CITAZIONE (Incantatore Incompleto @ 5/5/2015, 18:53)
CITAZIONE (Marco Lomonaco - Master @ 5/5/2015, 16:49)
...staccare del tutto non so se sia la scelta migliore.... Meglio fare e testare una cosa alla volta, apprendere e assimilare. Se non ti vedremo, sappi che mi mancherai, e i miglioramenti già si vedevano, mi piaceva il piglio che avevi preso...
solo una domanda... dove li hai visti i commenti di CT alla macelleria? Perché io non li vedo... incuriosito dal tuo post sono andato a ricontrollare ma non ci sono...
Guarda Marco, mai lontanamente mi sarei aspettato una risposta così professionale e allo stesso tempo così emozionalmente intensa!
Quasi da fratello maggiore che delicatamente batte due pacche sulla spalla del fratello minore, dicendogli di non mollare.
Io non volevo lasciare tutto (ci mancherebbe), volevo solo staccare la spina, studiare e riflettere...
Però, forse hai ragione tu! Isolarsi del tutto probabilmente non è la via ideale per migliorare.
Fare e testare una cosa alla volta, mi sembra più sensato dello sparire e riapparire senza aver provato a vedere se si sta andando nella giusta direzione... poi quella storia del piglio... è già la seconda volta che me lo dici...
David dice che i miglioramenti si vedevano, Ceranu che apprezza il mio modo di scrivere...
Sentite, ci penserò su. Non vi prometto nulla, ma già siete riusciti a riempire la mia testa di punti interrogativi, e non è da tutti riuscire a mettere in dubbio una decisone presa da questa testaccia dura che mi ritrovo.
Comunque, per me sicuramente, questo mese salta tutto!
Non riuscirei mai a scrivere lo Skan in 3 giorni, la Macelleria sarà meglio affrontarla ad un livello superiore a quello in cui mi trovo ora, quanto a 666 passi nel delirio... ho rotto le scatole a Gambarini perché lo facesse ripartire, e poi non ho saputo inventare una storia decente con cui partecipare, quindi meglio girare alla larga almeno per un po'...
Per questo mese quindi nisba, per il prossimo... vedremo il da farsi...
Quel "mi mancherai" mi ha praticamente steso... porca vacca se mi ha steso...
Per quanto riguarda i commenti alla Macelleria di Cattivo tenente, ancora non ci sono, ma pensavo già (visto l'andazzo e riconoscendo i miei errori) a uno spezzatino di Incantatore Incompleto alla salsa di dragoncello....
Come al solito mi sono espresso male e sembrava avessi già letto il suo commento da qualche parte (vedi che devo migliorare il modo di esprimermi...).
In bocca al lupo per i contest ragazzi... non divertitevi troppo in mia assenza...
Studiare va bene, leggere tanto anche meglio, ma se vuoi imparare a scrivere... devi scrivere!
Per quanto riguarda lo show don't tell, è facile: quando scrivi basta che pensi a chi è attribuito il passaggio e a chi viene detto. Se ti rendi conto che non può essere detto da nessuno dei pg in gioco né rivolto a nessuno dei pg, allora sei tu che stai spiegando al lettore.
Ah... al bando i vittimismi e butta giù 5'000 caratteri che non voglio veder saltata anche questa edizione
No, non do il permesso a Jakie. Questo racconto è troppo dimenticabile.
Diciamo che la mia vena ironica non è così potente come speravo e chiudiamola qui.
Taro e Tara
di Nazareno MarzettiOctavia, in arte Magdhalen – con la mutina che si infilava tra ogni coppia di lettere, a seconda della serata e di come girava al tipo delle locandine – cantava facendo cercando di evitare che lo strato di fumo che aleggiava sul locale finto country le raschiasse la gola. Prendendo in mano il microfono, come se volesse farci ben altro che cantare, lo sganciò e scese dal palchetto per aggirarsi lascivamente tra i tavoli. Mostrando senza troppo ritegno un seno arduamente sostenuto da un bustino costrictor, accarezzava menti alla ricerca di un boccale ancora intonso. In uno stacco prese la birra e ne tracannò un lungo sorso cercando di farlo sembrare molto sensuale. Il nettare fermentato le guarì la gola, in tempo per l'ultimo, struggente, ritornello. Posò il boccale avendo cura di lasciarvi il segno del rossetto e riprese a strusciarsi contro qualsiasi mobile che non fosse a portata di zampa di uno degli avventori. Sapeva benissimo che nessuno era lì per sentirla cantare, ma le era difficile apparire sensuale con la raucedine.
