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Skannatoio, novembre 2015, edizione 40, sotto mentite spoglie

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view post Posted on 1/11/2015, 20:43

Alto Sacerdote di Grumbar

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Organizzazione
Racconti in gara

  1. ...


Commenti e classifiche

  1. ...


Giorno del Giudizio




SKANNATOIO 40



Ha inizio la 40esima edizione dello Skannatoio.




1) Più di una settimana per scrivere il proprio racconto (consegna delle opere per le 23:59 di domenica 8 novembre 2015, i brani saranno accettati anche se postati con un massimo di 31 minuti di ritardo, ma incorreranno in una penalizzazione di 1 punto. I racconti devono essere pubblicati in questo thread. Provvedete a inserire i titoli insieme al testo del racconto;
2) un massimo di 14 giorni (quindi fino alle 23:59 di domenica 22 novembre - se i racconti fossero più di 15, attendete la suddivisione in gironi da parte del moderatore) per leggere, commentare e inserire in classifica i racconti altrui che non infrangeranno i limiti di lunghezza specificati. Leggete il REGOLAMENTO se non avete idea di come si debbano votare i racconti;
3) un massimo di 7 giorni (a partire dagli ultimi commenti pubblicati) per leggere i commenti e assegnare 1 punto al miglior commento al proprio racconto e 2 punti all’autore della migliore serie di commenti;
4) attendete con pazienza la conclusione delle eventuali fasi addizionali;
5) al termine, l'ultimo partecipante ad aver consegnato i voti ai commenti provvederà a stilare la classifica finale.

Chi salterà anche una sola di queste fasi incorrerà nella sanzioni previste dal REGOLAMENTO.

Inoltre, chi partecipa per la prima volta allo Skannatoio deve inviare, pena l'esclusione dal concorso, i propri dati (nome e cognome, numero di telefono, indirizzo postale e indirizzo email) in una email ai supervisore all'indirizzo [email protected]. Non è necessario farlo se si sono già forniti i dati contestualmente a uno qualsiasi dei concorsi organizzati dal forum de "La Tela Nera".

Chi volesse veder pubblicata la propria opera su Skan Magazine deve scrivere in calce al proprio racconto la liberatoria:
Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare questo mio racconto su 'Skan Magazine'.
Saranno pubblicati solo i migliori racconti accompagnati dall'autorizzazione.

LE SPECIFICHE

8uiLunghezza (globale). Minima: 5'000 caratteri. Massima: 25'000 caratteri (spazi inclusi, escluso il titolo ed eventuale liberatoria). Tolleranza 10% (con penalità di 1 punto per chi, pur rimanendo nella tolleranza, sforasse i limiti di lunghezza indicati). Vale questo contatore come riferimento per il conteggio dei caratteri.
Genere: Horror, giallo, fantastico e relativi sottogeneri (i partecipanti dovranno tenere conto nelle proprie classifiche dell'attinenza dei racconti ai generi elencati).

Particolarità:
a) Nel vostro brano dovrà apparire una delle seguenti sequenze di parole:
1) "Ne ho viste di oche ritardate in vita mia, ma tu"
2) "Ah sì? E io lo faccio lo stesso. Irlandese bastardo."
3) "Togliti, se non vuoi che ti infili il braccio nel culo e ti usi a mo' di marionetta"
4) "Nessuno ti ha mai detto che assomigli a Kermit la rana?"
5) "Il silenzio è il modo migliore per"
NON importa dove/perché/quando le userete. Nel titolo, in un pezzo di narrato, in una battuta di dialogo, in un pensiero? Fate quello che volete. Potete ovviamente mettere prima o dopo tutto quello che vi pare, basta che rispettiate la frase com'è. Punteggiatura compresa.
La frase da voi scelta dovrà essere evidenziata in corsivo nei vostri brani

b) Dovrete scegliere uno dei seguenti terzetti di parole e inserire ciascuna parola del terzetto nel brano, anche modificata, coniugata, declinata o quello che volete.
1) Ambivalente, sbrodolare, putrella;
2) Bisarca, crogiolo, nefasto
3) Glissare, remo, kamikaze
4) Hotspot, fattura, libagione
5) Pornografia, sparare, incursore
Le parole da voi scelte dovranno apparire nel brano in grassetto, per permettere a tutti di identificarle senza sforzi..

c) Da qualche parte nel brano dovrà comparire una zucca NON integra.

Nelle loro classifiche, i partecipanti dovranno tenere conto delle specifiche e penalizzare, a loro insindacabile giudizio, i concorrenti che non si sono attenuti. Dovranno anche ignorare i racconti che supereranno in più o in meno i limiti previsti per la lunghezza, o altre richieste espresse esplicitamente.

Spero che abbiate passato un buon Halloween, giusto per celebrarlo anche un po'insieme vorrei vedere delle belle zucche nei vostri brani, siate creativi. ;)

Bene, è tutto, buon lavoro e in bocca al lupo.
 
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view post Posted on 1/11/2015, 20:57

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Ciao Master,
sono specifiche molto originali. Voglio proprio vedere cosa mi verrà fuori.
 
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view post Posted on 2/11/2015, 09:06
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Losco Figuro

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Conta se la zucca viene dis-integrata nel corso della vicenda, e dunque compare sia integra che non integra?
 
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view post Posted on 2/11/2015, 10:57
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CITAZIONE
3) "Togliti, se non vuoi che ti infili il braccio nel culo e ti usi a mo' di marionetta"

Cioè sto ancora ridendo!

Pensavo di non partecipare, ma mi sa che partecipo solo per questa frase
 
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view post Posted on 2/11/2015, 11:09

Alto Sacerdote di Grumbar

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CITAZIONE (CMT @ 2/11/2015, 09:06) 
Conta se la zucca viene dis-integrata nel corso della vicenda, e dunque compare sia integra che non integra?

Sì, l'importante è che da qualche parte appaia come da specifiche, poi nelle altre scene può essere come vuoi tu...
 
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view post Posted on 2/11/2015, 12:37
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Sta settimana sono pieno come un uovo, però queste specifiche meritano. Vediamo se riesco a tirarci fuori qualcosa...
 
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view post Posted on 4/11/2015, 23:39
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Io blocco dello scrittore. Voi come state messi??
 
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Ceranu
view post Posted on 5/11/2015, 00:56




A buon punto, ma devo capire se mi piace il risultato.
 
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view post Posted on 5/11/2015, 08:51
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Losco Figuro

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Io pensavo di riuscire a fare qualcosa, ma pare di no.
 
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view post Posted on 5/11/2015, 10:25
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Milena Vallero

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Ciao Master! Domandina: dici che le parole si possono coniugare, modificare, ecc.. vale anche se un nome diventa verbo (tipo ballo = ballare?). Poi magari non lo uso, ma nel caso meglio saperlo prima! ;) Thankssssss :wub:
 
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view post Posted on 5/11/2015, 17:44

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CITAZIONE (willow78 @ 5/11/2015, 10:25) 
Ciao Master! Domandina: dici che le parole si possono coniugare, modificare, ecc.. vale anche se un nome diventa verbo (tipo ballo = ballare?). Poi magari non lo uso, ma nel caso meglio saperlo prima! ;) Thankssssss :wub:

Mah, in teoria no... anche perché dove puoi mettere il sostantivo puoi anche mettere il verbo rigirando un pelo la frase (e viceversa, ovvio)... quindi non è che sia sto gran problema :)
 
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view post Posted on 5/11/2015, 18:43

