L'infermiere di notte
di
Francesco Nucera
Diego osservò il bigliettino che teneva in mano, lo accartocciò e lo mise in tasca; sollevò lo sguardo e fissò la targa appesa sulla facciata del palazzo: «Giuseppe Meda» lesse. Spalancò la bocca e sbadigliò; la tensione gli aveva giocato un brutto scherzo e la notte prima non era riuscito a dormire. Sospirò, quello sarebbe stato il San Silvestro più triste della sua vita, persino più triste di quello in cui aveva litigato con i suoi amici e, per ripicca, si era addormentato alle undici di sera abbracciato alla bottiglia di spumante ancora chiusa.
Sollevò l'indice e premette il tasto del citofono affianco alla scritta “Fumagalli”.
«Ziii!» rispose una voce femminile.
«Sono l'infermiere di notte.»
«Guarto piano, zali!» Uno scatto e il portone si aprì.
L'androne era affrescato a tinte sbiadite, un'ampia scala in marmo saliva sulla sua destra, ma dell'ascensore nemmeno l'ombra. Avrebbe dovuto farsi i quattro piani a piedi: quella serata iniziava veramente male. Poggiò il piede sul primo gradini, ma un cigolio metallico alla sua sinistra attirò la sua attenzione; un uomo in completo scuro uscì dall'ascensore, che era nascosta dietro una porta in legno. «Lei è?» chiese questo, storcendo il naso.
Diego abbassò lo sguardo sulle scarpe lucide dell'uomo, poi guardò le sue Adidas e capì perché quello stesse dubitando di lui. «Sono il nuovo badante del signor Fumagalli» rispose, senza alzare lo sguardo.
Le “Oxford” si spostarono lasciandogli il passo libero, l'uomo non disse altro, lo squadrò schifato e se ne andò.
Quando questo fu lontano, Diego bofonchiò un un insulto, entrò nell'ascensore e premette il quattro sul quadro di comando. Uno scossone lo sbilanciò. Poggiò una mano sulla seduta e l'altra sullo specchio e , una volta recuperato l'equilibrio, fissò la sua immagine riflessa e sospirò. Forse doveva iniziare a vestirsi come quel “Manichino” che aveva appena incontrato; per il primo giorno di lavoro si era tagliato i capelli e aveva indossato la sua maglietta migliore, ma probabilmente a quarant'anni non ci si può sentire eleganti con la felpa del “Milanese Imbruttito”. Un altro scossone lo avvisò che era arrivato al piano; mise la mano alla maniglia, ma la porta non si aprì. Ci provò un'altra volta, ma non ebbe successo.
«E che cazzo, apriti!» imprecò sferrandogli due pugni. La porta si spalancò e Diego si trovò davanti due grossi seni malcelati sotto una maglietta bianca. Alzò lo sguardo e intravide degli occhi celesti che lo fissavano.
«Ezzere nuofo infermiere?» chiese la donna, che non gli permetteva di vedere l'esterno.
«Ja!»
La donna socchiuse gli occhi. «Zimpatico» disse, allargando le labbra sottili. «Tu ora zegue me, poi io fetere ze te diverte ankora tomani mattina». Sì voltò e gli fece strada.
Appena fuori dall'ascensore, Diego capì perché la porta non si apriva. Non era arrivata a un pianerottolo, ma direttamente nel disimpegno dell'appartamento. C'erano due poltrone di pelle, un portaombrelli e sui muri delle litografie della “Milano perduta”.
«Zegve me, pikkolo Vuomo!»
Diego si scosse, era la prima volta che entrava in una casa tanto ricca; lui era abituato ai micro appartamenti della periferia, dove avere la porta d'ingresso senza adesivi che testimoniavano Geova, intagli zingaresci o segni d'effrazione, ti elevava a un rango superiore.
«Kvesto essere incresso di zervizio.» disse la donna, imboccando un corridoio. Con le spalle lambiva le pareti e la testa testa sfiorava le lampadine. «Piccola porta a destra essere ingresso a zona ciorno, ma tu non può antare di lì.» La donna si voltò e lo fulminò con lo sguardo. «Tu ha capito?»
