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Skannatoio SPECIALE#6, Maggio 2015, Anarchia unica via

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view post Posted on 19/5/2015, 14:27
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Milena Vallero

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CITAZIONE (Marco Lomonaco - Master @ 19/5/2015, 15:13) 
in realtà è solo che avevo un amico che si credeva davvero uno scrotomante... era una persona disturbata, lo so, d'altronde se non son pazzi non li vogliamo... :P

:lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: e se no che divertimento ci sarebbe?
Buona giornata a tutti! :wub: (e scrivete, scrivete, scrivete...............)
 
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view post Posted on 21/5/2015, 15:01

Alto Sacerdote di Grumbar

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stasera c'è il termine... come siete messi?
 
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view post Posted on 21/5/2015, 15:02
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Il Tospanico Polemico

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Io ho cominciato e credo di fare in tempo a finire.
 
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view post Posted on 21/5/2015, 17:54
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Milena Vallero

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Forza David! :wub:
 
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view post Posted on 21/5/2015, 19:22
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Apprendista stregone

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Bianca...neve


Di Paolo Spoto

Gli zoccoli ferrati dei destrieri sollevano, percorrendo il sentiero, piccole nuvole di povere mentre il sole di luglio splendente nel cielo terso di mezzogiorno, batteva cocente sui due cavalieri. Il più giovane dei due sembrava non sentire il caldo e continuava a guardarsi intorno estasiato. L’altro cavaliere, più maturo e possente, teneva lo sguardo fisso davanti a sé maledicendo a bassa voce il caldo opprimente.
“La mia patria è rimasta meravigliosa come la ricordavo!” disse il più giovane, asciugandosi il sudore dalla fronte con il palmo della mano destra “Lo spettacolo offerto oggi dalla natura mi ristora il cuore, cancellando dalla mia anima gli orrori vissuti in questi due anni di guerra ».
«Con tutto il rispetto vostra altezza, l’unica cosa che mi ristorerebbe sarebbe un bel boccale di birra fredda e una giovane cameriera, con tutte le sue curve al posto giusto, seduta sulle mie ginocchia» disse il più anziano, grattandosi la ispida barba nera e alzando gli occhi al cielo con aria sognante.
«Sei proprio rozzo Aurelio!» rispose di rimando il giovane ridendo di gusto «Di fronte a uno spettacolo così incantevole riesci solo a pensare a bere e alle donne?»
Cosa vuole che le dica principe? Sono un uomo d’armi, un uomo pratico e così penso alle cose pratiche! Non ho né il tempo né la voglia di perdermi in queste riflessioni filosofiche».
«Ovviamente, da uomo pratico, pensi che le mie esternazioni filosofiche siano stupidaggini, vero?» disse il principe guardandolo con un'espressione di finto risentimento.
«Se mi permettete vostra altezza, penso che lasciare indietro il nostro esercito per arrivare prima a palazzo sia una grossa stupidaggine!» sentenziò Aurelio indicando con un plateale gesto della mano, il sentiero deitro di loro. “Ma dico io: con un intero esercito a proteggerci ci mettiamo a fare gli eroi solitari, senza contare…»
«Taci Aurelio!» disse il principe fermando il suo cavallo «Non senti anche tu dei lamenti?»
«L’unico lamento che sento è quello della mia pancia vuota! Perche non…»
«Ti dico che ci sono più persone che si disperano! » disse il principe ammutolendo il suo interlocutore con un deciso gesto della mano. «Ora stai zitto e fammi capire da dove provengono questi lamenti struggenti».
Senza aggiungere altro scese da cavallo e incominciò a camminare avanti e indietro, voltando la testa e guardandosi intorno come un segugio intento a fiutare una traccia.
Poi prese in mano le redini del suo cavallo e indicando il bosco davanti a loro, disse «Presto, seguimi! Da questa parte!» Aurelio scese da cavallo sbuffando e si inoltrò nel bosco dietro al suo principe.
I due cavalieri avanzavano nel bosco, scostando i rami più bassi degli alberi e scacciando gli insetti che ronzavano intorno al viso.
Con le orecchie tese procedettero in direzione dei lamenti, e anche se in alcuni punti si trovarono indecisi su quale direzione prendere, riuscirono comunque a orientarsi.
Alla fine, dopo aver aggirato un cespuglio spinoso, sbucarono in una radura e quello che videro li lasciò senza parole. Una ragazza bellissima era deposta dentro una bara di cristallo e intorno al feretro sette nani barbuti che gridavano, piangevano e si lamentavano senza sosta. Il principe lasciò il cavallo e si avvicinò al gruppo dei nani in lacrime. Inginocchiandosi chiese al più vicino «Cosa succede? Chi è che state piangendo?»
Il nano lo guardò, con gli occhi gonfi dal pianto, per un tempo che parve infinito, poi disse con la voce arrochita dal dolore « Messere, la nostra amica, la nostra amata Biancaneve è morta!»
«E' stata la strega Grimilde sua matrigna a ucciderla, facendole mangiare una mela avvelenata!» rispose un altro nano tirando su col naso.
Il principe si ricordò di Grimilde, la regina del regno confinante. Era sempre stata descritta come una maga potente ed era sicuramente una donna crudele, ma neanche lei avrebbe ucciso la sua figlia adottiva senza un valido motivo.
«Perchè la regina Grimilde avrebbe dovuto uccidere la sua figliastra? Non capisco!»
«Perchè è sempre stata invidiosa della sua bellezza » sentenziò l'unico nano del gruppo a portare gli occhiali. « Biancaneve era incantevole e per questo motivo quella strega l’ha uccisa!»
“La regina Grimilde che uccide per un motivo così stupido?” pensò il principe aggrottando le sopracciglia “Non pensavo che lo sfiorire della bellezza potesse portare a uccidere. D'altro canto se questi nani professano il contrario... che motivo avrebbero di mentirmi?”
«Ecco sua maes... ehmm messer Filippo...» intervenne Aurelio schiarendosi la voce «..la ragazza è morta, quindi non c'è niente da fare e possiamo partire. Signori nani ci dispiace per la vostra amica ma ora dobbiamo proprio andare, e anche di corsa».
Il principe non rispose e si avvicinò lentamente alla bara per guardare meglio la fanciulla. Era la più bella ragazza che avesse mai visto: giovanissima, con la pelle talmente chiara da sembrare quasi bianca, in netto contrasto con i suoi capelli neri come l'inchiostro. Il corpo era minuto ma grazioso e la sua bocca a forma di cuore, rossa come il sangue la rendeva irresistibile.
“E' meravigliosa, non posso fare a meno di guardarla e di desiderarla” pensò il principe che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso “Quella bocca mi attira come il miele fa con l'ape. Devo... devo baciarla!”
Quando le sue labbra si posarono su quelle della ragazza, provò un tuffo al cuore. Profumavano come rose ed erano dolci come fragoline di bosco.
La ragazza aprì gli occhi mentre il viso del principe era sospeso a pochi centimetri dal suo. I suoi splendidi occhi azzurri si piantarono in quelli del principe e il viso di Filippo si riflesse in quegli occhi da angelo.
«Dove sono? Cosa è successo? Lei chi è messere?» pronunziò Biancaneve, stropicciandosi gli occhi come a volersi svegliare da un lungo sonno, fissando interrogativamente il volto del principe.
Filippo fu circondato e assalito da nani festanti. In un attimo se li trovò appesi alle vesti, alle gambe e alle braccia. Il più piccolo del gruppo era riuscito ad attaccarsi al suo collo e lo stava ripetutamente baciando su una guancia.
“Amici, un po’ di contegno. Lasciatelo respirare. Potrete abbracciarlo e stringerlo più tardi» disse Biancaneve ridendo coprendo la bocca con il dorso della mano.
Una volta uscita dalla bara si avvicnò a un intontito Filippo e chiese sorridendo: «Posso conoscer il suo nome, prode cavaliere?»
«Sono il principe Filippo, signore di queste terre...»
«Addio identità segreta!» disse Aurelio, fissando con disappunto il giovane principe.