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OSSESSIONE

Di Alexandra Fischer

La calma dell’ennesima giornata nel palazzo della Pianura degli Alberi Bianchi viene interrotta dalla crisi di collera della governatrice.
Il suo titolo, Gardisto, ossia la guardiana, è smentito da un avvenimento inaudito.
La cassapanca che avrebbe dovuto salvaguardare come simbolo dell’alleanza con la vicina Piana della Terra Malva, si spacca proprio nel corso della mattinata delle udienze.
I documenti con il trattato dell’alleanza stipulata dal suo predecessore sono inoltre macchiati di resina.
Ha tentato di salvarli da sola; nessun altro ha mai potuto toccarli all’infuori di lei.
Gli emissari della Terra Malva si accorgerebbero dell’intervento di mani estranee, perché sono stati ricavati dalla scorza di uno dei grandi alberi di legno bianco che ne ombreggia il confine.
Persino l’ultimo documento è rovinato: l’ambivalente prima riga dell’inizio sembra sbrodolata per via della resina scioltasi insieme all’inchiostro e il testo sembra la putrella di un edificio mai finito di costruire.
La Gardisto, con voce appena tremolante, dice al Primo Consigliere: - È una pianta che contiene uno spirito molto ambiguo, noto come Akvoresinio.
Dal suo tronco, stilla infatti una resina dalle proprietà insolite; oltre a quella di conservare e servire da collante, è in grado di smascherare ogni manomissione nei documenti. Via le mani di lì.
Il Primo Consigliere lo fa, osservando preoccupato le scorze bianche macchiate di rosso.
L’inchiostro si è sciolto di colpo.
- Non capisco come possa essere accaduto. Si è disseccato – commenta l’uomo, mettendosi le mani sul copricapo grigio che ne denota la dignità.
Dal corridoio, viene il rumore di passi degli emissari di Sandwal e il loro brusio.
Naturalmente, si aspettano di leggere il Trattato e di conoscerla; il suo predecessore è morto da pochissimo tempo e loro sono molto diffidenti nei di lei, di fatto un’estranea salita alla carica suprema perché non è rimasto nessuno della grande famiglia di Blanka Arbro.
Il Primo Consigliere l’ha fatta eleggere per via del passato di lei, legato agli Alberi Bianchi e all’uso che se n’è fatto presso i notabili della capitale.
Cassapanche come quella appena disfattasi sotto i loro occhi sono state molto diffuse, un tempo.
Quando lui le propone di farsi prestare quella dei Chaibora, per poco la Gardisto non si è messa a pestare il pavimento.
- Un favore da quella gente? – gli ha chiesto, con una voce bassa piena di collera.
- Sì. Dopotutto non se stanno facendo nulla. Loro e la congiunta mai più rientrata da Sandwal. Chi vogliono prendere in giro?
Le parole del Primo Consigliere la colgono impreparata.
- Un falso? E credi che quelli là fuori ci crederanno?
- Dimentichi che quella dei Chaibora è la gemella di questa qui. Un tempo, loro e il Gardisto erano amici.
Il particolare è vero, ricorda la Gardisto.
Da quella famiglia vengono i migliori ebanisti e lei stessa ne ha ammirata la galleria di ritratti sui pannelli di legno che ornano le pareti del laboratorio che si trova sul confine con le Terre Malva.
L’edificio, simile a una fortezza, sovrasta la Pianura degli Alberi Bianchi e gli ebanisti che ci lavorano conducono una vita quasi da reclusi.
Neppure a lei avrebbero permesso di tornare laggiù a piacimento.
La sparizione di una delle loro lavoranti migliori li ha segnati, facendoli diventare di gusti difficili anche nei riguardi dei committenti.
Non accettano di lavorare per tutti e chi vuole dei mobili da loro deve recarsi laggiù soltanto quando gli alberi non stillano resina, scegliendo preferibilmente periodi di buio.
Anche così, non è detto che accettino gli incarichi.
Non è sempre stato così.
Il Primo Consigliere legge la diffidenza negli occhi della Gardisto.
- So cosa pensate – le dice – neppure io andrei a supplicare quella gente. Avete fatto bene a mantenere il provvedimento del vostro predecessore.
La Gardisto commenta: - Così dovrò andare io a farmi dare la cassapanca.
Rivolge un’occhiata angosciata al Primo Consigliere e gli sussurra: - Sì, ma e il Trattato? Vorranno leggerlo e presumo che là dentro non ce ne sia una copia.
Lui, con voce appena udibile, le rivela: - Troveremo qualcosa che li convincerà a rimanere nostri alleati comunque.
Fuori, il rumore è cessato.
Gli emissari devono essersi rassegnati ad aspettare.
La Gardisto comprende che quel vantaggio non durerà a lungo.
Si liscia la veste cerimoniale.
Il tessuto ricamato in modo da riprodurre le venature azzurro ghiaccio del grande albero bianco le sembra fuori luogo per quello che c’è da fare nell’immediato.
- Scusa – disse al Primo Consigliere – meglio che indossi qualcosa di adatto per i Chaibora.
Si assenta per brevissimo tempo e torna con indosso il grembiule verde che ha portato ai tempi del su apprendistato nel laboratorio degli ebanisti.
L’indumento emana ancora un odore di resina e la fa sembrare una del popolo.
- Ottima scelta – osserva lui – in effetti, la figlia minore dei Chaibora è stata per un certo tempo nel laboratorio anche lei.
- Ah, sì? E come mai ne è uscita? – gli domanda la Gardisto, ben conoscendo le regole severe del laboratorio.
A Guscio di Roccia non esistono periodi di congedo per riunirsi alla famiglia.
La regola è ferrea: o dentro o fuori.
Lei ne è uscita per via del suo scarso talento di ebanista.
- Lo vedrete voi stessa – le dice lui.

La Gardisto e il Primo Consigliere raggiungono il Quartiere Malva con alcuni aiutanti e un convoglio chiuso servendosi di un sottopassaggio che occulta loro la vista delle case che danno il nome al quartiere per via del colore delle loro mura.
Gli aiutanti li precedono.
Vengono ricevuti da una donna piuttosto anziana e da una fanciulla.
Il resto della famiglia è assente all’incontro, ma alcuni movimenti circospetti dietro alle pareti di carta oleata fanno capire agli addetti di essere sotto esame.
I Chaibora diffidano persino di loro e li hanno fatti entrare purché li lascino in pace subito dopo essersi presi quello che devono.
La Gardisto e il Primo Consigliere, giunti poco dopo, assistono a una scena straziante.
La fanciulla, di spalle, abbraccia piangendo a dirotto una cassapanca bianca identica a quella che c’è a palazzo.
- Scusate Hemlyer – dice l’anziana con fredda cortesia – da quando è tornata dal Guscio di Roccia non è più la stessa. Questo mobile la ossessiona.
La fanciulla, con i capelli scomposti a nasconderle in parte il viso, si gira verso la Gardisto.
- Mandate via questi uomini. Non voglio che la smontino.
La Gardisto le risponde: - Vengo da parte del palazzo. Serve laggiù, ma la riavrai presto.
- No – grida la fanciulla – serve a qualcun altro.
L’anziana donna cerca di farla ragionare: - Si tratta di poco tempo, cara.
Le mette una mano sulla spalla e si china su di lei, sussurrandole: - Manca soltanto che ci arrestino. Ubbidisci.
La ragazza si rialza e solleva il coperchio, prendendo una serie di pezzi di corteccia bianca identici a quelli macchiati rimasti nella sala delle udienze.
Alla cima di uno di uno di essi c’è il ritratto di una donna dal volto deturpato da una macchia di resina.
É impossibile distinguerne i lineamenti, ma quando la fanciulla si avvicina al Primo Consigliere per dargli il contenuto della cassapanca, lui apre la bocca e la richiude subito dopo, sorpreso.
Per un brevissimo istante, gli era sembrato di stare rivivendo un momento del passato legato alla donna del ritratto.
La fanciulla si era portata le mani al volto, ricominciando a piangere.
La vecchia la trascina via dicendo ai due visitatori: - Loro del palazzo facciano quello che devono, con la cassapanca, ma lascino stare la padroncina.
La Gardisto indica la cassapanca agli aiutanti ordinando: - Procedete.
Mentre gli uomini lavorano, mormora al Primo Consigliere: - Esigo una spiegazione. Sapevi cosa sarebbe successo oggi, vero?
L’uomo ammette: - Sì. Il tuo predecessore si comportò male con lei. I sotterranei di Sandwal sono un brutto posto. Quello che succede laggiù non lo auguro a nessuno.
- Si tratta della loro parente scomparsa?
Il Primo Consigliere annuisce, grave.
- Dovrebbe essere un rudere ormai, soprattutto considerando dov’è stata finora – osserva lei – non capisco l’ossessione di quella ragazza.
Lui le da ragione: - Ero poco più grande della fanciulla che avete visto, quando accadde e lei aveva circa la vostra età, ma non sottovalutate i poteri dell’Akvoresinio. Sono imprevedibili.
Il Primo Consigliere aggiunge: - La sentii promettere che sarebbe tornata alla morte del Gardisto. Credo che l’ossessione di tornare qui a riprendersi questi documenti sia stata più forte di tutti i tormenti.
La Gardisto gli domanda: - Cosa contengono? Devo temere per la mia carica?
- No, riabilitare la memoria della Chaibora davanti ai parenti superstiti. E questo non sarà un problema per voi, ora. In fondo, nei documenti che ho trovato nella loro cassapanca c’è qualcosa che somiglia al Trattato. Anche loro conoscono gli emissari di Sandwal, già loro clienti – le dice il Primo Consigliere, mentre gli aiutanti caricavano la cassapanca smontata sul convoglio fermo sulla piazzola dell’ingresso.
Il vero guaio, confessa a se stesso il Primo Consigliere, sarebbe stato dover fermare Helfryen Chaibora, ma questo lo tiene per sé, unitamente ai sospetti che nutre circa l’identità della donna ritratta sulla scorza di legno bianco; per tutto il tragitto dal quartiere Malva al palazzo non ha fatto che sfiorarlo con le dita.

