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Skannatoio, Marzo 2015, edizione 37, Odi et Amo

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view post Posted on 2/3/2015, 15:05
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Custode di Ryelh
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Miracolo!
Sono riuscito a ricordare la password per entrare!
Sta settimana sono fuori città per un corso, ma se mi viene una buona idea partecipo volentieri.
Odi et amo? Avrei un personale bersaglio per questa frase :p094:
 
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view post Posted on 2/3/2015, 16:17
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Apprendista stregone

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E' consentito inserire tutte e due le frasi nel racconto, o dobbiamo obbligatoriamente inserirne solo una? :1392239553.gif:

Benvenuto Paolo... dacci dentro!! :)
 
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view post Posted on 2/3/2015, 19:41

Alto Sacerdote di Grumbar

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CITAZIONE (Incantatore Incompleto @ 2/3/2015, 16:17) 
E' consentito inserire tutte e due le frasi nel racconto, o dobbiamo obbligatoriamente inserirne solo una? :1392239553.gif:

Benvenuto Paolo... dacci dentro!! :)

Devi sceglierne solo una delle due come anima del brano, e quella ci deve essere anche inserita nel testo... poi se te vuoi inserire anche l'altra perché ti serve, ok, ma deve essere comprensibile quale delle due è quella che usi come struttura portante.
 
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view post Posted on 2/3/2015, 20:16
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Il Tospanico Polemico

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La frase deve essere esattamente quella? O può essere leggermente diversa? deve essere per forza centrale al racconto? O può solo essere l'incipit?

Ecco, fine domande :)
 
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ilma197
view post Posted on 2/3/2015, 20:44




Ok, credo di avere un'idea. Se tutto va bene, mercoledì comincio a scrivere :)
 
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view post Posted on 2/3/2015, 21:12

Alto Sacerdote di Grumbar

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CITAZIONE (David G @ 2/3/2015, 20:16) 
La frase deve essere esattamente quella? O può essere leggermente diversa? deve essere per forza centrale al racconto? O può solo essere l'incipit?

Ecco, fine domande :)

La frase può essere variata per adattarsi al vostro testo, per esempio a livello di tempi verbali, persona del narratore, eccetera, però il senso dev'essere quello... per esempio "quello che amava/odiava di più al mondo era un lucchetto di cassetta aperto" è ok; mentre "quello che detestava/adorava in modo viscerale in relazione a quella che era stata la sua esperienza di vita era la locandina di ET" non va bene. (sono esempi eh, capiscimi)

Il tema dev'essere centrale nel racconto, non per forza la frase. Se scegli "quello che amo di più" (per esempio) e decidi che il tuo protagonista ama più di tutto la nutella, allora sarà poi la nutella al centro del racconto, basta che esca (e magari che sia usato in modo creativo e interessante) il fatto che per il tuo protagonista la nutella è ciò che ama di più... non so se ho risposto alla tua domanda...

La frase in sé può essere quello che vuoi, dall'incipit a una battuta, alla conclusione, come preferisci tu, basta che ci sia nel brano.
 
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view post Posted on 3/3/2015, 17:26
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:woot:
CITAZIONE (Bloodfairy @ 2/3/2015, 08:53) 
Ben arrivato Paolo!!!
Hai lo spirito giusto, buon esordio!!! :rolleyes:

Bentornato Tony!! ;)

Grazie mille Bloodfairy ;)

Domanda, ma quando nel regolamento dice "consegna delle opere per le 23:59 di domenica 8 Marzo 2015" intende "entro il giorno 8" giusto? si possono pubblicare prima i racconti...?
 
