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Skannatoio, aprile 2016, edizione 42, Non è un pesce d'aprile

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view post Posted on 4/4/2016, 13:47
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Losco Figuro

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CITAZIONE (reiuky @ 4/4/2016, 14:21) 
Intanto, oltre a Bloody, chi è che sta scrivendo qualcosa?

Io, ma non ho alcuna certezza di finire.
 
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view post Posted on 4/4/2016, 14:51
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Mi sembra ragionevole. Inizia bene, questo skann... Ora speriamo solo che non mi rapiscano gli alieni e ci sarò.

Per CMT: fa' come me, lascia che la storia si scriva da sola e come va va... tanto tu componi opere d'arte anche con poco impegno, io devo mettere al lavoro gli unici due neuroni rimasti e non so cosa verrà fuori... :P
 
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view post Posted on 4/4/2016, 15:17
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Losco Figuro

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CITAZIONE (Bloodfairy @ 4/4/2016, 15:51) 
Per CMT: fa' come me, lascia che la storia si scriva da sola e come va va... tanto tu componi opere d'arte anche con poco impegno, io devo mettere al lavoro gli unici due neuroni rimasti e non so cosa verrà fuori... :P

Ma infatti non la sto scrivendo io, la sta scrivendo Saleria, è che ultimamente si è impigrita pure lei :lol:
 
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view post Posted on 4/4/2016, 16:23
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CITAZIONE (CMT @ 4/4/2016, 16:17) 
CITAZIONE (Bloodfairy @ 4/4/2016, 15:51) 
Per CMT: fa' come me, lascia che la storia si scriva da sola e come va va... tanto tu componi opere d'arte anche con poco impegno, io devo mettere al lavoro gli unici due neuroni rimasti e non so cosa verrà fuori... :P

Ma infatti non la sto scrivendo io, la sta scrivendo Saleria, è che ultimamente si è impigrita pure lei :lol:

sì ma non vale :) hai preso Saleria perché sai che io la ADORO!!!!! :wub:
 
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view post Posted on 4/4/2016, 20:04
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Losco Figuro

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CITAZIONE (reiuky @ 4/4/2016, 17:23) 
CITAZIONE (CMT @ 4/4/2016, 16:17) 
Ma infatti non la sto scrivendo io, la sta scrivendo Saleria, è che ultimamente si è impigrita pure lei :lol:

sì ma non vale :) hai preso Saleria perché sai che io la ADORO!!!!! :wub:

No, l'ho presa perché volevo farle ballare il tango :-|
 
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view post Posted on 4/4/2016, 21:24
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CITAZIONE (CMT @ 4/4/2016, 21:04) 
CITAZIONE (reiuky @ 4/4/2016, 17:23) 
sì ma non vale :) hai preso Saleria perché sai che io la ADORO!!!!! :wub:

No, l'ho presa perché volevo farle ballare il tango :-|

:wub: :wub: :wub:

No, adesso sei moralmente obbligato a finirlo e postarlo! :)
 
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view post Posted on 5/4/2016, 13:30
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Custode di Ryelh
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Come sta procedendo, ragazzi? Non ditemi che volete lasciare CMT e Bloody da soli!!!
E giusto per farvi un regalo, vi spiego gli indizi:

Indizio 1: il ballo di Aldo... c'è bisogno di spiegare?

Indizio 2: i personaggi in foto sono tutte di protagonisti di film o libri.

Indizio 3: cuscino rumoroso. .. esiste scherzo più classico di questo.

Indizio 4: la reazione del tipo allo scherzo è impagabile😆😆

Indizio 5: nella foto c'è uno degli scontri tra Ray "Sugar" Robinson e Jak Lamotta. Il modo con cui Ray "danzava" sul ring ha fatto storia.

Indizio 6: scherzo dei clown 😆😆

Indizio 7: una delle reazioni più imbarazzanti della storia...
 
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view post Posted on 5/4/2016, 15:08
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Losco Figuro

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OK, ora non mi lasciate da solo, eh!