Nel chiuso della propria stanza, la fanciulla scopre i denti in un sorriso folle e si mette a disfare l’involto che occupa buona parte del piccolo locale.
La scultura di legno bianco somiglia estremamente alla sua discendente Hemlyer ed è stata facile da trasportare.
La depone sulla stuoia e la copre di nuovo.
Il petto della ragazza di legno si alza e si abbassa come se fosse viva e l’Akvoresinio avrebbe continuato a illudere tutti che fosse così.
Avrebbe pianto e parlato anche meglio di quando il suo spirito occupava il corpo che ora si era presa lei.
Helfryen guarda la distesa di tetti merlettati color Malva sentendo riaffiorare ricordi della sua vita di un tempo a Blanka Arbro.
La città non è cambiata molto durante la sua assenza; agire le sarà facile, soprattutto grazie al Primo Consigliere.
Questi, a furia di rigirarsi fra le mani il piccolo ritratto, ne ha sciolta in parte la resina senza rendersene conto.
L’Akvoresinio si sta rivelando molto potente anche su di lui.
Questo la ripaga dello sfregio sulla sua immagine compiuto dal Gardisto prima di mandarla nei sotterranei di Sandwal per alto tradimento.
La fanciulla riacquista colore grazie all’energia sottratta all’uomo e si sente pronta a rendere alle creature arboree di Sandwal il favore che le hanno fatto.
Chiude la piccola finestra ovale, tendendo l’orecchio ai rumori in casa.
Una volta che tutti si fossero addormentati, sarebbe uscita per non fare più ritorno.
La fanciulla di legno nel letto l’avrebbe impersonata molto bene e lei avrebbe usato il potere dell’Akvoresinio per liberare le creature prigioniere della Pianura degli Alberi Bianchi, così le loro sofferenze sarebbero finite.
Non ci sarebbe stato più nessuno a tagliare gli alberi e a intagliarli.
Avrebbero travolto tutti, a partire dal Primo Consigliere.
La mente della Creatura del Grande Albero Bianco l’aveva soggiogata fino a trasformarsi in un’ossessione.
Per lei e solo per lei ci sarebbe stato un eterno dominio nel Guscio di Roccia.
Alberi intatti e un nuovo ordine, dove creature vegetali avrebbero dominato e lei sarebbe diventata una di loro.
La distruzione della prima cassapanca era stato l’inizio della loro riscossa; avevano già distrutto il Gardisto, che pure era addestrato a combatterli.
Gli umani di Sandwal, i suoi torturatori, erano condannati, stavano già cominciando a morire.
Neppure la salute degli emissari venuti da laggiù è più tanto buona, da quando la cassapanca è stata montata nella sala delle udienze.
E Blanka Arbro lo ignora.
Per adesso.
Quando la casa si immerge totalmente nella quiete del sonno, la fanciulla esce, pensando: “Il silenzio è il modo migliore per”.


Autorizzo Jackie de Ripper a pubblicare il mio racconto su Skan Magazine

 
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view post Posted on 6/11/2015, 07:15
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Milena Vallero

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CITAZIONE (Marco Lomonaco - Master @ 5/11/2015, 17:44) 
Mah, in teoria no... anche perché dove puoi mettere il sostantivo puoi anche mettere il verbo rigirando un pelo la frase (e viceversa, ovvio)... quindi non è che sia sto gran problema :)

Per la miseria ci speravo... :unsure: ;) ora ho una parola che proprio non so come usare, lasciando il sostantivo! Boh, mi farò venire in mente qualcosa! Grazie!

-----
Aggiornamento: ho avuto l'illuminazione divina in stile Blues Brothers! eh eh! e anche il CROGIOLO sappiamo dove metterlo! A dopo! ^_^ ;)

Edited by willow78 - 6/11/2015, 08:47
 
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view post Posted on 6/11/2015, 14:18
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Milena Vallero