«Li hai stesi tutti anche stasera» si congratulò il barista, l'unico maschio del locale su cui valesse la pena rifarsi lo sguardo e, ovviamente, gay.
«Dio carismatico... non che ci voglia molto.» Si voltò verso il locale. «La metà di loro sono degli habitué, anzi, per dirla alla Marge, hanno scavato le sedie al punto che solo il loro culo ci sta comodo. Gli altri...» Sorseggiò il cocktail che le aveva preparato George. «Non ci sono, direi.» Sorrise, riportando lo sguardo su quei pettorali degni di una portaerei, mentre sul palco saliva Marge, in arte Sarha – anche la sua mutina se ne andava a spasso per il nome – con la sua intramontabile “I wanna be loved by you”.
«Dai, non è male come serata.»
«Se dessero un centesimo di mancia per ogni palpata... Be', non sarei qui.»
«Posso immaginare.»
«Ovviamente per te sarebbe gratis» provò, facendo quel sorrisetto al quale nessun uomo – etero – sapeva resistere.
Infatti il barman sorrise svicolando. «Devi prepararti per il finale.»
«Bene» sospirò alzandosi dallo sgabello. «Se cambi idea mi trovi in camerino. Ti spiace?» aggiunse, prendendo il calice.
Lo specchio rimandava un'immagine disastrata di lei. Capelli scompigliati, mascara sbavato dal cuscino e rossetto più sulla guancia che sulle labbra. Si massaggiò le tempie, chiedendosi che fine avesse fatto il resto della serata. Muovendosi con cautela per evitare di incentivare il suo mal di testa, si infilò in una doccia bollente – qualsiasi tentativo di regolazione l'avrebbe trasformata in una doccia ghiacciata senza appello per il successivo quarto d'ora – lasciandosi andare in pensieri piccanti mentre cercava di venire a capo del groviglio biondo che aveva in testa.
Fu lì che se ne accorse: appena sopra l'attaccatura dei seni in caduta libera, le sue dita sfiorarono un bozzo liscio. «Dio carismatico!» esclamò, saltando fuori dalla doccia metà insaponata.
Pulì lo specchio con l'avambraccio e si appoggiò al lavandino per avvicinare il più possibile il petto alla superficie appannata. Sulla pelle usurata stava come appoggiata una semisfera bianca. «C... cos'è questo?» Dita tremanti si avvicinarono al bozzo, sfiorandolo. Non sentì niente. Provò a spostarlo, ma era fissato sulle costole. Tirò ma non venne. «Che sia un tumore?»
«No, taro» rispose una voce vicino alla porta.
«Dio carismatico!»
Un istante dopo Octavia muoveva lenti passi verso la porta, brandendo lo scopettone del water come un'arma letale. Socchiuse la porta che dava sul resto del monolocale. Vuoto. «Chi... Chi sei? Vieni fuori?» chiamò, calcolando quanti passi la separavano dalla ramazza.
«Sono Taro, taro. Sono qui, taro.»
Nessuno.
«Sono qui, taro» ripeté la voce «Più giù, taro. Ecco, taro. Qui, taro.»
Lentamente Octavia abbassò lo sguardo verso il pavimento ingombro di vestiti da lavare. Un bambolotto di plastica che Matt aveva lasciato lì quando il padre era venuto a prenderlo – tre anni prima, maledetti i giudici puritani – stava salutando con il pugnale di plastica in mano.
«Eeeeeehk!» urlò, scivolò e batté la testa sul lavandino.
«Attenta, taro!» urlò il bambolotto «Ti sei fatta male, taro?»
«Ahi...» Octavia si massaggiava la nuca, cercando di lenire il dolore. «Ma... cosa?»
«Devi fare attenzione, taro.» Il bambolotto si avvicinò alla donna, che lo prese, lo scagliò contro l'armadio letto disfatto e chiuse violentemente la porta appoggiandovisi con tutto il peso.
«Calma, Octavia. Calma» disse a se stessa. «Ti sei ubriacata come al solito. Hai battuto la testa. Non hai visto veramente quella bambola parlare.»
«Invece io parlo, taro!» la contraddisse lui.
«Non è possibile, dio carismatico!» urlò lei di rimando. «Le bambole non parlano!»
«Io non sono una bambola, taro. Io sono Taro, il custode dello Yang.»
«Le bambole non parlano!» insistette.
«Sì, taro. Questo lo hai già detto, taro. Possiamo andare avanti, taro? Dobbiamo recuperare tutti gli elementi prima che lo faccia Yin, taro.»