«Sì signore!» Diego batté i tacchi e portò la mano alla fronte.
Lei inspirò profondamente; i seni le si sollevarono fin sopra la fronte di lui che, per un attimo, rivide le mille immagini ignorate su You Porn alla voce “BBW”.
«Kvi invece ezerci stanza di altro piccolo uomo, lui controlla te kon monitor e telecamere.»
«Che culo!»
La donna si voltò di colpo e abbassò la fronte al livello di quella di Diego. «Tu non dice parlaccie con avvocato Fumacalli! Lui molto educato con te, molto buono, ma se dice parolaccia lui andare fuori di testa. Capito?»
La mole della donna sarebbe bastata a convincerlo, ma il pollice che lei si fece correre sotto il mento rimarcò il messaggio.
«Ecco invece tua stanza. Qui tu riposa e
crogiolo con orecchio teso a monitor.»
La donna aprì una porta e si scostò. Diego abbasso la testa e piegò le ginocchia, passò sotto le mammelle di lei ed entrò.
Definire quello uno sgabuzzino era riduttivo; c'era una branda, un lavandino con annesso water e una scrivania su cui avevano appoggiato un piccolo schermo che proiettava l'immagine di un anziano sdraiato su un letto a baldacchino. Diego deglutì rumorosamente, storse il naso e si girò verso la donna. «È qui che tenete i prigionieri?» chiese, storcendo il naso.
Lei abbozzò un sorriso. «Zolo quelli buoni, celle zono da altra parte.»
Diego cercò di capire se stesse scherzando, ma la donna non mutò espressione.
«Antiamo, prezenta Fumacalli e poi antare a festa.»
«Come “antare a festa?”»
«Certo, io finisce turno dieci minuti fa, a diciotto. Ora tuo turno. Io spiega te due cose e antare.»
«E mi lasci solo?»
«No, con piccolo uomo dei monitor.»
«Quindi se ho problemi chiedo a lui?»
«No, lui no infermiere. Lui cuoco che guardiana; se tu sbaglia lui dice a figli di padrone, se tu ruba lui chiama polizia, se tu uccide lui uccide te.»
Diego scoppiò a ridere, ma vedendo il volto contrito di lei si bloccò. «Stavi scherzando, vero?»
«Tu vuoi scopre?»
Dopo un lungo silenzio, lei iniziò a elencare nomi di farmaci e a spiegargli come trattare l'avvocato Fumagalli, ma la mente di Diego continuava a ripetere la stessa domanda: “Ma chi me l'ha fatto fare”. L'idea che quella sera i suoi amici si sarebbero divertiti lo mandava in bestia.
«Ora ti presenta il padrone. Tu sta calmo e aspetta un passo dietro me.»
Finalmente il tour era giunto al termine. La donna aprì la porta e fece un passo nella stanza padronale. Timoroso, Diego la seguì.
Oltre al letto a baldacchino, circondato da tappeti spugnosi, nella stanza c'era una serie di mobili antichi. Le pareti erano foderate con una tappezzeria anni '60 e non c'era il televisore. L'unica tecnologia che aveva varcato quella porta era rappresentata dalle telecamere e da un Daikin che doveva valere quanto la vecchia Punto di Diego.
«Zignore, lui è nuovo infermiere di notte. Il zinior…» La donna, china sull'anziano, rimase con il braccio teso a sollecitare le presentazioni.
«Diego» si affretto a dire.
Fumagalli inclinò il capo, socchiuse gli occhi e aprì la bocca. «Diego? È un nome spagnolo!»
«Sì signore, ma io sono di Milano.»
L'anziano abbozzò un sorriso. «Già, ormai lo siamo tutti. Di dove sono i tuoi?» chiese con modi garbati.
«Mio padre è di Cremona, mia madre bresciana.»
«Bene!» si limitò a dire il vecchio, che poi abbassò la voce e tornò a rivolgersi alla badante.