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Una storia di paese

«Nessuno ti ha mai detto che assomigli a Kermit la rana?»
Fabio finse di non sentire. Si accostò un po’ di più al tavolino, come se stare più vicino al televisore potesse allontanarlo dalla voce stridula della sorella.
«No, davvero. Fafi, dico sul serio! Guarda, ce l’ho qui…» Lisa allungò il giornaletto verso il fratello, sventolandoglielo davanti al naso. «Vedi, guarda il collo luuuuuungo. E gli occhi graaaaaandi. Sei uguale, preciso preciso!»
«Ma toglimi ‘sto coso dalla faccia, che mi fai sbagliare!» disse Fabio, spingendo via Lisa con una spallata. Premette in frenetica successione i tasti del joypad, ma non riuscì a evitare che Auditore, ormai al limite della salute disponibile, venisse trafitto da uno sgherro dei Borgia. «Ecco, guarda, mi hai fatto ammazzare!»
«Fabio!» la voce giunse in lontananza ma nitida.
«Cosa, mamma?» sbuffò lui, in attesa che la schermata di gioco si riavviasse.
«Non sarebbe ora di piantarla con quel gioco? È da più di un’ora che sei lì davanti, e poi sai che non mi piacciono quei cosi così violenti» disse lei, comparendo sulla soglia della sala. «C’è un bel sole, fuori. Perché non porti Lisa a fare una passeggiata?»
«Mamma! Che palle!»
«Farò finta di non aver sentito. Tu però vedi di non parlare più così o quella Playstation vola giù dal balcone».
Fabio, sbuffando, spense il televisore, mentre Lisa saltellava per il salotto. «Ma non poteva piovere?» sussurrò il ragazzo.
«Ma di cosa ti lamenti?» disse la mamma, mentre aiutava la figlioletta a infilare la giacca. «Magari potessi uscire io, a crogiolarmi al sole, invece di star qui a stirare!»
Fabio non rispose, si infilò il giubbotto e, mani piantate in tasca e sguardo in basso, uscì dall’appartamento, la sorella alle calcagna.
La giornata, bisognava ammetterlo, era davvero spettacolare. Non c’era una nuvola a deturpare il turchese del cielo. L’aria era fresca ma i raggi solari, con il loro tepore, erano un vero invito a stare all’aperto.
«Mi porti al parco giochi?» disse Lisa.
«Te lo scordi. Andiamo all’oratorio, magari trovo Luca al campo di calcetto».
«Noooooo! Non voglio! Lì ci sono sempre e solo quelli delle medie».
«No, davvero?» ironizzò Fabio.
«Dai, li vedi già tutti i giorni a scuola, non sei stufo?»
«Anche te, ti vedo tutti i giorni a casa. E sono stufo. Ma ti devo portare appresso lo stesso».
«Hai fatto la rima, hai fatto la rima!»
«Sorella, un giorno o l’altro ti strozzo».
In quel momento, un fragore assordante li fece sobbalzare. Lisa cacciò un urlo e lo prese per mano. Un autocarro carico di auto sportive li aveva appena superati a una velocità decisamente superiore al limite consentito.
«Tranquilla, è solo una bisarca».
«Una pisacca?»
«Ma lavati le orecchie ogni tanto! Bi-sar-ca. Si chiama così; lo so perché il papà di Luca le guida per lavoro».
«Sai un sacco di cose, tu. Sei il fratello più suuuuuperfantastico di tuuuutto il mondo».
Era una rompiscatole, ma così carina quando voleva. Ovvio, Fabio non l’avrebbe ammesso neppure sotto tortura.
«Ehi, Fafi, guarda!»
«Solo se la smetti di chiamarmi così. Hai cinque anni, ormai».
«Ok, però dai, guarda lì».
Fabio voltò lo sguardo verso il cortile della casa alla loro sinistra. Sul prato, a pochi passi dal portico, c’erano tre zucche. Erano intagliate, i buchi a formare occhi, naso e bocca; ma erano anche spaccate nella parte alta; dal foro, i semi e la polpa fuoriuscivano, facendole sembrare teste fracassate.
«Che schifo, vero?» disse Lisa, il nasino arricciato per il disgusto. «Però allora Aluin c’è ancora?»
«Si dice Halloween, sciocchina. E no, c’è stato cinque giorni fa».
«E allora perché ci sono ancora le zucche?»
«Che ne so. Ma se staranno lì ancora un po’ marciranno del tutto».
«Gliele buttiamo noi?»
«Stai scherzando, spero».
«Così non marciscono. Mamma dice sempre che dobbiamo aiutare le persone. Aiutiamo quei signori a pulire il prato, no?»
«Sai che vai in prigione se entri a casa degli altri senza che ti abbiano invitato?»
Lisa sbiancò. «Davvero?»
«Eh sì. E poi, comunque, dove le buttiamo?» Fabio si guardò intorno. Da quando il comune aveva attivato la raccolta differenziata porta a porta, non c’erano più bidoni dell’immondizia, salvo sporadici cestini per la carta straccia.
In quel momento, una delle finestre dal piano di sopra si aprì. Si affacciò una signora, che si mise a gridare verso di loro.
«Cosa fate davanti a casa mia? Via, teppisti! Via!»
Fabio prese Lisa per mano e la fece allontanare a passo svelto.
«Fafi, abbiamo fatto qualcosa di male? Andremo in prigione? Non voglio andare in prigione!»
«Tranquilla, quella deve essere mezza matta».
«Chi è mezza matta?» chiese una voce alle loro spalle.
«Luca, ciao» disse Fabio quando vide l’amico. «No, parlavo di una pazza che si è messa a gridarci contro. Ci eravamo fermati davanti a casa sua perché ci sono ancora delle zucche da Halloween, chissà che fastidio le davamo…»
«Ma chi, l’Americana?»
«E che ne so».
«Ma sì, quella casa con il prato e il portico verde».
«Proprio quella».
«Beh, è passato Halloween, normale che ci siano le zucche. E staranno lì ancora un po’, lei non va mai a recuperarle, almeno finché non sono del tutto marcite».
«Come mai?»
«Davvero non conosci la storia?»
Fabio scosse la testa.
«Ma dove vivi, ragazzo mio?»
«Non so se ricordi, ma fino all’anno scorso non abitavo qui… come faccio a sapere tutto di tutti?»
«Hai ragione. Beh, senti, stavi andando all’oratorio? Bene, andiamo, ti racconto per strada» i tre si avviarono, e Luca iniziò il suo racconto.
«Lei è italiana, ma la chiamano l’Americana perché è vissuta negli Stati Uniti per anni….»
«Io lo so cos’è l’America. È un trogolo!» esclamò Lisa, il mento sollevato in un’espressione di orgoglio.
«Eh?» disse Fabio.
«Sì, me lo ha detto papi. È un trogolo, perché ci sono taaaaaante persone, tuuuuuuuutte diverse, bianchi, e neri, e gialli, e verdi…»
«Sì, certo, ci sono gli alieni» rise Luca. «E comunque si dice crogiolo, non trogolo, mica ci sono i maiali!».
«Sì, trogiolo… giusto!» rise Lisa.
«Sei un caso senza speranza… però ora vorrei sentire la storia, se non ti dispiace» disse Fabio, trattenendo una risata.
«Dicevo» riprese Luca, «si erano trasferiti là per il lavoro del marito. Per farla breve, una sera, proprio ad Halloween, l’amato consorte sparisce nel nulla. Puff. Volatilizzato. Nessuno sa che fine abbia fatto. La versione ufficiale finisce qui, ma io conosco un’altra storia. In realtà, il poveraccio non è sparito. L’ha ucciso lei!»
«Davvero?» disse Lisa, stringendo più forte la mano del fratello.
«Sicuro come l’oro. Quella sera, lui stava intagliando le zucche per metterle sulla veranda. Lei è impazzita, non si sa perché. Ha preso una mazza da baseball, il marito ci giocava, sai, e… sbang! Gli ha spaccato la testa. Poi lo ha fatto a pezzettini e lo ha nascosto nel giardino. Da allora, ogni anno ad Halloween il fantasma del marito porta delle zucche fracassate nel suo cortile. Lei si è trasferita qui, sperando che lo spettro la lasciasse in pace. Ma lui l’ha seguita. Per questo non va a prendere le zucche finché non sono marcite del tutto. Ha paura che, se andasse prima, lo spirito del marito ucciso potrebbe prenderla con sé. Forte, vero?»
«Wow!» disse Fabio. «E io che pensavo che questo paese fosse una palla totale».
«Non passiamo più lì davanti, ok Fafi?» sussurrò Lisa. Lui le sorrise, e lei sembrò tranquillizzarsi.
Forte, pensò. Domani voglio andare a dare un’occhiata.