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view post Posted on 3/3/2015, 17:28

Alto Sacerdote di Grumbar

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CITAZIONE (Paolo De Chirico @ 3/3/2015, 17:26) 
:woot:
CITAZIONE (Bloodfairy @ 2/3/2015, 08:53) 
Ben arrivato Paolo!!!
Hai lo spirito giusto, buon esordio!!! :rolleyes:

Bentornato Tony!! ;)

Grazie mille Bloodfairy ;)

Domanda, ma quando nel regolamento dice "consegna delle opere per le 23:59 di domenica 8 Marzo 2015" intende "entro il giorno 8" giusto? si possono pubblicare prima i racconti...?

sì, quello è il termine ultimo. dall'uscita delle specifiche a quel momento, puoi postare quando vuoi! ;)
 
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view post Posted on 3/3/2015, 18:25

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SUGHERO
Di Alexandra Fischer

Quando Amilcare scese dall’autobus e andò in centro, vide che c’erano altri negozi con le serrande abbassate; la sensazione di vuoto raddoppiò, acuita dalla consapevolezza di dover tornare alla stazione, desolatamente chiusa.
Il passaggio a livello con le sbarre perennemente sollevate lo aveva amareggiato nel profondo, facendogli sentire la sparizione dei treni come un lutto.
Avevano accompagnato parecchi momenti felici dei suoi viaggi in città e immaginava le carrozze inutilizzate come sarcofagi di metallo nei quali imputridivano carcasse di estati allegre.
Gli parve che il vuoto fosse arrivato a toccare anche i luoghi che gli appartenevano più di tutti, come il circolo Anni ’80, nel quale aveva trovato tanti nuovi amici, ai tempi delle scuole medie.
Vide che era ancora chiuso, il catenaccio alla porta parlava da sé, come una beffa davanti al suo tentativo di uscire ed aprirsi alle amicizie.
Già che c’era, decise di dare un’occhiata ai manifesti mortuari e vide che il suo amico Emerenziano Chiriotti, il più grande frequentatore del circolo, era morto.
Nessuno lo aveva informato del decesso e quando si recò al caffè che si trovava accanto alla Casa Incompiuta, incontrò la sua amica Gilla.
Sedeva al tavolo, con il trucco sfatto e un’espressione disgustata, mentre sorseggiava il punch al rum del mattino.
- Scusa, Gilla, ma che cosa è successo ad Emerenziano? – le domandò.
Lei, scostandosi la pesante frangia ricciuta, posò il bicchiere e gli rivolse uno sguardo apatico e replicò:- Gas. Non lo hai saputo? Penso sia colpa del sughero.
Era un gioco comune fra loro due: paragonavano tutte le sparizioni delle comodità e degli affetti di prima a una catastrofe silenziosa e implacabile nello stile di blob.
Al posto della gelatina, la loro mente vedeva una parete di sughero che isolava la gente e uccideva i luoghi dove la vita pullulava.
Gilla riprese: - Sei un coraggioso, tu, a venire qui. Io non so cosa darei per andarmene.
- Perché non lo fai, allora? – le domandò lui, con fare pratico.
La donna, con voce impastata, gli rivelò: - Ci ho provato, ma la parete mi ha isolato, coprendo la mia voce. Ci sono stati troppi fraintendimenti. Anche Emerenziano voleva andarsene e guarda cos’è successo.
Il giovane tacque, ancora sconvolto dalla rivelazione.
Ai tavoli vicini, c’era chi parlava al cellulare e chi trafficava con i tablet e lui provò una grande sensazione di freddo.
La parete di sughero che aveva cominciato a perseguitare la loro generazione era comparsa già nei tempi rassicuranti, ma almeno, Gilla era allegra e beveva gazzosa alla fragola ed Emerenziano arrivata con il giornale sportivo a commentare le partite.
C’era anche chi leggeva fumetti e giocava a ping-pong oppure a calcio, se ne ricordava bene, mica era accaduto nella preistoria.
Eppure, la parete di sughero si era frapposta anche fra lui e quei ricordi.
Gli giungevano lontani e attutiti, mentre lui provava una sensazione di vuoto e di smarrimento, sentendosi perso in un ambiente dove nessuno si interessava al vicino.
Solo le immagini e le voci lontane avevano importanza, anche al caffè e il sole sorridente della pubblicità della birra aveva assunto, agli occhi dell’uomo, una sfumatura sardonica.
Sembrava davvero un inviato delle potenze infere che stavano soffocando un’intera generazione isolandola con una parete di sughero che soltanto lui e Gilla potevano vedere.
La donna, vedendolo perso davanti alla pubblicità appesa alla parete, gli domandò: - Cosa c’è? A che pensi, Amilcare?
Lui, senza staccare gli occhi dal disegno pubblicitario realizzato su vetro, le rispose: - Oh, basta. Sembri Facebook: A cosa stai pensando?
Sbuffò e le disse: - A niente. Sto guardando quel quadro.
- Cos’ha che non va? – gli domandò lei, voltandosi a osservarlo per la prima volta dopo tanti giorni passati in un’atmosfera annebbiata dai punch.
Amilcare, abbassando la voce per una questione di abitudine, le sussurrò: - Tutto, è quel che odio di più di questo posto. Possibile che non possano cambiarlo con qualcos’altro?