Filippo e Biancaneve furono portati alla casetta dei nani in trionfo. Ci fu il tempo di festeggiare, di bere l’ottimo sidro offerto dai nani e dopo un paio d'ore di baldoria, ci fu anche il momento del commiato.
«Perché non vi fermate qui? Tra poche ore il sole tramonterà e le strade di notte sono piene di pericoli» disse Biancaneve, unendo le candide mani come in una muta preghiera.
Il pensiero di dormire con quella splendida creatura sotto lo stesso tetto, condusse il cuore del principe tra voli di rondini e sbocciare di fiori.
Il giovane la guardò negli occhi, fece un elegante inchino e le sfiorò con le labbra il dorso della mano. Si girò di scatto per sfuggire a quegli occhi irresistibili e infilò il piede nella staffa del suo destriero.
«In altre circostanze avremmo accettato volentieri damigella, ma vorrei raggiungere il mio castello nel più breve tempo possibile» rispose Filippo montando a cavallo
«C’è un piccolo villaggio con una locanda a 3-4 ore di cavallo da qui. Prima del tramonto saremo al sicuro con un tetto sopra la testa…» disse Aurelio,
Il principe non riuscì ad ascoltare il resto del discorso: i suoi occhi e la sua attenzione erano stati nuovamente catturati dal viso perfetto di Biancaneve.
“Sono forse impazzito? La più bella ragazza che abbia mai visto mi invita a dormire a casa sua e io voglio andarmene?”
Si rese conto che tornare a casa non era più una priorità e stava quasi per accettare l’invito, quando la voce baritonale di Aurelio lo riportò alla realtà.
«Sua altezza, sarà meglio metterci in marcia. Se non ci sbrighiamo il buio ci sorprenderà prima di riuscire a raggiungere la locanda».
«Tornerò a trovarvi damigella… se voi lo vorrete.»
«Conterò le ore e i minuti mio principe» disse Biancaneve sorridendo con gioia.


Il giorno del loro ritorno, Aurelio fu premiato peri suoi trent’anni al servizio della patria e per aver riportato il principe a casa sano e salvo.
Fu proclamato Generale durante una grandiosa cerimonia e la notte stessa fu data una grande festa in suo onore nelle sale del castello. Durante il ballo il principe e il neo generale si trovarono sul terrazzo per sfuggire all’afa opprimente di quella sera estiva.
«Dannata uniforme» imprecò Aurelio facendo il gesto di strapparla «E’ troppo pesante e sto morendo di caldo».
«E’ il prezzo che devi pagare alla celebrità, mio caro amico» rispose Filippo battendogli una mano su una spalla.
L’omone osservò il principe con affetto, poi disse «Altezza, pensate che sia una buona idea iniziare a frequentare quella ragazza.. Nevecandida..»
«Biancaneve mio caro generale, Biancaneve» lo corresse subito Filippo «Mi sembra un’ottima idea! Perché me lo chiedi?»
«Quella ragazza tenera come un giglio, e difesa da sette nani combattivi come colombe, riesce a sopravvivere agli attacchi di una delle più potenti maghe del regno? Quella ragazza è strana! Ha qualcuno o qualcosa che la protegge».
«Allora basterà portarla qui e non dovrà più temere nessuno!»
«Mio principe, è noto che frequentate la contessina Ludovica. E’ bellissima ed è gradita anche a vostra madre. Non complicatevi inutilmente la vita con quella principessa…decaduta»
«La ringrazio dei consigli generale, ma sono ormai un uomo e so badare a me stesso. E ora se vuoi scusarmi vado a dormire. Devo aver bevuto troppo e mi gira la testa. Buonanotte e complimenti per la sua promozione!» e girando sui tacchi Filippo lasciò il suo amico per dirigersi nei suoi appartamenti.
Quello fu l’ultimo incontro tra il principe ed Aurelio..