Le zucche erano ancora nel giardino. Del sole del giorno prima non c’era più traccia. Il cielo era un agglomerato color ardesia, come un nefasto presagio di orrori a venire. Fabio e Luca osservavano la casa, sulle cui finestre si specchiava il grigio argenteo delle nuvole.
«Dai, andiamo, che fra un po’ cala il sole» disse Luca. «O pensavi di fermarti a dormire qui?»
«No, no, andiamo…» rispose Fabio, lo sguardo perso sull’erba secca del prato. Quella zucca… ma no.
«Eh, vieni allora. Che aspettiamo?»
«Senti… ma non ti sembra che quella zucca lì, quella a destra…»
«E allora?»
«Non era girata dall’altra parte, quando siamo arrivati?»
Luca gli diede una pacca non esattamente amichevole sulla schiena.
«Non ti facevo così suggestionabile, amico. Ma che dici? Dai, fa un freddo cane, voglio mettere il culo al caldo prima di notte».
«Io…» Fabio spostò lo sguardo. Con la coda dell’occhio percepì un movimento. Qualcuno si era mosso, in casa. La donna, l’Americana, li stava osservando?
«Hai visto?»
«Cosa, per Dio? Lo sapevo, non dovevo raccontarti dell’Americana. Tu ti fai suggestionare troppo. Quasi quasi do ragione a tua mamma, che non voleva comprarti Assassin’s Creed. I puffi, ecco il massimo che puoi sopportare senza andare in paranoia…»
«Piantala, e guarda. C’è qualcuno alla finestra».
«Ma va? E chi vuoi che sia? La pazza, che fra un po’ apre il vetro e ci manda a quel paese. E sinceramente avrebbe anche ragione, siamo qui da mezz’ora…»
Il vetro, come previsto da Luca, si aprì piano. Fabio fece in tempo a vedere chi c’era alla finestra prima che l’amico, tirandolo per una manica, lo facesse allontanare dalla casa.
«Andiamo, visto che si è affacciata? Scommetto che ci avrebbe tirato qualcosa addosso, se fossimo rimasti lì… ehi, Fabio! Cos’è ‘sta faccia? Ti ho mica fatto male?»
«No…» disse lui. Gli arti gli erano diventati come di gommapiuma; la testa era calda e pesante, gli sembrava che il collo potesse piegarsi sotto il suo peso. Il fiato corto, un gusto metallico nella bocca, la salivazione azzerata.
Non esce a prendere le zucche. Ma non perché ha paura…
L’Americana era alla finestra, su questo Luca aveva ragione.
…perché non può.
Ma non era sola.
Dietro le sue spalle tese, dietro i suoi occhi pieni di paura, c’era un’altra persona.
Fabio non riusciva a credere di averlo davvero visto. Non poteva pensare che in un anonimo paese della Pianura Padana potesse davvero verificarsi ciò che di solito si vede solo nei film.
La persona, ben visibile seppur nella penombra del tardo pomeriggio, era un uomo. Era di almeno una spanna più alto dell’Americana; gli occhiali da vista, dalla montatura sottile, erano sghembi sopra il naso e coprivano parzialmente due occhi neri come la pece. Sopra di essi, nulla se non una poltiglia sanguinolenta; il cranio non esisteva più, sostituito da un cratere da cui fuoriuscivano fiotti vermigli e brandelli di cervello. L’uomo teneva un braccio intorno al collo della donna, che non poteva far altro che stare immobile davanti al vetro, rinchiusa in quella prigione che sapeva di zucche marcite.
«Andiamo» sussurrò Fabio. C’era un’altra strada, da casa sua, per arrivare all’oratorio. Decise che, da quel giorno in avanti, avrebbe sempre percorso quella.

Autorizzo Jackie de Ripper all'eventuale pubblicazione su Skan Magazine


Ciao a tutti! Visto l'elemento "zucca", sono stata sul classico che più classico non si può. Spero vi piaccia! Buona giornata! :)
 
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Ceranu
view post Posted on 6/11/2015, 23:03