Gilla fece una smorfia e poi tornò a sorseggiare la bevanda, non più tanto calda.
- Te ne ricordi ancora – constatò con il tono di chi sta leggendo un numero telefonico.
Amilcare si accalorò: - Sicuro. Saremmo dovuti andare in quel birrificio con Emerenziano. Ricordi?
La donna, dopo aver appoggiato il bicchiere gli rivelò: - Non farmi stare peggio di così. Lui ci ha lasciati e il birrificio è fallito un mese fa. Quel che Emerenziano odiava di più di questa città è il posto in cui ci troviamo ora. E io sono d’accordo con lui, che postaccio.
Lo disse a voce abbastanza alta, ma nessuno le rispose.
Il barista stava servendo dei clienti al bancone e la musica alla radio era abbastanza alta da coprire i suoni, anche se ad Amilcare parve che l’uomo avesse sollevato un sopracciglio.
Nel locale, a parte la pubblicità che i due odiavano tanto perché la consideravano una promessa non mantenuta, c’erano manifesti che reclamizzavano le iniziative del circolo ed erano tutti di diversi anni prima.
Persino le caramelle esposte nel cestino accanto alla cassa erano scolorite.
- Perché ci vieni, allora? – le domandò Amilcare – restatene a casa.
Una luce d’orrore brillò negli occhi acquosi di Gilla.
- No, laggiù è anche peggio – gli disse d’un fiato.
Pur avendo bevuto, si strofinò le braccia per ricacciare una sensazione di gelo.
- Sono ancora troppo sobria per pensare di tornarci – aggiunse, abbozzando un sorriso amaro.
Gilla ripensò alle stanze arredate nello stile Anni Sessanta, ancora belle se le si guardava da lontano, ma a viverci era un’altra cosa.
La tappezzeria era sbiadita in alcuni punti e le poltrone erano lise sotto le fodere, neppure queste all’ultimo grido.
E anche il bagno e la cucina non stavano meglio.
Tutto quello che sarebbe dovuto essere brillante era ammaccato o coperto di ruggine, ma lei era sicura che, a grattare le superfici dei muri ne sarebbero usciti tanti pezzetti di sughero.
A schiacciarli, poi, sarebbero saltati fuori pezzi di stoffa e metallo ancora in ottimo stato e forse anche il sangue di Emerenziano.
- Tu, piuttosto, perché torni qui sapendo che ogni volta un pezzo di questa città scompare dietro la parete di sughero? – gli domandò la donna.
Amilcare guardò il vicino alle prese con il Tablet e si avvide che sulla superficie di vetro la polvere si era depositata fino ad assumere la consistenza del sughero macinato.
Ne poteva anche sentire l’odore, come gli succedeva spesso a casa.
Anche lui ci sarebbe dovuto tornare prima che fosse troppo tardi.
Non viveva solo, malgrado la libertà apparente che ostentava nei suoi giri; anche lui doveva affrontare un orrore molto simile a quello che tormentava Gilla, ma non si trattava di recite familiari da affrontare con le bottiglie nascoste nell’armadio dei vestiti.
No, lui non aveva più nessuno, per colpa di vari disaccordi.
Tutto quello che gli rimaneva dei vecchi rapporti sfaldatisi nel corso degli anni erano istantanee Polaroid che stavano sbiadendo e che in alcuni punti presentavano macchie marroni.
Anche le voci del passato erano taciute; provando a riascoltare vecchi nastri registrati su cassetta, li aveva trovati smagnetizzati e aveva sentito un odore legnoso.
Il sughero aveva cominciato a corroderlo dall’interno, trasformandolo in un viluppo di sofferenza e questo era un dettaglio che doveva rivelare a Gilla, affinché lei potesse mettere in guardia i superstiti del circolo.
La rivelazione fece ridere la donna: - So bene che spesso si manifesta così. Sta facendo lo stesso effetto anche a me. Ti ricordi? Una volta bevevo una birra sì e no alla sera, quando era ora di fare baccano d’estate.
Amilcare, prima che lei ordinasse il secondo punch, le domandò: - Non faremmo meglio a visitare il circolo? Chiedi le chiavi a Biagio, prima di cadere sotto il tavolo.
Gilla, con passo appena caduco, andò dal barista e gli ordinò da bere, sussurrandogli poi all’orecchio qualcos’altro.
Biagio puntò l’indice verso Amilcare e poi preparò la bevanda per la donna.
Il giovane gli si avvicinò: - Cosa c’è? Problemi? Eppure mi conosci.
Il barista lo mise in guardia: - Là dentro non c’è più nulla. Se vuoi passare qualche ora qui, per me va bene, ma non dire assurdità. Altrimenti, fuori.
Gilla intervenne: - E dai, stavamo ricordando i vecchi tempi, sarebbe bello se potessimo tornare là. Era quello che Amilcare e io volevamo dire.
Diede una gomitata all’amico: - Giusto?
- Sì – rispose lui.
- Bene. È stato un piacere, Biagio.
Gilla pagò anche per Amilcare e i due uscirono dal locale, passando sul marciapiede opposto e guardando ostinatamente in avanti, ben decisi a fare come ai vecchi tempi; prima la passeggiata lunga e dopo lui avrebbe accompagnato l’amica a casa e sarebbe tornato alla stazione scegliendo il percorso più tortuoso.