Diego non riusciva a togliergli gli occhi di dosso; Fumagalli sembrava un ramoscello rinsecchito. Le poche parti del corpo scoperte erano attraversate da vene bluastre, la pelle sembra una pellicola trasparente, gli occhi erano appannati e per respirare gonfiava in maniera spropositata la cassa toracica. Era preoccupato, quell'uomo non sembrava attrezzato per superare la notte. Un ringhio soffuso lo strappo dalle sue riflessioni. Incuriosito, distolse lo sguardo dal vecchio, che sembrava scambiare effusioni con la badante, e si chinò certo che il verso provenisse da sotto il letto. Portò la mano alla coperte e la sollevò; un “canetopo”, di nemmeno due spanne di lunghezza, uscì allo scoperto e iniziò a cinguettargli contro. Diego ritrasse la mano e fece due passi all'indietro.
«Piccolo Blondi, ezzere venuto a zalutare la mamma?» la badante raccolse l'animale che occupava poco più del suo palmo e iniziò a carezzarlo; il canetopo scodinzolò e iniziò a leccarle le dita.
«No ha paura, piccolo vuomo. Blondi essere cane affettuoso.» La donna lo appoggiò sul letto.
«Vieni a carezzarlo, è meglio che facciate conoscenza subito» lo invitò l'anziano.
Diego si sistemò la giacca e avanzò sicuro. Raggiunse il ciglio del letto e allungò la mano. Il canetopo, che aveva iniziato a leccare la faccia del suo padrone, si acquattò sulle zampe davanti e ricominciò ringhiare.
«Pello Blondi, non ti piace piccolo vuomo?»
Diego ci riprovò, e questa volta l'animale, bloccato sul materasso dalla presa della donna, si fece carezzare.
«Pene, ora voi amici e avvocato kontento di kvesto, qvindi io potere andare. Ci vedere domani di mattina alle zette, io viene con cornetto per te e zucca per piccolo Vuomo di monitor.» La badante carezzò la guancia dell'avvocato e si incamminò verso l'uscita; arrivata alla porta si bloccò. «Piccolo Tiego, qvesta sera alle ticianove figlia di Avvocato Fumagalli passare a vedere come sta. Tu porta qui senza tire niente a lui, poi fare antare via. Lui non vuole scocciatrice anche occi.» Il tono piccato della donna e l'espressione severa dell'uomo, fecero sì che Diego non facesse domande. Gli avevano detto cosa fare e lui avrebbe obbedito.
«Non vuoi toglierti la giacca?» chiese l'anziano a Diego, appena la badante uscì dalla stanza.
«Certo, signore!»
«Chiamami Benito, ma non spogliarti qui. Va nella tua stanza, ti chiamerò se avrò bisogno di te, altrimenti ci vediamo per la terapia della notte.»
Nonostante l'aspetto poco florido, l'anziano aveva una voce vigorosa, molto più di quanto si potesse immaginare. Diego chinò il capo in segno di riverenza e si congedò, sotto lo sguardo attento del canetopo che sembrava non essere ancora convinto della loro amicizia.
Sdraiato sul letto, Diego fissava il soffitto e si interrogava su quanto potesse essere stupido. Un conto era fare il badante, un altro era fingersi un infermiere. L'idea era venuta Carlo, il suo amico dell'agenzia interinale. «Tranquillo, vai lì e ti prendi trecento euro a notte» gli aveva detto.
Con una prospettiva simile, Diego non si era più fatto scrupoli; in fondo era vero che aveva frequentato scienze infermieristiche, magari era un po' meno vero che si era laureato, ma qualcosa se la ricordava e badare a un vecchio non doveva essere poi così difficile.
Il cellulare, appoggiato sul materasso, vibrò; lo impugnò, lesse la prima notifica e sorrise. Il gruppo WhatsApp “D&D - Deficienti & Dannati” si stava animando.
Paolo:RAGAZZI, È ARRIVATO IL GRANDE GIORNO!
Andre:FINALMENTE TROMBI?
Paolo:SIMPATICO!
SCHERZI A PARTE, È ARRIVATO IL GIORNO
NEFASTO: GLI ZOMBIE SONO TRA DI NOI.
Filippo:GUARDA CHE TUA MADRE ARRIVA IL 6 GENNAIO.
