mangi dei fagioli conditi con dentifricio (che poi non si capisce a che pro ce lo metta, e che dovrebbe trasformare la zuppa di fagioli in un ammasso di schiuma) e candeggina. Per quanto saporiti possano essere i fagioli, finirebbero per sapere di dentifricio e candeggina, e se il sapore del dentifricio in genere è gradevole, quello della candeggina è orribile e brucia la bocca, già solo con una goccia, figurarsi in una quantità tale da risultare letale

Personaggi: Le comparse sono quelle meglio caratterizzate, per lo meno lo è la signora della prima parte, che nel suo piccolo ha un po’ di spessore. Ralph è amorfo, non mostra il minimo cenno di personalità, e questo potrebbe anche essere voluto; il problema è che Sue non è molto diversa, sostanzialmente l’unica cosa che la definisce è il suo atto finale quando uccide (sempre senza motivo apparente) il figlio, e anche quello lo fa in modo meccanico, senza mostrare la minima emozione, né ne mostra dopo quando capisce di averlo ucciso inutilmente.

Conclusione: un racconto che rientra nelle specifiche ma che ha molto da sistemare, a partire dalle basi del racconto stesso. L’idea di fondo vale, ma com’è non emerge dal testo, che la soffoca in passaggi non rilevanti (vedi i cenni al caldo del tutto avulsi dal cuore del racconto) e in un’assenza emotiva dei personaggi che traduce il tutto in una serie di azioni sterili. Va rivisto.

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
si piantonava in casa dei Wittaccher guardando quella strana forma d'uomo crescere in salotto.

forse “si piantava”, “piantonare” vuol dire fare la guardia, dubito che si facesse la guardia da sola
Dopo “Wittaccher” serve una virgola, altrimenti quello che segue spiega _come_ la signora si piantasse, non a fare cosa.

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
in questo modo:
-Dovresti farlo controllare Sue, diceva. Oppure:
-Ralph è un bravo ragazzo amica mia,

Dopo i due punti non si va a capo, e dopo un dialogo aperto col trattino, se c’è altro testo che non è dialogo, serve il trattino di chiusura, altrimenti sembra sia tutto parlato.
“diceva” è superfluo, hai già introdotto il dialogo coi due punti, quindi è chiaro che stai riportando quello che diceva.
Questo pezzo, in sostanza, avrebbe dovuto essere:
CITAZIONE
in questo modo: - Dovresti farlo controllare, Sue.
Oppure: - Ralph è un bravo ragazzo, amica mia, ma la sua salute la sua salute potrebbe peggiorare.
O ancora: - Oh Santo Cielo ragazza, saranno più di duecento chili quelli lì. Devi fare qualcosa per tuo figlio.
E […]

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
E si rinforcava tondi occhiali tartarugati sul naso adunco,

Senza “si”, io “inforco gli occhiali” non “mi inforco gli occhiali”

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Anche Jaquline Roberts,

Uhm… è voluta la grafia strana del nome?

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
chiesa metodista di St Paul

“St.” puntato

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
erano preoccupate per la salute di Ralph e pensavano chiaramente fosse opera del diavolo.

pensavano che la sua salute fosse opera del diavolo?

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Quel venerdì di Agosto, Mary Alice, la più diplomatica del gruppo, le aveva detto:

a chi?

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
E poi, non curante,

“noncurante” attaccato

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
in grossi scatoli di carone per la beneficenza.

Refuso: “cartone”
Gli “scatoli” non esistono, sono “le scatole”, solo l’accrescitivo, “scatoloni”, è maschile

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Zanzare a parte insomma restare a casa sotto le correnti del ventilatore a soffitto sembrava quindi, per molte estati, l'unica soluzione accettabile a quel caldo torrido.

“insomma” va tra due virgole
“quindi” e “insomma” significano la stessa cosa, inutile averli entrambi
A parte questo, quello di cui stavi parlando finora non ha niente a che fare con la necessità di restare a casa, per cui con quindi o insomma… non c’è alcun legame. “Io ho caldo quindi resto a casa” OK, “le comari dicono che Ralph è grasso quindi resto a casa”… uh?