Per tre giorni e tre notti si susseguirono tornei, spettacoli di strada, balli e feste di ogni genere.
Nonostante gli elogi del padre e dei fratelli, nonostante le celebrazioni in suo onore e seppur attorniato da cortigiane e nobildonne carine e disponibili, Filippo non si sentiva felice.
In ogni momento della giornata il suo pensiero era rivolto altrove. Desiderava accarezzare quella pelle candida, sognava di toccare quei capelli neri come la notte, voleva baciare quelle labbra dolcissime e profumate. Biancaneve era diventata la sua ossessione.
La sognò.
Si trovava nel salone del suo castello, da solo al buio. Come per incanto si accesero tutte le luci e dalle porte situate ai lati della grande sala incominciarono a uscire cortigiane e servitori mascherati e ridenti. Lo spingevano, lo strattonavano, gli urlavano in faccia parole oscene e triviali.
Il principe spaventato scappò per i corridoi del castello, seguito da risate volgari e fastidiose. Voltandosi si accorse che non era più inseguito dai suoi servi, ma da un branco di ratti, che travolgevano ogni cosa con impeto, simili ad una famelica onda grigia.
Terrorizzato aprì la porta di una stanza laterale e si trovò all’interno della dimora dei nani.
Seduti intorno al tavolo i sette simpatici ometti barbuti e Biancaneve, bella più che mai e avvolta in un bianco, vaporoso abito da sposa. La giovane gli tese le mano guidandolo fuori dall’abitazione, sulle note della marcia nuziale, seguiti dalle urla di giubilo dei nani.
Una volta fuori Biancaneve la fissò con gli occhi mesti, il viso imbronciato e gli sussurrò «Sei in ritardo. Mi dispiace amore mio: addio!» svanendo nel nulla senza dire altro. Il principe sentì un ringhio basso alle sue spalle, ma non fece in tempo a voltarsi perché qualcosa lo colpì alle spalle, scaraventandolo a terra.
Prima di capire cos’era successo zanne aguzze gli si conficcarono nel polpaccio, facendolo urlare dal dolore.
Filippo si svegliò di soprassalto nel suo letto. Un urlo strozzato in gola, la fronte imperlata di sudore..
“Che razza di sogno, anzi di incubo. Ho il cuore che sta per esplodermi nel petto” pensò, rizzandosi a sedere.
La stanza era immersa nel silenzio. Una tenue luce filtrava dai pesanti tendaggi posti davanti alle finestre. Solo allora il principe si accorse che vicino a lui giaceva una ragazza bionda, le cui nudità erano coperte da un lenzuolo.
«Mi spiace Ludovica.» mormorò piano quasi a volersi scusare «Nonostante la tua eccezionale bellezza, non puoi reggere il confronto con Biancaneve».
La baciò teneramente su una spalla provocando la reazione della ragazza che si girò, continuando a dormire su un fianco, borbottando qualcosa di incomprensibile.
“Il sogno era chiaro: Biancaneve è in pericolo. Devo sbrigarmi!” continuava a ripetersi, mentre si vestiva, raccogliendo i suoi indumenti sparsi in giro.
Spostando i tendaggi guardò fuori dalla finestra. La notte stava cedendo il posto all’alba. Il sole stava facendo capolino da dietro ai monti, inondando il paesaggio della sua tenue luce gialla.
Aprì la porta della sua stanza, la richiuse dietro di sé senza far il minimo rumore e incominciò a percorrere i silenziosi corridoi del castello.
Dopo aver recuperato il cavallo nelle scuderie reali e aver superato le guardie al cancello d'entrata, si gettò in una folle corsa verso la dimora della sua amata.
“Dio ti prego, fa che non sia troppo tardi” continuava a implorare, come se il ripetere quella frase come un Mantra, avesse il potere di allontanare ogni minaccia dalla sua diletta.
Cavalcò per quasi tutto il giorno e arrivò alla sua meta alle prime luci del tramonto.
Abbandonò il cavallo sul sentiero e si inoltrò nel bosco a piedi. «Senza cavalcatura potrò muovermi più velocemente!» disse tagliando con un preciso fendente un rovo che gli sbarrava la strada. Arrivato a pochi metri da casa l'aria si riempì di grida di dolore, disperazione e rabbia.
«Maledizione! Ho fatto tardi: Grimilde è già qui! Dannata!» e pronunziate queste parole si mise a correre, spada in pugno, per salvare la sua adorata.
Superò gli ultimi alberi che lo separavano dalla sua meta con il cuore che batteva all'impazzata, e quello che vide gli gelò il sangue. I nani giacevano a terra immobili, Biancaneve era prigioniera di un globo di luce col viso meraviglioso trasfigurato in una maschera di dolore e la regina che agitava un bastone decorato mentre gridava «Muori maledetta, perchè non muori!»
«Grimilde, fatti avanti! Sono io il tuo avversario. Affrontami!» gridò con quanto fiato aveva in corpo, avanzando lentamente e roteando la spada sopra il capo.
La strega si girò verso Filippo e sogghignando con aria di sfida disse: « Bene, guarda chi si vede: il principe Filippo. Cosa credi di farmi con il tuo spiedo?».
Il capovolgimento di fronte distrasse la regina al punto da farle dimenticare di praticare la sua magia su Biancaneve che, al dissolversi del globo di luce, rovinò a terra come un sacco di patate.
Grimilde puntò il bastone in direzione di Filippo, pronunciando arcane parole. L'aria intorno al principe iniziò a luccicare, tramutandosi in una sostanza densa e collosa, simile ai fili di una ragnatela, che gli imprigionò le braccia lungo i fianchi. Filippo provò a liberarsi ma più cercava di muoversi, più la magia lo immobilizzava, rendendolo inerme.
«Bene, ora che non puoi più nuocere, mio prode cavaliere, lasciami ammazzare la tua protetta sotto i tuoi stessi occ...» Grimilde si interruppe di colpo e avanzò barcollando verso il principe, una smorfia di dolore sul volto, con la mano sinistra a protezione della nuca. Dietro di lei Biancaneve: impugnava un pezzo di ramo raccolto da terra e tenendolo alto sopra la testa, la seguiva con aria di sfida.
La ragnatela che imprigionava Filippo si dissolse in un attimo.
Il principe avanzò urlando e spingendo in avanti il braccio armato, trafisse l'addome di Grimilde, la quale si accasciò al suolo senza un lamento, gli occhi aperti a fissare il cielo sgombro da nubi.
«Mio principe... è finita? E' veramente finita?» Con le lacrime agli occhi, Biamcaneve gettò a terra l’arma e si diresse verso Filippo.
«Sì mia adorata, E' finita, non devi temere più nulla» rispose il giovane abbracciando la sua amata.
Gli ultimi raggi del sole morente, illuminarono il bacio dei due giovani.
«Stupido... idiota. Hai rovinato tutto...» disse Grimilde in un rantolo, tenendosi il ventre con le mani, la veste nera inzuppata di sangue.
«Ho liberato il mondo da una minaccia come te, lurida strega» replicò il principe recuperando la spada da terra.
«Giovane idiota, hai ucciso la persona… sbagliata»
«Non penso proprio, ho difeso una persona innocente.» rispose fiero il principe sorridendo soddisfatto.
«Mio marito, quell'idiota del re... sua moglie era sterile. Ci ho messo un po' a capirlo...» La voce di Grimilde era un sussurro, Filippo si inginocchiò per sentire meglio.
«Quell'imbecille chiese aiuto alle forze infernali, che strinsero un patto con lui...»
Il dubbio penetrò nell’animo di Filippo come una lama rovente nel burro. Forse aveva veramente commesso un tragico errore.
«Capisci perchè cercavo di ucciderla? La ragazza sembra pura e semplice, ma dopo il tramonto si mostra... si mostra...» Grimilde tossì, vomitò sangue e smise di parlare.
«Cosa mostra? Avanti parla Grimilde!» Filippo scosse dalle spalle la strega, ma quest’ultima non diede più segni di vita.
«Si mostra col suo vero aspetto» disse una voce sensuale e terribile al tempo stesso.
Una voce che sembrava giungere dagli abissi infernali.
Filippo alzò lo sguardo e quello che vide lo riempì di sgomento.
La sua Biancaneve era mutata. La pelle non era pallida, ma bianca come la neve, i suoi capelli erano scarmigliati, la sua bocca era piena di denti aguzzi. Ma la cosa più spaventosa erano gli occhi: erano due cavità nere come pozzi di pece, due finestre spalancate sulle malebolge infernali.
«Di giorno Biancaneve, dopo il tramonto Calcabrina. Ti piaccio ancora, mio bel principe?»
Filippo sguainò la spada e si lanciò in avanti «A noi due demone, ti trapasserò da parte a parte.»
«Faccia come crede sua altezza, ma così facendo ucciderà anche la sua adorata Biancaneve» disse ridendo «Vuoi ancora infilzarmi con la tua spada? Spinaccio, Cipiglio, Maligno, Sibilo! Avanti miei fedeli servi, consegnatemi il principe!»
Filippo sentì dei rumori alle sue spalle. Si girò e vide che tutti i nani si erano rialzati, ma non erano più i simpatici ometti di un tempo.
Avevano la pelle grinzosa e grigiastra, zanne affilate al posto dei denti e i loro occhi erano diventati completamente gialli, stillanti odio. Avanzavano con sorrisi di scherno sui loro volti producendo con la bocca dei suoni raschianti e striduli.
Il principe si avventò contro uno di loro tagliandogli profondamente l'addome con un fendente orizzontale.
Grande fu la sua sorpresa quando il nano cominciò a ridere e continuò ad avanzare, mentre la ferita si rimarginava quasi istantaneamente.
«Ti ci vorrebbe una spada santificata o immersa nell'acqua santa. Il tuo ferrovecchio non può nulla contro di noi.» disse Calcabrina in tono di scherno.
I nani malvagi si gettarono addosso al principe, lo ridussero all'impotenza e lo costrinsero a stare in ginocchio davanti alla creatura infernale.
«Ora mi basterà tornare da quel vecchio lumacone macilento di mio padre per vivere negli agi e nel lusso. Poi di notte avrò una città intera come zona di caccia».
Calcabrina afferrò il principe per i capelli e lo costrinse a guardarla dritta negli occhi.
«Che peccato principe. Biancaneve ti ama e io invece adesso ho solo fame. Foza servi! E’ passato troppo tempo dal nostro ultimo pasto a base di carne umana!» disse con tono malevolo, leccandosi le labbra e conficcando le zanne nel collo del principe.
L'urlo di Filippo si alzò verso il cielo stellato e si spense in un rantolo gorgogliante quando Calcabrina gli staccò con un morso la carotide.
Poi l'aria intorno alla casetta in mezzo al bosco si riempi di odore di sangue, rumore di ossa rosicchiate e carne strappata.
 