«Non puoi esistere, dio carismatico! E si può sapere perché ripeti ossessivamente il tuo nome?»
«È una delle regole del vostro mondo, taro. Le ragazze con poteri magici devono avere un animale parlante che ripeta il proprio nome, taro. Non ho trovato altri pupazzi adatti, taro.»
«Regole? Dio carismatico, sono sicura che non esistono regole del genere!»
«Mi sono informato molto prima di venire qui, taro.»
«E si può sapere dove ti sei informato?»
«Su fox kids, taro.»
«Ah» commentò iniziando a sentire un po' freddo. «Quindi sei un alieno o cosa?»
«Te l'ho detto, taro. Sono Taro, il custode dello Yang, taro. Lo Yin e lo Yang si sono separati di nuovo e tutti gli elementi dei nove cerchi si sono sparpagliati, taro. Ogni elemento...» Octavia si ributtò sotto la doccia, finendo di togliersi il sapone e cercando un po' di calore. Ai capelli l'interruzione del lavaggio pareva non esser piaciuta affatto tanto si rivelarono intrecciati e dispotici. Cercò di razionalizzare la cosa: si era svegliata con una... gemma? Al centro del petto e un alieno che aveva visto troppa TV, aveva preso possesso del bambolotto di Matt. C'era ben poco da razionalizzare in effetti. Finì di asciugare i capelli e uscì per andarsi a vestire.
«...e questo chiude l'ultimo cerchio, taro. Tutto chiaro, taro?»
«Chiarissimo» rispose lei, prendendolo e lanciandolo dalla finestra. Prossima mossa, si disse, andare all'ospedale e farsi analizzare quella... gemma del yin yang o quel che era. Già, e farsi controllare la testa.
«Non è stato molto gentile da parte tua, taro» disse un bambolotto offeso sul pianerottolo delle scale. Braccia incrociate e gambe larghe, a voler dire qui non si passa – sarebbe stato sicuramente più credibile se il fucile di plastica non fosse stato massacrato da Matt appena uscito dalla scatola.
«Sì? Be', scusa» rispose aggirandolo.
«Dove stai andando, taro?» chiese, saltandole su una spalla e cercando di rimanere aggrappato alla cinghia della borsa.
«All'ospedale, mi pare ovvio.»
«No, taro! Non puoi andare all'ospedale, taro!»
«Ah, no? E come pensi di impedirmelo?»
«Se ti tolgono la gemma succederà qualcosa di veramente brutto, taro.»
«Certo» rispose lei, continuando a scendere imperterrita le scale.
«E non ci sarà nessuno a fermare il possessore dello Yin, taro!»
«Certo...»
«E succederà qualcosa di ancor più brutto, taro.»
«Sì, come no.»
«Chi riesce ad ottenere tutte le gemme può esprimere un desiderio, taro!»
Octavia si bloccò a metà rampa «Un desiderio? Qualsiasi desiderio?»
«Un desiderio che può avverare il destino, taro. Non un miracolo, taro, ma qualcosa che può accadere, taro.»
«Ma... Posso riavere mio figlio?»
«È ancora vivo, taro?»
«Sì. Il mio ex non vuole farmelo vedere.»
«Allora sì, taro.»
Octavia fissò il pupazzetto, soppesando la cosa.
«Sai vero che non è proprio necessario ripetere il tuo nome alla fine di ogni frase?»
«Lo so, taro. Ma queste sono le regole, taro.»
«Dio carismatico» sospirò lei.
Octavia rigirava perplessa tra le mani lo scettro rosa confetto che Taro – nella migliore tradizione dell'autorevole canale su cui si era informato – aveva fatto comparire poco prima.
«Avrei diversi dubbi...»
«Non c'è tempo, taro. Dì la formula, taro.»
Octavia sospirò e alzò lo scettro. «Bianco.... Ma devo proprio farlo?»
«Vuoi riabbracciare Matt, taro?»
«Bianco potere dell'amore, vieni a me» disse per niente convinta.
Dopo un turbinio di luci, sparizioni e creazioni di vestiti con tanto di effetti sonori – anche questo lo aveva trovato nell'autorevole canale di informazione? – Octavia si trovò a rimirare allo specchio una versione se stessa impacchettata nel più eccessivo e infantile vestito da principessa bianco che potesse immaginare. Il bustino, che non prevedeva certo un seno prosperoso come il suo, si gonfiava lasciando palesemente intendere che il reggiseno era scomparso insieme al resto del vestiario. Le gambe – almeno quelle – erano ampiamente nascoste da una gonna che difficilmente sarebbe passata dalla porta e i capelli... facevano concorrenza alla gonna.
