| UN UOMO BUONO di Laura Palmoni
Giorgio non riusciva ancora a comprendere il motivo che lo aveva guidato fin lì. La solitudine, certo, o il ricordo di un tempo che non sarebbe più tornato, ad ogni modo era arrivato a destinazione. Scorse l'edificio in lontananza, isolato, circondato da alberi molto più alti di quando vi giocava da bambino. Gli sembrò quasi di sentire l'eco delle risate e la voce di suo padre che lo chiamava per tornare a casa. A quei tempi c'erano solo terra e sassi, invece ora la strada era asfaltata e un tappeto d'erba bruciata dal freddo scricchiolava sotto gli scarponi da montagna, unico suono in quel posto lontano dal caotico centro di Bologna. Non vedeva l'amico da anni ed era anche molto tempo che non viaggiava da solo. Si sentiva stanco, svogliato e insicuro, aveva quasi paura ad uscire di casa e l'ospizio del Sacro Cuore era ormai l'unica, inevitabile alternativa ad una morte lenta e solitaria. Raggiunse la casa a fatica. Il fumo usciva dal comignolo, richiamo invitante in quel pomeriggio gelido. Avvicinò il dito al campanello ma lo bloccò una sottile paura e si strinse nel cappotto nero. E se non avesse trovato ciò che cercava? Ebbe un presentimento, come se quel soffio di aria glaciale si abbattesse su di lui per ammonirlo, per salvarlo dall'ennesima illusione. Era stato un azzardo arrivare fin lì senza avvertire, ma sarebbe stata l'ultima follia di una vita tutto sommato piacevole. Cosa avrebbe trovato oltre quella porta? Ritrasse la mano, cacciò i pugni nella tasca. Il vento continuava ad infierire contro la pelle arrossata e attraversata da rughe profonde, facendogli lacrimare gli occhi. Occhi di un verde così intenso da far battere il cuore, le aveva detto un tempo sua moglie Carla, bellissima e di una dolcezza rara, che lo aveva lasciato ormai da due anni. Rimase indeciso sul da farsi per parecchi minuti. Sentiva il rombo di qualche auto lontana, ignara della tempesta che si agitava dentro di lui. Poi la porta si aprì. S'impaurì e fece un balzo indietro, altrettanto fece la signora minuta sull'uscio, mentre si portava una mano al petto e poi alla bocca, per reprimere un grido. «Si calmi, signora» cercò di tranquillizzarla l'uomo, sorridendo mestamente. Fece un mezzo inchino. «Mi scusi se l'ho spaventata, stavo appunto suonando il campanello.» «Lei chi è?» Chiese l'anziana donna, tentando di recuperare il controllo. «Mi chiamo Giorgio Anselmi, io... Stavo cercando un mio vecchio amico, Corrado Alfieri. Non ci vediamo da parecchio tempo, ma ho trovato il suo nome sull'elenco e ho pensato che abitasse ancora qui. Lei è sua moglie?» La donna annuì, tentò di sorridere. Giorgio provò una stretta al cuore. Aveva un sorriso meraviglioso, ne fu subito incantato. Poteva avere circa settant'anni, era piccola e ben vestita, con i capelli color argento e due grandi occhi marroni e svegli, nascosti da un paio di occhiali tondi che le davano l'aspetto di una ragazzina. «Sì, sono sua moglie, ma... Corrado non è qui» rispose, rompendo l'atmosfera magica che si era creata intorno a loro. «Pensa che rientrerà tardi? Sono capitato a Bologna per trovare alcuni parenti, volevo salutarlo. Ma se disturbo...» La donna esitava, sembrava combattuta. Poi aprì di più la porta e indietreggiò di qualche passo. «Entri, la prego» sussurrò «fuori è freddo, siamo a dicembre.» Giorgio abbozzò un sorriso e ringraziò. Il cambiamento di temperatura era notevole. La casa era piccola ma accogliente e si apriva su un caldo soggiorno dalle mura verniciate di bianco. Pochi quadri alle pareti, un soffitto che sarebbe stato da tinteggiare, l'ampio caminetto che crepitava, sprigionando scintille e creando una piacevole atmosfera. Tentò di riconoscere almeno qualcosa di quella che era stata la vecchia casa di un tempo, ma i ricordi erano troppo sbiaditi e di sicuro l'abitazione era stata ristrutturata negli anni. «Si accomodi.» Lo invitò la donna. «Non vorrei infastidirla, magari ha altri impegni, sono capitato all'improvviso...» «Nessun fastidio, sono appena tornata dal lavoro, nulla