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Ceranu
view post Posted on 21/5/2015, 21:50




Il predestinato

di
Francesco Nucera



Filippo fissava il televisore muovendo il pollice della mano destra a ripetizione su un unico tasto del telecomando. Era proteso in avanti, aveva profonde borse sotto gli occhi e addosso lo stesso pigiama da chissà quanti giorni.
Una porta si aprì facendo filtrare la luce del sole. Socchiuse gli occhi infastidito e continuò a cambiare canale incurante di chi fosse entrato.
«È lì da tre giorni» disse a bassa voce sua madre.
«Capisco, ha fatto bene a rivolgersi a me.»
Un brivido gli percorse la schiena, quella era la voce di Diego, il suo amico. L'istinto gli diceva di scappare, ma non era il momento di desistere, avrebbe presto trovato le informazioni che stava cercando.
La porta si richiuse e la stanza piombò nuovamente al buio.
«Cosa stai guardando?» chiese Diego strappandogli di mano il telecomando.
Finalmente l'effetto psichedelico cessò.
«Qualcuno ne dovrà pur parlare.» Filippo si voltò e afferrò il cellulare col quale si mise a navigare.
«Se mi dici cosa cerchiamo ti posso dare una mano.» insisté Diego.
«Sai benissimo cosa sto cercando. C'eri anche tu l'altra sera.»
«Ho capito: cerchi un telegiornale che parli della morte di un mostro in un locale. Mostro che sarebbe stato ucciso dal dardo di una balestra lanciato da una barista guerriera.»
Filippo alzò la testa, strabuzzò gli occhi e fissò l'amico. «Esattamente!»
«Caro, mi sa che stai andando fuori di testa» disse placidamente Diego. «È la seconda volta in poche settimane che vedi mostri famelici che cercano di ucciderci. Eppure siamo ancora qui.»
«Veramente cercano di uccidere te. Sei tu la causa dei miei mali. È te che stanno cercando.»
«Bene, ma ora calmati.» Diego si alzò dal divano e andò verso la finestra. «Sono qui per darti una notiziona.» Premette un pulsante sul muro e la tapparella iniziò a salire.
Filippo provò a fermare l'amico, ma si bloccò a pochi centimetri dalla linea infuocata che si proiettò parallela al pavimento. Man mano che questa si espandeva nella stanza lui indietreggiava spaventato.
«Ho tra le mani due ragazze che sono la fine del mondo» disse Diego scortando le tende e voltandosi trionfante.
Filippo si appiattì dietro al divano, l'intero corpo tremava, gli occhi gli bruciavano. «Ti ho detto di lasciarmi in pace» urlò senza riuscire a vedere l'amico. «Non sarò più la tua vittima. Vuoi capirlo che ho paura. Lì fuori è pieno di mostri!»
«Finché starai con me andrà tutto bene. Stasera andiamo al...» Diego infilò una mano nella tasca e ne estrasse un fogliettino appallottolato. Lo spiegò e lesse «Se...pol...tura. Scusa ma mentre scrivevo avevo le mani impegnate. Sta ragazza è veramente figa.» Ammiccò mostrando l'intera dentatura.
Filippo si guardò attorno, gli occhi sporgenti, la sclera arrossata; doveva fuggire. «Non ci vengo» disse scattando verso la porta della sua camera. Schivò una sedia e si allungò per afferrare la maniglia. Una mano lo prese per la caviglia facendogli perdere l'equilibrio. Rovinò a terra.
«Jennifer e Katiuscia, ci aspettano per le ventidue, non farmi andare solo. Per favore. Me le sono lavorate un mese su facebook, non le voglio perdere.»
Agonizzante, Filippo portò la mano alla fronte. La sentiva pulsare, ma fortunatamente non aveva tagli. Si alzò e andò incontro all'amico.
«Mi dispiace, ma stavolta non verrò con te.» Era più che determinato.
«Non sai nemmeno quello che ti perdi.»
«Facile, due che cercheranno di uccidermi.»
«Beh, vista la tua attività sessuale ci può anche stare, ma che fine gloriosa sarebbe!» disse Diego euforico.
Filippo non sopportava più i soprusi dell'amico. Maledisse sua madre che l'aveva chiamato e si infilò in camera. Sbatté la porta e ci si appoggiò contro. «No, stavolta non vengo» disse puntellando i piedi, certo che l'amico avrebbe fatto irruzione.
«Niente da fare signora, non lo smuove nemmeno la figa.»
«Per cortesia Diego, potresti evitare di usare quel linguaggio?» La voce sconsolata della madre arrivò attutita dalla porta chiusa.
«Certo, mi scusi. Suo figlio non è avvezzo a intrattenere rapporti con l'altro sesso. Va beh, ma cosa c'è per pranzo?»
«Diego, tu sei sicuro di avere una casa?» chiese la donna.
«Certo signora, ma lì non mi trattano bene come fa lei.»

