| Occhi di Vetro (Paolo De Chirico)
Casalingo
Pacato, inflessibile, freddo e illuminato, ancorato al muro, circondato da regolari piastrelle azzurre, l’occhio di vetro sovrastava il lavandino di lei, la proprietaria che, con fare disordinato e ansioso, tentennava dinanzi alla propria immagine, cercando qualcosa nel volto da aggiustare con una matita. "Sgraziata" Lo specchio rifletteva l'immagine della giovane donna, lineamenti delicati, zigomi sporgenti molto alti, occhi brillanti, labbra corrucciate e guance fin troppo magre, mentre lei con la matita rifiniva le labbra. "Sgraziata" Non era ciò che rifletteva lo specchio, ma il pensiero della giovane donna. Lei si sentiva spezzata, quel temerario amico l'aveva attirata in un luogo buio con una scusa, l’aveva denudata, infamata, dissacrata e si era portato via un pezzo di anima. Quel temerario amico conosciuto da tutti col nome di fiducia. "Meglio di così non può andare, meglio posare il trucco e muoversi per andare a lavoro" Se avesse potuto parlare, lo specchio l'avrebbe corretta, era una giovane ed incantevole donna, solo troppo magra e dalle dita troppo veloci e sussultanti che non smettevano mai di tremare. L'ultima cosa che lo specchio vide fu la gonna svolazzare mentre lei prendeva per la mano il piccolo fagotto e si preparava per accompagnarlo all'asilo.
Scolaro
Stanco, sporco, incrinato in un angolo, sbilenco ma ancora in piedi, il vetro a specchio osservava l’androne della scuola, un anonimo ufficio scolastico, circondato da scartoffie e professori stanchi e annoiati, quest’occhio di vetro aveva visto decine di generazioni di bambini entrare in quelle aule accompagnati da un genitore, qualcuno portava ancora il pannolino, altri piangevano quando andava via la mamma, adesso l’occhio di vetro scrutava, oziosamente, un nuovo bambino. <piacere mio...e suo. Mi raccomando amore, fa il bravo. No la mamma deve andare a lavoro> L’insegnante stringeva la mano alla giovane donna, con noncuranza, il solito viso molle di chi è disinteressato <non si preoccupi, non si accorgerà neppure che è andata via> <non ci siamo mai separati prima d’ora> rispose lei, mordendosi un labbro e leggendo negli occhi di suo figlio la parola “perché?” <non lavorava prima?> chiese, senza alcun interesse l’annoiata insegnante <no> fu la risposta secca della giovane donna, avrebbe voluto aggiungere altro, ma si accorge che l’insegnante aveva domandato soltanto per mostrare cortesia e non perché realmente interessata. Lei si domanda se nelle mani della maestra suo figlio starà bene, e in quel momento lo stomaco si fece pesante, si contorse e la sensazione di pericolo non accennava di attenuarsi. <mi raccomando, l’ho già detto al preside, solo io posso venirlo a prendere> <si, è la prassi, solo chi deposita firma dal preside può prelevare i bambini, non si preoccupi> Lei si chiede se sanno il perché di tante precisazioni, magari pensano che sia soltanto una madre apprensiva, oppure che sia ossessionata o, ancora, che la sua apprensione sia scaturita dal non averlo mai lasciato prima d’ora, pensa di aggiungere altro, ma infine decide che qualunque cosa dicesse, la maestra non si interesserebbe maggiormente a suo figlio. <grazie di tutto, e arrivederci> la giovane donna salutò l’insegnante con una stretta di mano fugace, il palmo era bagnato e freddo mentre la mano sgusciò subito via, sul polso destro c'erano un bracciale d'argento seguito da uno in legno molto spesso, la manica che incorniciava la mano era colorata con fantasia floreale e sbuffata che suo figlio adorava. <ciao amore> lei salutò suo figlio, il piccolo fagotto risponde con un bacio, mentre veniva portato via, nella classe dove avrebbe giocato con i nuovi compagni.. La giovane donna, continuò a salutare per ore, nella propria mente, suo figlio, ma questo lo specchio non lo sapeva.