Tu: QUINDI DI TROMBARE NON SE NE PARLA NEMMENO QUAST'ANNO?
Paolo:NON È UNO SCHERZO, NE STANNO PARLANDO TUTTI I TG!
Filippo:IL MESE SCORSO ERO CERTO STESSERO PARLANDO ANCHE DI TUA MADRE!
Paolo:FILIPPO, HAI QUASI QUARANT'ANNI, QUANDO TI DECIDI A CRESCERE?
Filippo:È LA STESSA COSA CHE DICE TUA MADRE PARLANDO CON IL MIO "IO"!
Andre:CAZZO, PAOLO HA RAGIONE, NE STANNO PARLANDO VERAMENTE!
Sorridente, Diego stava per rispondere ancora, ma un campanello si mise a trillare. Guardò il monitor poggiato sulla scrivania; era il vecchio che aveva bisogno di lui. Prima di uscire prese in il cellulare e scrisse un altro messaggio.
Tu: SCUSATE RAGAZZI, MA IL MIO ZOMBIE PERSONALE MI RECLAMA. CI SENTIAMO DOPO.
Mise il telefonino in tasca e corse nell'altra stanza. «Mi dica avvocato Fumagalli.»
L'anziano lo fissò qualche secondo, si portò la mano alla bocca e tossì. «Tu non indossi il camice?» chiese quando riuscì a riprendere fiato.
Imbarazzato, Diego abbassò la testa e guardò la scritta sulla sua felpa: CHE SBATTA… Effettivamente non era il modo più professionale per presentarsi. «No sa, è che ho appena smontato in ospedale, e non sono riuscito a passare a casa» si inventò al volo.
«Strano, avevo capito che non lavoravi, ma la mia mente mi gioca brutti scherzi ultimamente, forse lo sapevo. Dimmi, dove lavori?»
Non ci voleva quell'interrogatorio, prima o poi avrebbe sbagliato qualche risposta e l'avrebbero scoperto. «Humanitas.»
«Bene, io sono in cura lì da dieci anni. In che reparto?»
“Cazzo” imprecò nella sua mente. Che gli poteva dire, sicuramente non oncologia, c'erano altissime probabilità che lui avesse un tumore. Un'idea brillante lo folgorò: «Ginecologia» scandì con la stessa enfasi che avrebbe usato un pokerista dichiarando una scala reale.
«Quindi conoscerà il dottor Invernizi? Brav'uomo, ha seguito mia moglie fino all'ultimo.»
«Certo che lo conosco, ma ora mi dica, come posso esserle utile?» provò a cambiare argomento.
«Sì, ha ragione. Potresti aiutarmi a mettermi sulla carrozzina?»
«Certo avvocato. Non è più comodo a letto?»
«Non è per quello. Da qualche giorno fatico a respirare e seduto sto meglio.»
Certezza che sarebbe riuscito a portare a termine il primo incarico, Diego afferrò le manopole della sedia e andò verso l'anziano ma, a pochi passi dalla meta, un'ombra bianca sbucò da sotto il letto. Diego cercò di schivare il canetopo, ma non ci riuscì; spostò tutto il suo peso sulla gamba destra, ma il povero animale finì proprio sotto il suo piede. Blondi spalancò il muso ed emise un latrato simile al rumore delle paperelle di gomma. Diego, nel tentativo di pararsi il viso dall'imminente impatto col pavimento, perse il contatto con la sedia che partì in direzione del vecchio. Picchiò lo zigomo a terra, e per un attimo divenne tutto nero. Annaspando si sollevò, la prima cosa a cui pensò furono le telecamere di sicurezza, poteva solo sperare che chiunque le stesse guardando fosse distratto in quel momento. Si sollevò e tirò un sospiro di sollievo: la sedia a rotelle si era fermata contro il comodino, ma non aveva urtato nulle e il canetopo, acquattato in un angolo, continuava a ringhiargli contro. Era tutto normale.
«Mi scusi, sono mortificato!»
«Blondi è un cane vivace e coraggioso, sono certo fosse un pastore tedesco in un'altra vita» disse l'avvocato Fumagalli.