Un'ora dopo Filippo era immobile nella stessa posizione in cui aveva resistito impassibile al secondo assalto dell'amico. Cercava di non pensare a lui, ma l'idea di lasciarlo andare solo all'appuntamento lo terrorizzava. Le ultime ragazze che aveva puntato si erano dimostrate dei mostri assetati di carne umana. Non come le donne normali, quelle che ti irretiscono e ti fanno diventare schiavo poco alla volta, ma veri e propri mostri con tanto di zanne, artigli, e pungiglioni letali. Provò a girarsi nel letto e non pensarci più, ma i sensi di colpa erano troppi. Si alzò di scatto e corse al computer. Dare un'occhiata al profilo Facebook delle due ragazze non gli sarebbe costato nulla. Ci mise poco a capire che quelli erano dei profili fake. C'erano solo foto in posa, e per giunta tutte notturne. Nessuna notizia, nessun interesse, nessun amico che interagisse con loro. Solo allupati che facevano complimenti osceni; tra questi il più accanito sembrava Diego, che le stava tartassando da settimane.
Alzò lo sguardo sulla bacheca dietro il computer e una morsa allo stomaco lo attanagliò. Era inutile lottare contro il proprio io, non l'avrebbe lasciato solo, ma avrebbe potuto farlo desistere. Afferrò il cellulare. Cornetta verde, preferiti, numero in cima alla lista.
«Tim, servizi di segreteria telefonica...»
«Cazzo!» imprecò. Strinse il piccolo Samsung con la cover di Hulk e si alzò di scatto; doveva trovarlo.

Filippo fece due passi fuori dal portone di casa, infilò un paio di occhiali da sole, che estrasse dal taschino della polo, abbassò la testa e, con passo svelto, partì alla ricerca dell'amico. A ogni metro scrutava l'orizzonte alla ricerca di un imminente pericolo; si sentiva strano, inadeguato. Era come se il mondo che aveva conosciuto non ci fosse più, era tutto nuovo. Attraversò la strada e si infilò in un parco giochi, quello in cui andava fin da bambino. Ma anche la Pinuccia, una dolce ottantenne che portava lì la nipotina tutti i giorni, gli sembrava un pericolo. Quando gli passò alle spalle ebbe l'impressione di vederla mentre fiutava l'aria alla ricerca di una preda. In quel momento si disse che stava esagerando; andava bene essere prudenti, ma stava perdendo di vista la realtà.
Per essere un mercoledì pomeriggio il parchetto era affollato. Una coppietta amoreggiava su una panchina, mentre su quella affianco un uomo sulla cinquantina li fissava nascosto dietro a un quotidiano. Filippo sorrise, erano anni che si chiedeva a cosa servissero i giornali e finalmente lo aveva capito. Rallentò e inspirò profondamente. L'odore delicato del gelsomino e il vociare allegro dei bambini lo stavano rigenerando.
«Ce ne hai messo di tempo per uscire di casa.»
I muscoli di Filippo si tesero, il fiato si mozzò. Sembrava la voce della barista assassina di mostri.
“Non ce l'ha con me, non ce l'ha con me” si ripeté facendo finta di nulla.
«Ehi, Filippo!»
“Un caso, nulla più. Possono esserci decine di Filippo in giro”
«Dove corri, tanto Diego non è a casa.»
“Ecco, l'hanno preso e ora vogliono me.” Fermo in mezzo al vialetto cercò di non guardare in direzione di quella voce. Con lo sguardo setacciò le possibili vie di fuga, non sarebbe stato così facile beccarlo. Portò il peso sulla gamba destra pronto a scattare lontano, ma qualcosa gli strattonò i pantaloni. Saltò in aria e si ritrasse. Il piede sinistro perse il contatto con il terreno facendolo rotolare a terra.
«Signore, quella signora vuole parlare con te.» Un bambino di forse quattro anni lo fissava perplesso, con l'indice puntava una ragazza seminascosta dietro un albero.
«Dai, vieni qui. Non ti mangio, non sono mica un mostro.»
«Signore, non la mangia. Non è un mostro» ripeté il bambino.
«Te lo dice anche lui.»
«E poi i mostri non esistono» disse il marmocchio correndo dietro a un pallone che gli passò vicino.
Filippo si rialzò senza mai perdere di vista la ragazza che, nel frattempo, era uscita allo scoperto e gli stava andando incontro. Aveva capelli castano chiaro che le pendevano sulle spalle. Indossava una camicetta nera con i due bottoni superiori slacciato quel tanto che bastava a far intravedere i seni. Il paio di Jeans che portava furono una delusione per Filippo; ricordava benissimo i leggins che lei indossava quando si erano incontrati la prima volta.
«Come fai a sapere che stavo andando da Diego?» chiese lui.
«Perché abita da quella parte.»
«E tu che ne sai?»
«Vi sorveglio.»
Era così spudorata da ammetterlo, non l'avrebbe fermata nessuno.
«E cosa vuoi da noi?» Provò a ostentare sicurezza, ma la voce gli tremò.
«È arrivato il momento di fare due chiacchiere» rispose lei sorridendo.
Per nulla convinto, Filippo aggrottò la fronte «Perché dovrei fidarmi?»
«Perché se ti avessi voluto morto lei ti avrebbe già spolpato.» Erano talmente vicini che alla ragazza bastò sussurrare quell'ultima frase per farsi sentire.
Lui si voltò verso Pinuccia. “Lo sapevo, altro che paranoie” pensò.
La ragazza scoppiò a ridere. «Ma secondo te quella è un mostro?» chiese tra i singhiozzi.
Il volto di Filippo avvampò.
«Seguimi, dobbiamo parlare» insistette lei.
Camminarono in silenzio fino a un angolo isolato del parco vicino all'area cani.
«Mi chiamo Camilla» disse allungando la mano.
«Piacere!» rispose Filippo più per cortesia che per altro.
«Dobbiamo fare due chiacchiere sul tuo amico e su di te.»
Filippo annuì mentre cercava una possibile via di fuga.
«Vi osserviamo da un po' e siamo giunti a una conclusione: voi siete due predestinati.»
Il ragazzo rimase spiazzato da quanto fosse diretta Camilla Aspettò qualche secondo, convinto lei scoppiasse nuovamente a ridere, non poteva parlare seriamente.
Invece lei riprese a parlare. «Vedi, nel mondo ci sono molte cose che normalmente ignoriamo. Tu nei hai viste alcune che hai interpretato bene, e altre che ti sono sfuggite. Pensi sia stato per caso che avete incontrato quei mostri?»
«Sfiga, io la chiamo sfiga.»
Camilla sorrise. «Noi crediamo che ci sia altro. Molti hanno delle qualità più o meno celate. Io ho una vista infallibile, altri possono avere anche dei veri e propri poteri.»
«Quindi quali sarebbero i nostri?» Filippo era combattuto. Non sapeva se lo stesse prendendo in giro o se fosse solo pazza.
Camilla sospirò. «Diego, nonostante sia un idiota, possiede uno dei poteri più rari... è un segugio.»
Questa volta fu Filippo a scoppiare in una fragorosa risata. «Un segugio? Ma se l'unica cosa che riesce a trovare sono i due di picche!»
«In un certo senso hai ragione. Lui riesce a scovare i mostri tramite le sue pulsioni sessuali.»
Filippo strabuzzò gli occhi e portò la testa in avanti. «Vuoi dire che lui è...» cercò le parole adatte, ma non ce n'erano. «Lui è una specie di... “Scrotomantico”?» chiese trattenendo un'altra risata.
Camilla si sfiorò la punta del naso con le dita. «Non è come lo definiamo noi, ma credo di sì.»
«E io cosa sarei? » chiese divertito.
«Tu sei il suo protettore.»
«Il magnaccio?»
«Protettore, quello che lo tira fuori dai guai.»
«Veramente sei sempre stata tu a salvarci.»
«Perché non siete ancora consapevoli, ma le cose cambieranno.» La cacciatrice si avvicinò a Filippo e si protese in avanti. La guancia di lei sfiorò quella di lui che sentì la pelle inturgidire. «Stasera vai all'appuntamento e vedrai che domani...» Lasciò la frase in sospeso, si voltò e si allontanò.
Con la pelle d'oca e un fremito nei pantaloni, Filippo rimase immobile rapito dal movimento sinuoso del sedere di Camilla che si allontanava. Quell'attimo in cui lei si era avvicinata per parlargli l'aveva scombussolato, il cuore gli batteva all'impazzata, le narici erano piene del profumo dolce della sua pelle e la guancia pretendeva un altro contatto con i capelli leggeri che l'avevano solleticato. Portò la mano al volto, si carezzò con il dorso e sospirò. Ci sarebbe andato comunque all'appuntamento, ma ora aveva un motivo in più per farlo.