Al palazzo del duca

«Non dovremmo essere qui», ripeté l’uomo per l’ennesima volta, procedendo impacciato lungo il corridoio, un paio di passi davanti alla sua accompagnatrice.
«Tu non dovresti essere qui, Darnel», gli rispose la donna, incedendo maestosa in un lungo abito nero che le risaliva ondeggiando lungo le caviglie, esaltate da tacchi vertiginosi, fino al collo, dove si univa a un’intricata collana. «Io sono stata invitata appena ho detto chi ero. Tu sei solo il primo accompagnatore che ho trovato in così poco tempo, e avrei chiesto a Jorn se non avessi pensato che ballando avrebbe causato un’ecatombe».
L’altro fu sul punto di rispondere, ma si interruppe con un sussulto quando un valletto in livrea batté un bastone sul pavimento proprio accanto a lui.
«Lady Saleria Lindir di Faro di Tyr», annunciò il domestico leggendo da una pergamena, «e... ehm... un tizio che l’accompagna».
Mentre la Lady in questione rivolgeva un sorriso disarmante alla sala, Darnel si bloccò sul posto con la bocca semiaperta e il viso che iniziava a cambiargli colore. «Io ho un nome!» sibilò al valletto. Questi, imbarazzato, gli mostrò la pergamena da cui aveva letto, che recitava testualmente le parole da lui pronunciate.
L’uomo si voltò piccato verso la sua accompagnatrice, vedendola di spalle per la prima volta da quando si erano incontrati fuori del palazzo ducale, e il suo voltò virò dal fragola al prugna. Avrebbe dovuto saperlo che un abito lungo e coprente era troppo bello per essere vero. Se sul davanti non ci sarebbe stato nulla da eccepire, in cambio la schiena del vestito era del tutto assente, e la gonna si apriva in due lunghi spacchi, più che sufficienti a non lasciare dubbi sul fatto che tra l’abito e chi lo indossava non vi fosse altro. Pensò per un attimo se fosse il caso di fingere di non averla mai vista né conosciuta, ma erano arrivati assieme e non ci avrebbe creduto nessuno.
La raggiunse a grandi passi, sgusciando tra le coppie che roteavano al centro della sala seguendo la musica di una vera e propria orchestra posizionata su un palchetto rialzato.
«No, noi non dovremmo essere qui», insistette. «Capisco che tu sia convinta che la duchessina sia stata rapita, anzi no, non lo capisco ma fingo di capirlo, ma non vedo cosa...»
Saleria si voltò di scatto, facendo compiere alla gonna un movimento che sollevò mormorii di apprezzamento dal pubblico, e lo fulminò con un’occhiataccia. «Potesti anche parlare più forte, già che ci sei», sibilò, «magari il rapitore non ti ha sentito».
Lui si strinse nelle spalle. «Con questo frastuono?» commentò indicando l’enfatica orchestra con una mano. «E comunque, se anche avessi ragione, non vedo come potremmo trovarla venendo qui».
«Tsk. Questo è il posto più logico dove trovarla, nessuno la cercherebbe proprio nel suo palazzo», replicò la donna, rivolgendo nel contempo un radioso sorriso all’autonominatosi reggente che dominava la sala dal lato opposto ai suonatori, seduto sul suo scranno.
«Su questo non ho dubbi», mormorò lui con un tono di voce appena udibile. Poi, un po’ più forte: «Ma di certo non la troveremo qui a ballare!»
«Ovvio che no! Infatti non sta a noi trovarla, quello è compito di Spaturnia. Noi dobbiamo solo fare in modo di tenere gli altri impegnati in modo che nessuno possa far caso a lei.»
«E come pensi di...» si interruppe di colpo con un lampo di comprensione che gli attraversava lo sguardo. «Oh no! No! No, no! Tu non ti metterai a seno nudo di fronte a tutta questa gente in mia presenza!»
«E perché dovrei fare una cosa del genere?» domandò lei con aria innocente.
«Perché lo fai sempre?» ribatté lui esasperato.
«Che sciocchezza! Ti pare un posto in cui fare cose simili? Questo è un ballo, per cui si balla».
«Io non ballo» grugnì lui.
«Certo che no, i cavalieri sono già tutti occupati.»
«Io non ballo con gli uomini!»
«E non è quello che ho appena detto? Lascia fare a me», proseguì lei, e senza dargli tempo di replicare si fiondò nel centro della sala. Arrivata a ridosso di una coppia impegnata nel ballo posato e figurato del momento, bussò senza troppa gentilezza sulla spalla della dama.
Non successe niente.
La coppia le girò davanti, giusto il tempo perché potesse dare un’occhiata ammirata al fondoschiena del cavaliere. Quando ebbero fatto un giro completo, Saleria bussò di nuovo.
La donna questa volta si voltò con un’aria tra l’infastidito e il sorpreso. «Che vuole?» chiese.
«Lui», replicò lei secca.
«Ma... non funziona così», protestò la dama, «sono i cavalieri che...»
«Sì, sì, neanche fossimo ai tempi di tua nonna, levati», concluse Saleria spostandola di lato con una vigorosa botta d’anca, e trascinando letteralmente a sé lo stupito, ma non del tutto seccato, cavaliere.
Un istante dopo si era lanciata in un ballo a scatti che niente pareva avere a che fare con la musica dell’orchestra. Prima gli si gettò quasi addosso, poi gli attorcigliò una gamba a un polpaccio e si lanciò all’indietro, costringendolo ad afferrarle la schiena (non senza una certa espressione di piacevole sorpresa quando si trovò a toccare la pelle nuda) per non farla finire in terra.
Non ci volle molto perché l’uomo si riprendesse dall’imbarazzo e iniziasse a seguirla nelle sue strane movenze, avanzando quando lei si faceva indietro, indietreggiando quando avanzava e assecondando i suoi scatti e piegamenti improvvisi quasi come si fossero messi d’accordo.
Darnel, dal canto suo, avrebbe voluto scavare una fossa nel pavimento e gettarcisi, anche se era indubbio che in quel momento non ci fosse un solo paio d’occhi in tutta la sala che non fosse puntato sulla coppia, tanto che tutte le altre avevano smesso di danzare per osservarli.
Almeno finché una guardia di palazzo non entrò trafelata urlando: «Intrusi, intrusi nel palazzo!»
Il reggente si alzò in piedi, fulminando l’uomo con uno sguardo. «Tranquilli, miei cari ospiti, tranquilli. Non c’è nulla di cui preoccuparsi, è tutto sotto controllo».
«Intrusiii...» sibilò Saleria in tono disperato, «attenteranno alla mia virtù!» E si afflosciò inerte tra le braccia del suo cavaliere.
«Cielo, che le accade?» domandò questi, adagiandola sul pavimento con delicatezza.
«Niente, è...» attaccò a dire Darnel, interrompendosi prima di dar sfogo ai suoi pensieri, «... una donna fragile, si riprenderà con un po’ di riposo».
«Portatela in una delle stanze per gli ospiti», disse il reggente, con un cenno della mano che avrebbe potuto indicare pressoché chiunque e qualunque cosa nella direzione della donna.
«Ma certamente, ci penserò io», si offrì il cavaliere. Si chinò, le mise una mano dietro la schiena, non senza un fremito, e una sotto le ginocchia, e tentò di rialzarsi, solo per rendersi conto che forse sollevare a quel modo una donna di quasi un metro e ottanta e con più curve di un sentiero di montagna era un po’ oltre le sue possibilità. «Ehm...» farfugliò, indeciso su come proseguire.
Darnel sospirò. «Io davanti, tu dietro», sbuffò all’indirizzo dell’uomo, e gli parve di cogliere uno sbatter di ciglia e un mezzo sguardo sul volto della donna che si rifiutò di interpretare.