Diego sollevò di peso l'anziano e lo adagiò sulla sedia. «Dove la porto?» gli chiese.
«Lasciami vicino alla finestra e torna nella tua stanza. Tra poco arriverà mia figlia.»
Senza dire più nulla obbedì e si congedò.
Rientrato in stanza imprecò contro la sua goffaggine, non era riuscito a fare nemmeno quella manovra semplice. Si sdraiò sul letto e ricominciò a fissare il soffitto. La sua tasca continuava a vibrare, ma non riprese in mano lo smartphone, era troppo impegnato a pregare che non succedesse nulla; chiuse gli occhi e provò a rilassarsi. Non era la prima volta che affrontava allo sbaraglio un lavoro nuovo, ce l'avrebbe fatta… ce l'avrebbe fatta… ce l'avrebbe…
Un suono insistente invase la stanza. Diego spalancò gli occhi, boccheggiò e cercò di raccogliere le idee. Non era a casa sua: quello non era il suo letto. Non era nemmeno da un amico. «Sono dal vecchio!» disse mettendosi a sedere sulla branda. Si voltò e guardò il monitor per controllare come stesse. Il baldacchino era vuoto. Il cuore di Diego mancò un battito ma, in un barlume di lucidità, ricordò di averlo messo sulla sedia; peccato che anche quella fosse vuota. Lo cercò in ogni angolo ma, gli occhi impastati dal sonno, le immagini in bianco e nero e quel suono incessante non lo stavano aiutando. Finalmente intravide l'avvocato che arrancava a terra. Certo non doveva stare benissimo, ma almeno era vivo; ora Diego doveva capire da dove provenisse quel trillo. Era differente dal primo che aveva sentito, questo era più simile a un campanello. Sgranò gli occhi e guardò l'orologio che aveva al polso: erano le diciannove e trenta.
«Cazzo, la figlia» urlò. Si portò la mano alla fronte e la strofinò. E ora che avrebbe fatto?
Uscì dalla stanza e guardò il corridoio nelle due direzioni. Andare a raccogliere il vecchio o ricevere la figlia. Un sorriso gli si stampò in faccia. A passo svelto corse verso la porta di servizio. Con la sinistra afferrò la maniglia e con l'altra mano si arruffò i capelli. Inspirò profondamente e aprì di scatto.
«Scusi l'attesa, ma stavo sistemando l'avvocato Fumagalli. Anzi, devo tornare di corsa da lui, non ho fatto in tempo ad assicurarlo alla sedia e non vorrei che cadesse.» disse tutto d'un fiato, senza nemmeno guardare in faccia chi aveva davanti.
«A, bene. Vedo che LEI oggi non c'è.»
«Se si riferisce alla…» Cazzo, non sapeva nemmeno il suo nome. «Badante, lei è uscita da poco.»
«L'arpia vorrà dire! Quella sgualdrina punta ai soldi di papà, ma non mi frega!»
«Mi scusi, non lo sapevo.» Affannato, Diego raggiunse la porta della camera da letto; si bloccò e si preparò a mostrare l'espressione più stupita e preoccupata che potesse avere. «Se non le dispiace entrerei prima io per finire di sistemarlo» disse, aprendo la porta.
«Sì, mi dispiace!» La donna, alta all'incirca come lui, lo urtò con una spallata ed entrò nella stanza.
Diego barcollò all'indietro, non si aspettava che in quel corpo minuto potesse esserci tanta forza; allungò il braccio e si aggrappo allo stipite per non cadere. Serrò gli occhi, pronto a sentire la donna urlare, invece tutto tacque. Piano piano aprì le palpebre, si piegò in avanti e infilò la testa nella stanza. Dallo stomacò gli risalirono gli acidi lattici, una morsa gli bloccò la gola e la mascella divenne pesante. L'avvocato Fumagalli, seduto a terra nell'angolo opposto della stanza, stava masticando avidamente delle interiora. Parte di esse erano finite sui suoi vestiti e le restanti penzolavano dal corpo inerte di Blondi. Il primo pensiero di Diego corse al messaggio di Paolo. Quello era uno zombie. Il suo primo giorno di lavoro da badante aveva trasformato il suo assistito. Si voltò pronto a fuggire, ma all'assurdo non c'è mai limite.