L'infermiere di notte
di
Francesco Nucera



Diego osservò il bigliettino che teneva in mano, lo accartocciò e lo mise in tasca; sollevò lo sguardo e fissò la targa appesa sulla facciata del palazzo: «Giuseppe Meda» lesse. Spalancò la bocca e sbadigliò; la tensione gli aveva giocato un brutto scherzo e la notte prima non era riuscito a dormire. Sospirò, quello sarebbe stato il San Silvestro più triste della sua vita, persino più triste di quello in cui aveva litigato con i suoi amici e, per ripicca, si era addormentato alle undici di sera abbracciato alla bottiglia di spumante ancora chiusa.
Sollevò l'indice e premette il tasto del citofono affianco alla scritta “Fumagalli”.
«Ziii!» rispose una voce femminile.
«Sono l'infermiere di notte.»
«Guarto piano, zali!» Uno scatto e il portone si aprì.
L'androne era affrescato a tinte sbiadite, un'ampia scala in marmo saliva sulla sua destra, ma dell'ascensore nemmeno l'ombra. Avrebbe dovuto farsi i quattro piani a piedi: quella serata iniziava veramente male. Poggiò il piede sul primo gradini, ma un cigolio metallico alla sua sinistra attirò la sua attenzione; un uomo in completo scuro uscì dall'ascensore, che era nascosta dietro una porta in legno. «Lei è?» chiese questo, storcendo il naso.
Diego abbassò lo sguardo sulle scarpe lucide dell'uomo, poi guardò le sue Adidas e capì perché quello stesse dubitando di lui. «Sono il nuovo badante del signor Fumagalli» rispose, senza alzare lo sguardo.
Le “Oxford” si spostarono lasciandogli il passo libero, l'uomo non disse altro, lo squadrò schifato e se ne andò.
Quando questo fu lontano, Diego bofonchiò un un insulto, entrò nell'ascensore e premette il quattro sul quadro di comando. Uno scossone lo sbilanciò. Poggiò una mano sulla seduta e l'altra sullo specchio e , una volta recuperato l'equilibrio, fissò la sua immagine riflessa e sospirò. Forse doveva iniziare a vestirsi come quel “Manichino” che aveva appena incontrato; per il primo giorno di lavoro si era tagliato i capelli e aveva indossato la sua maglietta migliore, ma probabilmente a quarant'anni non ci si può sentire eleganti con la felpa del “Milanese Imbruttito”. Un altro scossone lo avvisò che era arrivato al piano; mise la mano alla maniglia, ma la porta non si aprì. Ci provò un'altra volta, ma non ebbe successo.
«E che cazzo, apriti!» imprecò sferrandogli due pugni. La porta si spalancò e Diego si trovò davanti due grossi seni malcelati sotto una maglietta bianca. Alzò lo sguardo e intravide degli occhi celesti che lo fissavano.
«Ezzere nuofo infermiere?» chiese la donna, che non gli permetteva di vedere l'esterno.
«Ja!»
La donna socchiuse gli occhi. «Zimpatico» disse, allargando le labbra sottili. «Tu ora zegue me, poi io fetere ze te diverte ankora tomani mattina». Sì voltò e gli fece strada.
Appena fuori dall'ascensore, Diego capì perché la porta non si apriva. Non era arrivata a un pianerottolo, ma direttamente nel disimpegno dell'appartamento. C'erano due poltrone di pelle, un portaombrelli e sui muri delle litografie della “Milano perduta”.
«Zegve me, pikkolo Vuomo!»
Diego si scosse, era la prima volta che entrava in una casa tanto ricca; lui era abituato ai micro appartamenti della periferia, dove avere la porta d'ingresso senza adesivi che testimoniavano Geova, intagli zingaresci o segni d'effrazione, ti elevava a un rango superiore.
«Kvesto essere incresso di zervizio.» disse la donna, imboccando un corridoio. Con le spalle lambiva le pareti e la testa testa sfiorava le lampadine. «Piccola porta a destra essere ingresso a zona ciorno, ma tu non può antare di lì.» La donna si voltò e lo fulminò con lo sguardo. «Tu ha capito?»
«Sì signore!» Diego batté i tacchi e portò la mano alla fronte.
Lei inspirò profondamente; i seni le si sollevarono fin sopra la fronte di lui che, per un attimo, rivide le mille immagini ignorate su You Porn alla voce “BBW”.
«Kvi invece ezerci stanza di altro piccolo uomo, lui controlla te kon monitor e telecamere.»
«Che culo!»
La donna si voltò di colpo e abbassò la fronte al livello di quella di Diego. «Tu non dice parlaccie con avvocato Fumacalli! Lui molto educato con te, molto buono, ma se dice parolaccia lui andare fuori di testa. Capito?»
La mole della donna sarebbe bastata a convincerlo, ma il pollice che lei si fece correre sotto il mento rimarcò il messaggio.
«Ecco invece tua stanza. Qui tu riposa e crogiolo con orecchio teso a monitor.»
La donna aprì una porta e si scostò. Diego abbasso la testa e piegò le ginocchia, passò sotto le mammelle di lei ed entrò.
Definire quello uno sgabuzzino era riduttivo; c'era una branda, un lavandino con annesso water e una scrivania su cui avevano appoggiato un piccolo schermo che proiettava l'immagine di un anziano sdraiato su un letto a baldacchino. Diego deglutì rumorosamente, storse il naso e si girò verso la donna. «È qui che tenete i prigionieri?» chiese, storcendo il naso.
Lei abbozzò un sorriso. «Zolo quelli buoni, celle zono da altra parte.»
Diego cercò di capire se stesse scherzando, ma la donna non mutò espressione.
«Antiamo, prezenta Fumacalli e poi antare a festa.»
«Come “antare a festa?”»
«Certo, io finisce turno dieci minuti fa, a diciotto. Ora tuo turno. Io spiega te due cose e antare.»
«E mi lasci solo?»
«No, con piccolo uomo dei monitor.»
«Quindi se ho problemi chiedo a lui?»
«No, lui no infermiere. Lui cuoco che guardiana; se tu sbaglia lui dice a figli di padrone, se tu ruba lui chiama polizia, se tu uccide lui uccide te.»
Diego scoppiò a ridere, ma vedendo il volto contrito di lei si bloccò. «Stavi scherzando, vero?»
«Tu vuoi scopre?»
Dopo un lungo silenzio, lei iniziò a elencare nomi di farmaci e a spiegargli come trattare l'avvocato Fumagalli, ma la mente di Diego continuava a ripetere la stessa domanda: “Ma chi me l'ha fatto fare”. L'idea che quella sera i suoi amici si sarebbero divertiti lo mandava in bestia.
«Ora ti presenta il padrone. Tu sta calmo e aspetta un passo dietro me.»
Finalmente il tour era giunto al termine. La donna aprì la porta e fece un passo nella stanza padronale. Timoroso, Diego la seguì.
Oltre al letto a baldacchino, circondato da tappeti spugnosi, nella stanza c'era una serie di mobili antichi. Le pareti erano foderate con una tappezzeria anni '60 e non c'era il televisore. L'unica tecnologia che aveva varcato quella porta era rappresentata dalle telecamere e da un Daikin che doveva valere quanto la vecchia Punto di Diego.
«Zignore, lui è nuovo infermiere di notte. Il zinior…» La donna, china sull'anziano, rimase con il braccio teso a sollecitare le presentazioni.
«Diego» si affretto a dire.
Fumagalli inclinò il capo, socchiuse gli occhi e aprì la bocca. «Diego? È un nome spagnolo!»
«Sì signore, ma io sono di Milano.»
L'anziano abbozzò un sorriso. «Già, ormai lo siamo tutti. Di dove sono i tuoi?» chiese con modi garbati.
«Mio padre è di Cremona, mia madre bresciana.»
«Bene!» si limitò a dire il vecchio, che poi abbassò la voce e tornò a rivolgersi alla badante.
Diego non riusciva a togliergli gli occhi di dosso; Fumagalli sembrava un ramoscello rinsecchito. Le poche parti del corpo scoperte erano attraversate da vene bluastre, la pelle sembra una pellicola trasparente, gli occhi erano appannati e per respirare gonfiava in maniera spropositata la cassa toracica. Era preoccupato, quell'uomo non sembrava attrezzato per superare la notte. Un ringhio soffuso lo strappo dalle sue riflessioni. Incuriosito, distolse lo sguardo dal vecchio, che sembrava scambiare effusioni con la badante, e si chinò certo che il verso provenisse da sotto il letto. Portò la mano alla coperte e la sollevò; un “canetopo”, di nemmeno due spanne di lunghezza, uscì allo scoperto e iniziò a cinguettargli contro. Diego ritrasse la mano e fece due passi all'indietro.
«Piccolo Blondi, ezzere venuto a zalutare la mamma?» la badante raccolse l'animale che occupava poco più del suo palmo e iniziò a carezzarlo; il canetopo scodinzolò e iniziò a leccarle le dita.
«No ha paura, piccolo vuomo. Blondi essere cane affettuoso.» La donna lo appoggiò sul letto.
«Vieni a carezzarlo, è meglio che facciate conoscenza subito» lo invitò l'anziano.
Diego si sistemò la giacca e avanzò sicuro. Raggiunse il ciglio del letto e allungò la mano. Il canetopo, che aveva iniziato a leccare la faccia del suo padrone, si acquattò sulle zampe davanti e ricominciò ringhiare.
«Pello Blondi, non ti piace piccolo vuomo?»
Diego ci riprovò, e questa volta l'animale, bloccato sul materasso dalla presa della donna, si fece carezzare.
«Pene, ora voi amici e avvocato kontento di kvesto, qvindi io potere andare. Ci vedere domani di mattina alle zette, io viene con cornetto per te e zucca per piccolo Vuomo di monitor.» La badante carezzò la guancia dell'avvocato e si incamminò verso l'uscita; arrivata alla porta si bloccò. «Piccolo Tiego, qvesta sera alle ticianove figlia di Avvocato Fumagalli passare a vedere come sta. Tu porta qui senza tire niente a lui, poi fare antare via. Lui non vuole scocciatrice anche occi.» Il tono piccato della donna e l'espressione severa dell'uomo, fecero sì che Diego non facesse domande. Gli avevano detto cosa fare e lui avrebbe obbedito.
«Non vuoi toglierti la giacca?» chiese l'anziano a Diego, appena la badante uscì dalla stanza.
«Certo, signore!»
«Chiamami Benito, ma non spogliarti qui. Va nella tua stanza, ti chiamerò se avrò bisogno di te, altrimenti ci vediamo per la terapia della notte.»
Nonostante l'aspetto poco florido, l'anziano aveva una voce vigorosa, molto più di quanto si potesse immaginare. Diego chinò il capo in segno di riverenza e si congedò, sotto lo sguardo attento del canetopo che sembrava non essere ancora convinto della loro amicizia.

Sdraiato sul letto, Diego fissava il soffitto e si interrogava su quanto potesse essere stupido. Un conto era fare il badante, un altro era fingersi un infermiere. L'idea era venuta Carlo, il suo amico dell'agenzia interinale. «Tranquillo, vai lì e ti prendi trecento euro a notte» gli aveva detto.
Con una prospettiva simile, Diego non si era più fatto scrupoli; in fondo era vero che aveva frequentato scienze infermieristiche, magari era un po' meno vero che si era laureato, ma qualcosa se la ricordava e badare a un vecchio non doveva essere poi così difficile.
Il cellulare, appoggiato sul materasso, vibrò; lo impugnò, lesse la prima notifica e sorrise. Il gruppo WhatsApp “D&D - Deficienti & Dannati” si stava animando.
Paolo:
RAGAZZI, È ARRIVATO IL GRANDE GIORNO!
Andre:
FINALMENTE TROMBI?
Paolo:
SIMPATICO!
SCHERZI A PARTE, È ARRIVATO IL GIORNO NEFASTO: GLI ZOMBIE SONO TRA DI NOI.
Filippo:
GUARDA CHE TUA MADRE ARRIVA IL 6 GENNAIO.
Tu:
QUINDI DI TROMBARE NON SE NE PARLA NEMMENO QUAST'ANNO?
Paolo:
NON È UNO SCHERZO, NE STANNO PARLANDO TUTTI I TG!
Filippo:
IL MESE SCORSO ERO CERTO STESSERO PARLANDO ANCHE DI TUA MADRE!
Paolo:
FILIPPO, HAI QUASI QUARANT'ANNI, QUANDO TI DECIDI A CRESCERE?
Filippo:
È LA STESSA COSA CHE DICE TUA MADRE PARLANDO CON IL MIO "IO"!
Andre:
CAZZO, PAOLO HA RAGIONE, NE STANNO PARLANDO VERAMENTE!