Appoggiato al bancone del Sepoltura, Filippo sorseggiava un tè caldo. In altre circostanze avrebbe ordinato un Gin Tonic con l'acqua tonica a parte. Avrebbe riempito a metà il bicchiere per poi bere balla bottiglietta. Il primo gesto serviva a darsi un tono, il secondo a spegnere l'arsura data dalla tensione dell'appuntamento. Ma quella sera era particolare. Nonostante fosse maggio faceva freddo e, andando al locale, si era imbattuto in un temporale. Il risultato erano i piedi fradici e dei brividi che non riusciva a togliersi di dosso.
Prese la tazza con due mani e si scaldò con il vapore del tè. In quel momento incrociò lo sguardo del barista che aveva la stessa espressione basita di quando aveva ricevuto l'ordinazione. Imbarazzato, Filippo si voltò verso l'ingresso giusto in tempo per vedere il suo amico entrare a braccetto di due bellissime ragazze. Indossavano entrambe lo stesso vestito rosso, le cui trasparenze lo fecero sussultare. La stoffa aderiva ai corpi sinuosi lasciando intravedere le spalle, l'addome, e due paia di gambe che sembravano non finire mai. I seni, che potevano entrare in una coppa di champagne, e una spanna di pelle compresa tra la vita e l'inguine, erano le uniche parti nascoste alla vista.
Diego si fermò sulla soglia, alzò il mento e sfidò lo sguardo di tutti i presenti: “Chi è lo sfigato ora?” sembrava chiedere. Ai piedi aveva un paio di scarpe nere, che riflettevano le luci soffuse del locale. I pantaloni a sigaretta, dello stesso colore delle scarpe, aderivano alle sottili gambe; attorno alla vita spiccava una fibbia circolare di almeno venti centimetri di diametro raffigurante la testa di un leone con la bocca aperta. La camicia azzurra aveva un colletto le cui punte gli sfioravano le spalle. Per l'occasione doveva essere passato dal parrucchiere, perché i capelli rossi erano esplosi in un batuffolo di ovatta cotonata.
Dopo aver ricevuto il giusto numero di sguardi invidiosi, Diego sollevò la mano in direzione dell'amico. «Ti presento Jennifer» disse indicando quella alla sua destra «e Katiuscia. Vengono dalla Romania e adorano i ragazzi italiani.»
Sentendo la provenienza, il ragazzo portò la mano al collo e iniziò a sfregarlo fino a farlo arrossare.
«A noi piacciono quelli intraprendenti come voi. Così sicuri e forti.»
Filippo si sentì frastornato, non sapeva se a parlare fosse una o l'altra perché nel momento in cui aveva incrociato il loro sguardo si era sentito leggero. Si scosse e li seguì fino a un tavolino. Questa volta non si sarebbe fatto prendere alla sprovvista, ma non aveva la minima idea di come avrebbe difeso se stesso e il suo amico. Cercò tra gli avventori il volto di Camilla, che però non era ancora arrivata; le sicurezze vacillarono.
«Quindi voi siete dei produttori cinematografici!» disse felice “Katiennifer”. Non si somigliavano molto, ma lo stato confusionale e la troppa pelle in mostra non permettevano a Filippo di distinguerle.
«Certo. Lavoriamo con i pezzi grossi, ma non siamo qui per parlare di noi, per quello c'è Wikipedia. Siete andate a cercarci?» chiese Diego ammiccando.
«Sì, ma non vi ho trovato da nessuna parte.»
«Perché ci avrai cercato con i nostri nomi.» Scoppiò a ridere.
«Allora raccontami di te, con questo bel viso non farai mica solo il produttore.» “Jenniuscia” carezzò il volto di Filippo che vide la stanza girare.

«...ma questa volta non me ne frega nulla, lo faccio io il casting, e non quel coglione di Muccino.» Diego picchiò il pugno sul tavolo facendo tintinnare una decina di bicchieri.
Filippo sgranò gli occhi. Si sentiva come se si fosse svegliato in quel momento. In mano stringeva un flut pieno di bollicine. Non ricordava di averlo ordinato né tanto meno di aver bevuto i due che aveva vicino. Si guardò attorno, il locale era pieno; eppure non aveva visto entrare tutte quelle persone. Cercò tra i visi sconosciuti Camilla, ma non c'era.
«Ti sei spaventato tesoro?» chiese una voce mentre una mano gli carezzava i capelli.