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Sua madre,

Sua di chi? Non c’è nessun soggetto a cui ricollegarsi

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
davanti alla tv a tutte

è una sigla, per cui è più corretto “TV” maiuscolo

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
-Oh, accidenti mamma. E si guardava le caviglie gonfie come pane lievitato.

Tra il trattino e il testo ci va lo spazio. Dopo “mamma.” serve il trattino di chiusura.

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Detto questo poi passava in rassegna tutti i canali della cavo.

Ci manca un “TV via”?

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Sue, nei mesi successivi,

successivi a che cosa? Finora hai parlato in generale, non c’è nessun riferimento temporale

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
alla soglia dei duecentocinquanta chili. Tondi tondi.

No, o è alla soglia (quindi non c’è ancora arrivato), o sono tondi tondi (quindi sono esattamente il suo peso), entrambe le cose assieme sono impossibili

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Anche saltando i pasti Ralph Wittaccher acquistava peso, inspiegabilmente.

serve una virgola dopo “pasti”

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Gli spalatori avevano raccolto dossi di neve ai margini delle strade e sparso sale sui viottoli di casa sino a quando il vento siberiano e il ghiaccio permisero ancora di mettere il naso fuori di casa.

se “avevano raccolto” allora “avevano permesso”

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
La fioccata non accennava a smettere di venir giù in precipitosi rovesci,

“rovescio” è tipico della pioggia, non della neve

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
e per più di due giorni Sue e suo figlio Ralph Wittaccher

Sì, lo sappiamo chi è il figlio

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
le comunicazioni andavano avanti a singhiozzi quando le linee non erano del tutto interrotte e fu impossibile quindi parlare con qualcuno.

Da “quando” a “interrotte” va tra due virgole.

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
In frigo il bricco del latte e dell'acqua erano pieni a metà.

O “il bricco dell’acqua e quello del latte” o “i bricchi dell’acqua e del latte”, se no è un unico bricco con dentro acqua e latte

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Dopo quasi ottantaquattro ore di ininterrotta nevicata Ralph Wittaccher era diventato irascibile.

serve una virgola dopo “nevicata”

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Alto quasi due metri si trascinava ricurvo come un orso bruno soffocato dai rantoli della sua immensa fame.

E qui dopo “metri”

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
-Tesoro, vedrai che ne usciremo vivi. Lo rassicurava Sue, appesa alla cornetta muta del telefono.-Qualcuno verrà a tirarci fuori da questo pasticcio.

Hai aperto due volte il dialogo, senza però averlo mai chiuso.
Correttamente, avrebbe dovuto essere
CITAZIONE
-Tesoro, vedrai che ne usciremo vivi - lo rassicurava Sue, appesa alla cornetta muta del telefono. -Qualcuno verrà a tirarci fuori da questo pasticcio.

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
-Oh Santo Cielo tesoro, cosa diavolo vorresti fare.

Dovrebbe essere una domanda (seguita dal trattino di chiusura, visto che dopo c’è narrazione)

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
provò a scavare a mani nude nella sabbia gelida.

Quale sabbia?

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
provò a placarlo, cercando di sottrargli la pala ma inutilmente.

serve una virgola dopo “pala”

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Sopra di lei suo figlio le chiudeva attorno al collo le sue mani da gigante.

Non serve “sue”, non è che possa chiuderle attorno al collo le mani di qualcun altro

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Era pallido e freddo e una bava di saliva gli pendeva dalla bocca appena aperta.