«Che bello vederlo così!» disse la figlia coprendosi le labbra con le dita.
Diego sgranò gli occhi; possibile che la donna non si era accorta di cosa stesse mangiando il padre.
«Ehm, signora, dovremmo lasciar finire il pasto all'avvocato. Sa, è raro vederlo mangiare.»
La donna si voltò e lo fulminò con lo sguardo: «Lo so bene; sono pur sempre la figlia io!»
«Mi ha frainteso, si vede che lei tiene molto a suo padre, e per questo dovremmo andarcene.» Diego non sapeva come uscire da quella situazione, ma se quella si fosse tolta dalle scatole avrebbe guadagnato un po' di tempo. Mentre le parlava lanciava occhiate preoccupate al vecchio; quel boccone l'avrebbe tenuto impegnato ancora per poco.
«Frainteso o meno, poco cambia. Questa è anche casa mia, quindi do un bacio mio padre e me ne vado.»
«Veramente non credo sia il caso.» Diego si allungò e l'afferrò per un braccio.
«Non si azzardi!» protestò lei.
Le urla scossero l'avvocato. La carcassa del canetopo cadde a terra e il “Fumazombie” si sollevò, si voltò verso di loro e li osservò con uno sguardo vuoto.
«Ahh!» sussultò la donna, vedendo il padre avanzare verso di lei.
«Dobbiamo scappare.» Diego la strattonò.
«Mi lasci stare lei. Questo è un miracolo: mio padre cammina.» Lei si liberò dalla stretta al braccio e corse verso il genitore. La reazione di Diego fu l'opposta; assodato che la figlia non sarebbe fuggita decise che era arrivato il momento di darsela a gambe. Corse fuori dalla stanza, chiuse la porta e ci si appoggiò contro. Le urla della donna rimbombarono nel corridoio.
Diego estrasse il cellulare e compose il numero di Carlo; aveva bisogno di lui, aveva bisogno di una mano. Fortunatamente l'amico rispose al terzo squillo.
«Unità operativa; comunica.»
«Carlo, sono nella merda. Il vecchio si è trasformato in zombie e ora si sta mangiando la figlia.»
«Bene cellula dormiente. Comunica la tua posizione, mando una squadra a recuperarti!»
«Carlo, ma che cazzo stai dicendo? Recuperarmi, squadra, ma chi credi di essere? Dimmi solo cosa sta succedendo.»
«Cellula dormiente, ti prego di adeguare i toni. Io sono il vostro comandante e l'emergenza zombie, in base all'accordo Girsa20/06/2000, mi da diritto di vita e di morte su di voi.»
«Cazzo, ma quello era un gioco di ruolo.»
«Hai voglia di discutere o vuoi una mano? Dammi la tua posizione.»
«Sono in via Meda al diciotto, quarto piano, famiglia Fumagalli.»
«Ricevuto. Il nostro uomo sarà da te tra dieci minuti. Fatti trovare in strada.»
«Chi cazzo è il nostro uomo?»
«
Bisarca!»
«Chi?»
«Andrea, ha appena smontato in rimessa. Ora chiudo, ci sono altri D&D che hanno bisogno di me.»
La comunicazione si interruppe, ma Diego rimase immobile con il cellulare poggiato all'orecchio. Non riusciva a capire se fosse stata più strana la chiamata o quello che aveva visto nella stanza. Il cuore gli batteva forte in petto e aveva tanta voglia di svegliarsi da quell'incubo. Serrò gli occhi, le lacrime gli bagnarono gli zigomi. La casa era tornata silenziosa, troppo per i suoi gusti. Ripensò alla frase che tanto piaceva a suo padre:
“Il silenzio è il modo migliore per morire dentro”. Sapeva che lui intendeva altro, ma quel momento gli sembrava calzasse a pennello.