Nel circolo rimasto vuoto da diverso tempo, la luce filtrava attraverso gli avvolgibili, illuminando palloni, panche, un paio di tavoli con i giochi di società chiusi nelle scatole impilate su una sedia nell’angolo accanto alla porta.
Sul muro, alcuni disegni a sanguigna tornavano visibili nella luce incerta del mattino.
Una mano beffarda aveva voluto mettere in ridicolo il videoclip Loser, trasformando il lamento di Beck in una striscia alla Bonvicini.
Il sughero non era arrivato, da quelle parti.
Biagio lo sapeva e non aveva voluto accontentare Amilcare apposta; quanto a Gilla, la riteneva già prossima a raggiungere Emerenziano.
Quanto a se stesso, non se ne preoccupava troppo, aveva visto che a ben tenerlo, il circolo continuava a rimanere intatto e i fantasmi che lo frequentavano si sarebbero sentiti a loro agio.
Anche quella sera entrò a fare pulizia notturna e una figura in poltrona lo salutò, mentre altre due si alzarono dal tavolo vicino.
La voce di Emerenziano gli parlò dalla poltrona: - Ho invitato un paio di amici, spero che non ti dispiaccia.
Biagio si appoggiò alla scopa.
Si era abituato a conversare con gli spettri dei frequentatori del circolo; i primi giorni dopo la morte apparivano nitidi come in vita, dopodiché scomparivano piano piano, riducendosi a lievissimi scricchiolii del legno.
Gli era successo con quello di Vale il caricaturista, ma non aveva mai avuto incontri ravvicinati con più fantasmi.
- Noi siamo solo di passaggio – gli disse Gilla.
Amilcare aggiunse: - Ci hai indovinato, oggi. Sapevi che sarebbe toccata a noi. La parete di sughero ci è caduta addosso all’incrocio.
- Non ha capito la battuta- ridacchiò la donna.
- Oh, la imparerà, visto che ci raggiungerà presto – le rispose l’uomo, mentre Biagio arretrava, arrivando sì a chiudere la porta del circolo con il catenaccio malgrado lo choc, ma che gusto aveva in bocca.
Gli sembrava di aver masticato sughero.


Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare il mio racconto su Skan Magazine
 
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view post Posted on 4/3/2015, 07:46
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Occhi di Vetro
(Paolo De Chirico)

Casalingo


Pacato, inflessibile, freddo e illuminato, ancorato al muro, circondato da regolari piastrelle azzurre, l’occhio di vetro sovrastava il lavandino di lei, la proprietaria che, con fare disordinato e ansioso, tentennava dinanzi alla propria immagine, cercando qualcosa nel volto da aggiustare con una matita.
"Sgraziata"
Lo specchio rifletteva l'immagine della giovane donna, lineamenti delicati, zigomi sporgenti molto alti, occhi brillanti, labbra corrucciate e guance fin troppo magre, mentre lei con la matita rifiniva le labbra.
"Sgraziata"
Non era ciò che rifletteva lo specchio, ma il pensiero della giovane donna. Lei si sentiva spezzata, quel temerario amico l'aveva attirata in un luogo buio con una scusa, l’aveva denudata, infamata, dissacrata e si era portato via un pezzo di anima. Quel temerario amico conosciuto da tutti col nome di fiducia.
"Meglio di così non può andare, meglio posare il trucco e muoversi per andare a lavoro"
Se avesse potuto parlare, lo specchio l'avrebbe corretta, era una giovane ed incantevole donna, solo troppo magra e dalle dita troppo veloci e sussultanti che non smettevano mai di tremare.
L'ultima cosa che lo specchio vide fu la gonna svolazzare mentre lei prendeva per la mano il piccolo fagotto e si preparava per accompagnarlo all'asilo.

Scolaro


Stanco, sporco, incrinato in un angolo, sbilenco ma ancora in piedi, il vetro a specchio osservava l’androne della scuola, un anonimo ufficio scolastico, circondato da scartoffie e professori stanchi e annoiati, quest’occhio di vetro aveva visto decine di generazioni di bambini entrare in quelle aule accompagnati da un genitore, qualcuno portava ancora il pannolino, altri piangevano quando andava via la mamma, adesso l’occhio di vetro scrutava, oziosamente, un nuovo bambino.
<piacere mio...e suo. Mi raccomando amore, fa il bravo. No la mamma deve andare a lavoro>
L’insegnante stringeva la mano alla giovane donna, con noncuranza, il solito viso molle di chi è disinteressato <non si preoccupi, non si accorgerà neppure che è andata via>
<non ci siamo mai separati prima d’ora> rispose lei, mordendosi un labbro e leggendo negli occhi di suo figlio la parola “perché?”
<non lavorava prima?> chiese, senza alcun interesse l’annoiata insegnante
<no> fu la risposta secca della giovane donna, avrebbe voluto aggiungere altro, ma si accorge che l’insegnante aveva domandato soltanto per mostrare cortesia e non perché realmente interessata. Lei si domanda se nelle mani della maestra suo figlio starà bene, e in quel momento lo stomaco si fece pesante, si contorse e la sensazione di pericolo non accennava di attenuarsi.
<mi raccomando, l’ho già detto al preside, solo io posso venirlo a prendere>
<si, è la prassi, solo chi deposita firma dal preside può prelevare i bambini, non si preoccupi>
Lei si chiede se sanno il perché di tante precisazioni, magari pensano che sia soltanto una madre apprensiva, oppure che sia ossessionata o, ancora, che la sua apprensione sia scaturita dal non averlo mai lasciato prima d’ora, pensa di aggiungere altro, ma infine decide che qualunque cosa dicesse, la maestra non si interesserebbe maggiormente a suo figlio.
<grazie di tutto, e arrivederci> la giovane donna salutò l’insegnante con una stretta di mano fugace, il palmo era bagnato e freddo mentre la mano sgusciò subito via, sul polso destro c'erano un bracciale d'argento seguito da uno in legno molto spesso, la manica che incorniciava la mano era colorata con fantasia floreale e sbuffata che suo figlio adorava.
<ciao amore> lei salutò suo figlio, il piccolo fagotto risponde con un bacio, mentre veniva portato via, nella classe dove avrebbe giocato con i nuovi compagni.. La giovane donna, continuò a salutare per ore, nella propria mente, suo figlio, ma questo lo specchio non lo sapeva.