“bava” e “saliva” sono sinonimi, al più “un filo di saliva”

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
insieme al dentifricio e la candeggina

se “al dentifricio” allora “alla candeggina” (ma chi usa la candeggina per smacchiare le posate, comunque? O_o)

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
insieme al dentifricio e la candeggina.

come sopra

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Poi, d'improvviso, ci fu un rantolo provenire dal salotto,

Al più “proveniente”

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
come una sfiatata di gas da una bombola e un tonfo sordo.

serve una virgola dopo “bombola”

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Sue, come se qualcuno l'avesse vista,

direi più “come se qualcuno avesse potuto vederla”

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Su una montagna di neve sporca di fango e indurita l'enorme corpo di Ralph Wittaccher

Serve una virgola dopo “indurita”

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Coricato da un lato i suoi occhi di plastica scrutavano il vuoto davanti a loro.

e qui dopo “lato”

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Se solo si fosse avvicinata un po' avrebbe potuto udire lo sfrigolare degli organi del suo bambino liquefarsi

lo sfrigolare si liquefaceva?

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
un occhio.Fu in quel momento

manca lo spazio dopo il punto

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
il rumore di un nuovo colpo di ascia la fece sobbalzare.

Nuovo rispetto a cosa? Non ci sono stati colpi d’ascia fino a questo momento

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
Ci furono poi altri rumori in successione, come di legno fresco appena tagliato e una voce.

Serve una virgola dopo “tagliato”. A parte quello, che rumore fa il legno “appena tagliato”? Se è stato appena tagliato, il rumore l’ha fatto prima, durante il taglio, non ora, che è già tagliato.
Al più avrebbe senso “come se qualcuno avesse tagliato della legna”

CITAZIONE (Spoon_river @ 19/1/2015, 17:01) 
MI SENTE SIGNORA WITTACCHER.

Dovrebbe essere una domanda

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Un buco dentro internet - Reiuky

Specifiche: rispettate, il racconto è realistico e presenta elementi fantastici (o fantascientifici nel tuo caso) spiegati in maniera razionale e credibile. Non c’è una spiegazione effettiva del come ciò che avviene sia possibile, ma se ci fosse apparirebbe fuori luogo, visto che i protagonisti non potrebbero esserne al corrente, quindi va bene così. Il dentifricio c’è ed è funzionale alla trama.

Forma e Stile: a livello formale c’è qualche refuso da sistemare, ma davvero non molto. Lo stile è efficace e diretto, per quanto molto del testo sia basato sul dialogo, e in generale si legge bene dall’inizio alla fine, anche se è un tantino brusco il passaggio dalla prima alla seconda parte, che potrebbe essere reso meglio.

Trama: hai una trama solida, solo che non te ne fai molto, e tutto il racconto finisce per sembrare un ottimo inizio di... ecco, niente, finito. Con un’idea così forte, concludere semplicemente con l’equivalente di “ah, sì, era vero” sembra un peccato, visto che la scoperta del buco potrebbe essere l’inizio di una vicenda ben più lunga.

Personaggi: ben costruiti, appaiono molto realistici, e li sfrutti bene per giustificare la necessità di spiegare i retroscena, così da riuscire a fornire informazioni necessarie in maniera da farlo sembrare un naturale sviluppo della narrazione.

Conclusione: che ti devo dire... a Skannatoio finito riprendi questo concetto ed elaboralo, perché ha un notevole potenziale che qui non riesce a sfruttare del tutto, e si meriterebbe una narrazione più estesa.

CITAZIONE (reiuky @ 19/1/2015, 19:39) 
«Mi sono rimessa a guardare la tv» rispose Alice facendo spallucce.

Essendo una sigla, più corretto “TV” maiuscolo

CITAZIONE (reiuky @ 19/1/2015, 19:39) 
«Così si dice...» si giustificò Matt

Manca il punto alla fine

CITAZIONE (reiuky @ 19/1/2015, 19:39) 
«Senti... portami quel cd. Voglio vederlo.»

L’hai scritto sempre “CD”, qui ti è scappato minuscolo

CITAZIONE (reiuky @ 19/1/2015, 19:39) 
un dentifricio e un rotolo di carta igenica.