Sorridente, Diego stava per rispondere ancora, ma un campanello si mise a trillare. Guardò il monitor poggiato sulla scrivania; era il vecchio che aveva bisogno di lui. Prima di uscire prese in il cellulare e scrisse un altro messaggio.
Tu:
SCUSATE RAGAZZI, MA IL MIO ZOMBIE PERSONALE MI RECLAMA. CI SENTIAMO DOPO.

Mise il telefonino in tasca e corse nell'altra stanza. «Mi dica avvocato Fumagalli.»
L'anziano lo fissò qualche secondo, si portò la mano alla bocca e tossì. «Tu non indossi il camice?» chiese quando riuscì a riprendere fiato.
Imbarazzato, Diego abbassò la testa e guardò la scritta sulla sua felpa: CHE SBATTA… Effettivamente non era il modo più professionale per presentarsi. «No sa, è che ho appena smontato in ospedale, e non sono riuscito a passare a casa» si inventò al volo.
«Strano, avevo capito che non lavoravi, ma la mia mente mi gioca brutti scherzi ultimamente, forse lo sapevo. Dimmi, dove lavori?»
Non ci voleva quell'interrogatorio, prima o poi avrebbe sbagliato qualche risposta e l'avrebbero scoperto. «Humanitas.»
«Bene, io sono in cura lì da dieci anni. In che reparto?»
“Cazzo” imprecò nella sua mente. Che gli poteva dire, sicuramente non oncologia, c'erano altissime probabilità che lui avesse un tumore. Un'idea brillante lo folgorò: «Ginecologia» scandì con la stessa enfasi che avrebbe usato un pokerista dichiarando una scala reale.
«Quindi conoscerà il dottor Invernizi? Brav'uomo, ha seguito mia moglie fino all'ultimo.»
«Certo che lo conosco, ma ora mi dica, come posso esserle utile?» provò a cambiare argomento.
«Sì, ha ragione. Potresti aiutarmi a mettermi sulla carrozzina?»
«Certo avvocato. Non è più comodo a letto?»
«Non è per quello. Da qualche giorno fatico a respirare e seduto sto meglio.»
Certezza che sarebbe riuscito a portare a termine il primo incarico, Diego afferrò le manopole della sedia e andò verso l'anziano ma, a pochi passi dalla meta, un'ombra bianca sbucò da sotto il letto. Diego cercò di schivare il canetopo, ma non ci riuscì; spostò tutto il suo peso sulla gamba destra, ma il povero animale finì proprio sotto il suo piede. Blondi spalancò il muso ed emise un latrato simile al rumore delle paperelle di gomma. Diego, nel tentativo di pararsi il viso dall'imminente impatto col pavimento, perse il contatto con la sedia che partì in direzione del vecchio. Picchiò lo zigomo a terra, e per un attimo divenne tutto nero. Annaspando si sollevò, la prima cosa a cui pensò furono le telecamere di sicurezza, poteva solo sperare che chiunque le stesse guardando fosse distratto in quel momento. Si sollevò e tirò un sospiro di sollievo: la sedia a rotelle si era fermata contro il comodino, ma non aveva urtato nulle e il canetopo, acquattato in un angolo, continuava a ringhiargli contro. Era tutto normale.
«Mi scusi, sono mortificato!»
«Blondi è un cane vivace e coraggioso, sono certo fosse un pastore tedesco in un'altra vita» disse l'avvocato Fumagalli.
Diego sollevò di peso l'anziano e lo adagiò sulla sedia. «Dove la porto?» gli chiese.
«Lasciami vicino alla finestra e torna nella tua stanza. Tra poco arriverà mia figlia.»
Senza dire più nulla obbedì e si congedò.
Rientrato in stanza imprecò contro la sua goffaggine, non era riuscito a fare nemmeno quella manovra semplice. Si sdraiò sul letto e ricominciò a fissare il soffitto. La sua tasca continuava a vibrare, ma non riprese in mano lo smartphone, era troppo impegnato a pregare che non succedesse nulla; chiuse gli occhi e provò a rilassarsi. Non era la prima volta che affrontava allo sbaraglio un lavoro nuovo, ce l'avrebbe fatta… ce l'avrebbe fatta… ce l'avrebbe…