Pochi istanti e diversi scalini dopo, Saleria era sdraiata in posa languida su un letto a baldacchino, vegliata da un lato dal suo preoccupato ex cavaliere e dall’altro da un seccato Darnel che continuava a battere un piede per terra in attesa che si decidesse a farla finita.
“Rinvenendo” con una serie di sospiri, ondeggiò in una posizione semiseduta, sbattendo le ciglia con foga in direzione dell’ex ballerino. «Oh, Guidofuldo, che caro, mi avete portato a letto?»
«Eh... chi... cosa...?» balbettò quegli, confuso.
«Lascia perdere», grugnì Darnel.
Saleria fece fluire le gambe giù dal letto, mettendosi seduta, e appoggiò le mani sul petto del cavaliere. Fissandolo negli occhi, richiamò a sé quella parte dei poteri di Fashia che non era scomparsa con la dea. «Da bravo, ora attendi qualche minuto e poi va’ giù a dire a tutti di non preoccuparsi, che sto meglio e che hai riaccompagnato me e il tizio che era con me alla mia carrozza».
«Io... ma certo», rispose lui con sguardo adorante.
«Bene, Guidofuldo, sei un tesoro. Darnel? Andiamo», concluse lei alzandosi del tutto e strattonando il compagno.
«Ma, non vuoi che ti accompagni?» chiese il cavaliere.
«Ti prego!» ribatté lei. «Fa’ solo quel che ti ho chiesto, ne ho già uno di imbecille che mi viene dietro», e, aperta la porta, eruppe in corridoio.
Senza dar tempo a Darnel di protestare, si lanciò in avanti a grandi falcate.
«L’imbecille che ti viene dietro vorrebbe sapere dove stai andando!»
«Tesoro, dove vuoi che stia andando? A salvare Spaturnia e Jorn prima che si facciano prendere. Le avevo detto che non era il caso di portarselo dietro.»
«E chi ti dice che siano stati scoperti per colpa di Jorn?»
Lei si fermò di botto e si voltò a guardarlo.
«Va bene, d’accordo, ma chi ti dice che non siano già scappati?» cambiò rotta lui.
«Se è così, dovremo finire il lavoro al posto loro, ti pare?»
«Sì ma... Dove. Stiamo. Andando?»
La donna sbuffò.
«Queste sono le camere degli ospiti», replicò, senza smettere di camminare, abbracciando con un gesto della mano il corridoio, «quindi quelle padronali saranno nell’altra ala».
«E...?» la sollecitò Darnel dopo un po’, resosi conto che non aveva intenzione di aggiungere altro.
«E la camera della duchessina è l’ultimo posto dove qualcuno andrebbe a cercarla. Su, su!»
In silenzio, attraversarono mezzo palazzo per ritrovarsi in un corridoio pressoché identico a quello che avevano lasciato. L’assenza di persone in giro era inquietante, ma Saleria non pareva farci caso.
«Lo sapevo!» sbottò invece giuliva, guardando una porta del tutto identica alle altre.
«Che non avremmo trovato niente?» grugnì Darnel in risposta.
«Tsk! Che Spaturnia è passata di qui».
«E tu come faresti a saperlo?»
Lei puntò un dito verso la serratura, da cui un ferretto sporgeva di qualche millimetro, evidentemente abbandonato lì in tutta fretta. Spinse la porta con un dito e questa si aprì con un “clic” a stento udibile.
Dietro si trovava una stanza da letto di dimensioni sufficienti a ospitare un paio di famiglie. Un enorme letto a baldacchino occupava la parete di fronte, posto tra due finestre ornate da tende ricamate. Armadi, sedie e il resto della mobilia sembravano valere singolarmente più dell’intera casa padronale di Saleria, che del resto era notevolmente deprezzata dalla vecchiaccia che se ne occupava.
«Non vedo duchessine», bofonchiò Darnel.
«Ti aspettavi di trovarla in mezzo alla stanza?» ribatté piccata la donna, richiudendo la porta. «Muoviti e dà un occhiata in giro», concluse piegandosi per guardare sotto il letto come fosse stata la cosa più logica del mondo. «Beh? Che c’è? Prima o poi tutto finisce sempre sotto il letto», precisò senza neanche degnarsi di osservare l’occhiataccia del compagno.
Il resto della sua perquisizione interessò gli armadi, i comodini e perfino i cassetti del comò, senza trovare duchessina alcuna, e con Darnel fermo per tutto il tempo a guardarla con aria di disapprovazione. Infine, si diresse a una delle due porte sulle pareti laterali, e quando la aprì per un attimo fu sul punto di esultare: la duchessina Fianna era proprio nel centro di un ampio stanzino, immobile in piedi nel mezzo di un cerchio tracciato sul pavimento. Ma poi non fu più lì, sostituita da una voluta di nebbia, di cui a sua volta prese il posto un uomo glabro e seminudo che le rivolse uno sguardo ammiccante.
«Oh, splendida visione!» esclamò questi. «Come ho potuto vivere finora senza aver mai posato lo sguardo...»
«Oh, falla finita!» lo rimbeccò lei, alzando il mento con aria altera. «Caschi male. Faccio queste cose da prima che tu fossi concepita».
In quel momento, Darnel sbucò alle sue spalle. «Ma con chi stai... oh!» esclamò, quando l’energumeno si sciolse di colpo in uno sbuffo di nebbia per poi diventare una donna in abiti perfino più rivelatori di quelli di Saleria stessa.
La sacerdotessa la guardò inarcando un sopracciglio. Il suo sguardo si spostò su Darnel, poi tornò indietro. «Caschi anche peggio», disse laconica.
«Gentile cavaliere,» disse la donna imperterrita, «non vorresti venirmi più vicino, così che io possa ammirarti come si conviene?»
Darnel fece mezzo passo avanti, fermandosi accanto a Saleria. «Mi spieghi cosa sta succedendo?» grugnì.
«È una succube. O un incubo. Stessa roba. Ed è imprigionata in un circolo, vedi?» aggiunse indicando il segno tracciato sul pavimento. «Quindi vorrebbe farci avvicinare per spezzarlo. Ora la libero».
«Che? Ma non è pericolosa?» protestò lui afferrandola per un braccio.
«Sì, certo, ma si nutre di energia sessuale, quindi tu sei al sicuro», lo liquidò Saleria, liberandosi con uno strattone. «In quanto a te, ti tiro fuori da lì se prometti di lasciare in pace me e i miei amici. E mi dovrai un favore, d’accordo?»
La creatura nel circolo sospirò con fare teatrale. «D’accordo».
Saleria allungò una gamba e cancellò col piede una parte del disegno. Immediatamente, la donna si mutò in nebbia e vorticò nella stanza, come impazzita. Per un istante si ricondensò accanto a Saleria, le sussurrò qualcosa all’orecchio e nuovamente si dissolse, uscendo attraverso la porta.
«Che ti ha detto?» domandò Darnel.
«Cose da donne. Andiamo a controllare l’altra porta, su, su!»
Si lanciò fuori dalla stanza e dritta oltre la porta dal lato opposto, mentre lui la seguiva a notevole distanza. «Ma perché liberarla?» le domandò. «Avremmo potuto chiederle informazioni, avremmo...» Si bloccò a metà frase quando la porta della stanza si aprì di botto, urtando la parete con uno schianto secco e lasciando spazio al reggente seguito da un drappello di guardie.
«Sapevo che se avessimo lasciato il campo libero qualcuno sarebbe tornato a finire il lavoro», tuonò l’uomo. Darnel si portò la mano alla cintura prima di ricordarsi che non aveva potuto portare con sé la spada al ballo.
«Dì alla tua amica di venir fuori, so che c’è anche lei», proseguì il nobile.
Darnel non si mosse e non disse nulla.
«Come vuoi», sospirò l’altro, facendo un cenno con la mano. «Andate a prenderla».
Due guardie avevano appena fatto un passo avanti quando Saleria comparve sulla soglia della stanza laterale. «Sono qui», disse avvicinandosi a Darnel, «e conosco il tuo segreto».
L’uomo gettò uno sguardo all’altra porta. «La succube? Dillo pure in giro, a chi vuoi che importi? Anzi, mi farò una bella fama».
«So cosa volevi farne», proseguì lei.
L’uomo si strinse nelle spalle. «Non mi interessa cosa pensi, sanno tutti che la Lady di Faro di Tyr è pazza». Darnel si voltò a guardare Saleria, attendendosi una reazione che non ci fu.
«Scortatela fuori e assicuratevi che se ne vada,» proseguì il reggente rivolto alle guardie. «E sappi che se mai sarò duca a tutti gli effetti mi assicurerò di riprendermi le tue terre e il tuo titolo. Ora sparisci.»
Senza una parola, Saleria si scrollò di dosso le mani delle guardie che tentavano di afferrarla e si avviò davanti a loro lungo il corridoio.