Più che “un dentifricio” direi “del dentifricio” o “un tubetto di dentifricio”
“igienica”

CITAZIONE (reiuky @ 19/1/2015, 19:39) 
«Che stai facendo?» chiese Alice quando il ragazzo ne spalmò un po' sul disco argenteo.

Un po’ di che? Hai nominato due cose, ed è pur vero che difficilmente si può spalmare della carta igienica, ma è quella che hai menzionato per ultima... ^__^; Se vuoi omettere l’oggetto, almeno posponi il dentifricio a fine frase.

CITAZIONE (reiuky @ 19/1/2015, 19:39) 
mostrando con orgoglio la finestra il contenuto del CD.

Uhm... manca un “con”?

CITAZIONE (reiuky @ 19/1/2015, 19:39) 
una fugace visione del menu

“menù”

CITAZIONE (reiuky @ 19/1/2015, 19:39) 
prima che sul monito

Refuso: “monitor”

CITAZIONE (reiuky @ 19/1/2015, 19:39) 
Alice afferrò le spalle dell'amico e lo costrinse a voltarsi verso di lei

Manca il punto alla fine

CITAZIONE (reiuky @ 19/1/2015, 19:39) 
«Il dono fantasma, capisci?

Refuso: “nodo”

CITAZIONE (reiuky @ 19/1/2015, 19:39) 
«Nei verso la metà degli anni '90 in diverse chat,

C’è un “Nei” di troppo e serve una virgola dopo “90”

CITAZIONE (reiuky @ 19/1/2015, 19:39) 
Qualcuno ipotizzava che il passaggio con l'altra dimensione era stato trovato

Meglio “fosse stato”

CITAZIONE (reiuky @ 19/1/2015, 19:39) 
distorsioni dello spazio tempo.

“spaziotempo” attaccato

CITAZIONE (reiuky @ 19/1/2015, 19:39) 
«Su qualche vecchio film...»

Direi più “in” che “su”

CITAZIONE (reiuky @ 19/1/2015, 19:39) 
Alice studiò a lungo quella finestra che compariva sullo schermo. Un solitario “ciao” compariva nella finestra altrimenti vuota. «Che cos'è?»

Occhio alla ripetizione di “compariva” (peraltro potresti limitarti a “quella finestra sullo schermo”)

CITAZIONE (reiuky @ 19/1/2015, 19:39) 
Lei inclinò la testa

Manca il punto alla fine

--

La speranza è l'ultima a morire - Ceranu

Specifiche: OK per il dentifricio e il racconto realistico, ma gli eventi straordinari credibili? Perché se Ivan si sveglia davvero, l’evento è sì straordinario, ma non è credibile (non dovrebbe essere in grado di parlare dopo essere stato intubato per dieci anni, e non c’è alcun genere di spiegazione che renda accettabile al lettore il suo risveglio, sarebbe praticamente un miracolo), se si tratta di un delirio della madre è senza dubbio credibile, ma tutto fuorché straordinario.

Forma e Stile: lo stile è buono, la forma presenta qualche imprecisione, la maggioranza veniali (“gli” al posto di “le” per riferirsi a una donna non rientra in queste ultime).

Trama: poca, ma non serve. L’unico problema è proprio che non rientra in quanto richiesto dalle specifiche.

Personaggi: l’unico che c’è (non conto gli interlocutori telefonici, che sono irrilevanti) regge bene la scena, e fai trasparire bene dai suoi atteggiamenti la quieta disperazione di chi si aggrappa alla vita solo finché non capisce di non avere più nulla. Mi lascia un po’ in dubbio quel “non farebbe in tempo a verificare” riferito al marito, che al contrario sembra essere un cinico appunto sulla vita che rimane da vivere al poveretto, e mi appare un tantino in contrasto con tutto il resto.

Conclusione: preso fuori dallo scannatoio è un racconto valido, al netto del minimo di editing di cui abbisogna. Nei paletti dello scannatoio non riesco a inquadrarcelo.

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
Quando la luce carezzò il volto di Ivan la madre si alzò.