di che, sa... Di questi tempi nessuno ha lavoro da offrire ad una vecchia signora.» Giorgio si sedette ma si rialzò subito quando la padrona di casa gli porse la mano per presentarsi. «Mi chiamo Eliana.» «Giorgio» ripeté l'uomo. «E' arrivato qui in macchina? Se l'ha lasciata in strada può portala qui in cortile.» «No, sono arrivato in Taxi, dalla stazione centrale. Alla mia età non me la sento più di guidare e due ore di viaggio sono piuttosto lunghe.» «E da dove viene?» «Mantova. Bagnolo San Vito. » La donnina sorrise. Lo fissò per qualche minuto. «Ah sì, che sciocca, sto qui a far domande dimenticando le buone maniere. Le preparo una buona tazza di tè!» «Ma no, signora, lasci stare...» «E dei pasticcini fatti da me! Non può rifiutarsi, sono una persona molto suscettibile!» Giorgio sorrise. Si sentiva un po' fuori luogo, sembrava quasi l'avesse obbligata ad accoglierlo in casa e non era quella l'intenzione. «Va bene, accetto volentieri.» Disse, soltanto. Quella donnina aggraziata lo aveva conquistato. Forse perché da tanto tempo più nessuno era stato così gentile con lui. Era felice, ma allo stesso tempo aveva paura di fare qualcosa di sbagliato. Gli sembrava poco educato starsene lì a parlare con la moglie del suo amico. Non sapeva nulla di Corrado, che carattere avesse, se fosse geloso. Si rassicurò subito, però. In fondo non stava facendo nulla di male.
Affondato in una poltrona davanti al caminetto, in un salotto ampio e luminoso, Giorgio si liberò a poco a poco dal disagio che gli stringeva lo stomaco. Complice il tè e i pasticcini della signora Eliana, il suo dolce sorriso, la sua voce delicata. Fu un momento molto intimo, spezzato solo dalla triste notizia della morte dell'amico, poco più di un anno prima. «Se n'è andato» esclamò la signora, con la voce rotta dal pianto. Giorgio sospirò. Non osò chiedere altro, per pudore, per dolore. «Vi conoscevate da molto tempo?» «Corrado non le ha mai parlato di me?» Chiese l'uomo con dolcezza. «Forse» disse lei, dopo un attimo di riflessione, mentre tirava su gli occhiali tondi. «Negli ultimi tempi la mia memoria fa brutti scherzi.» « Anche la mia» ribatté l'uomo, tristemente. «Mi diceva che è venuto a Bologna a cercare dei parenti.» Giorgio si aggiustò meglio sulla poltrona e tossicchiò, in lieve imbarazzo. «In realtà no, le ho detto una piccola bugia. Non ho parenti a Bologna. Se vogliamo dirla tutta, non ho più nessuno. Io e mia moglie non abbiamo avuto figli e alla nostra età è difficile avere amici, chi non è già morto ha ormai la sua vita.» «Quanti anni ha?» «Settantasette... Ma la prego, Eliana, non continui a darmi del lei, mi fa sentire ancora più vecchio.» Lei sorrise, mostrando una dentatura perfetta. «Solo se anche lei inizia a darmi del tu.» Giorgio annuì. «Sono felice di averti conosciuta, Eliana.» Tanto felice che non avrebbe più voluto andarsene. Ma avevano chiacchierato per due ore, fuori era già buio, ancora un po' e avrebbe dovuto lasciarla. Il solo pensiero gli spezzava il cuore. E intanto continuava a parlare, a farle domande, per ritardare l'attimo in cui avrebbe dovuto separarsi da lei. Chissà se sarebbe riuscito a chiederle di rivederlo! E se lei avesse accettato... «Ti va di restare a cena?» Chiese la donna all'improvviso. Giorgio comprese in quell'istante che era tempo di lasciarsi alle spalle ricordi e paure. La solitudine si era fatta strada dentro di lui devastandogli il cuore da quando sua moglie era morta. E gli era venuto in mente Corrado. Il suo caro amico, fedele compagno di lunghe corse, di estati interminabili a rincorrere pecore, mangiare croste di pane secco e bere latte appena munto. Un'infanzia, un'adolescenza perdute per sempre. E visto che il passato era passato e la vita si accorciava ogni giorno di più, perché non cogliere gli ultimi frutti che essa offriva? «Non vorrei darti disturbo.» «Nessun disturbo» si affrettò a dire la donna. Gli sfiorò timidamente la mano mentre le brillavano gli occhi dietro le spesse lenti. «Sono sempre sola, mi fa piacere parlare con qualcuno.»