«Dio carismatico» fu il suo unico commento.
«Ora apri la trusse, taro.»
«Pure la trusse?»
«C'è un radar cerca gemme, taro.»
«Taro... noi dobbiamo fare un discorsetto su fox kids.»
«Siamo arrivati tardi, taro» commentò il bambolotto, osservando il caos di studenti che scappavano dal college, accompagnati dal perentorio grido dell'allarme antincendio. Dalle finestre della palestra liane e arbusti avevano sfondato i vetri e si stavano riversando lungo le pareti grigie.
«Dio carismatico, che sta succedendo?»
«Il possessore della gemma si è risvegliato, taro.»
«Che cosa? Pensavo dovessimo solo prendere le gemme.»
«Le gemme si legano a degli umani, taro, ma senza guardiani e senza completo da battaglia, il possessore può perderne il controllo, taro. Andiamo prima che si faccia male qualcuno, taro!»
Con un salto ben oltre il limite dell'inverosimile, Octavia arrivò sul tetto e da lì si buttò attraverso il lucernario, atterrando sul tappeto di foglie che aveva invaso la palestra.
«Dio carismatico che agilità. Posso tenermene un po' per quando lavoro?»
«È la gemma della foglia, taro» constatò invece il bambolotto, indicando verso le gradinate, dove un immenso albero dalla corteccia ancora verde piantava le sue radici nel cemento. La cima si apriva a mo di trono, e vi sedeva una figura umanoide fatta di foglie.
«Non so perché ma non mi meraviglia» commentò Octavia.
«Chi è venuto a disturbare il re di questa scuola?» chiese la figura umanoide. Dal groviglio a destra del trono alcune voci urlarono «aiuto!»
«Avanti, la tua frase d'entrata, taro.»
«Non esiste, dio carismatico! Non mi coprirò ancor più di ridicolo pronunciando quella frase! Posso affrontarlo anche senza!»
«Ma solo le regole, taro!»
«Allora?» chiese di nuovo il re foglia.
«Quelle regole non valgono nel mondo reale!»
«Quelle regole valgono per missioni come la nostra, taro. Vanno rispettate, taro!»
Octavia stava per rispondere, quando una voce esile balbettò «Gemma della foglia, q-questo non è lu-luogo per te. D-D-D... Io t-ti riporterò nel... nel cerchio. In... In nome dello dello Yin!»
Sotto il canestro da basket una bambina vestita con un sin troppo aderente completino nero – completino che pareva aspettarsi qualcosa in più dalla zona petto e qualcosa in meno dalla zona vita – tremava aggrappata a uno scettro rosso scarlatto pericolosamente simile a un frustino.
«Provo a indovinare: l'eletta della pietra dell'odio» commentò Octavia.
«Lo Yin non è l'odio, tara!» urlò una bambola nuda dai capelli biondi che parevano tagliati da forbici di plastica, che si teneva in precario equilibrio su piedini troppo piccoli.
«E... lei?»
«È Tara, taro. La custode della gemma dello Yin, taro.»
«Ma perché è una bambola nuda?»
«Colpa tua, Taro, tara! Per le regole noi dobbiamo usare companion simili, tara. E tu hai preso...»
«Non ignoratemi!» urlò l'uomo in verde, lanciando contro di loro un fascio di liane grande quanto una gamba. Octavia saltò schivando, mentre la bambina venne travolta e schiacciata contro la parete.
«...tara» concluse la bambola.
«Sì, sì. Un attimo» rispose al Groot dei poveri «Devo fare una cosa importante.» aggiunse, saltando vicino alla bambina «Come ti chiami?» aggiunse aiutandola ad alzarsi.
«R... Raven» rispose lei con una vocina flebile.
«Temo che i nostro due amici abbiano fatto confusione con le bacchette, che ne dici di scambiarcele?»
Raven annuì con la testa, porgendo la bacchetta rosso scarlatto. A nulla valsero le grida allarmate di Taro e Tara o le successive recriminazioni, sullo stile “ma sei impazzita?”, “avrebbe potuto rubarti la bacchetta”, “promettimi che non farai più una cosa del genere!”, condita con tanti di quei “taro” e “tara” che sarebbero rimasti nella testa della donna per i prossimi secoli: dopo stelle filanti, luci stroboscopiche, stelline e coreografie che prevedevano un numero di articolazioni nettamente superiore a quello umano, Octavia indossava un completo aderente bianco con finiture rosse che le sosteneva magnificamente il seno butterato, valorizzando il suo stacco di coscia a cui doveva la maggior parte della sua fama, mentre Raven navigava in una pomposa gonna a balzi nera e rosa confetto che, in coordinato con la coroncina e lo scettro, si adattava egregiamente al suo fisico immaturo.