Si riscosse; doveva recuperare le sue cose e fuggire, ma con che coraggio poteva lasciarsi tutto alle spalle. Un rumore nel corridoio attirò la sua attenzione e le parole della nazibadante tornarono prepotenti: “Se tu uccide, lui uccide te.” il cuoco era ancora nella sua stanza, perché non si era fatto vivo? Che si fosse trasformato anche lui?
Si alzò e, un passo dopo l'altro, avanzò cauto fino alla stanza in cui doveva esserci l'uomo. Poggiò l'orecchio alla porta; all'interno c'era qualcuno che ansimava. Carezzò l'idea di tirare dritto e fuggire, ma non poteva scappare e lasciarlo lì. Sollevò il pugno e lo picchio contro la porta.
«Arrivo» rispose una voce squillante.
Diego portò la mano alla testa e iniziò a grattarsi; cosa poteva dirgli?
La porta si aprì e sbucò il volto baffuto di un ragazzo orientale. «Tu sei quello nuovo?» chiese con l'inflessione bergamasca.
«Abbiamo un problema» disse Diego.
«Vorrai dire che tu hai un problema. Io faccio il cuoco, sono di riposo fino alla colazione.»
«Il vecchio è morto.»
«Pace all'anima sua.»
«Anche la figlia è morta.»
«Risparmieranno sui funerali.»
«Anche Blondi.»
«Peccato, lei era simpatica.»
«E non mi chiedi com'è andata?»
«Ho visto tutto.» Il cuoco si spostò. Dietro di lui c'erano tre monitor che occupavano una parete intera. Due trasmettevano le immagini della casa e il terzo era bloccato sul volto di una ragazza sporca di sperma. Diego distolse lo sguardo, ma quello che vide dopo lo lasciò ancora più di stucco. Sul pavimento, ai piedi del letto, c'erano delle frattaglie gialle. Si chinò leggermente in avanti e vide la metà superiore di una zucca appoggiata su una sedia; non aveva più il pistillo, ma un foro circolare di qualche centimetro di diametro. Sgranò gli occhi e scosse la testa. «Ti stavi masturbando con la zucca?»
«Sì.» rispose asciutto il cuoco.
«Mentre il vecchio mangiava la figlia?»
«No, ho cambiato inquadratura.»
«Ho capito, ma non hai paura?»
«Hai altre domande da fare? Io avrei degli impegni.»
«No!»
«Allora buona serata, io torno alle mie cose.»
«E il vecchio?»
«Ci penserà domani Magda. Tu vattene.»
Mentre correva giù dalle scale, Diego ripensò a quello che si stava lasciando dietro. Doveva essere tutto uno schifoso sogno, il frutto di una fantasia malata che stava prendendo il sopravvento. Arrivò nell'androne e il portone davanti a lui si spalancò. L'uomo Manichino, che aveva incrociato qualche ora prima, stava rincasando con in mano un sacchetto.
«Già finito?» chiese il Manichino, inarcando il labbro superiore.
«Sì» rispose Diego abbassando lo sguardo.
«Immaginavo che uno come te non potesse reggere.»
«Uno come me?»
«Certo. Ma ti sei visto? Avrai la mia età e ti vesti ancora come un ragazzino.»
«Il silenzio è il modo migliore per morire dentro» sussurrò Diego.
«Scusa?» Il Manichino si piegò leggermente in avanti.
Fu istinto, forse rabbia, o semplicemente per la prima volta Diego capì cosa intendesse veramente suo padre. Alzò lo sguardo, sorrise, serrò i pugni e si scagliò contro il Manichino.
Quando la macchina di Andrea accostò al ciglio della strada, Diego uscì di corsa dal portone. Gli schiamazzi dei primi festeggiamenti coprivano ogni rumore, ma facendo attenzione si potevano sentire le urla di terrore di chi aveva scoperto che il mondo stava cambiando. Si sedette dietro l'amico e si massaggiò il pugno indolenzito. «Andiamo al quartier generale» disse sorridendo. Abbassò lo sguardo e fissò le sue “Oxford” nuove; gli andavano un po' strette, ma con il tempo si sarebbe abituato anche a quelle.
Edited by Ceranu - 6/11/2015, 23:30