Giorgio passò ore piacevolissime, non si era mai sentito così bene. Una zuppa di carne deliziosa, un arrosto da favola, tenero e saporito come non ne aveva mai mangiati, e il profumo di quei biscotti lo avevano fatto tornare indietro nel tempo, ricordandogli sua madre, quando cucinava per le feste e sfornava dolci e pietanze che non mangiavano gli altri giorni. Parlarono di tante cose, soprattutto del passato, dei loro amori di gioventù, dei sogni, delle delusioni e della solitudine. A Giorgio sembrava di conoscere quella donna da una vita. Da tanto tempo non si sentiva così bene, così vivo, gli pareva di essere tornato giovane. «Eravamo cinque sorelle, io ero la più piccola. Ricordo che eravamo felici e che quando mi sono sposata avevo tanti progetti. Abbiamo avuto un figlio che ora si è trasferito in Inghilterra. Ho un nipote» sorrise. «Gli sono molto legata ma lo vedo poco, ha la sua vita ormai.» Istintivamente, Giorgio le prese le mani tra le sue. Erano calde, invitanti. «Corrado era un uomo all'antica, con la sua educazione rigida. Aveva i suoi difetti, ma in fondo era un uomo tanto buono.» «Eravamo molto amici, poi ci siamo persi di vista.» «Immagino che abbiate condiviso tante cose insieme.» «L'infanzia, soprattutto. I nostri genitori erano vicini di casa, portavamo le pecore al pascolo, dopo il servizio di leva la mia famiglia si è trasferita su al nord. Per qualche mese ci siamo scritti, poi mi sono fidanzato, sai come vanno queste cose. Ci si perde, senza un reale motivo.» «Poi ti sei sposato.» «Sì. Il lavoro, la vita in due, tutto all'inizio è così magico, ti senti invulnerabile. Pensi che non finirà mai, invece...» Giorgio finì di bere la sua tisana. Lei gli sorrideva comprensiva. «Beh, mi sembra che tu goda di ottima salute!» Fece notare lei, attenta. «Non posso lamentarmi. Ma gli anni passano comunque e gli acciacchi aumentano.» «Molto dipende dall'alimentazione, da quello che mangiamo. Non c'è da stare tranquilli» disse lei, sospirando. «Mio padre aveva una fattoria, avevamo maiali, galline, conigli. Mangiare la carne che allevi e lavori tu stesso offre molte garanzie di salute. Insomma, sai quello che mangi, è come per l'orto, la frutta.» Giorgio sorrise. «Per questo sei così brava a cucinare?» «Oh, beh... Quello è stata mia mamma ad insegnarmelo, mio padre non sapeva neanche metter su una tisana! Ma dimmi, Giorgio» chiese la donna, incuriosita. «Come mai dopo tanto tempo hai deciso di cercare Corrado?» «Per una lettera» prese il portafogli dalla tasca, lo aprì e ne estrasse un foglio ingiallito dal tempo. «Mia moglie era di Modena, così dopo sposato mi sono trasferito con lei nella casa dei suoi genitori. Mentre stavamo traslocando dev'essere arrivata l'ultima lettera di Corrado, penso sia finita in un libro, che poi è rimasto in uno scatolone in soffitta. Una lettera vecchia di cinquant'anni, ci pensi?» Scosse il capo. «A volte la vita è strana!» Per un po' rimasero in silenzio. Poi lei si alzò, gli prese le mani e lo invitò a seguirla. Si avvicinò al mobile dove era stato sistemato uno stereo. «Ti va di ballare?» Domandò lei. Era così euforica, Corrado era rapito dal suo entusiasmo. La aiutò a mettere un vecchio nastro, schiacciò il play e attese. Quando la musica del Danubio blu di Strauss li raggiunse, l'universo parve aprirsi davanti a loro. Si lasciò trascinare in un valzer che inizialmente lo fece sentire goffo, inesperto, ma che pian piano cedette spazio ad un'emozione che accelerava i battiti del cuore, trasformando presto la paura in sicurezza, trasportandoli in una dimensione di puro amore, solo per loro. Giorgio ritrovò il desiderio e la voglia di scoprire ancora, di amare ancora. La sua vita non era finita dunque, e quella donna affascinante che lo fissava con occhi struggenti poteva essere il suo futuro. La stanza era una sala da ballo, lui le stringeva la mano nella sua, con l'altra le cingeva la vita. Un giro, un altro, a volte i loro visi erano così vicini... Uno strano torpore lo avvolse, mai si era sentito così. Si lasciò guidare. La musica continuava a rimbalzargli nella testa mentre volteggiavano e lei lo accompagnava danzando fuori dal salotto. La penombra inghiottì la luce, d'un tratto gli mancava l'aria; si accorse vagamente di scendere una scalinata e per un attimo lo assalì la paura. Ma lei gli sussurrava parole dolci, questo lo confortò. Doveva riposare. Era stanco. Un attimo solo e si sarebbe rialzato e lei sarebbe stata lì, a stringergli la mano.