La strada verso casa non era mai apparsa così lunga, neppure quando avevano dovuto far ritorno dal giardino delle speranze perdute.
Poco dopo essere stati cacciati malamente, erano stati raggiunti da Jorn, l’enorme fratello di Darnel, e dalla ragazza bionda che ormai pareva essersi abituata al nome di Spaturnia, che avevano confermato loro di essere riusciti ad allontanarsi dal palazzo prima di poter essere catturati.
In un cupo silenzio, avevano preso assieme la via del ritorno attraverso la foresta, e Darnel si domandava se fosse l’insolita sensazione di sconfitta ad aver finalmente zittito la sacerdotessa.
Poi, il silenzio venne infranto da un sibilo, e di colpo tra i seni di Saleria comparve l’asta di una freccia, conficcata per metà nel suo petto.
«Lassù!» urlò la biondina, indicando un albero poco distante.
Con una rapidità che poco si sposava con la sua molte, Jorn afferrò una bracciata di pietre dal suolo e ne scagliò due in rapida successione, con tanta forza che la prima fece piegare il ramo che colpì, e cadere l’arciere che vi stava appollaiato sopra come un frutto troppo maturo. La seconda mancò del tutto il bersaglio, e l’assassino si diede alla fuga prima che potesse riprovare.
Darnel, troppo scioccato per reagire, era chino su Saleria, accasciata al suolo, con gli occhi sgranati e un braccio dietro la schiena di lei, a tentare di sostenerla.
«Non è possibile!» sbraitava. «Dovevo essere io ad ammazzarti!»
La donna riaprì gli occhi e gli rivolse uno stanco sorriso.
«Dille che siamo pari», sussurrò. Poi perse consistenza tra le sue mani e si ridusse a uno sbuffo di nebbia, dissipandosi in pigre volute nel sottobosco.

Nella stanza da bagno del reggente, la porta di un armadio colmo di asciugamani si dischiuse appena. Trascorse qualche istante, poi l’armadio si aprì del tutto, lasciando scivolare fuori il corpo sinuoso di una donna che a rigor di logica non avrebbe potuto esservi entrata, se non con una notevole capacità di contorsionismo.
Saleria si stiracchiò le membra, inspirò profondamente e, accertatasi di essere davvero sola, riprese da dove si era interrotta.
Certo, la succube era stata carina a dirle come richiamarla prima di andarsene, anche se forse non immaginava che sarebbe accaduto così presto. D'altra parte, quando il reggente era entrato all'improvviso, non c'era stato molto tempo per pensare a una soluzione.
E anche lui, poi, era stato carino a recarsi subito a controllare che tutto fosse a posto non appena si era sbarazzato di lei - beh, dell'altra lei - e delle guardie. Le avrebbe risparmiato un mucchio di fatica.
Sorrise, facendo un passo indietro e osservando bene la scena, poi un lampo le illuminò gli occhi quando lo sguardo le si posò sul sostegno per la torcia. Allungò la mano e con forza lo trasse a sé.
Si udì uno scatto metallico, e l’armadio dal quale era appena uscita si spostò di qualche millimetro in avanti. La donna infilò le mani nello spazio che si era venuto a creare tra questo e il muro e tirò, facendo ruotare senza sforzo il pesante mobile su cardini ben nascosti.
La luce si riversò nella piccola stanza segreta al di là del passaggio, scacciando le tenebre e rivelandone l’interno.
Saleria sorrise nuovamente.
«Duchessina Fianna», disse a mo’ di reverente saluto, «credo che avremo alcune cose di cui parlare».

Edited by CMT - 6/4/2016, 08:36
 
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view post Posted on 5/4/2016, 18:07
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Grande CMT :)
 
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view post Posted on 6/4/2016, 08:22
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Domani notte si conclude il concorso. Come state messi?
 
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view post Posted on 6/4/2016, 12:22
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Io arriverò alle 23,58 di giovedì...

Scherzo... (Vale per la coccarda? :P )

Devo rivederlo, oggi sono fuori ( non di testa, da casa ) ma domattina ho libero e lo sistemo, ma il racconto è finito. Quindi io ci sono.
 
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view post Posted on 6/4/2016, 13:09
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CITAZIONE (Bloodfairy @ 6/4/2016, 13:22) 
Io arriverò alle 23,58 di giovedì...

Scherzo... (Vale per la coccarda? :P )

Devo rivederlo, oggi sono fuori ( non di testa, da casa ) ma domattina ho libero e lo sistemo, ma il racconto è finito. Quindi io ci sono.

Ottimo :)

siamo in 2 :)

Altri? su, su :)
 
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view post Posted on 7/4/2016, 00:58
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Poche ore alla fine... forza gente: non vorrete lasciare l'eroico CMT da solo?
 
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view post Posted on 7/4/2016, 13:29
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UN UOMO BUONO
di Laura Palmoni

Giorgio non riusciva ancora a comprendere il motivo che lo aveva guidato fin lì. La solitudine, certo, o il ricordo di un tempo che non sarebbe più tornato, ad ogni modo era arrivato a destinazione. Scorse l'edificio in lontananza, isolato, circondato da alberi molto più alti di quando vi giocava da bambino. Gli sembrò quasi di sentire l'eco delle risate e la voce di suo padre che lo chiamava per tornare a casa. A quei tempi c'erano solo terra e sassi, invece ora la strada era asfaltata e un tappeto d'erba bruciata dal freddo scricchiolava sotto gli scarponi da montagna, unico suono in quel posto lontano dal caotico centro di Bologna. Non vedeva l'amico da anni ed era anche molto tempo che non viaggiava da solo. Si sentiva stanco, svogliato e insicuro, aveva quasi paura ad uscire di casa e l'ospizio del Sacro Cuore era ormai l'unica, inevitabile alternativa ad una morte lenta e solitaria. Raggiunse la casa a fatica. Il fumo usciva dal comignolo, richiamo invitante in quel pomeriggio gelido. Avvicinò il dito al campanello ma lo bloccò una sottile paura e si strinse nel cappotto nero. E se non avesse trovato ciò che cercava? Ebbe un presentimento, come se quel soffio di aria glaciale si abbattesse su di lui per ammonirlo, per salvarlo dall'ennesima illusione. Era stato un azzardo arrivare fin lì senza avvertire, ma sarebbe stata l'ultima follia di una vita tutto sommato piacevole. Cosa avrebbe trovato oltre quella porta? Ritrasse la mano, cacciò i pugni nella tasca. Il vento continuava ad infierire contro la pelle arrossata e attraversata da rughe profonde, facendogli lacrimare gli occhi. Occhi di un verde così intenso da far battere il cuore, le aveva detto un tempo sua moglie Carla, bellissima e di una dolcezza rara, che lo aveva lasciato ormai da due anni.
Rimase indeciso sul da farsi per parecchi minuti. Sentiva il rombo di qualche auto lontana, ignara della tempesta che si agitava dentro di lui.
Poi la porta si aprì.
S'impaurì e fece un balzo indietro, altrettanto fece la signora minuta sull'uscio, mentre si portava una mano al petto e poi alla bocca, per reprimere un grido.
«Si calmi, signora» cercò di tranquillizzarla l'uomo, sorridendo mestamente. Fece un mezzo inchino. «Mi scusi se l'ho spaventata, stavo appunto suonando il campanello.»
«Lei chi è?» Chiese l'anziana donna, tentando di recuperare il controllo.
«Mi chiamo Giorgio Anselmi, io... Stavo cercando un mio vecchio amico, Corrado Alfieri. Non ci vediamo da parecchio tempo, ma ho trovato il suo nome sull'elenco e ho pensato che abitasse ancora qui. Lei è sua moglie?»
La donna annuì, tentò di sorridere. Giorgio provò una stretta al cuore. Aveva un sorriso meraviglioso, ne fu subito incantato. Poteva avere circa settant'anni, era piccola e ben vestita, con i capelli color argento e due grandi occhi marroni e svegli, nascosti da un paio di occhiali tondi che le davano l'aspetto di una ragazzina.
«Sì, sono sua moglie, ma... Corrado non è qui» rispose, rompendo l'atmosfera magica che si era creata intorno a loro.
«Pensa che rientrerà tardi? Sono capitato a Bologna per trovare alcuni parenti, volevo salutarlo. Ma se disturbo...»
La donna esitava, sembrava combattuta. Poi aprì di più la porta e indietreggiò di qualche passo.
«Entri, la prego» sussurrò «fuori è freddo, siamo a dicembre.»
Giorgio abbozzò un sorriso e ringraziò. Il cambiamento di temperatura era notevole. La casa era piccola ma accogliente e si apriva su un caldo soggiorno dalle mura verniciate di bianco. Pochi quadri alle pareti, un soffitto che sarebbe stato da tinteggiare, l'ampio caminetto che crepitava, sprigionando scintille e creando una piacevole atmosfera. Tentò di riconoscere almeno qualcosa di quella che era stata la vecchia casa di un tempo, ma i ricordi erano troppo sbiaditi e di sicuro l'abitazione era stata ristrutturata negli anni.
«Si accomodi.» Lo invitò la donna.
«Non vorrei infastidirla, magari ha altri impegni, sono capitato all'improvviso...»
«Nessun fastidio, sono appena tornata dal lavoro, nulla di che, sa... Di questi tempi nessuno ha lavoro da offrire ad una vecchia signora.»
Giorgio si sedette ma si rialzò subito quando la padrona di casa gli porse la mano per presentarsi.
«Mi chiamo Eliana.»
«Giorgio» ripeté l'uomo.
«E' arrivato qui in macchina? Se l'ha lasciata in strada può portala qui in cortile.»
«No, sono arrivato in Taxi, dalla stazione centrale. Alla mia età non me la sento più di guidare e due ore di viaggio sono piuttosto lunghe.»
«E da dove viene?»
«Mantova. Bagnolo San Vito. »
La donnina sorrise. Lo fissò per qualche minuto. «Ah sì, che sciocca, sto qui a far domande dimenticando le buone maniere. Le preparo una buona tazza di tè!»
«Ma no, signora, lasci stare...»
«E dei pasticcini fatti da me! Non può rifiutarsi, sono una persona molto suscettibile!»
Giorgio sorrise. Si sentiva un po' fuori luogo, sembrava quasi l'avesse obbligata ad accoglierlo in casa e non era quella l'intenzione. «Va bene, accetto volentieri.» Disse, soltanto. Quella donnina aggraziata lo aveva conquistato. Forse perché da tanto tempo più nessuno era stato così gentile con lui. Era felice, ma allo stesso tempo aveva paura di fare qualcosa di sbagliato. Gli sembrava poco educato starsene lì a parlare con la moglie del suo amico. Non sapeva nulla di Corrado, che carattere avesse, se fosse geloso. Si rassicurò subito, però. In fondo non stava facendo nulla di male.