Impiegato
Nel suo loculo al dodicesimo piano del grattacielo, l’occhio di vetro mirava l’andirivieni degli impiegati , osservando divertito quelli che correvano per chiudersi in bagno, oppure coloro che si soffermavano accanto la finestra socchiusa con una sigaretta in mano, chiacchierando con colleghi, e speculava sulla differenza nelle movenze e tempistiche, mano a mano che la giornata scorreva verso il termine. La giornata era trascorsa tranquilla, nella media, i piani più alti erano già bui, segno che presto l’intero edificio si sarebbe svuotato, quando l’occhio di vetro vide qualcosa di strano: una donna correva, piangendo, con indosso un vestito mancante di una manica, lacerata. <puttana! Puttana!> urlava un altro, dietro di lei, allungando una mano tentando di afferrarla, ma lei riuscì a divincolarsi, entrando nel bagno e chiudendo la porta col lucchetto. <puttana! Te la faccio pagare!> sbraitò l’uomo, dalla voce ovattata a causa della porta, e poi una tempesta di colpi fece vibrare il legno dell’ingresso. La donna piangeva, singhiozzava e tremando, si accasciò nel pavimento della toilette tirato a lucido dagli inservienti. Oltre la porta si sentirono urla, colluttazione e infine una voce meno adirata <signora, sta bene?> La giovane donna aprì la porta , facendo di sì con la testa <grazie per essere intervenuti> <si figuri, abbiamo chiamato la polizia, sarà qui a momenti> e poi aggiunse, sussurrando <lui è bloccato al secondo piano in attesa dell’arrivo degli agenti. Adesso è al sicuro, se dovesse avere ancora bisogno di noi, ci trova vicino gli ascensori, aspettiamo che lei vada per smontare> La donna ringraziò le guardie giurate e richiuse la porta. Si avvicinò all’occhio di vetro, controllando i danni, un labbro gonfio e spaccato, il volto tumefatto, occhi rossi, quello destro socchiuso per un rigonfiamento, c’era del sangue sui denti e la donna deglutiva, sperando non ricomparisse. Con mani incerte ma esperte, la giovane donna rassettò il proprio volto, al massimo delle possibilità, per poi passare ai vestiti, aggiustò il colletto della camicia, guardò dispiaciuta la manica assente e la coprì con la giacca, girò la gonna per coprire lo strappo nella calza. Dopo qualche minuto un team di soccorritori del 118 visitò la giovane donna, scortati da due agenti di polizia, lei andò via con loro e scomparve alla vista dello specchio.
Destino
Aveva visto tutto, anche ciò al quale non avrebbe voluto assistere, ma inchiodato alle spalle del brigadiere dei carabinieri, l’occhio di vetro non aveva scelta e doveva continuare a fare il proprio lavoro, qualunque cosa il proprio destino gli ponesse dinanzi, come questa tragica storia che stava ascoltando, una brutalità che solo i mostri umani erano in grado di concepire. <signora, mi dispiace per quanto è accaduto, adesso redigeremo l’ennesimo verbale di aggressione> <si, brigadiere, ma servono a qualcosa, guardi come mi ha ridotta quel mostro!> lei era provata, scossa e sull’orlo di una crisi nervosa <signora, questa è la quinta denuncia che fa. I pedinamenti, le minacce e le percosse che ha subito in questo periodo sono presupposti per stalking. La testimonianza che le hanno fornito le guardie giurate e le telecamere del suo ufficio incastreranno suo marito e…> <la prego, non lo chiami così> chiese, con un filo di voce, la giovane donna <…capisco. Lo chiameremo lui, va bene?> il brigadiere attese il cenno d’assenso della donna prima di proseguire, spiegando l’iter da percorrere, il procedimento burocratico ed altre cose che alla donna non interessavano, ma che doveva ascoltare per prepararsi al processo <abbiamo inviato una unità a prelevarlo, da stanotte lui non uscirà dal carcere per molto tempo. adesso vada a casa e si riposi> Lei ringraziò il brigadiere, gli strinse la mano e si fece forza. Uscì dall’ufficio accompagnata da una collega che aveva assistito alla scena, quando furono fuori dall’ufficio del brigadiere, questi si posizionò dinanzi allo specchio, aprendo la finestra e accendendosi una sigaretta <questi bastardi, violenti con le famiglie, li castrerei con le tenaglie, altro che la prigione…>
Casalingo
Circondato dalle piastrelle azzurre, l’occhio di vetro di lei percepì subito i cambiamenti sul suo volto, deturpato e violato da una mano violenta, ne conosceva a memoria gli effetti, tante delle volte in cui aveva assistito alla deturpazione di quel viso e di quel fragile corpo. C’era stato un tempo in cui era vissuta la pace, ma essa era andata via presto, sostituita da rabbia e odio irragionevole, di un uomo verso la propria famiglia. Dalla cortina di nebbia proveniente dalla doccia accanto, fuoriuscì la giovane donna con occhi arrossati, lacrime di rabbia si trascinavano sulle guance bianche, la giovane donna si morse il labbro già ferito, e ne sgorgò un rivolo di sangue. Lei respirava profondamente, tenendo la testa bassa, nascosta da ciocche di capelli bagnati e passando una mano sullo specchio, scacciò la condensa dalla superficie liscia, scorgendo il proprio volto: scoppiò in pianto quando si vide. Per anni, la giovane donna, aveva subito l’odio dell’uomo che aveva sposato, addossandosi colpe mai commesse fino a quando quell’odio aveva colpito l’oggetto del più grande amore che lei avesse mai provato. Solo allora la giovane donna aveva detto “Basta!”, aveva gettato via la fede dal dito, ripreso in mano la propria vita e affrontato il mostro, giorno per giorno, era stata picchiata, deturpata, insultata, aveva denunciato, si era difesa, continuava la lottare con la mente perversa di chi odia, perché non avrebbe mai più permesso che il suo amore venisse nuovamente toccato dal mostro. La giovane donna si asciugò in fretta, acconciò i capelli in modo che coprissero l’ematoma sulla fronte, uscì dal bagno e si avvicinò al suo amore, guardava la televisione e quando la vide le si avvicinò, ignaro di tutto il dolore di lei, gli gettò le braccia attorno al collo e le disse <ti voglio bene, mamma> Stancamente, lei sorrise e, stringendo il suo bambino, sussurrò <quello che amo di più, in questo mondo, sei tu>
Edited by Paolo De Chirico - 5/3/2015, 14:38
|