La donna si avvicinò lentamente. Le sfuggì un sorriso mentre accarezzava il volto freddo e rugoso dell'uomo che ora la fissava con gli occhi annebbiati dal narcotico, la bocca piegata in una smorfia di terrore. Tentava di parlare ma dalle labbra usciva a malapena qualche flebile lamento. Il suo corpo spogliato giaceva su una lastra di marmo freddo, posta sopra un'enorme vasca. Nella stanza regnava il buio, solo la luce debole di una lampadina gli permetteva di scorgere i lineamenti di lei; aveva i polsi legati, il petto nudo si alzava e si abbassava al ritmo dei battiti del suo cuore. «Hai freddo?» Gli chiese lei. Giorgio annuì appena. Non riusciva ad articolare un suono. Non aveva abbastanza forza da opporre resistenza quando lei gli passò tra i denti una fascia di cuoio, assicurandola dietro la testa. La fascia gli comprimeva la nuca, il sapore amaro gli dava la nausea. «Vuoi sapere perché ti faccio questo, vero?» Sussurrò la vecchia, sorridendo. «Perché mi piaci. Sei affidabile» prese un grosso coltello e avvicinò la punta alla carne bianca. Sospirò: «La natura è crudele. Si prende i tuoi anni, la salute, l'amore... E si vendica. Sì, si vendica su di noi, perché le stiamo facendo del male. Ne parlavamo dopo cena, ricordi? La frutta è avvelenata. La carne è piena di robaccia, tutto questo non lo senti finché sei giovane, ma poi inizi ad invecchiare e ti trovi a fare i conti con le malattie.» Giorgio riuscì appena a ruotare gli occhi e seguirla mentre si allontanava. Era buio ma gli parve di distinguere del fumo, nell'angolo dove era scomparsa. La guardò tornare indietro e nelle mani stringeva uno strano arnese. «Vuoi sapere cos'è? Una pistola. Una pistola con proiettile captivo, per la precisione. Sì, esatto» rispondeva da sola allo sguardo terrorizzato dell'uomo. «È quella con cui si uccidono gli animali da macellazione. Lo so cosa stai pensando, ma rifletti un attimo, hai detto che l'arrosto era delizioso... E lo era! E sai perché?» Sentiva il suo respiro caldo alitargli addosso, il suo profumo invadergli le narici. Poteva contare ad una ad una le sue rughe. Iniziò a singhiozzare, spaventato. «Perché una carne così, tra gli animali, non c'è. Perché non siamo capaci di trattare la carne come andrebbe fatto, e di sceglierla con criterio. Io amo la carne. Amo il buon cibo e so sceglierlo.» Giorgio chiuse gli occhi, sentiva le palpebre pesanti, una stanchezza profonda si stava impossessando di lui, il freddo aumentava. «Sei debole adesso» gli disse lei, continuando ad accarezzagli il petto. «Posso capirlo, ti ho tolto un po' di sangue prima, non troppo, per le mie marmellate non ne occorre moltissimo, ma un cucchiaio mischiato alla frutta fresca ha un gusto sublime. Hai assaggiato i miei pasticcini e la mia crostata... Non sono fenomenali?» Giorgio continuava a guardarla, man mano che prendeva consapevolezza di ciò che gli stava per accadere, la paura aumentava. Lei avvicinò la canna della pistola alla testa bianca dell'uomo. La stava pregando con lo sguardo. Le grosse lacrime agli angoli degli occhi erano una muta richiesta di pietà, ma la vecchia sospirò. Non poteva certo lasciarsi commuovere, c'era ancora tanto lavoro da fare. «Riposa in pace, dolce creatura. È stato bello conoscerti.» La pistola sparò un colpo deciso. Il corpo di Giorgio fu percorso da spasmi, un rivolo giallognolo gli uscì dalla bocca serrata e una pozza scura e densa si allargò sotto la sua testa. Poi fu il buio.