Affondato in una poltrona davanti al caminetto, in un salotto ampio e luminoso, Giorgio si liberò a poco a poco dal disagio che gli stringeva lo stomaco. Complice il tè e i pasticcini della signora Eliana, il suo dolce sorriso, la sua voce delicata. Fu un momento molto intimo, spezzato solo dalla triste notizia della morte dell'amico, poco più di un anno prima.
«Se n'è andato» esclamò la signora, con la voce rotta dal pianto.
Giorgio sospirò. Non osò chiedere altro, per pudore, per dolore.
«Vi conoscevate da molto tempo?»
«Corrado non le ha mai parlato di me?» Chiese l'uomo con dolcezza.
«Forse» disse lei, dopo un attimo di riflessione, mentre tirava su gli occhiali tondi. «Negli ultimi tempi la mia memoria fa brutti scherzi.»
« Anche la mia» ribatté l'uomo, tristemente.
«Mi diceva che è venuto a Bologna a cercare dei parenti.»
Giorgio si aggiustò meglio sulla poltrona e tossicchiò, in lieve imbarazzo.
«In realtà no, le ho detto una piccola bugia. Non ho parenti a Bologna. Se vogliamo dirla tutta, non ho più nessuno. Io e mia moglie non abbiamo avuto figli e alla nostra età è difficile avere amici, chi non è già morto ha ormai la sua vita.»
«Quanti anni ha?»
«Settantasette... Ma la prego, Eliana, non continui a darmi del lei, mi fa sentire ancora più vecchio.»
Lei sorrise, mostrando una dentatura perfetta.
«Solo se anche lei inizia a darmi del tu.»
Giorgio annuì. «Sono felice di averti conosciuta, Eliana.» Tanto felice che non avrebbe più voluto andarsene. Ma avevano chiacchierato per due ore, fuori era già buio, ancora un po' e avrebbe dovuto lasciarla. Il solo pensiero gli spezzava il cuore. E intanto continuava a parlare, a farle domande, per ritardare l'attimo in cui avrebbe dovuto separarsi da lei. Chissà se sarebbe riuscito a chiederle di rivederlo! E se lei avesse accettato...
«Ti va di restare a cena?» Chiese la donna all'improvviso. Giorgio comprese in quell'istante che era tempo di lasciarsi alle spalle ricordi e paure. La solitudine si era fatta strada dentro di lui devastandogli il cuore da quando sua moglie era morta. E gli era venuto in mente Corrado. Il suo caro amico, fedele compagno di lunghe corse, di estati interminabili a rincorrere pecore, mangiare croste di pane secco e bere latte appena munto. Un'infanzia, un'adolescenza perdute per sempre. E visto che il passato era passato e la vita si accorciava ogni giorno di più, perché non cogliere gli ultimi frutti che essa offriva?
«Non vorrei darti disturbo.»
«Nessun disturbo» si affrettò a dire la donna. Gli sfiorò timidamente la mano mentre le brillavano gli occhi dietro le spesse lenti. «Sono sempre sola, mi fa piacere parlare con qualcuno.»