«Spettacolino divertente» commentò l'arcinemico di qualsiasi giardiniere. «Ma veniamo a noi.» Delle liane scattarono nella loro direzione, afferrandole alle gambe. «Vediamo che fate ora che siete appese a testa in giù.» E prese a scuoterle, come a voler far cadere gli spiccioli della merenda.
«Vediamo se indovino» commentò Octavia. «Quei ragazzi che tieni intrappolati li dentro sono i bulli che ti perseguitavano, vero?»
«Ugh!»
«Sapevo di averci preso.» Con il padre di tutti i colpi di reni, Octavia riuscì a dare un potente calcio alla liana che intrappolava Raven. La bambina si girò a mezz'aria, saltando subito a liberare l'altra combattente.
«No, tara! Non va bene così, tara!»
«Dovete combattere tra di voi per la gemma, taro!»
«C... combattere?»
«Oh, prima liberiamo questi idioti, poi pensiamo alla gemma, va bene Raven?»
«I... i...»
La clorofilla umana non diede tempo loro di discutere sul da farsi, sparando castagne e nocciole alla velocità di proiettili.
Continuarono a calciare, picchiare, saltare e ignorare gli ordini perentori delle due bambole finché Raven non riuscì a colpire il testone di fava con una poderosa ginocchiata – per quanto possa essere poderosa una ginocchiata sotto strati e strati di morbidissima stoffa di prima qualità – e Octavia lo tirò a terra con un – magari poco femminile ma sicuramente efficace – maglio a due mani.
«Adesso, taro!» esclamò il bambolotto.
«È stanco, tara!» confermò la bambola nuda.
«Devi colpirlo con il colpo finale, taro!»
«M... ma... n... non... gli f... farò male» protestò la bambina.
«No, lo purificherai, tara!»
«Non perdiamo tempo, taro! Prima che Raven si decida, taro!»
Octavia guardò Raven e, in qualche modo, si decise.
Entrambe alzarono lo scettro.
Lo portarono davanti a se.
Fecero un giro su se stesse.
Un salto mortale all'indietro.
Un'altra piroetta a braccia conserte.
Una calciata in aria spezza stinchi.
L'occhiolino.
Il segno di essersi rotta le balle – quello lo fece solo Octavia e non faceva parte della coreografia.
Un salto in avanti.
Stringere le gambe come se ti scappasse – improvvisato da Raven.
Sollevarono lo scettro davanti a se e, non senza un gran sospiro di sollievo, urlarono «Potenza purificatrice dello Yin/Yang, azione!»
Una complessa coreografia di colori spazzò via tutte le foglie che formavano l'uomo più rigoglioso del mondo, lasciando a terra un ragazzo cicciottello con gli occhiali storti. La maglietta strappata lasciava intravvedere una gemma verde incastrata sul petto come quella di Octavia.
«E ora?» chiese Octavia
«Devi toccare la sua gemma con la tua, taro.»
«Quindi devo abbracciarlo?»
«Sì, taro.»
«Oh, be'...» commentò la donna «ho fatto di peggio.»
Come le due gemme si sfiorarono, la foresta amazzonica che aveva preso una vacanza premio in quella palestra si dissolse. I bulli finirono a terra e scapparono spintonandosi tra loro, mentre il ragazzo mormorava qualcosa.
«Dio carismatico» commentò la donna, guardando gli squarci che le radici avevano lasciato sul pavimento.
«C... come fa... come facciamo a s-spiegare questo?»
«Se non ricordo male, nei cartoni animati tornava tutto apposto. Taro, non c'è una regola anche per questo?»
Octavia cantava tenendo il microfono in modo che più di un avventore – sì, quegli avventori con i culi che scavano – potesse invidiarlo. La cortina di fumo continuava ad incombere su di lei e sul sorso di birra che scroccò a uno dei tavoli. Le mance erano sempre poche, il barista irrimediabilmente gay e la mutina irrequieta aveva scelto un'altra coppia lettere tra cui sistemarsi. Octavia cantava, sorridendo nel suo rossetto infuocato. Un sorriso, per la prima volta dopo anni, sincero.