Due giorni di lavoro intenso, ma tutto finalmente era al proprio posto. Aveva usato i suoi unici due giorni di riposo settimanali, ma ne era valsa la pena, aveva scorta alimentare per mesi. Soddisfatta, ripose l'ultimo vasetto di marmellata rossa nella dispensa, insieme agli altri. Il fine settimana avrebbe fatto una crostata, le sue amiche ne andavano pazze. E aveva preparato polpettone e arrosti, cotti e congelati, pronti per l'occorrenza. Era fiera di sé stessa. A quello che era rimasto aveva pensato la caldaia a legna, come sempre. L'odore non era dei migliori, ma tanto di sotto non andava mai, se non ad accendere la stufa. Un gemito la strappò ai suoi pensieri. Un altro e un altro ancora, più intenso. Si voltò verso il suono e immediatamente tirò un sospiro di sollievo. Si mosse faticosamente verso il tavolo del soggiorno e afferrò il cellulare. Quell'incosciente di suo nipote, come gli era venuto in mente di metterle quella suoneria sconcia? Ogni volta che riceveva una chiamata, quei due sporcaccioni iniziavano a gemere e strillare come due maiali in calore! Fortuna che al lavoro lo spegneva, sai le risate che le avrebbero fatto dietro se iniziava a suonare nel momento sbagliato... «Pronto?» Mormorò con la sua vocina flebile. «La signora Alfieri?» «Sì, sono io.» Erano quelli dell'Autogrill, pensò amareggiata. Odiava quel posto. Si mangiava da schifo, igiene zero, posate sporche e carne avariata. Ma era l'unico posto che le dava da lavorare, anche se solo per qualche ora. Soldi che, uniti a quelli della pensione, le permettevano di vivere dignitosamente. «Potrebbe venire questa mattina anziché di pomeriggio? La signora che fa i turni si è ammalata e siamo senza donna delle pulizie.» «Ma certo!» Assentì Eliana. Chiuse la comunicazione. Fortuna che aveva finito di rimettere in ordine! Si vestì con calma, in fondo aveva due ore di tempo. Indossò il suo completo preferito color lilla, stile inglese, con tanto di cappello e veletta. Lo adorava, almeno quanto il suo Corrado lo aveva detestato. Andò ancora avanti e indietro un po' per le stanze e per ultimo andò in cucina, prese un cucchiaio da uno dei cassetti e, dopo averlo esaminato per bene per accertarne la pulizia, lo avvolse in un tovagliolo. Aprì lo sportello della credenza e tirò fuori uno dei barattoli di marmellata fatta in casa, lo mise in borsa assieme al cucchiaio. Tornò in sala, si guardò allo specchio. Le scarpe erano sporche di fango, ma per andare a lavorare in quel postaccio lurido non sarebbe servito indossare scarpe pulite, poi al ritorno a casa le avrebbe lavate. Fece per uscire, ma qualcosa catturò la sua attenzione. Un foglio ingiallito, abbandonato sul divano. Si avvicinò, lo prese tra le dita e lo tenne ben alto, davanti al volto. Strinse gli occhi per decifrare la scrittura. Ah sì, era del suo defunto marito: “...È una donna meravigliosa, fra due settimane ci sposiamo, vorrei tanto che venissi al matrimonio...” e poi ancora “...il mio unico desiderio è invecchiare con lei...” Eliana fece una smorfia mentre gettava la lettera tra le fiamme del camino e la guardava mentre bruciava. Alzò le spalle. Alla fine era stato esaudito, era morto vecchio. Anche lui era un uomo buono, in fondo, e lo sarebbe stato fino all'ultimo morso.
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