Impiegato


Nel suo loculo al dodicesimo piano del grattacielo, l’occhio di vetro mirava l’andirivieni degli impiegati , osservando divertito quelli che correvano per chiudersi in bagno, oppure coloro che si soffermavano accanto la finestra socchiusa con una sigaretta in mano, chiacchierando con colleghi, e speculava sulla differenza nelle movenze e tempistiche, mano a mano che la giornata scorreva verso il termine. La giornata era trascorsa tranquilla, nella media, i piani più alti erano già bui, segno che presto l’intero edificio si sarebbe svuotato, quando l’occhio di vetro vide qualcosa di strano: una donna correva, piangendo, con indosso un vestito mancante di una manica, lacerata.
<puttana! Puttana!> urlava un altro, dietro di lei, allungando una mano tentando di afferrarla, ma lei riuscì a divincolarsi, entrando nel bagno e chiudendo la porta col lucchetto.
<puttana! Te la faccio pagare!> sbraitò l’uomo, dalla voce ovattata a causa della porta, e poi una tempesta di colpi fece vibrare il legno dell’ingresso. La donna piangeva, singhiozzava e tremando, si accasciò nel pavimento della toilette tirato a lucido dagli inservienti. Oltre la porta si sentirono urla, colluttazione e infine una voce meno adirata <signora, sta bene?>
La giovane donna aprì la porta , facendo di sì con la testa <grazie per essere intervenuti>
<si figuri, abbiamo chiamato la polizia, sarà qui a momenti> e poi aggiunse, sussurrando <lui è bloccato al secondo piano in attesa dell’arrivo degli agenti. Adesso è al sicuro, se dovesse avere ancora bisogno di noi, ci trova vicino gli ascensori, aspettiamo che lei vada per smontare>
La donna ringraziò le guardie giurate e richiuse la porta. Si avvicinò all’occhio di vetro, controllando i danni, un labbro gonfio e spaccato, il volto tumefatto, occhi rossi, quello destro socchiuso per un rigonfiamento, c’era del sangue sui denti e la donna deglutiva, sperando non ricomparisse. Con mani incerte ma esperte, la giovane donna rassettò il proprio volto, al massimo delle possibilità, per poi passare ai vestiti, aggiustò il colletto della camicia, guardò dispiaciuta la manica assente e la coprì con la giacca, girò la gonna per coprire lo strappo nella calza.
Dopo qualche minuto un team di soccorritori del 118 visitò la giovane donna, scortati da due agenti di polizia, lei andò via con loro e scomparve alla vista dello specchio.

Destino


Aveva visto tutto, anche ciò al quale non avrebbe voluto assistere, ma inchiodato alle spalle del brigadiere dei carabinieri, l’occhio di vetro non aveva scelta e doveva continuare a fare il proprio lavoro, qualunque cosa il proprio destino gli ponesse dinanzi, come questa tragica storia che stava ascoltando, una brutalità che solo i mostri umani erano in grado di concepire.
<signora, mi dispiace per quanto è accaduto, adesso redigeremo l’ennesimo verbale di aggressione>
<si, brigadiere, ma servono a qualcosa, guardi come mi ha ridotta quel mostro!> lei era provata, scossa e sull’orlo di una crisi nervosa
<signora, questa è la quinta denuncia che fa. I pedinamenti, le minacce e le percosse che ha subito in questo periodo sono presupposti per stalking. La testimonianza che le hanno fornito le guardie giurate e le telecamere del suo ufficio incastreranno suo marito e…>
<la prego, non lo chiami così> chiese, con un filo di voce, la giovane donna
<…capisco. Lo chiameremo lui, va bene?> il brigadiere attese il cenno d’assenso della donna prima di proseguire, spiegando l’iter da percorrere, il procedimento burocratico ed altre cose che alla donna non interessavano, ma che doveva ascoltare per prepararsi al processo <abbiamo inviato una unità a prelevarlo, da stanotte lui non uscirà dal carcere per molto tempo. adesso vada a casa e si riposi>
Lei ringraziò il brigadiere, gli strinse la mano e si fece forza. Uscì dall’ufficio accompagnata da una collega che aveva assistito alla scena, quando furono fuori dall’ufficio del brigadiere, questi si posizionò dinanzi allo specchio, aprendo la finestra e accendendosi una sigaretta <questi bastardi, violenti con le famiglie, li castrerei con le tenaglie, altro che la prigione…>