Serve una virgola dopo “Ivan”

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
Inumidì un asciugamano in una bacinella e, delicatamente, cominciò a frizionarlo.

Letteralmente sta frizionando l’asciugamano

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
che raffigurava Winnie Pooh.

So che tutti tendono a scriverlo così, ma è “Winnie The Pooh”

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
e invece andato a raccontarlo

Manca un “sei”

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
Lei corse subito da me. Non ti dico quanto gridai contro quello stupido.

Parti con “sei andato” e poi diventa “corse” e “gridai”, uniformali

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
e quel insistente rumore;

“quell’insistente”

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
Arrivati quasi a metà il telefono di casa iniziò a squillare.

Serve una virgola dopo “metà”

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
Un presentimento pessimo aggredì Chiara che si mise a sedere a terra.

E qui dopo “Chiara”

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
Le volte precedenti la segretaria si era limitata di riferire

Ci si limita “a qualcosa”, non “di”

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
Il mondo, che fino a pochi attimi prima si reggeva su pilastri immaginari, crollò sulle fragili spalle di Chiara.

Direi “si era retto”

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
pensò al figlio come a qualcosa di inanimata.

Refuso: “inanimato”

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
Il marito era ricoverato da più di sei mesi, eppure gli aveva dato la forza di andare avanti.

“gli” a chi? “le”, è donna.

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
Fece un paio di passi vero il comodino, aprì un cassetto e estrasse un blister pieno di farmaci.

Refuso: “verso”
“ed estrasse”, quando serve serve

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
La stanza girò improvvisamente, gli occhi si fecero pesanti.

Che occhi?

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
La vista si appannò, tanto da fargli credere

“La vista le si appannò, tanto da farle credere”

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
Il clacson di un auto, che passava sotto casa

Manca l’apostrofo. La virgola è di troppo, mettendocela dici che è il clacson, non l’auto, a passare

CITAZIONE (Ceranu @ 19/1/2015, 23:49) 
come se qualcuno prendesse fiato dopo una lunga apnea.

Direi “stesse prendendo”

--


Essere Dio per un decimo - White Pretorian

Specifiche: scusa ma... mancate per due terzi. La storia è realistica, e fin qui ci siamo, ma non contiene alcun genere di evento eccezionale che venga in qualche modo descritto in modo da apparire credibile (ci sono eventi eccezionali in una storia che viene raccontata nella storia, che non è per nulla la stessa cosa, e comunque neanche quelli hanno la pur minima parvenza di plausibilità), e il dentifricio non è nel racconto, è nel racconto che sta nel racconto.

Forma e Stile: sulla forma c’è qualcosa da rivedere, ma lo stile è brioso e divertente e rende la lettura scorrevole e gradevole.

Trama: ai limiti dell’inesistente, c’è più trama all’interno del libro a puntate che non si capisce perché sia a puntate se è un libro che non nel racconto, fatto sta che non importa, va bene così

Personaggi: non eccessivamente caratterizzati, ma funzionali.

Conclusione: il racconto è carino, divertente, forse uno dei migliori che ho letto in questo Skannatoio, ma va talmente fuori dalle specifiche che non posso che metterlo nella parte bassa della classifica. Hai sostanzialmente aggirato del tutto il problema, mettendo gli eventi straordinari al di fuori del contesto narrativo, su un piano a parte, e comunque lasciandoli del tutto fantasiosi e privi di plausibilità anche lì.

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
- Sai, non pensavo che avreste resistito così tanto. – disse,

Non ci va il punto

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
togliendo il sigaro dalla bocca

“togliendosi”, a meno che la bocca sia di qualcun altro

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
- Si, sapevo che eravate

“Sì”

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
- Mi và bene anche questo!

“va”, senza accento

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
di embolo celebrale.

“cerebrale”

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
- É solo un riempitivo.

“È”, non “È”

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
“ Max prende il tubetto di dentifricio e fa il culo a tutti.”