Giorgio passò ore piacevolissime, non si era mai sentito così bene. Una zuppa di carne deliziosa, un arrosto da favola, tenero e saporito come non ne aveva mai mangiati, e il profumo di quei biscotti lo avevano fatto tornare indietro nel tempo, ricordandogli sua madre, quando cucinava per le feste e sfornava dolci e pietanze che non mangiavano gli altri giorni. Parlarono di tante cose, soprattutto del passato, dei loro amori di gioventù, dei sogni, delle delusioni e della solitudine. A Giorgio sembrava di conoscere quella donna da una vita. Da tanto tempo non si sentiva così bene, così vivo, gli pareva di essere tornato giovane.
«Eravamo cinque sorelle, io ero la più piccola. Ricordo che eravamo felici e che quando mi sono sposata avevo tanti progetti. Abbiamo avuto un figlio che ora si è trasferito in Inghilterra. Ho un nipote» sorrise. «Gli sono molto legata ma lo vedo poco, ha la sua vita ormai.»
Istintivamente, Giorgio le prese le mani tra le sue. Erano calde, invitanti.
«Corrado era un uomo all'antica, con la sua educazione rigida. Aveva i suoi difetti, ma in fondo era un uomo tanto buono.»
«Eravamo molto amici, poi ci siamo persi di vista.»
«Immagino che abbiate condiviso tante cose insieme.»
«L'infanzia, soprattutto. I nostri genitori erano vicini di casa, portavamo le pecore al pascolo, dopo il servizio di leva la mia famiglia si è trasferita su al nord. Per qualche mese ci siamo scritti, poi mi sono fidanzato, sai come vanno queste cose. Ci si perde, senza un reale motivo.»
«Poi ti sei sposato.»
«Sì. Il lavoro, la vita in due, tutto all'inizio è così magico, ti senti invulnerabile. Pensi che non finirà mai, invece...» Giorgio finì di bere la sua tisana. Lei gli sorrideva comprensiva.
«Beh, mi sembra che tu goda di ottima salute!» Fece notare lei, attenta.
«Non posso lamentarmi. Ma gli anni passano comunque e gli acciacchi aumentano.»
«Molto dipende dall'alimentazione, da quello che mangiamo. Non c'è da stare tranquilli» disse lei, sospirando. «Mio padre aveva una fattoria, avevamo maiali, galline, conigli. Mangiare la carne che allevi e lavori tu stesso offre molte garanzie di salute. Insomma, sai quello che mangi, è come per l'orto, la frutta.»
Giorgio sorrise. «Per questo sei così brava a cucinare?»
«Oh, beh... Quello è stata mia mamma ad insegnarmelo, mio padre non sapeva neanche metter su una tisana! Ma dimmi, Giorgio» chiese la donna, incuriosita. «Come mai dopo tanto tempo hai deciso di cercare Corrado?»
«Per una lettera» prese il portafogli dalla tasca, lo aprì e ne estrasse un foglio ingiallito dal tempo. «Mia moglie era di Modena, così dopo sposato mi sono trasferito con lei nella casa dei suoi genitori. Mentre stavamo traslocando dev'essere arrivata l'ultima lettera di Corrado, penso sia finita in un libro, che poi è rimasto in uno scatolone in soffitta. Una lettera vecchia di cinquant'anni, ci pensi?» Scosse il capo. «A volte la vita è strana!»
Per un po' rimasero in silenzio. Poi lei si alzò, gli prese le mani e lo invitò a seguirla. Si avvicinò al mobile dove era stato sistemato uno stereo.
«Ti va di ballare?» Domandò lei. Era così euforica, Corrado era rapito dal suo entusiasmo. La aiutò a mettere un vecchio nastro, schiacciò il play e attese. Quando la musica del Danubio blu di Strauss li raggiunse, l'universo parve aprirsi davanti a loro. Si lasciò trascinare in un valzer che inizialmente lo fece sentire goffo, inesperto, ma che pian piano cedette spazio ad un'emozione che accelerava i battiti del cuore, trasformando presto la paura in sicurezza, trasportandoli in una dimensione di puro amore, solo per loro. Giorgio ritrovò il desiderio e la voglia di scoprire ancora, di amare ancora. La sua vita non era finita dunque, e quella donna affascinante che lo fissava con occhi struggenti poteva essere il suo futuro. La stanza era una sala da ballo, lui le stringeva la mano nella sua, con l'altra le cingeva la vita. Un giro, un altro, a volte i loro visi erano così vicini... Uno strano torpore lo avvolse, mai si era sentito così. Si lasciò guidare. La musica continuava a rimbalzargli nella testa mentre volteggiavano e lei lo accompagnava danzando fuori dal salotto. La penombra inghiottì la luce, d'un tratto gli mancava l'aria; si accorse vagamente di scendere una scalinata e per un attimo lo assalì la paura. Ma lei gli sussurrava parole dolci, questo lo confortò. Doveva riposare. Era stanco. Un attimo solo e si sarebbe rialzato e lei sarebbe stata lì, a stringergli la mano.

La donna si avvicinò lentamente. Le sfuggì un sorriso mentre accarezzava il volto freddo e rugoso dell'uomo che ora la fissava con gli occhi annebbiati dal narcotico, la bocca piegata in una smorfia di terrore. Tentava di parlare ma dalle labbra usciva a malapena qualche flebile lamento. Il suo corpo spogliato giaceva su una lastra di marmo freddo, posta sopra un'enorme vasca. Nella stanza regnava il buio, solo la luce debole di una lampadina gli permetteva di scorgere i lineamenti di lei; aveva i polsi legati, il petto nudo si alzava e si abbassava al ritmo dei battiti del suo cuore.
«Hai freddo?» Gli chiese lei. Giorgio annuì appena. Non riusciva ad articolare un suono. Non aveva abbastanza forza da opporre resistenza quando lei gli passò tra i denti una fascia di cuoio, assicurandola dietro la testa. La fascia gli comprimeva la nuca, il sapore amaro gli dava la nausea.
«Vuoi sapere perché ti faccio questo, vero?» Sussurrò la vecchia, sorridendo. «Perché mi piaci. Sei affidabile» prese un grosso coltello e avvicinò la punta alla carne bianca. Sospirò: «La natura è crudele. Si prende i tuoi anni, la salute, l'amore... E si vendica. Sì, si vendica su di noi, perché le stiamo facendo del male. Ne parlavamo dopo cena, ricordi? La frutta è avvelenata. La carne è piena di robaccia, tutto questo non lo senti finché sei giovane, ma poi inizi ad invecchiare e ti trovi a fare i conti con le malattie.»
Giorgio riuscì appena a ruotare gli occhi e seguirla mentre si allontanava. Era buio ma gli parve di distinguere del fumo, nell'angolo dove era scomparsa. La guardò tornare indietro e nelle mani stringeva uno strano arnese.
«Vuoi sapere cos'è? Una pistola. Una pistola con proiettile captivo, per la precisione. Sì, esatto» rispondeva da sola allo sguardo terrorizzato dell'uomo. «È quella con cui si uccidono gli animali da macellazione. Lo so cosa stai pensando, ma rifletti un attimo, hai detto che l'arrosto era delizioso... E lo era! E sai perché?» Sentiva il suo respiro caldo alitargli addosso, il suo profumo invadergli le narici. Poteva contare ad una ad una le sue rughe. Iniziò a singhiozzare, spaventato.
«Perché una carne così, tra gli animali, non c'è. Perché non siamo capaci di trattare la carne come andrebbe fatto, e di sceglierla con criterio. Io amo la carne. Amo il buon cibo e so sceglierlo.»
Giorgio chiuse gli occhi, sentiva le palpebre pesanti, una stanchezza profonda si stava impossessando di lui, il freddo aumentava.
«Sei debole adesso» gli disse lei, continuando ad accarezzagli il petto. «Posso capirlo, ti ho tolto un po' di sangue prima, non troppo, per le mie marmellate non ne occorre moltissimo, ma un cucchiaio mischiato alla frutta fresca ha un gusto sublime. Hai assaggiato i miei pasticcini e la mia crostata... Non sono fenomenali?»
Giorgio continuava a guardarla, man mano che prendeva consapevolezza di ciò che gli stava per accadere, la paura aumentava. Lei avvicinò la canna della pistola alla testa bianca dell'uomo. La stava pregando con lo sguardo. Le grosse lacrime agli angoli degli occhi erano una muta richiesta di pietà, ma la vecchia sospirò. Non poteva certo lasciarsi commuovere, c'era ancora tanto lavoro da fare.
«Riposa in pace, dolce creatura. È stato bello conoscerti.» La pistola sparò un colpo deciso. Il corpo di Giorgio fu percorso da spasmi, un rivolo giallognolo gli uscì dalla bocca serrata e una pozza scura e densa si allargò sotto la sua testa. Poi fu il buio.