Casalingo


Circondato dalle piastrelle azzurre, l’occhio di vetro di lei percepì subito i cambiamenti sul suo volto, deturpato e violato da una mano violenta, ne conosceva a memoria gli effetti, tante delle volte in cui aveva assistito alla deturpazione di quel viso e di quel fragile corpo. C’era stato un tempo in cui era vissuta la pace, ma essa era andata via presto, sostituita da rabbia e odio irragionevole, di un uomo verso la propria famiglia. Dalla cortina di nebbia proveniente dalla doccia accanto, fuoriuscì la giovane donna con occhi arrossati, lacrime di rabbia si trascinavano sulle guance bianche, la giovane donna si morse il labbro già ferito, e ne sgorgò un rivolo di sangue. Lei respirava profondamente, tenendo la testa bassa, nascosta da ciocche di capelli bagnati e passando una mano sullo specchio, scacciò la condensa dalla superficie liscia, scorgendo il proprio volto: scoppiò in pianto quando si vide.
Per anni, la giovane donna, aveva subito l’odio dell’uomo che aveva sposato, addossandosi colpe mai commesse fino a quando quell’odio aveva colpito l’oggetto del più grande amore che lei avesse mai provato. Solo allora la giovane donna aveva detto “Basta!”, aveva gettato via la fede dal dito, ripreso in mano la propria vita e affrontato il mostro, giorno per giorno, era stata picchiata, deturpata, insultata, aveva denunciato, si era difesa, continuava la lottare con la mente perversa di chi odia, perché non avrebbe mai più permesso che il suo amore venisse nuovamente toccato dal mostro.
La giovane donna si asciugò in fretta, acconciò i capelli in modo che coprissero l’ematoma sulla fronte, uscì dal bagno e si avvicinò al suo amore, guardava la televisione e quando la vide le si avvicinò, ignaro di tutto il dolore di lei, gli gettò le braccia attorno al collo e le disse <ti voglio bene, mamma>
Stancamente, lei sorrise e, stringendo il suo bambino, sussurrò <quello che amo di più, in questo mondo, sei tu>

Edited by Paolo De Chirico - 5/3/2015, 14:38
 
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Tonylamuerte
view post Posted on 4/3/2015, 08:44




Azz... Ritorno fiacchetto il mio visto che sono a corto di ispirazione e sono oberato di impegni personali...
Ce la faró?
Mah...
 
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view post Posted on 4/3/2015, 22:47
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Apprendista stregone

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Ciao Paolo. Non per fare il saccente, ma nel tuo racconto manca completamente la specifica. Chiedi al Master se puoi correggere il tuo lavoro, e inserisci la frase richiesta. Il racconto é interessante ma senza specifica varrà meno di zero! :blink:

Edited by Incantatore Incompleto - 5/3/2015, 10:50
 
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Alexia93
view post Posted on 5/3/2015, 03:51




Visto che è prima volta che partecipo volevo chiedere una cosa che non ho letto da nessuna parte (o forse c'era ma non l'ho letto io :1392391933.gif: ).
Lo skannatoio è come la macelleria cioè a numero chiuso?
Perchè ho già cominciato a lavorare al racconto e non vorrei, poi, scoprire all'ultimo che non posso pubblicarlo perchè non ho confermato la mia "presenza".
 
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Ceranu
view post Posted on 5/3/2015, 06:15




Lo skannatoio accetta sempre tutti. Nessun limite di numero
 
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kaipirissima
view post Posted on 5/3/2015, 08:18




Ieri sera ho sognato che facevo la revisione al racconto dello skanna, però non riesco a ricordare la trama, l'unica cosa che ricordo è che volevo chiedere a Master se la frase Io amo/io odio potesse essere espressa solo nel titolo.

Benvenuta Alexia 93. :)
 
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241 replies since 1/3/2015, 00:09   4639 views
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