«Sei sicura di aver parcheggiato qui? Io non vedo nessuna macchina!» disse Diego, ma la sua voce era lontana.
Filippo sentì le labbra morbide di Ketiennifer poggiarsi sulle sue. Erano fredde e avevano il sapore ferroso del sangue. Si ritrasse spaventato e la spintonò, ma l'unico risultato fu quello di barcollare all'indietro senza spostarla di un centimetro.
L'altra scoppio a ridere. «Il tuo amico è timido!» disse rivolta a Diego che stava cercando goffamente di infilarle una mano sotto la gonna.
L'amico sorrise «Lasciati andare» gli disse. Era incredibilmente lucido, e questo Filippo non riusciva a spiegarselo. Si sentiva più che ubriaco, in bocca aveva il sapore acido dello Champagne, e la testa gli girava. Sapeva di dover difendere Diego, così gli aveva detto Camilla, ma non riusciva nemmeno a stare in piedi. Strinse i pugni e cercò di recuperare l'equilibrio, ma non sentiva le gambe.
«Lascialo fare, noi possiamo divertirci lo stesso, e poi verrà il suo turno.» La voce di Jenniuscia divenne cavernosa. Sorrisero mostrando i canini aguzzi e si chiusero in un abbraccio attorno a Diego; stavano per addentarlo.
Filippo si guardò attorno. «Aiuto!» urlò, ma non arrivò nessuno. Le braccia gli tremavano, gli occhi si gonfiarono di lacrime e rabbia. «Basta!»
Sì lanciò in avanti. Con un passo percorse i metri che lo separavano dal suo amico. Gli sembrò di volare. Le vampire si voltarono verso di lui, ma non furono abbastanza rapide da evitare l'impattò. Questa volta subirono il colpo e lasciarono la loro vittima, che inciampò cadendo all'indietro.
Per Filippo i loro movimenti erano lenti, impacciati. Sembravano muoversi alla metà della sua velocità.
“Perché non siete ancora consapevoli” ripensò alle parole di Camilla. In quel momento capì tutto, era pronto, sentiva la forza scorrergli nelle vene. Mosse un piede portando il peso del corpo in avanti e spiccò un salto. Ma questa volta calcolò male la traiettoria, superò le due ragazze che si scostarono per farlo passare. Durante il volo non le perse d'occhio, sapeva che avrebbero reagito.
Le seguì con lo sguardo, ma così facendo non si accorse del cassonetto contro cui andò a sbattere. L'urto fu violento, ma non abbastanza da fiaccare il nuovo Filippo che si rialzò all'istante. La luce nel vicolo tremò.
«Azzannate me, puttane!» disse mentre tutto diventava buio.
Percepì un rumore secco e una sensazione di pericolo che arrivavano dall'alto. Alzò lo sguardo giusto in tempo per vedere un una grossa sfera piombargli addosso.

«Ehi, svegliati.»
Filippo si sentì scuotere. «Ancora due minuti» farfugliò.
«Due minuti un cazzo. Muoviti, quel barbone mi ha chiesto il pizzo, e qualcuno mi ha già fregato il portafogli.»
Filippo aprì gli occhi e cercò di mettere a fuoco. «Cos'è successo?» chiese portando la mano alla testa, che gli pulsava.
Diego, scalzo e sporco di sangue, lo fissava torvo. «Dimmelo tu? Stavo per farmele tutte e due, quando in preda all'alcol hai sbroccato. Mi hai spinto e sono caduto picchiando la testa. Quando mi sono svegliato quelle non c'erano più. Ci credo che si sono incazzate e ci hanno rapinato.»
Filippo si guardò attorno, ai piedi aveva il lampione che doveva averlo colpito. Il ricordo delle due ragazze ritornò nitido. «Ma loro erano due vampiri» disse.
«Certo che sei strano. Inizio a credere che tu faccia di tutto per non farmi rimorchiare.» Diego gli poggiò una mano attorno alle spalle. «Andiamo va, mi sa che hai preso una bella botta in testa. E chi lo sa, magari ti riprendi!»
Filippo accettò l'aiuto dell'amico e insieme si allontanarono ignorando il barbone che pretendeva il pagamento della tassa di locazione. Uscendo sulla strada principale incespicò su qualcosa, si chinò e raccolse un piccolo oggetto di metallo. Lo strofinò tra le dita, la luce era poca per poter capire cosa fosse. Eppure, in cuor suo, aveva la certezza che si trattasse della punta di un dardo.
«Cos'era?» chiese Diego.
«Nulla, solo il promemoria di un'amica.»
 
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view post Posted on 21/5/2015, 22:55
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Il Tospanico Polemico

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Beh ce l'ho fatta... mi tocca la penalità per il limite dei caratteri mi sa. Dovrei entrare nel margine minimo meno il 10% no? :P

-Requiescat in pace- di David Galligani

«È soltanto un involucro vuoto adesso» disse il prete prendendo la mano alla vedova Landuzzi «il suo spirito riposa nell'alto dei cieli.»
La donna si asciugò le lacrime e alzò mestamente lo sguardo da terra.
Su un nastro trasportatore, spento, vi era la bara con dentro il cadavere di suo marito, pronta per essere bruciata nel grande forno crematorio.
«Ma...»
«Oramai quella della cremazione è una pratica diffusa e largamente accettata anche dalla Chiesa Cattolica. Sa?» la rassicurò il curato.
«Si ma poi...»
Il direttore delle Pompe Funebri le sfioro con gentilezza un braccio.
«E poi le consegneremo la urna , con dentro le ceneri del suo caro che potrà sempre tenere accanto a sé.» Sorrise. «È anche più comodo, non crede?»
«Su mamma fatti coraggio» disse il figlio stringendole le spalle «Ormai papà non c'è più. Proceda pure, per favore.» disse rivolto all'uomo dell'impresa funerario.
L'uomo sorrise, fece un mezzo inchino e premette un pulsante.
Il nastro trasportatore si mise in moto, lo sportello del forno si aprì rivelando le fiamme all'interno.
Lentamente la bara scivolò nella bocca infuocata, e poi il forno venne immediatamente richiuso.
«Domani potrà passare per la consegna dell'urna, signora. O lei o un familiare» concluse l'impresario.
«Certo, grazie. A domani allora. Vi ringrazio per l'organizzazione perfetta.» rispose il figlio, prendendo a braccetto la madre «Aver potuto celebrare la messa funebre e procedere alla cremazione direttamente nella struttura dell'ospedale è stato un vero sollievo, non abbiamo dovuto trascinare oltre questa atroce sofferenza.»
«Siamo qui per questo, sia lode al signore» rispose il prelato.