Due giorni di lavoro intenso, ma tutto finalmente era al proprio posto. Aveva usato i suoi unici due giorni di riposo settimanali, ma ne era valsa la pena, aveva scorta alimentare per mesi. Soddisfatta, ripose l'ultimo vasetto di marmellata rossa nella dispensa, insieme agli altri. Il fine settimana avrebbe fatto una crostata, le sue amiche ne andavano pazze. E aveva preparato polpettone e arrosti, cotti e congelati, pronti per l'occorrenza. Era fiera di sé stessa. A quello che era rimasto aveva pensato la caldaia a legna, come sempre. L'odore non era dei migliori, ma tanto di sotto non andava mai, se non ad accendere la stufa. Un gemito la strappò ai suoi pensieri. Un altro e un altro ancora, più intenso. Si voltò verso il suono e immediatamente tirò un sospiro di sollievo. Si mosse faticosamente verso il tavolo del soggiorno e afferrò il cellulare. Quell'incosciente di suo nipote, come gli era venuto in mente di metterle quella suoneria sconcia? Ogni volta che riceveva una chiamata, quei due sporcaccioni iniziavano a gemere e strillare come due maiali in calore! Fortuna che al lavoro lo spegneva, sai le risate che le avrebbero fatto dietro se iniziava a suonare nel momento sbagliato...
«Pronto?» Mormorò con la sua vocina flebile.
«La signora Alfieri?»
«Sì, sono io.»
Erano quelli dell'Autogrill, pensò amareggiata. Odiava quel posto. Si mangiava da schifo, igiene zero, posate sporche e carne avariata. Ma era l'unico posto che le dava da lavorare, anche se solo per qualche ora. Soldi che, uniti a quelli della pensione, le permettevano di vivere dignitosamente.
«Potrebbe venire questa mattina anziché di pomeriggio? La signora che fa i turni si è ammalata e siamo senza donna delle pulizie.»
«Ma certo!» Assentì Eliana. Chiuse la comunicazione. Fortuna che aveva finito di rimettere in ordine! Si vestì con calma, in fondo aveva due ore di tempo. Indossò il suo completo preferito color lilla, stile inglese, con tanto di cappello e veletta. Lo adorava, almeno quanto il suo Corrado lo aveva detestato. Andò ancora avanti e indietro un po' per le stanze e per ultimo andò in cucina, prese un cucchiaio da uno dei cassetti e, dopo averlo esaminato per bene per accertarne la pulizia, lo avvolse in un tovagliolo. Aprì lo sportello della credenza e tirò fuori uno dei barattoli di marmellata fatta in casa, lo mise in borsa assieme al cucchiaio. Tornò in sala, si guardò allo specchio. Le scarpe erano sporche di fango, ma per andare a lavorare in quel postaccio lurido non sarebbe servito indossare scarpe pulite, poi al ritorno a casa le avrebbe lavate. Fece per uscire, ma qualcosa catturò la sua attenzione. Un foglio ingiallito, abbandonato sul divano. Si avvicinò, lo prese tra le dita e lo tenne ben alto, davanti al volto. Strinse gli occhi per decifrare la scrittura. Ah sì, era del suo defunto marito: “...È una donna meravigliosa, fra due settimane ci sposiamo, vorrei tanto che venissi al matrimonio...” e poi ancora “...il mio unico desiderio è invecchiare con lei...”
Eliana fece una smorfia mentre gettava la lettera tra le fiamme del camino e la guardava mentre bruciava. Alzò le spalle. Alla fine era stato esaudito, era morto vecchio. Anche lui era un uomo buono, in fondo, e lo sarebbe stato fino all'ultimo morso.
 
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juliensorel1
view post Posted on 7/4/2016, 19:41




Un piccolo ostacolo

Dopo, urlò e pianse per ore. Per calmarla, dovettero darle una dose massiccia di sedativi.