Un suono insistente invase la stanza. Diego spalancò gli occhi, boccheggiò e cercò di raccogliere le idee. Non era a casa sua: quello non era il suo letto. Non era nemmeno da un amico. «Sono dal vecchio!» disse mettendosi a sedere sulla branda. Si voltò e guardò il monitor per controllare come stesse. Il baldacchino era vuoto. Il cuore di Diego mancò un battito ma, in un barlume di lucidità, ricordò di averlo messo sulla sedia; peccato che anche quella fosse vuota. Lo cercò in ogni angolo ma, gli occhi impastati dal sonno, le immagini in bianco e nero e quel suono incessante non lo stavano aiutando. Finalmente intravide l'avvocato che arrancava a terra. Certo non doveva stare benissimo, ma almeno era vivo; ora Diego doveva capire da dove provenisse quel trillo. Era differente dal primo che aveva sentito, questo era più simile a un campanello. Sgranò gli occhi e guardò l'orologio che aveva al polso: erano le diciannove e trenta.
«Cazzo, la figlia» urlò. Si portò la mano alla fronte e la strofinò. E ora che avrebbe fatto?
Uscì dalla stanza e guardò il corridoio nelle due direzioni. Andare a raccogliere il vecchio o ricevere la figlia. Un sorriso gli si stampò in faccia. A passo svelto corse verso la porta di servizio. Con la sinistra afferrò la maniglia e con l'altra mano si arruffò i capelli. Inspirò profondamente e aprì di scatto.
«Scusi l'attesa, ma stavo sistemando l'avvocato Fumagalli. Anzi, devo tornare di corsa da lui, non ho fatto in tempo ad assicurarlo alla sedia e non vorrei che cadesse.» disse tutto d'un fiato, senza nemmeno guardare in faccia chi aveva davanti.
«A, bene. Vedo che LEI oggi non c'è.»
«Se si riferisce alla…» Cazzo, non sapeva nemmeno il suo nome. «Badante, lei è uscita da poco.»
«L'arpia vorrà dire! Quella sgualdrina punta ai soldi di papà, ma non mi frega!»
«Mi scusi, non lo sapevo.» Affannato, Diego raggiunse la porta della camera da letto; si bloccò e si preparò a mostrare l'espressione più stupita e preoccupata che potesse avere. «Se non le dispiace entrerei prima io per finire di sistemarlo» disse, aprendo la porta.
«Sì, mi dispiace!» La donna, alta all'incirca come lui, lo urtò con una spallata ed entrò nella stanza.
Diego barcollò all'indietro, non si aspettava che in quel corpo minuto potesse esserci tanta forza; allungò il braccio e si aggrappo allo stipite per non cadere. Serrò gli occhi, pronto a sentire la donna urlare, invece tutto tacque. Piano piano aprì le palpebre, si piegò in avanti e infilò la testa nella stanza. Dallo stomacò gli risalirono gli acidi lattici, una morsa gli bloccò la gola e la mascella divenne pesante. L'avvocato Fumagalli, seduto a terra nell'angolo opposto della stanza, stava masticando avidamente delle interiora. Parte di esse erano finite sui suoi vestiti e le restanti penzolavano dal corpo inerte di Blondi. Il primo pensiero di Diego corse al messaggio di Paolo. Quello era uno zombie. Il suo primo giorno di lavoro da badante aveva trasformato il suo assistito. Si voltò pronto a fuggire, ma all'assurdo non c'è mai limite.
«Che bello vederlo così!» disse la figlia coprendosi le labbra con le dita.
Diego sgranò gli occhi; possibile che la donna non si era accorta di cosa stesse mangiando il padre.
«Ehm, signora, dovremmo lasciar finire il pasto all'avvocato. Sa, è raro vederlo mangiare.»
La donna si voltò e lo fulminò con lo sguardo: «Lo so bene; sono pur sempre la figlia io!»
«Mi ha frainteso, si vede che lei tiene molto a suo padre, e per questo dovremmo andarcene.» Diego non sapeva come uscire da quella situazione, ma se quella si fosse tolta dalle scatole avrebbe guadagnato un po' di tempo. Mentre le parlava lanciava occhiate preoccupate al vecchio; quel boccone l'avrebbe tenuto impegnato ancora per poco.
«Frainteso o meno, poco cambia. Questa è anche casa mia, quindi do un bacio mio padre e me ne vado.»
«Veramente non credo sia il caso.» Diego si allungò e l'afferrò per un braccio.
«Non si azzardi!» protestò lei.
Le urla scossero l'avvocato. La carcassa del canetopo cadde a terra e il “Fumazombie” si sollevò, si voltò verso di loro e li osservò con uno sguardo vuoto.
«Ahh!» sussultò la donna, vedendo il padre avanzare verso di lei.
«Dobbiamo scappare.» Diego la strattonò.
«Mi lasci stare lei. Questo è un miracolo: mio padre cammina.» Lei si liberò dalla stretta al braccio e corse verso il genitore. La reazione di Diego fu l'opposta; assodato che la figlia non sarebbe fuggita decise che era arrivato il momento di darsela a gambe. Corse fuori dalla stanza, chiuse la porta e ci si appoggiò contro. Le urla della donna rimbombarono nel corridoio.
Diego estrasse il cellulare e compose il numero di Carlo; aveva bisogno di lui, aveva bisogno di una mano. Fortunatamente l'amico rispose al terzo squillo.
«Unità operativa; comunica.»
«Carlo, sono nella merda. Il vecchio si è trasformato in zombie e ora si sta mangiando la figlia.»
«Bene cellula dormiente. Comunica la tua posizione, mando una squadra a recuperarti!»
«Carlo, ma che cazzo stai dicendo? Recuperarmi, squadra, ma chi credi di essere? Dimmi solo cosa sta succedendo.»
«Cellula dormiente, ti prego di adeguare i toni. Io sono il vostro comandante e l'emergenza zombie, in base all'accordo Girsa20/06/2000, mi da diritto di vita e di morte su di voi.»
«Cazzo, ma quello era un gioco di ruolo.»
«Hai voglia di discutere o vuoi una mano? Dammi la tua posizione.»
«Sono in via Meda al diciotto, quarto piano, famiglia Fumagalli.»
«Ricevuto. Il nostro uomo sarà da te tra dieci minuti. Fatti trovare in strada.»
«Chi cazzo è il nostro uomo?»
«Bisarca
«Chi?»
«Andrea, ha appena smontato in rimessa. Ora chiudo, ci sono altri D&D che hanno bisogno di me.»
La comunicazione si interruppe, ma Diego rimase immobile con il cellulare poggiato all'orecchio. Non riusciva a capire se fosse stata più strana la chiamata o quello che aveva visto nella stanza. Il cuore gli batteva forte in petto e aveva tanta voglia di svegliarsi da quell'incubo. Serrò gli occhi, le lacrime gli bagnarono gli zigomi. La casa era tornata silenziosa, troppo per i suoi gusti. Ripensò alla frase che tanto piaceva a suo padre: “Il silenzio è il modo migliore per morire dentro”. Sapeva che lui intendeva altro, ma quel momento gli sembrava calzasse a pennello.
Si riscosse; doveva recuperare le sue cose e fuggire, ma con che coraggio poteva lasciarsi tutto alle spalle. Un rumore nel corridoio attirò la sua attenzione e le parole della nazibadante tornarono prepotenti: “Se tu uccide, lui uccide te.” il cuoco era ancora nella sua stanza, perché non si era fatto vivo? Che si fosse trasformato anche lui?
Si alzò e, un passo dopo l'altro, avanzò cauto fino alla stanza in cui doveva esserci l'uomo. Poggiò l'orecchio alla porta; all'interno c'era qualcuno che ansimava. Carezzò l'idea di tirare dritto e fuggire, ma non poteva scappare e lasciarlo lì. Sollevò il pugno e lo picchio contro la porta.
«Arrivo» rispose una voce squillante.
Diego portò la mano alla testa e iniziò a grattarsi; cosa poteva dirgli?
La porta si aprì e sbucò il volto baffuto di un ragazzo orientale. «Tu sei quello nuovo?» chiese con l'inflessione bergamasca.
«Abbiamo un problema» disse Diego.
«Vorrai dire che tu hai un problema. Io faccio il cuoco, sono di riposo fino alla colazione.»
«Il vecchio è morto.»
«Pace all'anima sua.»
«Anche la figlia è morta.»
«Risparmieranno sui funerali.»
«Anche Blondi.»
«Peccato, lei era simpatica.»
«E non mi chiedi com'è andata?»
«Ho visto tutto.» Il cuoco si spostò. Dietro di lui c'erano tre monitor che occupavano una parete intera. Due trasmettevano le immagini della casa e il terzo era bloccato sul volto di una ragazza sporca di sperma. Diego distolse lo sguardo, ma quello che vide dopo lo lasciò ancora più di stucco. Sul pavimento, ai piedi del letto, c'erano delle frattaglie gialle. Si chinò leggermente in avanti e vide la metà superiore di una zucca appoggiata su una sedia; non aveva più il pistillo, ma un foro circolare di qualche centimetro di diametro. Sgranò gli occhi e scosse la testa. «Ti stavi masturbando con la zucca?»
«Sì.» rispose asciutto il cuoco.
«Mentre il vecchio mangiava la figlia?»
«No, ho cambiato inquadratura.»
«Ho capito, ma non hai paura?»
«Hai altre domande da fare? Io avrei degli impegni.»
«No!»
«Allora buona serata, io torno alle mie cose.»
«E il vecchio?»
«Ci penserà domani Magda. Tu vattene.»

Mentre correva giù dalle scale, Diego ripensò a quello che si stava lasciando dietro. Doveva essere tutto uno schifoso sogno, il frutto di una fantasia malata che stava prendendo il sopravvento. Arrivò nell'androne e il portone davanti a lui si spalancò. L'uomo Manichino, che aveva incrociato qualche ora prima, stava rincasando con in mano un sacchetto.
«Già finito?» chiese il Manichino, inarcando il labbro superiore.
«Sì» rispose Diego abbassando lo sguardo.
«Immaginavo che uno come te non potesse reggere.»
«Uno come me?»
«Certo. Ma ti sei visto? Avrai la mia età e ti vesti ancora come un ragazzino.»
«Il silenzio è il modo migliore per morire dentro» sussurrò Diego.
«Scusa?» Il Manichino si piegò leggermente in avanti.
Fu istinto, forse rabbia, o semplicemente per la prima volta Diego capì cosa intendesse veramente suo padre. Alzò lo sguardo, sorrise, serrò i pugni e si scagliò contro il Manichino.

Quando la macchina di Andrea accostò al ciglio della strada, Diego uscì di corsa dal portone. Gli schiamazzi dei primi festeggiamenti coprivano ogni rumore, ma facendo attenzione si potevano sentire le urla di terrore di chi aveva scoperto che il mondo stava cambiando. Si sedette dietro l'amico e si massaggiò il pugno indolenzito. «Andiamo al quartier generale» disse sorridendo. Abbassò lo sguardo e fissò le sue “Oxford” nuove; gli andavano un po' strette, ma con il tempo si sarebbe abituato anche a quelle.

Edited by Ceranu - 6/11/2015, 23:30
 
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