Quella stessa notte il curato, l'impresario ed una decina tra infermieri e dottori, si sedettero intorno a una tavola riccamente imbandita, in una sala molto al di sotto dei sotterranei dell'ospedale.
«Per fortuna che il signor Landuzzi non era certo macilento, la gamba dovrebbe essere sufficiente per tutti» disse il chirurgo mentre si accingeva a tagliare l'enorme coscia dal gorpo grasso con un grande coltello elettrico.
«Il bubbone del tumore se non le dispiace lo vorrei io» disse il prete.
«Lo sappiamo che lei è sempre il solito buongustaio, vorrà dire che adesso lo asporterò, prima di dare il resto agli altri» rispose il dottore, mentre gli schizzi di sangue gli macchiavano il camice verde e le lenti degli occhiali.
«Ha già preparato delle ceneri per la famiglia?» chiese il prete al direttore delle Pompe Funebri.
«Ma sì, ne abbiamo chili e chili delle bare vuote che bruciamo, non si preoccupi di certo per questo» disse ridendo.
Anche gli altri commensali risero allegramente.
Il prete prese la brocca d'argento riccamente intarsiata e versò il vino a tutti i presenti, l'atmosfera era festosa.
Il chirurgo prese uno scalpello e un martello e con colpi potenti e sicuri aprì la scatola cranica.
Ne estrasse il cervello, che presentava una grossa escrescenza tumorale, e lo mise su un vassoio.
«Per lei, santitá» disse «Qualche altra richiesta?»
Una giovane donna bruna e formosa esitó un poco ma poi alzò la mano.
«Le dispiacerebbe tagliare un braccio per me? La gamba credo sia troppo grassa, e in questo periodo sto cercando di stare attenta alla linea, sa...» disse sorridendo timidamente.
«Ma certo mia cara, per la sua bellezza questo e altro» le rispose il chirurgo, riprendendo il suo lavoro questa volta sull'arto superiore.
«Ah ecco, stanno arrivando gli altri... Devono aver sentito l'odore del sangue» intervenne un ragazzo in camice
Tutte le teste si voltarono verso un angolo buio della sala, da dove diverse figure dall' aspetto deforme e vagamente umano stavano avvicinandosi al tavolo, alcune gattonando, altre strisciando.
Gli occhi erano sfere bianche e cieche solcate soltanto da rosse vene e capillari , senza iridi né pupille. La pelle era grigia e i denti aguzzi e marroni.
Orientandosi con l'udito e l'olfatto si avvicinavano lentamente sempre più alla tavolata, che sembrava quasi non fare caso alla loro presenza.
Il chirurgo finì di porzionare la grande coscia, dopodichè fece rotolare a terra quello che rimaneva del corpo del signor Landuzzi.
Alcuni dei commensali lo spinsero poi sotto al grande tavolo.
Qualche minuto piú tardi gli esseri arrivarono al cadavere e cominciarono a farne scempio, afferrando, straziando e lacerando con mani e con denti.
Il chirurgo si alzò in piedi e levò in alto un calice colmo di vino.
Tutti i presenti alzarono i propri calici per il brindisi.
«Sia lodato Colui Che Vive Nel Profondo!»
«Sempre sia lodato » risposero in coro i presenti.
E cominciarono a tagliare con coltello e forchetta la loro succulenta porzione di carne cruda.
 
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view post Posted on 22/5/2015, 07:27

Alto Sacerdote di Grumbar

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Bene, vedo che al minimo sindacale ci siete arrivati stavolta! :)

Confermo la
PENALITÀ DI 1 PUNTOa david g, per essere, pur nella tolleranza, al di sotto del limite minimo.

Buon massacro, gente.

Lo speciale Skanneria/Macellatoio può cominciare la fase di commento. Vi esorto a essere spietati e approfonditi, tempo ne avete. ;)
 
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view post Posted on 22/5/2015, 07:53
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Io apro la pagina in un punto pressoché random, mi trovo a cavallo tra la fine del racconto di Incantatore e l'inizio di quello di Ceranu, e in sostanza leggo:

L'urlo di Filippo si alzò verso il cielo stellato
Filippo fissava il televisore


Ma vi siete messi d'accordo? :lol:
 
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Ceranu
view post Posted on 22/5/2015, 07:59




Ebbene sì :D
 
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view post Posted on 22/5/2015, 08:21
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CITAZIONE (CMT @ 22/5/2015, 08:53) 
Io apro la pagina in un punto pressoché random, mi trovo a cavallo tra la fine del racconto di Incantatore e l'inizio di quello di Ceranu, e in sostanza leggo:

L'urlo di Filippo si alzò verso il cielo stellato
Filippo fissava il televisore


Ma vi siete messi d'accordo? :lol:

Chiaro esempio di telepatia creativa.... :D

Nel mio racconto ho notato alcuni errori di forma e punteggiatura, merito di aver postato il racconto senza aver avuto la minima possibilità di rileggerlo. Non posso più correggerli, vero? :p099:
 
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view post Posted on 22/5/2015, 08:29
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Ok, ho imparato la lezione: se vedo che non si sta raggiungendo il minimo sindacale eviterò di postare il racconto sperando in un secondo skan lo stesso mese.
 
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view post Posted on 22/5/2015, 10:47
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CITAZIONE (reiuky @ 22/5/2015, 09:29) 
Ok, ho imparato la lezione: se vedo che non si sta raggiungendo il minimo sindacale eviterò di postare il racconto sperando in un secondo skan lo stesso mese.

Ciao reiuky,

lo speciale è stato fatto perché è saltata la macelleria, non perché lo Skan regolare è andato deserto.

Potevi però postare il tuo racconto Taro e Tara, con leggera modifica per centrare la specifica, in assoluta tranquillità. :B):
Quando un contest va a pallino, il regolamento prevede di riproporre un racconto non commentato o sbaglio? :unsure:
 
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view post Posted on 22/5/2015, 11:38
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Il Tospanico Polemico

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CITAZIONE (Marco Lomonaco - Master @ 22/5/2015, 08:27)
Confermo la [/color]PENALITÀ DI 1 PUNTO[color=blue]a david g,

La mia prima penalitá! Giustamente nello speciale anarchia!
Sono quasi commosso...

:1392391886.gif:

Abbasso il Lommo, abbasso le guardie!
W l'anarchia!

:p106:

:woot:
 
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view post Posted on 22/5/2015, 13:03
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CITAZIONE (Incantatore Incompleto @ 22/5/2015, 11:47) 
CITAZIONE (reiuky @ 22/5/2015, 09:29) 
Ok, ho imparato la lezione: se vedo che non si sta raggiungendo il minimo sindacale eviterò di postare il racconto sperando in un secondo skan lo stesso mese.

Ciao reiuky,

lo speciale è stato fatto perché è saltata la macelleria, non perché lo Skan regolare è andato deserto.

Potevi però postare il tuo racconto Taro e Tara, con leggera modifica per centrare la specifica, in assoluta tranquillità. :B):
Quando un contest va a pallino, il regolamento prevede di riproporre un racconto non commentato o sbaglio? :unsure:

No, non potevo. il Master è stato chiaro.

Se lo skan non parte, il racconto postato è una cartuccia sprecata. Se ti va bene gli altri partecipanti commenteranno, ma punto.

Morale della favola, meglio non postare finché non si arriva al minimo sindacale.
 
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