Fu lui a raccontare. E lo fece come chi soffra a ricordare «cose che, anche se non ti riguardano di persona, ti colpiscono nel profondo, nella tua umanità». Proprio così disse «perché» continuò «sei una persona sensibile, perché ormai sai bene come si sta al mondo, perché, perdio, chi non rimarrebbe impressionato da un evento così… » la parola non gli venne (ma aveva ribadito più volte che si era trattato di un malaugurato caso, di un incidente, una maledettissima disgrazia) e nessuno gliela suggerì.
Ma fino a che punto era intervenuto il caso? E dove cominciava la negligenza o la colpa grave? Ecco, la questione, per me, stava esattamente in questi termini.
In quella stanzetta, un ufficio del Tribunale, aleggiava come un senso di pietosa, persistente incredulità, di malinconia profonda, che si esprimeva nei visi, negli sguardi, nel silenzio rotto solo dalle parole strettamente indispensabili di noi, pochi, che assistevamo.
«Invece,» chiarì il magistrato «son cose che la riguardano proprio di persona; lei risponde, per ora, come testimone».
Lui non si scompose; proseguì eccitatissimo, con la foga di un torrente debordante oltre gli argini.
Era stata Lisa Santini a contattarlo. Entrambi praticavano la danza a livello amatoriale. Lei abitava in un paese vicino, Casteldama, e aveva saputo di questa gara di ballo a Monteripa. Amava la danza, l’aveva studiata sin da piccola, fino all’adolescenza inoltrata. La chiamavano “nuvola”da ragazzina e…
«Non divaghi» lo riprese il magistrato. «Si limiti a raccontare tutto ciò che è utile per capire i fatti dell’altra sera».
« Ma devo dire o no come ci siamo incontrati?»
«Sì, ma non si diffonda, sia breve».
«Via non lo intimorisca, lo lasci parlare» obiettò l’avvocato del giovane, esortando il suo assistito a continuare.
«Lisa, su Internet, è entrata nell’area riservata alle inserzioni per la ricerca del partner» proseguì lui «e così ha trovato il suo cavaliere, cioè me, che ho le caratteristiche richieste da lei: sono esperto di danza latino-americana, libero di pomeriggio, oltre che abitare a Monteripa, a pochi km di distanza da lei. Infatti, nel periodo precedente la gara ci siamo frequentati, per allenarci soprattutto nel paso doble e nel flamenco, in cui Lisa si sentiva più incerta. “Puerta Del Sol” e “Morena De Mi Copla” erano i brani che ripetevamo di più..».
« Ma lasci perdere questi particolari» lo interruppe il giudice «Dove? A casa della signora?»
«Sì, me lo ha chiesto lei»
«In che orari vi vedevate?»
«Dalle quindici alle diciannove, la mattina lavoro…in un ufficio pubblico».
«Con quale frequenza vi incontravate?»
«Tre, quattro volte a settimana»
«Più tre o più quattro? Precisi».
«Ma cosa conta? Non ricordo» rispose sgarbato il giovane, un’ombra di contrarietà sul bel viso bruno.
« Lasci decidere a me quel che conta. E ballavate per quattro ore di fila?»
«Ma sì, ogni tanto lei interrompeva per andare ad allattare».
«Cioè? ”Ogni tanto” ha un significato incerto».
«Beh, ogni tre ore, quattro ore».
«Quindi, lei si tratteneva anche oltre le diciannove».
«Forse è capitato un paio di volte».
«Cosa, cosa è capitato? Sia preciso».
«Giudice, lei è prevenuto» commentò l’avvocato.
«Il suo cliente mente, se omette di dire che a volte si tratteneva a casa della signora dalle tre fino alle otto di sera».
«Il mio cliente è profondamente provato da quel che è accaduto e…»
«Cosa è capitato un paio di volte?» insistè il giudice, senza far caso all’avvocato.
« …che mi trattenessi di più. Danzare richiede tempo e impegno» se era seccato, questa volta il giovane non lo diede a vedere.
«E il suo tempo e il suo impegno erano prestati gratuitamente?» continuò il magistrato.
«Sì» rispose l’altro, dopo un attimo di esitazione «anch’io amo molto la danza».
«E il marito? Che diceva?»
«Ecco, lui lavora fuori, torna solo per il fine settimana. Sabato e domenica, perciò, interrompevamo».
«Sapeva, il marito, di questa gara e dell’allenamento?»
«Credo di sì, del resto, gliel’ho detto, la danza è stata sempre la passione di Lisa, l’avrà saputo anche il marito…»
«E il bambino?»
«Il bambino mangiava e dormiva tranquillo».
Mentre l’uomo parlava, l’interrogatorio del sostituto procuratore Iuri Capilupi seguiva a quello del commissario Elio Moreni, con lo scopo di cominciare ad approfondire i fatti, visto che la giovane donna, al momento in ospedale, non era ancora in grado di rispondere, mi sorpresi a pensare, con profondo pessimismo, che quel caso, così terribile negli esiti e dai risvolti un po’ ambigui, difficilmente avrebbe portato all’accertamento della verità.
Ero lì in qualità di funzionario della Squadra Mobile della Polizia di Stato ed ero venuto a conoscenza delle informazioni fornite a Moreni dai vicini di casa di Lisa e anche dalle dieci coppie partecipanti alla gara di ballo amatoriale di Monteripa.
Di Lisa avevano parlato tutti come di una giovane donna incredibilmente bella, assai presa dalla malia della danza. Felicemente sposata con un uomo spesso all’estero per via del lavoro (al momento bloccato in aeroporto da uno sciopero) e madre amorevole di un bimbo di appena quattro mesi…
Del cavaliere di Lisa, Dario Cioffi, si sapeva soprattutto che era un ballerino all’altezza della sua dama. Anche lui aveva studiato danza per anni.
A detta degli stessi concorrenti, ambedue i giovani, nella competizione di tre sere prima, avevano dato un alto saggio delle loro notevoli capacità tecniche e artistiche, tanto da arrivare in semifinale. Un arrivo funesto: proprio mentre stava finendo il brano della fase eliminatoria utile per l’accesso alla finale, era arrivata la responsabile dello spogliatoio, correndo e piangendo per la terribile scoperta del bimbo morto soffocato: un morbido foulard di seta, scivolatogli sul visino da una gruccia poco distante dalla culla, nello spogliatoio dove era stato lasciato, gli aveva interrotto il respiro. Fatalità? Le indagini fervevano frenetiche, nell’intento di chiudere il caso prima che per un qualche motivo si annacquasse. Doveva essere questa la ragione per cui, pensai, il giudice mi sembrava infierisse un po’nell’interrogare il giovane.
«Ma perché portarlo con voi?» chiedeva intanto il magistrato «Lei non ha cercato di dissuadere la signora, di convincerla ad affidare il bambino a qualche parente o anche a rinunciare alla gara, data la situazione?»
«Sì che ci ho provato, ma i parenti di Lisa vivono altrove, lei stessa si è stabilita a Montedama in seguito al matrimonio. Ha preferito portarselo appresso, il bambino. A rinunciare, poi, lei non ci pensava proprio. Aveva fatto troppi sacrifici per ricominciare la preparazione e arrivare alla fine».
Ragionai su quella risposta: una giovane madre così coinvolta nella ricerca delle emozioni da far rischiare un pericolo al suo tenero bimbo, e neppure al suo partner era venuto il minimo dubbio…
Evidentemente il giudice nutriva le mie stesse perplessità. Per lui quel particolare era da approfondire.
«Ma chi insisteva di più ad andare? chi di voi avrebbe rinunciato più malvolentieri…»
«Pardon, giudice, ma il testimone può rispondere solo per sé!» esclamò risentito l’avvocato.
«Ha perfettamente ragione. Il fatto è» si giustificò il giudice « che mi sembra ci sia stata ostinazione nei comportamenti di entrambi. Non si lascia un bimbo così piccolo, da solo, in uno spogliatoio dove, al limite, può entrare chiunque».
«Ma no,» protestò il Cioffi «quelli che dovevano entrare, erano entrati tutti; C’era un servizio d’ordine e il locale era ormai chiuso agli esterni. Lisa s’è accordata con la signora dello spogliatoio, che ha promesso di vigilare, purtroppo, però, s’è dovuta allontanare un attimo. Oltretutto la madre, negli intervalli tra una fase e l’altra, quindi per ben tre volte, è tornata a controllare come stesse il bimbo e lo ha anche allattato».
« Senta un po’, ma lei? Lei è mai andato dal bimbo?»
Non seppi più cosa avrebbe risposto. In quel momento gli eventi precipitarono: piombarono, nella stanzetta che sembrò con la sua ristrettezza anche amplificare le dimensioni, già enormi, di quel che stava per avvenire, un uomo visibilmente alterato, seguito a poca distanza da un usciere, che invano cercava di trattenerlo.
«È stato lui a uccidere la nostra creatura» gridò piangendo, quasi senza prendere fiato, «ne sono sicuro, avevano studiato danza anni fa, nella stessa scuola, poi hanno avuto una storia, me lo ha detto lei… lo ha lasciato per sposare me e lo ha riincontrato per caso, Lisa mi aveva promesso, a gara finita, di interrompere ogni rapporto. Questo lurido verme ha cercato di dividerci, di riprendersela così, in questo modo infame!»
Eravamo tutti sconvolti. Non badai alle reazioni del Cioffi a quelle tremende rivelazioni.
L’ipotesi di un omicidio volontario era tristemente plausibile, pensai, anche se andava verificata.
Pensai anche, con dolore, a quel bimbo così piccolo, che era potuto sembrare un ostacolo sulla via di un’impossibile felicità.
 
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80 replies since 31/3/2016, 22:22   1008 views
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