C’è uno spazio di troppo prima di “Max”
CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
- Maledetto raccomandato ignorante…
Sbotto,

“sbotto” va minuscolo e non a capo

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
l’unica cosa che ottengo e di restare

Refuso: “è”

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
chi scrive deve sempre farlo con la consapevolezza di dover presentare il proprio racconto a un pubblico e deve adattare la propria creazione alle opinioni dei lettori.

Serve una virgola dopo “pubblico”

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
In questo caso, ciò che è stato scritto nel numero precedente

Ma in sostanza è un libro o una rivista?

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
Il tubetto di dentifricio si spaccò sotto il fendente di Duke. La lama gli mozzò le dita e Max cadde a terra.

La lama mozzò le dita del tubetto di dentifricio? :-?

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
“È finita.” Pensò.

“È finita” pensò.

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
Stavolta provo un approcciò diverso.

Refuso: “approccio”

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
Svitò il tappino e si schizzò il liquido biancastro sul petto. I predoni risero, ma quando videro le nano-macchine ricoprire il corpo del loro avversario, furono costretti a ricredersi.

O metti una virgola anche dopo il “ma”, o togli quella dopo “avversario”. Così com’è, la tua proposizione principale è “I predoni risero furono costretti a ricredersi”

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
contro il livello tecnologia

Manca un “di”

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
ideale per quella di gente che

Ah, ecco dove era finito! :-D

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
- Non so come continuare. – dico, imbarazzato

Non ci vuole il punto a “continuare”, in cambio ci vuole a “imbarazzato”

CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/1/2015, 15:28) 
- Perché si. – mi risponde lui,

“sì”, e non ci va il punto

***
Classifica
A bocca aperta – Bloodfairy
Un buco dentro internet - Reiuky
Sul filo di lana – Shanda06
La speranza è l’ultima a morire – Ceranu
Essere Dio per un decimo – White Pretorian
Molti chili – Spoon River
 
Web Contacts  Top
Ceranu
view post Posted on 20/1/2015, 21:15




Ciao CMT, grazie per il commento e per il solito lavoro molto utile.
CITAZIONE
l’evento è sì straordinario, ma non è credibile (non dovrebbe essere in grado di parlare dopo essere stato intubato per dieci anni, e non c’è alcun genere di spiegazione che renda accettabile al lettore il suo risveglio, sarebbe praticamente un miracolo)

Prima di tutto Ivan ha il respiratore da un anno. Poi non credo che si possa definire impossibile un risveglio dal come. Anche se dopo 10 anni.

Posto due esmpi di risveglio dal coma, ma ce ne sono parecchi.

www.tempi.it/risveglia-coma-dopo-15-anni#.VL6x-9dTOYM

http://www.ilgiornale.it/news/si-sveglia-c...rola-mamma.html
 
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view post Posted on 21/1/2015, 08:37
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CITAZIONE (Ceranu @ 20/1/2015, 21:15) 
Ciao CMT, grazie per il commento e per il solito lavoro molto utile.
CITAZIONE
l’evento è sì straordinario, ma non è credibile (non dovrebbe essere in grado di parlare dopo essere stato intubato per dieci anni, e non c’è alcun genere di spiegazione che renda accettabile al lettore il suo risveglio, sarebbe praticamente un miracolo)

Prima di tutto Ivan ha il respiratore da un anno. Poi non credo che si possa definire impossibile un risveglio dal come. Anche se dopo 10 anni.

Nel racconto dici che sono passati dieci anni dall'incidente, e in un altro punto ribadisci che la madre era stata messa a dura prova "in tutti quegli anni".
Comunque è probabile che io non mi sia espresso bene: non è impossibile che si risvegli dal coma, è poco credibile che si risvegli dal coma e sia in grado di parlare nonostante sia stato intubato per tutto quel tempo, che sia un anno o dieci. Il punto era avere un evento straordinario presentato in maniera da farlo sembrare plausibile, ma nel tuo racconto non c'è alcun tentativo di dargli plausibilità, si sveglia e basta, come niente fosse: è lì il mio problema.
 
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